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martedì 28 novembre 2023

Recensione Narrativa: L'ANNO DELLE VOLPI di Cristiano Demicheli.

Autore: Cristiano Demicheli.
Anno: 2022.
Genere: Realismo Magico / Elementi comici.
Editore: Edizioni Hypnos.
Pagine: 332.
Prezzo: 16,90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.  

Cristiano Demicheli torna nelle lande dell'immaginifica Val Lemuria e, più nello specifico, spia per un anno le avventure, i passatempi e soprattutto gli sproloqui dei cittadini dell'altrettanta immaginaria Tolengo (rappresentata con cura maniacale, con tanto di nomi di strade, case e vie). Pur se formalmente atemporale, è in ballo la vita di campagna e gli usi di un'Italia degli anni settanta (ormai morta e sepolta), quando il bar era il fulcro dei passatempi e il luogo di aggregazione sociale (altro che internet o città). Ne viene fuori una sorta di commedia che sarebbe perfetta per essere rappresentata, grazie ai dialoghi (in parte in dialetto locale) sopra le righe e alla forte componente di ilarità, in contesto teatrale. Sebbene quasi tutto il romanzo sia ambientato all'interno del bar di un albergo, cuore di ogni discorso è la Val Lemuria, con i suoi boschi, le sue nebbie pressoché perenni, gli animali (il pappafugo, il chimello, le case viventi e via dicendo) degni di entrare a rimpinguare gli elenchi degli studiosi di criptozoologia e le sue leggende (il “piccolo popolo” dei Cecini, gli specchi parlanti, i doppelganger e le gesta di un arto fantasma - coperto di setole da porco - che infesterebbe una camera dell'albergo in cui hanno luogo gli incontri dei cittadini).

L'Anno delle Volpi si propone dunque quale sequel dell'antologia Cronache dalla Val Lemuria (qua la nostra recensione http://giurista81.blogspot.com/2022/07/recensione-narrativa-cronache-dalla-val.html), ma lo fa in una forma e in una struttura totalmente diversa e forse meno apprezzabile dalle masse. Già da par suo poco incline alla narrativa commerciale, Demicheli se ne discosta ulteriormente plasmando un romanzo corale dalla sostanza sperimentale per il suo tentativo di miscelare alla narrativa un saggio fantastico a matrice folkloristica. In parole semplici, per struttura (non per contenuti), il volume ricorda Moby Dick di Melville con le continue frammentazioni che sospendono la narrazione a beneficio di divagazioni sulle usanze e sui trascorsi storici locali. Demicheli forgia per tale via una sorta di almanacco dinamicizzato, non a caso il sottotitolo è Un Armanacco da Val Lemuria, cadenzato dalle vicende, in verità banali, dei protagonisti che, tra una panzana e un'esagerazione, se le raccontano al bar davanti a una bevuta, a un piatto di cibo tipico o nel corso di una partita a buscaggin-a (gioco di carte del posto). Non vi è pertanto una trama vera e propria, poiché nella vita stessa non ve ne è una. Viene pertanto scelto un approccio che potremmo definire documentaristico per il suo indagare sulla vita del posto per un anno. “Sarà un anno da vorpi” afferma a inizio romanzo il cantastorie locale (un cazzaro, alla stregua del Piero cantato da Cristicchi, che dice di aver avuto un flirt con Anita Ekberg e di esser andato a pesca con Hemingway), per far riferimento a un anno di miracoli e prodigi. I suoi concittadini, dodici mesi dopo, diranno piuttosto che “è stato un anno schifoso”. In effetti non accade niente di veramente fantastico, tanto che L'Anno delle Volpi, pur se pubblicato dalla casa editrice Hypnos, è un finto romanzo fantastico, orientandosi, piuttosto, dalla parti del realismo magico.

I “nostri” commentano i fatti che, di volta in volta, si verificano in paese, quali l'arrivo di un forestiero, la nascita di un amore passeggero, l'arrivo di un nuovo dottore o la morte improvvisa di un concittadino, tra gelosie, derisioni, litigi e scommesse. Interessanti alcuni passaggi più profondi dove si parla di matrimonio (“Ogni coppia, presto o tardi, fronteggia l'assurdità della sua esistenza e, se sopravvive allo choc, trova una strategia per andare avanti: c'è chi nasconde i problemi sotto il tappeto, chi si coalizza contro un nemico comune, chi pianifica tutto fin nei minimi particolari, chi si vota ai figli. L'obiettivo è uno solo: restare insieme”), dell'ineluttabilità del tempo (“il tempo passa lo stesso, anche se fingi di ignorarlo, anche se non carichi l'orologio. E finirà per te allo stesso modo che per tutti gli altri: alla fine tutti gli orologi smettono di ticchettare”) e del mistero della morte e di ciò che ci attende dopo.

Punto di forza sono le caratterizzazioni dei personaggi (tra i quali due figure ricalcate su Peppone e Don Camillo), ma anche lo stile aulico e curato nel dettaglio, tanto da comprendere latinismi, detti, proverbi locali, modi di dire e persino la riproduzione di documenti di archivio esaltati da un linguaggio seicentesco. In tale contesto e non di frequente, si inseriscono alcune narrazioni in terza persona di presa fantastica, se non fosse che chi le narra è il primo a dichiararsi bugiardo.“Nel bar dell'albergo di Cap confluivano tutti i pettegolezzi di Tolengo, le dicerie, le maldicenze; a volte, le diverse versioni di una stessa vicenda si incontravano al bancone, tra un frizzantino e un punch al rum, e da questo convegno nasceva una versione completamente nuova”. Ecco dunque la storia di uno specchio che riproduce l'animo di chi vi si riflette, il racconto di un'osteria che in tempo di guerra serviva una carne genuina ottenuta dall'allevamento di vermi alimentati con carne umana, l'avventura di una donna che vive una seconda vita smaterializzandosi nel corso del sonno e, ancora, una casa vivente che scorrazza per i boschi a fare mattanza come in un celebre racconto di Clive Barker, oltre che il mito dei Cecini (una sorta di folletti che vivono nel sottosuolo e ricordano molto quelli di Arthur Machen) e le loro lotte contrapposte al santo patrono locale in grado di contenerli a seguito di un patto raggiunto col diavolo (per indisponibilità a trattare di Dio!?).

Come se non bastasse, si aggiungono a corredo del tutto una serie di rimandi di valenza saggistica attraverso i quali si parla degli usi, della cucina, delle coltivazioni e delle variazioni meteorologiche che cadenzano l'alternarsi delle stagioni nella Val Lemuria. Non a caso, il romanzo è strutturato in dodici capitoli ciascuno dei quali dedicato a un mese.

Ne viene fuori un volume curioso ed estremamente elegante, dai ritmi ragionati, forse un po' pesante nella sua parte centrale e più riuscito negli ultimi capitoli. Demicheli lascia trapelare alcune idee persino di presa politica (“i guardiacaccia, come tutti gli sbirri, sono nemici della povera gente”), ma soprattutto offre interessanti riflessioni che portano il testo a oltrepassare l'ambito della narrativa per accedere alla letteratura vera e propria.

E' opportuno evidenziare, per correttezza, che sebbene non si segua la logica classica del romanzo (inizio, sviluppo, fine) ci sono comunque dei collegamenti e dei richiami funzionali a fare da collante. Da notare, sotto quest'ultimo punto di vista, il balletto finale delle volpi che sembra suggerire che il vero anno delle volpi sarà quello successivo, poiché un anno da volpi è quello che si verifica ogni cinquant'anni, quando “i cecini arrivano con i violini e i pifferi e le volpi ballano tutta la notte”. Il romanzo si chiude proprio con un ballo di volpi.

Comicità, grottesco, fanta folklore e una tecnica magistrale sono gli ingredienti di un romanzo sperimentale in cui il fantastico è meramente suggerito e supposto a livello di leggenda agreste. Non proprio commerciale, è indicato a chi apprezza il lessico curato e virtuoso nonché le commistioni tra comicità e horror. Demicheli conferma le eccezionali doti di virtuoso della penna e il suo interesse alle contaminazioni tra weird e comicità, qua in gran lunga prevalente sul primo. Sicuramente molto più autoriale rispetto al più canonico Cronache dalla Val Lemuria, con una volontà di proporre, tra una storia e l'altra, un volume sugli usi e costumi di una paesino di montagna che non esiste se non nella fantasia del suo autore. Curiosamente nostalgico.

 
L'autore e il suo primo volume sul mostro di Firenze.

"In provincia la verità è solo una delle tante articolazioni della leggenda."

giovedì 23 novembre 2023

Recensione Saggi: FORSE NON TUTTI SANNO CHE L'ARTE di Alessandra Redaelli.

Autore: Alessandra Redaelli.
Anno: 2022.
Genere:  Saggio Antologico.
Editore: Newton Compton Editori.
Pagine: 281.
Prezzo: 14.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

La critica d'arte Alessandra Redaelli, autrice di altri saggi in argomento per conto della Newton Compton, raccoglie in un unico volume, suddiviso in sei capitoli, il profilo di sessanta artisti, perlopiù pittori (ma non solo), tenuti uniti da un approccio tanto geniale quanto maledetto. A differenza di altri testi, spicca la particolare attenzione al sesso debole e al mondo della fotografia. Oltre alla celebre Artemisia Gentileschi, sono tante le donne protagoniste del volume, talvolta trainanti e dominanti (si pensi a Marina Abramovic), talaltra e più spesso costrette a subire la pressione di mariti colleghi asfissianti e dominanti (si pensi alla consorte di Edward Hopper, ma anche al primo marito di Ilona Staller, la Cicciolina del porno). Un approccio interessante ad avviare riflessioni, in questi giorni al centro dei notiziari e dei talk show, sul tema delle violenze ai danni della donna, così da comprendere quanto, piuttosto a una problematica legata al patriarcato, la questione verta su ragioni ben più complesse che passano dall'amore tossico, alla riduzione dell'altro a mero oggetto dei desideri erotici (emblematico il caso di Oskar Kokoschka) fino all'impulso narcistico ed egoistico di sopraffazione assoluta della compagna (Pablo Picasso).

Il volume, edito dalla Newton Compton nel 2022, prende forma a seguito di una serie di ricerche condotte dall'autrice per conto del settimanale Cronaca Vera. Un'origine che è fortemente palpabile sia nello stile che negli approfondimenti che la Redaelli dedica ai vari artisti. La raccolta, infatti, indaga il lato oscuro della mente artistica, tendendo a sorvolare sulle creazioni vere e proprie se non quando le medesime divengono sensazionalistiche (tante le storie in cui si incontra la polizia impegnata a chiudere mostre reputate troppo oscene). Ecco allora prendere campo gli eccessi, le perversioni, i soprusi fino ad arrivare, in alcuni casi, agli omicidi veri e propri o supposti (non manca un paragrafo su Walter Sickert e sul mistero attorno al quale si cela il volto mai rivelato di Jack lo Squartatore). Vero protagonista della raccolta è il sesso, un'ossessione costante, a quanto pare, dei vari soggetti proposti, vuoi che siano pittori, scultori, muse, creatori di bambole, fotografi, collezionisti d'arte o performer. L'indagine parte dal basso medioevo, prendendo le mosse dall'ossessione di Sandro Botticelli per una donna che fa perdere il capo a molti nobiluomini fiorentini e che si ripropone costante, anche a distanza di anni dalla sua morte, nei dipinti del maestro. Da qui la ricerca si dipana in tutte le epoche e in tutte le direzione, proponendo mostri sacri dell'arte (Raffaello, Manet, Guttuso, Caravaggio, Dalì, Picasso, Van Gogh e via dicendo) affiancati ad altri assai meno noti, saltando da arte classica all'arte moderna fino ad abbracciare il mondo della fotografia e dello spettacolo visivo realizzato sfruttando corpi  e oggetti. C'è spazio davvero per tutti, tanto da arrivare ad artisti che accantonano le tinte tradizionali per utilizzare direttamente sangue, umori femminili e urina oppure frattaglie di carcasse animali fatte giungere direttamente dai macelli (Hermann Nitsch). Si comprende inoltre, forse col rischio di sollevare critiche nella nostra direzione, che quanto un tempo era mera allusione e velata mostra del peccato, al passare dei secoli, è divenuto ostentazione del proibito a seguito della caduta di ogni freno inibitore tanto da dare corso all'esplicita rappresentazione di organi maschili e femminili messi in bella mostra per la disperazione di benpensanti e prelati.

All'interno dei sei grandi capitoli che fungono da contenitori di storie, tra “Amori disperati”, “Storie bollenti”, “Delitti e Misteri”, “Scatenate”, “Eroi Maledetti” e “Mostri”, vengono dedicati singoli paragrafi a singoli artisti, ognuno dei quali introdotto da una descrizione narrativa che immagina l'artista in un momento simbolico della sua carriera. Dopo tale introduzione, l'autrice torna a vestire i panni della saggista e offre una veloce carrellata sull'infanzia e la professione del protagonista di volta in volta trattato, fornendo i titoli delle opere e degli eventi principali della vita, concentrandosi tuttavia sul lato oscuro spesso inconfessabile che, in un certo qual senso, corrode l'anima tormentata, incompiuta e incapace di trovare pace, facendo probabilmente di un uomo o una donna comune un artista.

Ecco che lo spirito di un giornale sensazionalistico come Cronaca Nera pervade il testo, ben lontano dal volersi presentare quale saggio dedicato al mondo dell'arte. La Redaelli, piuttosto, confeziona un'indagine psicologica sul mondo delle perversioni, una ricerca che avrebbe fatto la felicità di Sigmund Freud e che non delude le attese degli acquirenti che si sono lasciati rapire dal sottotitolo del volume. “Vizi segreti, geniali sregolatezze e inconfessabili misfatti” regnano infatti in tutte le trecento pagine scarse del volume. Uomo avvisato... mezzo ammazzato.

 

Alessandra Redaelli.

Quando Louise Bourgeois definiva l'arte una garanzia di sanità mentale, decisamente si sbagliava.”

mercoledì 22 novembre 2023

Recensione Narrativa: FOLKVILLE - CRONACHE DA UNA CITTA' LEGGENDARIA di Giancarlo Marino.

Autore: Giancarlo Marino.
Anno: 2018.
Genere:  Horror / Grottesco.
Editore: Homo Scrivens.
Pagine: 346.
Prezzo: 18.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Soltanto ciò a cui si crede può essere reale. Tutto può essere reale se si ha fede in esso.” Su tale mantra si fonda il romanzo fiume del docente napoletano di scrittura creativa Giancarlo Marino. Già in attività da oltre quindici anni, il trentanovenne Marino vanta un Premio Speciale Carver, ottenuto nel 2018 con l'antologia E Pensare che C'Entravamo Tutti, segnalandosi spesso per essere un autore piuttosto elegante e brioso con un'evidente passione per la narrativa del terrore interconnessa all'avventura e agli scenari esotici.

Folkville è una vera e propria summa del backgroud dell'autore e del suo modo di concepire la narrativa. Potremmo definire il volume un perfetto rappresentante di quanto si possa incontrare nella variegata produzione di Marino, un complesso di volumi (circa una decina) che comprendono la saggistica e la poesia.

Al centro del progetto risiede un atto di amore per i fumetti dei supereroi, il cinema di Tim Burton, il weird di Lovecraft e i gadget dei nerd infervorati dai giochi di ruolo. Ne viene fuori un romanzo sperimentale, a matrice horror/weird (si parla di alchimia, organizzazioni segrete, mutaforme, precognizioni), che mette in scena una serie di revenant del mondo delle leggende metropolitane. Marino anticipa sul mercato nostrano l'uscita del classico di Roger Zelazny Notte di Ottobre, edito in Italia nel 2020 dalle Edizioni Hypnos (ma scritto nel 1993), rendendo più espliciti i richiami ai personaggi emblematici e archetipici. “Ogni fatto o personaggio descritto in questo romanzo è figlio dell'invenzione di qualcun altro” avverte Marino prima dell'apertura del primo capitolo. Il chupacabra, l'uomo falena, bigfoot, i coccodrilli albini, una sorta di Candyman (rimando allo slasher ispirato da un racconto di Clive Barker) e, ancora, babbi natale assassini, autostoppisti fantasma, cavalieri erranti sprovvisti di testa, dermadatteri e ragni radioattivi si incontrano in un calderone che non sa bene quale registro seguire e che propone sempre qualcosa di ulteriore e folle bombardando il lettore.

Marino è un narratore di razza, lo si comprende bene dalla lettura di quest'opera. Sa come creare tensione, sa avvincere e spaventare, ma sa anche far ridere, dissacrare e smorzare i toni di un'avventura che non si prende sul serio imboccando sovente la via della parodia. L'impressione è che Marino non abbia creduto troppo nel progetto, pensando, in tutta probabilità (e a torto), che solo una proposizione del medesimo in salsa farsesca avrebbe potuto rendere il tutto accettabile dal pubblico. È un po' come se lo stesso autore, in fondo in fondo e facendo il verso ad alcuni personaggi utilizzati, non abbia creduto che la sua “favola macabra” potesse essere reale e potente. Non a caso, in rete, si leggono interviste rilasciate dallo stesso autore in cui dichiara: “Sono uno scettico disincantato e non riesco a prendere troppo sul serio la materia letteraria di cui mi occupo, per quanto a volte sia tragica o scarsa”. Peccato, davvero, perché le parti squisitamente weird sono notevoli e regalano anche sorrisi senza, per forza di cose, scendere nel grottesco. Il romanzo è molto denso, quasi a dare l'impressione di esser stato allestito cucendo tra loro una serie di racconti originariamente indipendenti e scritti in periodi e umori diversi. Ne succedono di tutti i colori, da pestilenze letali, passando per ragni vomitati da internet e ancora diavoletti di prosciutto (!?) che cannibalizzano gli uomini scarnificando i volti e via con strani effetti esplosivi prodotti dal mix tra caramelle e coca-cola (mi vengono in mente le Mentos), lagune infestate da anaconda famelici o sotterranei labirintici in cui crollano le fondamenta fino ad arrivare ai flashback che vedono in azione una tribù africana di ominidi votati a una divinità felina dalla forma di pantera. Il tutto è tenuto unito dal leitmotiv della ricerca che vede per protagonista un giovane e strambo (guida un Maggiolone alimentato da crema di arachidi!?) titolare di una fumetteria (ubicata in Elm Street, piuttosto che in Craven Road, giusto per chiamare in causa Nightmare) impegnato a ricercare la fidanzata scomparsa nel nulla. Non si contano le citazioni, spesso e volentieri dichiarate, e i giochi sui nomi dei personaggi (tra tutti Stevenson). Esilarante è la scelta di battezzare un razzista, che odia i neri e guida gli hovercraft, col nome di Howard Phillips (cosa vi ricorda?).

Sullo sfondo delle varie follie in cui il protagonista finisce per imbattersi, prende piede il fulcro centrale della vicenda. Pare infatti che a Folkville tutte le leggende tornino misteriosamente a rivivere, sebbene siano minacciate da un canide dalla pelle di rettile che distrugge gli esseri leggendari per impedire che mito e realtà si contamino. Quest'ultima creatura è il mitico chupacabra, un mostro che pratica un foro nella pelle della vittima e da essa succhia via sangue e organi. Marino propone il chupacabra in modo piuttosto originale, quale forma di licantropia avente la funzione di riequilibrare un sistema uscito fuori dal controllo della natura (“Egli interviene ogni volta che la nostra realtà e quella degli spiriti si incrociano, per ristabilire i confini violati”).

Tanta, tanta, carne al fuoco, probabilmente troppa. Marino perde spesso (ad avviso di questo recensore) il termometro della situazione, passando da commedia a farsa comica per tornare al sense of wonder e persino all'orrore grandguignolesco. Non sempre il tutto viene gestito in modo ottimale, sebbene il romanzo non sia mai noioso. Manca dunque un'omogeneità che possa rendere saldi i contenuti, scongiurando i diametrali cambi di registro che, alla fine, fanno un po' storcere il naso. A ogni modo, lo sottolineamo di nuovo, sono indubbie la qualità dell'autore, di recente uscito, sempre per Homoscrivens, con un progetto più contenuto di natura lovecraftiana che spero di recuperare presto: Le Oscure Acque (2023).

A chi consigliare allora Folkville? Indubbiamente a chi cerca un prodotto sperimentale (in alcune parti Marino cerca addirittura la commistione tra la sceneggiatura di un fumetto e la scrittura discorsiva del romanzo, non a caso i capitoli di quest'ultimo sono chiamati “tavole”) e a chi è un cultore delle leggende metropolitane. Notevoli alcuni capitoli squisitamente weird (la parte nella laguna) e buona parte della seconda parte del romanzo (le parti ambientate in Africa e la lotta finale tra uomo falena e chupacabra). Tra alti e bassi, consigliabile e adorabilmente folle.

 
L'autore Giancarlo Marino.
 
"Soltanto chi non crede all'esistenza di una leggenda è in grado di fermarla."

domenica 19 novembre 2023

Recensione Saggi: LA CORTA NOTTE DELLE BAMBOLE DI CARTA di Davide Rosso.

Autore: Davide Rosso.
Anno: 2022.
Genere:  Saggio sociologico su fotonovelle erotiche.
Editore: Novilunio Stampe Amatoriali.
Pagine: 92.
Prezzo: 22.29 dollari americani.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Nuovo esperimento della Novilunio Stampe Amatoriali, collettivo fuori dagli schemi e dai salotti della narrativa altolocata dietro al quale si celano i talentuosi Daniele Vacchino e Davide Rosso, la coppia dark di scrittori vercellesi che abbiamo imparato a conoscere su questo blog con il dittico Ritualis (Il Foglio Editore) e lo sperimentale mix di foto e testi costituito da Oro Sommerso. Altri titoli analizzati sono stati inoltre l'eccellente giallo La Strega del Ritano (di Daniele Vacchino) e l'antologia circolare Parla coi Morti (di Bruno Vacchino). Il libro che oggi ci troviamo a sezionare è un saggio alquanto atipico e anti-commerciale che deve il suo titolo a una pellicola gialla diretta nel 1971 dal regista Aldo Lado (“La Corta Notte delle Bambole di Vetro”). Davide Rosso si propone di far luce su una galassia eclissatasi da quasi cinquant'anni, gettando uno sguardo sull'estinto mondo dei fotoromanzi proto-pornografici italiani. Titoli, numeri, attrici, sottogeneri, tematiche, “trame”, scenografie, compensi e persino foto vengono scandagliate e proposte a beneficio dei rarissimi lettori oltranzisti che non si fermano a quanto il mercato contemporaneo può offrire. Non aspettatevi però un volume convenzionale, poiché la penna dotta, sinuosa ed elegante di Rosso si muove per scavare sotto la superficie del mero prodotto divulgativo. Inusuale fin dal formato (28 x 21,5 cm), La Corta Notte delle Bambole di Carta è un testo breve (novanta pagine circa) che va oltre la superficie dei vari Le Vampire del Sesso (1974-1975), ¾ d'Ora (1973-1974), Boccaccio 2000, Intimità Erotiche Illustrate, Passioni Perverse fino alle più esplicite e oltraggiose Clyto, Playtime e New Tanga, proponendosi di addentrarsi in una complessa indagine sociologica oltre la quale sedimenta un certo tipo di cultura ancor oggi esistente.

È lo stesso Davide Rosso, in premessa, a delineare il proprio intento, originariamente orientato all'editoria horror e poi virato sull'erotico estremo. “volevo mescolare quei materiali con la storia politica e sociale di quegli anni, di quel paese, di quell'Italia... e arrivare fino ai giorni nostri.” E così ecco fare capolino, tra un'uscita e un'altra, la cronaca nera di allora, tra brigatisti, anni di piombo, attentati e delitti del mostro di Firenze, fino agli eventi del G8 di Genova dove la violenza si presenta da ambo i lati dello schieramento. Rosso va oltre le apparenze, cerca una matrice psicologica che connaturerebbe i lettori di queste riviste, ma anche coloro che si trincerano dietro fini più o meno nobiliari (la lotta politica, la difesa delle legge di uno stato o il controllo della popolazione), così da far emergere un inconscio collettivo che è assuefatto alla violenza e che riconosce in essa l'unico linguaggio veramente compreso e proprio. “Il sesso e la società sono strettamente connessi” scrive l'autore “capire come veniva rappresentata la sessualità in queste riviste può dirci molto su quegli anni, su come eravamo e su cosa siamo ora”. Un approccio, evidentemente, ancora moderno. È di questi giorni la notizia di cronaca nera dell'omicidio di Giulia Cecchetin, la giovane ventiduenne uccisa dal suo fidanzato a poche ore dalla laurea in ingegneria. L'ennesimo omicidio perpetrato da giovani fidanzati che ricorda quello compiuto da Alberto Stasi. Studenti universitari, volti puliti e insospettabili, insomma i bravi ragazzi della porta accanto dietro i quali si alza il velo dell'inconfessabile, dei misteri più reconditi che non si possono riferire senza urtare il pudore e l'etica civile. L'idea di possesso, la pretesa di fare tutto ciò che si vuole non riconoscendo le altrui scelte. Proprio dietro queste parvenze di presunta normalità si cela il mister Hyde che cede sotto le tentazione della forza bruta e dell'egoismo, cancellando l'onore e la cultura del Dottor Jekyll. L'egoismo, il piacere personale, la mercificazione dei corpi di donne utilizzate a mo' di manichini di carne e ossa. Non c'è alcun sacrificio o concessione all'altro né, tanto meno, la volontà di fondersi in quel qualcosa di superiore che gli alchimisti identificano nella completezza e perfezione rappresentata dall'essere androgino. Questo emerge dallo studio delle fotonovelle degli anni settanta e in questo risiede anche la sostanza della pornografia. Mera proposta di corpi privi di anima, esecuzione per interposta persona di fantasie mortificanti e irrealizzabili, ma anche sostituzione idealizzata in un confronto con l'altro sesso che non richiede interazione e dunque non conosce l'onta del giudizio e con esso del rigetto e dell'allontanamento. È la cancellazione della persona e delle anime in favore della soddisfazione, nella fattispecie carnale, senza nulla concedere all'altro, che si trasforma in un mero strumento a disposizione dei voleri del protagonista. È l'esaltazione dell'egoismo, la riduzione al rango di oggetto di chi (donna) deve sottostare al comando del dominatore, anche quando da schiava (slave) diventa padrona (master). Di amore manco a parlarne. Così ecco il campionario di torture e depersonificazioni che dal campo sessuale si riproduce (e non necessariamente si diffonde, poiché cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia) anche in altri ambiti, riconoscendosi nella prepotenza di chi vuol imporre un proprio credo o in chi utilizza la maschera della legalità per sopraffare il prossimo, ben oltre al limite imposto dal ruolo. “Il sesso e i corpi mostrati su queste riviste sono lontani dalla pia illusione di una pornografia libertaria al servizio della donna. I corpi delle modelle sono carne da macello, burattini senza identità disponibili e rotti a tutto.”

Tra le varie riscoperte operate da Davide Rosso, manna per il feticismo dei collezionisti, si segnala un numero (datato 18 dicembre 1973) della serie ¾ d'Ora che potrebbe addirittura aver ispirato uno dei più simbolici omicidi del Mostro di Firenze, quello del tralcio di vite lasciato inserito nella vagina della vittima (nella rivista si parla di un gambo di rosa al posto della vite).

Qual'è allora la conclusione a cui giunge il saggio? Semplice: “Questo paese, il nostro, è unificato da pulsioni non troppo nascoste per la violenza, un'inerzia fascista nel non riconoscersi nel dolore degli altri se non attraverso il sopruso e l'umiliazione di chi è più debole.”

In conclusione La Corta Notte delle Bambole di Carta, dietro a un lavoro di ricerca di matrice divulgativa, è un saggio concepito per pochi eletti, difficile da piazzare e proporre sul mercato per il suo concentrarsi su una tipologia di pubblicazioni da edicola soppiantate nel corso degli anni dalle videocassette e stigmatizzate dall'ipocrito perbenismo di certe classi sociali. Un mondo e una produzione celati negli anfratti di armadi destinati a non aprirsi al pubblico, fino a essere negati e dimenticati. È lo stesso Rosso a rendersene conto quando scrive “all'inizio pensavo di scrivere qualcosa su queste riviste per passare tutto ai blog con cui collaboro, poi ho capito che non avrebbero mai pubblicato pezzi sul porno o sull'erotismo...” A distanza di anni l'argomento resta tabù, una testimonianza sociale (perché se certi prodotti si propongono sul mercato significa che qualcuno li compra) non adeguatamente scandagliata e compresa, eppure estesa e presente, sotto altra luce, nella cronaca nera di tutti i giorni. Non a caso, alle porte del primo quarto di secolo, sta per affermarsi anche in Italia quell'hardcore horror da tempo in auge negli Stati Uniti e qua rigettato da un mercato protetto dalla pratica della censura. Qualcosa, forse, sta per cambiare, ma la sua comprensione resta ancora prerogativa di pochi.

 

Un numero che ha, forse, ispirato il Mostro di Firenze.

Una coppietta appartata in auto, in aperta campagna... mentre i giovani si amano nello spazio angusto dell'auto ecco la figura di un maniaco in maglietta e pistola... Minacciandoli con l'arma il pazzo li costringe a fare sesso sotto i suoi occhi... poi prende il gambo di una rosa e ordina al fidanzato di infilarlo nella vulva di lei. Dopo il maniaco... spara alla testa del fidanzato...


venerdì 17 novembre 2023

Recensione Saggi: IL PREZZO DA PAGARE di Stefano Tamburini.

Autore: Stefano Tamburini.
Anno: 2022.
Genere:  Saggio Sportivo - Antologia Biografie.
Editore: Edizioni Il Foglio.
Pagine: 216.
Prezzo: 14.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Trentuno storie dal 1908 a oggi, cinque continenti rappresentati, undici sport tra atletica, calcio, tennis, ciclismo, pugilato, arti marziali, arrampicata, ginnastica artistica, automobilismo, basket e persino scacchi, ma soprattutto un fil rouge che ha il suo collante nella lotta per i diritti, nella difesa del più debole e nell'affermazione della propria personalità contrapposti a regimi, pregiudizi e regole antiquate che soffocano il progresso.

Il Prezzo da Pagare è un'antologia di brevi biografie che partono dallo sport per travalicare l'ambito di riferimento e acquisire rilevanza sociale. Le storie scelte da Stefano Tamburini, direttore di una lunga sequela di quotidiani (tra cui Il Tirreno) nonché collaboratore del celebre settimanale Autosprint, sono dei veri e propri prototipi di affermazione di diritti civili; se vogliamo degli spartiacque tra quello che succedeva prima e quello che succederà dopo. Esempi eroici che delineano momenti, non sempre di gloria, sui quali le masse iniziano a prendere coscienza di una realtà a portata di mano e non più chimerica. L'azione del singolo, talvolta apparentemente temeraria e bislacca (per non definirla folle), diviene occasione di stimolo all'azione e al cambiamento. Non a caso nel libro si parla del primo pugile di colore che combatté contro uno bianco, delle prime donne impegnate in competizioni tipicamente maschili, della prima medaglia d'oro di un'atleta africana alle olimpiadi e via dicendo.

Dietro a ogni storia filtra una qualche rilevanza sociale: la lotta al razzismo, la ribellione alla persecuzione politica, l'affermazione delle pari opportunità, il diritto all'amore e all'autodeterminazione delle proprie inclinazioni sessuali, ma anche il superamento di malattie reputate ostative e la dimostrazione dell'infondatezza di supposte credenze di presunta superiorità di un sesso sull'altro.

Attraverso le vite dei vari atleti, a cui Tamburini dedica circa cinque pagine sul modello di volumi quali L'Importante è Perdere (qua la nostra recensione http://giurista81.blogspot.com/2015/04/recensione-saggi-limportante-e-perdere.html ) di Nicola Roggero, il lettore compie un vero e proprio viaggio nella storia del novecento. Dalla segregazione dei colored americani all'apartheid sudafricano, passando per i blitz partigiani contro l'invasore nazista e le lotte studentesche del '68 fino alle assurde pretese di boicottaggio messe in atto da stati accecati dall'estremismo islamico che mal tollerano i successi delle donne, senza tralasciare l'oscuro periodo della guerra fredda caratterizzato da agenti segreti, spionaggio e sacrificio di cittadini dell'Est Europa tramutati dai loro Stati in cavie destinate a vincere a ogni costo. In tutto questo non mancano le lotte per l'emancipazione della donna contro presunte pretese di esclusività avanzate di volta in volta da direzioni di gara troppo ottuse per comprendere l'importanza di momenti che avrebbero fatto storia.

Il Prezzo del Potere è un volume di uomini e donne coraggiosi, che non hanno abbassato la testa e che hanno messo in gioco la propria vita, la propria credibilità e un'esistenza di agi per consentire all'umanità di progredire. Le vittorie sul campo, comunque abbondanti, diventano allora secondarie, sacrificate a vantaggio di successi che sconfinano oltre l'ambito sportivo e trasformano il campione sportivo in un emblema sociale. Lo sport diviene occasione di divulgazione di idee, di moti di protesta e persino di fughe verso paesi più avanzati che possano garantire la libera determinazione della persona a dispetto di sistemi totalitari che pretendono di controllare tutto e tutti. Non sempre il coraggio è sufficiente, talvolta la corsa verso la libertà pretende il prezzo più alto da pagare, quello che non può concedere repliche o nuove opportunità di rivalsa. Ci sono atleti che sono morti per perseguire un'idea oppure per aiutare il prossimo da aggressioni che reputavano ingiuste.

Non ci sono mai autostrade nella corsa verso il progresso, non ci sono quasi mai porte aperte quando c'è da chiedere rispetto, eguaglianza, giustizia e libertà... c'è sempre un obolo, un pedaggio che diventa gabella per chi decide di combattere per i diritti fondamentali, quelli umani, quelli della civiltà” scrive nella premessa Tamburini.

Il Prezzo da Pagare è dunque un tributo a tutti coloro che hanno contribuito, nell'ambito dello sport, a rendere il mondo un posto migliore. Eroi che hanno combattuto ingiustizie, pregiudizi e limiti di classe senza voltarsi mai dall'altra parte e trasformandosi in simboli di lotta generalizzata a prescindere da quello che sarebbe stato il prezzo da pagare. Un volume dunque da regalare soprattutto ai più giovani, che ha il merito di non schierarsi in favore di alcun gruppo o ideologia, sposando invece quell'etica e quella filosofia che non conosce limiti di bandiera e di cultura. Da segnalare la prefazione di Rosy Bindi.

 
L'autore Stefano Tamburini.
 
"L'australiano Peter Norman sceglie di non far finta di niente, sapendo già che il prezzo della ribellione sarà una retrocessione all'inferno della vita sociale."

sabato 11 novembre 2023

Recensione Narrativa: LA CHIAMATA DEI TRE di Stephen King.

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: The Drawing of The Three.
Anno: 1987.
Genere:  Fantastico / Poliziesco: II capitolo saga La Torre Nera.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 359.
Prezzo: 14.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Secondo capitolo della lunga saga della Torre Nera avviata cinque anni prima con L'Ultimo Cavaliere (qua la mia recensione http://giurista81.blogspot.com/2020/03/autore-king.html ). King concepisce l'episodio alla stregua di un romanzo ponte utile a presentare la compagnia degli eroi destinata, nei successivi episodi, a seguire le gesta di Roland, il pistolero.

Meno interessante del primo capitolo, in quanto inidoneo a vivere di vita propria e svuotato quasi del tutto di elementi fantasy, The Drawing of the Three (“La Chiamate dei Tre”) - che in Italia arriverà solo nel 1990 - gioca a rimbalzo su due piani esistenziali. Da un lato ci mostra il mondo alieno di Roland e dall'altro crea, attraverso una serie di porte ultra-dimensionali sparse sull'interminabile spiaggia in cui peregrinano i protagonisti, un'interazione tra questo mondo e la New York che tutti noi conosciamo. Il romanzo parte laddove era terminato il primo episodio e prende l'abbrivio all'insegna dell'azione (prima parte incalzante). Addormentato sulla risacca, Roland viene sorpreso nel sonno da bizzarri crostacei (una specie di aragoste parlanti) assai aggressivi che gli provocano delle mutilazioni da cui si irradierà una tremenda infezione. L'evento rischia di costare la vita al pistolero che, tuttavia, riprende la marcia scoprendo che la profezia dell'uomo in nero incontrato nel primo capitolo è destinata ad avverarsi. Durante il viaggio, in una terra desolata in cui non si incontra anima viva, Roland si imbatte in tre porte che si aprono sul mondo della nostra realtà. Attraverso il passaggio da tali portali il Pistolero viene catapultato, sia in forma incorporea che fisica, nella realtà che noi tutti conosciamo, seppure in epoche diverse. Ogni porta corrisponde a un singolo personaggio che Roland, più o meno consensualmente, dovrà rapire per portarlo nella sua dimensione al fine di trasformarlo in un aiutante. È proprio nel mondo terrestre che si svolge la parte migliore del romanzo, tra sparatorie che vedono coinvolti spacciatori di droga, rapine in armeria, assalti in farmacia e furti in gioielleria... scontri dove i poliziotti sono costantemente battuti. Ne viene fuori un curioso mix tra western, fantasy e poliziesco, a tratti efficace e a tratti verboso e troppo diluito. L'impostazione è corale, mentre il contenuto mostra a livello embrionale elementi che saranno sviluppati da King nel prosieguo carriera. Trapelano infatti spunti che saranno ripresi in altri celebri romanzi. C'è l'idea dell'individuo affetto da un disturbo di sdoppiamento di personalità che si trova a duellare con la sua parte cattiva (due anni dopo King scriverà La Metà Oscura); c'è la possibilità di assumere, alla maniera di una possessione diabolica, il controllo delle persone scavando nel loro cervello per acquisirne le conoscenze e il vocabolario (King anticipa Venom, personaggio introdotto nella saga di Spiderman dal 1992, e ricalcherà la cosa per L'Acchiappasogni); ci sono i passaggi attraverso dei portali dimensionali dalla nostra realta' a un contesto alieno (tematica che sara' al centro di Buick 8); e c'è tutta la prima parte ambientata all'interno di un aereo - interessato dai passaggi dimensionali - che ricorda quanto si leggerà con la novella I Langolieri che King includera' tre anni dopo nella raccolta Quattro dopo Mezzanotte. Dunque La Chiamata dei Tre è una fucina di idee che faranno la fortuna altrove. Qua, purtroppo, si ha l'idea che King tiri per le lunghe la cosa, confermando l'impostazione point to point de L'Ultimo Cavaliere senza giungere a un vero e proprio epilogo. Nel mondo di Roland non succede praticamente niente (l'atmosfera è comunque inquietante, con tanto di berci animaleschi che si irradiano da aree in cui l'occhio non può penetrare), mentre tutto avviene nel "nostro mondo" con storie poliziesche che vedono per protagonisti (come sempre in King) dei personaggi “perdenti” chiamati al riscatto. Abbiamo un eroinomane alle prese con una banda di spacciatori che lo tengono in pugno minacciando di fare male al fratello. Poi abbiamo una disabile di colore (pallosissima parte sulle problematiche razziali) affetta da disturbi psicologici che le provocano dei cambi di personalità diametralmente opposti. Carina, dolce e collaborativa ora, volgare, acida e pericolosa poi. Infine abbiamo un serial killer che va in giro con rolex, scarpe di Gucci e occhiali d'oro, che verrà sfruttato da Roland per recuperare munizioni e medicine. 

Chi ha letto L'Ultimo Cavaliere si troverà alle prese con un romanzo molto diverso. King soffoca la componente fantasy, in favore di sparatorie, inseguimenti di polizia e pestaggi che avvengono per le vie di New York. La trama principale caratterizzata dalla marcia verso la Torre Nera (“Una chiave di volta che fa da sostegno e vincolo a tutta l'esistenza”) lascia spazio a quelli che sembrano essere tre racconti cuciti tra loro dalla traccia principale.

Molta la verve ironica, con Roland che stenta a comprendere le modernità esprimendosi nella "nostra realtà" per buffi concetti legati alla sua esperienza personale. King si diverte inoltre a mettere a confronto soggetti di epoche diverse, che non comprendono quanto l'altro va dicendo perché ancorati su scale di valori diverse.

Impossibile rivolgersi al volume senza aver letto il primo capitolo, essendo alle prese con un rigoroso continuo. Ottimi la prima e l'ultima parte, si fatica invece nella parte centrale che può essere metabolizzata saltando intere pagine in cui i personaggi si dilungano in autentici "pipponi". Per certi versi, La Chiamata dei Tre ricorda la parte centrale del romanzo The Night Land (“La Terra dell'Eterna Notte”, 1912) di William Hope Hodgson, dove i protagonisti, muovendosi in un territorio sconosciuto e minaccioso, devono nutrirsi, curarsi, centellinare le munizioni e stare attenti alle avversità ambientali. Alla maniera di Hodgson, King descrive in modo minuzioso le difficoltà nella marcia, le scene di caccia, la necessità di curarsi assumendo farmaci recuperati nell'altra dimensione e l'esigenza di preparare gli alimenti da ripulire e cucinare sul fuoco. Il punto di forza del romanzo dovrebbe essere rappresentato dalle evoluzioni psicologiche dei personaggi, sebbene l'impressione finale resti quella di un romanzo prolisso che, pur proponendo notevoli impennate, soffre di troppi momenti morti.

 
Copertina con l'elemento centrale del volume:
Le tre porte dimensionali.
 
"Tanto vale bersi l'oceano con un cucchiaino piuttosto che discutere con un innamorato."