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lunedì 28 novembre 2011

Recensioni narrative: IL RITORNO DI CARMILLA (J.S. Le Fanu jr)


IL RITORNO DI CARMILLA - LA VAMPIRA INNAMORATA

Autore: J.S. Le Fanu jr. (Nipote)
Anno di uscita: 2011
Casa editrice: Edizioni Il Foglio
Pagine: 164
Prezzo: 12.00

Commento di Matteo Mancini


Volumetto edito dalle Edizioni Il Foglio Letterario che, non me ne voglia l'amico Gordiano Lupi (autore della traduzione dallo spagnolo nonché responsabile della casa editrice), ha come unico fine quello di offrire a un pubblico a digiuno di "narrativa fantastica classica" uno dei capisaldi del genere fantastico (antesignano del Dracula di Bram Stoker) ovvero il racconto lungo "Carmilla" dell'irlandese J.S.Le Fanu. L'affermazione viene rafforzata da un testo che ricalca pari pari il soggetto originale, limitandosi ad attualizzare la storia (è ambientata a Firenze in età contemporanea, con autobus che prendono il posto delle carrozze a cavallo) e a spingere sul pedale dell'erotismo (peraltro con descrizioni tendenti a ripetersi e a non differenziarsi dalle canoniche rappresentazioni narrative di rapporti sessuali).

L'autore, che si presenta come nipote del più famoso Le Fanu (Lupi assicura che non si tratta di una trovata commerciale), modifica in piccola ma determinante misura la caratterizzazione del rapporto tra Carmilla e la giovane protagonista della storia. L'amore saffico tra le due infatti, oltre a essere esplicitato (e dunque non più suggerito), si manifesta con ruoli quasi paritetici. Carmilla vede così ridimensionarsi quella veste seduttiva e irresistibile che invece brillava nel testo originario rapendo l'attenzione del lettore. Tutto questo, a mio avviso, si ripercuote negativamente sul fascino della storia perché si va sottrarre dalla mente di chi legge il piacere di immaginare e di leggere tra le righe ciò che lo scrittore non aveva voluto raccontare.

Tra i possibili punti a favore del remake, invece, potremmo menzionare lo stile che diviene più accessibile e meno virtuoso rispetto al racconto datato 1872. Ne deriva così una lettura meno poetica, ma più scorrevole e di pronta soluzione. Per il sottoscritto questo non è un bene, ma se si considera il pubblico a cui è destinato il libro penso che si debba concludere diversamente perché un'opera del genere può avere la sola funzione di avvicinare "lettori timidi" e impauriti da certi stili narrativi ai modelli originari (tecnicamente più complessi e lirici).

Il libro viene poi completato da tre contributi anch'essi tutt'altro che originali e già letti decine di volte. Abbiamo infatti un'introduzione sufficientemente completa sulla letteratura vampirica, ma contenutisticamente già apparsa decine di volte in antologie collettive incentrate sulla figura del vampiro. Completano infine il volume una sorta di racconto breve che ripercorre, in sintesi, le vicende della contessa Bathory e un diario brevissimo in cui si riportano le follie e le perversioni di Vlad Tepes (meglio conosciuto come il vero Conte Dracula).

Un'ultima considerazione per le raffigurazioni interne curate da Rosita Amici che appaiono, forse, un po' troppo fumettistiche (forse un taglio più artistico le avrebbe rese più personali e particolari) e per il disegno in copertina dove appaiono una donna e un uomo vampiro (a mio avviso sarebbe stato preferibile, visto il soggetto del racconto che da il titolo al libro, inserire due donne).

Alla luce di quanto esposto, quindi, "Il ritorno di Carmilla" si presta per essere una lettura indirizzata solo a un pubblico poco ferrato sul tema (chi è ferrato, invece, si troverà a leggere cose che già conosce). A mio avviso, sarebbe stato preferibile prendere spunto dalla storia originale per poi modificarla e dar vita a un qualcosa di nuovo, un po' come ha fatto Ruiz Torreguitart con "Mister Hyde all'Avana" sempre edito da Edizioni Il Foglio.

Ps: Voglio inserire la parte finale del racconto, riproposta con parole diverse dal testo originario, perché sintetizza meravigliosamente la malinconica drammaticità del soggetto (e, metaforicamente parlando, degli amori perduti con lo strascico di tristezza che si portano dietro e che rimane sepolto nel cuore di chi li ha vissuti):
"Adesso che Carmilla non c'è più spesso la sua immagine mi torna alla memoria. A volte è la gioiosa e bella ragazza che mi aveva affascinato, altre il terribile demonio che si cibava del mio sangue e che ho visto nella cappella in rovina. E spesso mi sveglio di soprassalto da questi ricordi e immagino di sentire il passo leggero di Carmilla davanti alla porta della mia camera"

mercoledì 23 novembre 2011

Recensione narrativa: EROTIC HORROR (AA.VV.)





Autore: AA. VV.
Anno di uscita: 1994
Casa editrice: Bompiani
Pagine: 276
Prezzo: 16.00

Commento di Matteo Mancini

Antologia di “sintesi” che raccoglie una selezione, operata dai distributori italiani, dei primi tre numeri della fortunata serie “The hot blood series” giunta in America, a oggi, a ben tredici uscite. Dietro al progetto c'è un trittico di curatori (Jeff Gelb, Lonn Friend e Michael Garrett) che hanno pensato bene di dar vita a un progetto in cui fondere l'erotismo (marcato) col racconto di tensione sia a sfondo fantastico-orrorifico, sia più realistico tendente al noir senza però rinunciare alle sfumature macabre. Ne è venuta fuori un'antologia seducente in cui si incontra di tutto dai licantropi agli assassini seriali, passando per fantasmi, sortilegi fiabeschi, voodoo, ninfomani necrofile e creature aliene.

La RCS Libri S.p.A., la distributrice italiana del progetto (a cui è stato affibbiato il brutto titolo “Erotic Horror” ), ha così effettuato una scrematura delle tre opere interessate (“Hot Blood” del 1989, “Hotter Blood” del 1991 e “Hottest Blood” del 1993) scegliendo perle di autori in Italia semi-sconosciuti, ma escludendone altre altrettanto meritevoli di autori quali Graham Masterton, il regista Mick Garris, Steve Rasnic Tem, Les Daniels e David J. Show a beneficio di alcuni maestri scelti, salvo qualche eccezione, più per sfruttarne il nome che per altro. E così, al fianco di autori poco noti, troviamo “mostri sacri” della narrativa fantastica come Robert Bloch, Richard Matheson, Theodore Sturgeon e altri autori di richiamo quali Ramsey Campbell, Dennis Etchison, Richard Laymon, Robert McCammon e Paul Wilson per un totale di diciotto racconti scritti tra il 1962 e il 1993 e presentati in ordine alfabetico avendo come riferimento il cognome dell'autore.

L'opera può essere analizzata dividendola in due grossi blocchi: quello fantastico-orrorifico da una parte e quello realistico-drammatico dall'altra.Il primo gruppo si rivela predominante rispetto al secondo e annovera alcune perle visionarie degne di nota. Tra i testi di maggiore spicco non si può non segnalare il disperato e al contempo romantico “Passi” di Harlan Ellison, un'autentica perla che probabilmente è da giudicare come il più bel racconto dell'antologia. Sullo stesso piano, seppur con un finale tragico, si assesta il gotico con tracce di romanticismo “Ricongiungimento” di Michael Garrett. Assai spassosi infine i folli “Generentola” di Ron Dee e “L'aggeggio” di Robert McCammon, con subito alle spalle il qualitativo sci-fi “La modella” di Robert Bloch.

Procediamo però con ordine partendo da quello che abbiamo definito come il miglior elaborato dell'antologia: “Passi” (“Footsteps”). Scritto nel 1980 da Harlan Ellison, scrittore assai prolifico e pluripremiato (sette Hugo. Tre Nebula, un British Fantasy Award, un Edgar dai Mistery writers of America) con alle spalle trascorsi anche in veste di sceneggiatore in serie di grossissimo successo quali “Alfred Htichcock presenta”, “Star Trek” e “Ai confini della realtà” , siamo al cospetto di un testo che avrebbe brillato in un'antologia monotematica dedicata alla figura del licantropo. Ciò che rende il testo particolare è il substrato metaforico che si può decriptare, tra le righe, sotto la storia sanguinolenta proposta al lettore. Abbiamo difatti una splendida donna-lupo che seduce gli uomini con la sua bellezza e la sua sensualità. Tutti gli cadono ai piedi e sono attratti dal suo modo di apparire fisico della donna, dalle sue curve, al punto da esser disposti a far tutto pur di averla per loro. Così, nelle notti di Parigi, la donna si trasforma in lupo e sbrana le prede prescelte, continuando a vivere nella tristezza tra un uomo e un altro. Sarà un'altra creatura fantastica (non catalogabile tra quelle convenzionali) a fermare la sete di sangue della donna, assumendo il controllo della coppia e ricercando nel profondo del cuore del licantropo la vera bellezza e facendole così scoprire il vero amore.Dunque un testo horror a lieto fine, nonostante la catena di omicidi, che assume valenza metaforica e si contraddistingue per non essere un mero esercizio stilistico.

Romanticismo ancora sugli scudi con “Ricongiungimento” (“Reunion”) di uno dei tre curatori dell'antologia ovvero lo sconosciuto (in Italia) Michael Garrett (qui all'unica pubblicazione nella nostra penisola). Garrett propone una storia che rievoca le tematiche e le atmosfere tipiche della narrativa di Edgar Allan Poe seppur rendendo moderno lo stile ed esplicitando la componente erotica che non è più accennata ma decisamente manifesta. Nelle vesti di protagonista abbiamo un uomo ossessionato dal ricordo della sua prima ragazza e più in particolare dei loro focosi amplessi. Sono ormai passati venti anni dal giorno della loro separazione, eppure un misterioso richiamo porta l'uomo a mettersi sulle traccie della ragazza. Di lei non ha notizia dal giorno in cui l'ha lasciata, ma ciò non lo ferma. Si ritroverà così dapprima nel paese di origine della donna e infine al cospetto di una tomba, incapace di muoversi immobilizzato da una sorta di sabbie mobili che lo trascinano giù verso la bara della ragazza che si è suicidata per causa sua e che ora lo tormenta donando la propria voce al vento.

Se i due racconti sopramenzionati possono ritenersi, seppur in modo diverso, legati alla narrativa classica, Ron Dee e Robert McCammon stravolgono completamente gli schemi con delle parodie finalizzate a deridere rispettivamente la favola di Cenerentola e i rituali voodoo.Ron Dee (di cui si ricorda solo un'altra pubblicazione in Italia nell'antologia Mondadori “Il ritorno di Dracula”) con “Generentola” (“Genderella”) del 1993 riscrive in chiave horror e soprattutto dissacrante la favola di Cenerentola, condendo il tutto con una forte componente erotica. Al posto della sfortunata ragazzina, Dee inserisce un giovane omosessuale che sogna di partecipare al ballo di fine scuola con un robusto giocatore di football suo compagno di classe. Respinto dal ragazzo, il desiderio dell'omosessuale verrà accolto da una bizzarrissima fata turchina (un trans vestito di azzurro!?) che lo trasformerà, fino alla mezzanotte, in una bellissima ragazza con cui tutti gli uomini vorrebbero andare. Il sortilegio ha così effetto e, con il nuovo corpo, l'omosessuale riuscirà ad avere per sé il giocatore facendogli giurare di non abbandonarlo mai. Bizzarrissimo e memorabile il finale che richiama tematiche cronomberghiane.

Se il testo di Dee è folle lo è ancora di più “L'aggeggio” (“The thang”)di Robert McCammon (romanziere particolarmente noto nell'ambiente della narrativa dell'orrore). Ideato su commissione per l'antologia “Hot Blood”, McCammon porta in scena un giovane insoddisfatto delle dimensioni del proprio pene e disposto a pagare qualunque cifra pur di vederne crescere le dimensioni. Ancora una volta il desiderio del protagonista sarà esaudito da un sortilegio (questa volta innescato da una specialista voodoo) che produrrà controindicazioni indesiderate che porteranno l'uomo a rimpiangere la sua precedente vita. Il testo è più grottesco che erotico, pur non mancando momenti piccanti (un balletto in un night).

Interessante infine è “La modella” (“The model”) del maestro Robert Bloch (il papà dello “Psyco” poi portato sul grande schermo da Hitchcock), il quale nel 1975 getta le basi per stendere un racconto che, seppur con una prima parte diversa (siamo in una nave con un fotografo protagonista che si innamora della modella a cui fa le foto) ricorda l'evolversi della sceneggiatura dello sci-fi “Species”. Benché penalizzato da una prima parte blanda, il testo cresce alla distanza e culmina con un finale terrificante e visionario che farà la felicità degli amanti del b-mobie e delle stranezze.

Se i cinque testi analizzati nello specifico possono definirsi di primo ordine non sono all'altezza degli stessi i restati elaborati fantastici che, seppur piacevoli, non si discostano dalle consuetudini, rischiando così di passare di mente nel giro di qualche mese dalla lettura.Tra i più riusciti, per stile e tematiche, sono “Julie” di Richard Matheson (racconto più vecchio dell'antologia datato addirittura 1962) e “La vendetta esiste” di Theodore Sturgeon - aventi in comune, oltre il fatto di esser stati firmati da scrittori di primissimo piano, il ribaltamento di ruoli tra seduttori violenti che diventano vittime e sedotti che si trasformano in carnefici – nonché e soprattutto “Menage a trois” dell'esperto Paul F.Wilson,il quale perde punti solo a causa di un finale in cui si ricerca il colpo a sorpresa a tutti i costi (protagonista una paralitica, tutt'altro che sexy, capace di assumere il controllo di belle donne e di intrattenersi sessualmente con il suo giovane domestico all'oscuro di tutto), e il poco erotico “La casa degli insetti” di Lisa Tuttle (testo che terrorizzerà soprattutto il pubblico femminile) la quale sviluppa tecniche di caccia proprie degli insetti adattandole al contesto umano.

Deludenti e peraltro poco o per nulla erotici “Cambio di vita” di Chet Williamson, nonché i testi di due tra le presenze più costanti delle antologie horror cioè Ramsey Campbell col suo confusionario “Ancora” (di cui si ricorda solo l'ottima atmosfera claustrofobica) e Dennis Etchison con “Figlia del vecchio west” (poco erotismo e fantasmi).

Terminata la disamina del primo gruppo di racconti, passiamo a quelli di stampo realistico. Meno geniali rispetto ai migliori del primo gruppo, questo lotto composto da sei racconti si presenta qualitativamente più omogeneo e regala alcuni testi decisamente interessanti.Su tutti, anche per i risvolti successivi che porteranno Stephen King a scrivere “Il gioco di Gerald” è da citare “La vasca da bagno” (The Tub) di uno specialista del racconto del terrore come Richard Laymon. La storia di Laymon costituisce, di fatto, il soggetto, poi diluito e tradotto in romanzo dal King de “Il Gioco di Gerald”. Nel testo di Laymon ci sono tutti gli elementi che caratterizzeranno il successivo romanzo di King (uscito appena un anno dopo): abbiamo una donna che resta intrappolata (nella fattispecie in una vasca sotto il peso del compagno culturista) durante un amplesso che culmina con la morte per infarto del partner; abbiamo tutti i tentativi bislacchi della donna di liberarsi e che puntualmente vanno falliti; abbiamo l'alternanza del giorno con la notte; troviamo riscontri evidenti anche nelle location (abitazione isolata, porte di ingresso lasciate aperte con conseguente timore di voyeuristi pervertiti che spiano nel buio). Dunque il soggetto è pressoché identico, manca solo il background familiare della donna e il cane idrofobo e poi ci siamo. La componente erotica è ben gestita, così come la capacità di inquietare con punte di ironia macabra che stemperano la drammaticità della vicenda (la donna che teme che il cadavere possa rianimarsi e terminare l'amplesso, ma anche i movimenti frutto dei gas produttivi che fanno impaurire la donna che pensa che l'amante stia per ritornare dal regno dell'oltretomba). Il finale è un po' frettoloso, tuttavia regala un paio di colpi di scena: il primo (un po' scontato) è quello relativo al tentativo omissivo di vendicarsi del marito della donna; il secondo, è il macabro escamotage (decisamente all'insegna dello splatter) ordito dalla donna per liberarsi dal peso del cadavere.

Sesso e morte tornano protagonisti anche nei testi perversissimi ma interessanti del semisconosciuto Patrick Gates e del più conosciuto ma senz'altro non notissimo Stephen Gallagher.
Gates con “È bello trovare un uomo duro” (“A hard man is good to find”) del 1991 propone l'ossessione del raggiungimento dell'orgasmo perfetto di una ninfomane che troverà pace solo durante l'amplesso con un uomo che muore al momento della massima eccitazione con conseguenziale irrigidimento duraturo del pene.
Non meno perverso è “Lo strumento del vizio” (“DeVice”) del 1991 dove il masochismo (incarnato da un bizzarro macchinario da collezione e dal vecchio protagonista che cerca in tutti i modi di eiaculare pur di generare una prole ed evitare che il suo ingente patrimonio passi in capo alla sorella) diviene protagonista indiscusso del racconto. Gallagher dimostra talento indisccusso nello scandire un ritmo seducente con bellissime descrizioni che ricordano, per gli amanti dell'underground italico, certi testi di Giovanni Buzi.

Tra i restanti tre testi, sicuramente inferiori ai tre di cui sopra, è più che sufficiente il noir di Julie Wilson (“Appuntamento al buio”) in cui due sconosciuti in cerca di partner vengono ingaggiati da un inconsueto voyeur disposto a pagarli pur di assistere ai loro amplessi.

Meno riusciti gli allucinati deliri psicotici di “Carnaio” (anche se è presente un velato messaggio metaforico connesso agli adescamenti in discoteca) e “L'ultima traversata” (testo scontatissimo) rispettivamente della coppia John Skipp-Craig Spector e di Thomas Tessier.

In definitiva un'antologia che si legge bene e che annovera tra le sue pagine alcuni elaborati che fanno della bizzarria e del coraggio le loro armi vincenti. Non sempre i testi sono all'altezza delle aspettative, ma tutto sommato per essere un'antologia di genere si può essere più che soddisfatti. Voto: 7


mercoledì 16 novembre 2011

Intervista a Matteo Mancini del maggio 2011


Intervista a Matteo Mancini a cura di Patrizia Birtolo (20 maggio, 2011)



Pubblico qua sul mio blog un'intervista a cui sono stato sottoposto alcuni mesi fà dal sito Braviautori e che è poi apparsa in un paio di siti. Autrice dell'intervista è la scrittrice Patrizia Birtolo.

Abbiamo l’opportunità di approfondire la conoscenza di Matteo Mancini, giovane ed eclettico autore del panorama underground. Matteo, non ancora trentenne, tirreniese (provincia di Pisa), dopo la laurea in giurisprudenza si dedica alla scrittura e consegue svariati piazzamenti di rilievo in concorsi nazionali e sul web. Esordisce con “La lunga ascesa dal mare delle tenebre”(2010) cui segue “Sulle rive del crepuscolo” (2011) entrambi per GDS Edizioni.

1) Matteo, la passione per la scrittura è cominciata presto e ti ha già portato piuttosto lontano: Come e perché è cominciato il tuo impegno nell’ambito della narrativa?

Direi che la passione per la scrittura (e di pari passo quella per la lettura), nel mio caso, è maturata molto tardi. Conosco infatti amici scrittori che hanno avuto questa passione fin dall'adolescenza, altri addirittura fin dai tempi dell'infanzia. Nel mio caso, invece, la scrittura è stata per molti anni un tallone di Achille. Ai tempi delle medie e delle superiori venivo spesso rimproverato dai professori di italiano per la mia sinteticità e per la mancanza di fantasia. Devo dire che non avevano torto, all'epoca la scrittura (e anche la narrativa) non mi interessava affatto. Poi, crescendo e maturando, le cose sono cambiate così come i miei hobbies: dallo sport e dalla musica, a cui mi dedicavo quasi a tempo pieno, mi sono progressivamente avvicinato alle materie artistiche e psicologiche.
Ai tempi dell'università, quindi a circa 22 anni e dopo aver superato l'esame di Medicina Legale, ho iniziato a interessarmi alla criminologia. Divorai decine e decine di manuali di questa affascinante materia, arrivando persino a costruirmi un database (che ho sempre) con più di seicento criminali (soprattutto seriali) e con una serie interminabile di filtri che permettevano di tracciare un profilo calibrato di un eventuale assassino in circolazione, comparando i dati riscontrati in un'ipotetica scena del crimine con quelli dei vari casi inseriti nel database. Un lavoro certosino alla cui base vi era uno studio su una lunga serie di biografie (ricordo più di mille pagine in formato word scritte in carattere 12).
Fu proprio con la criminologia che iniziai a scrivere, stendendo dei piccoli saggi e delle analisi critiche sui profili dei vari delinquenti, nonché delle biografie varie.
Nel contempo, grazie all'acquisto del primo lettore DVD, iniziai a comprare, per curiosità, “B-movie” che fino allora non avevo mai visto. Pensate che la mia conoscenza di cinema a 22 anni era minima (non avevo visto neppure un film di Dario Argento!!). Scoprii così un mondo di cui ignoravo l'esistenza, a parte Sergio Leone, Bud Spencer-Terence Hill, il Commissario Nico Giraldi (interpretato da Tomas Milian) e una serie di piccoli film (“Fuga dal Bronx” e “Tentacoli”) che avevo visto da piccolo e che avevano lasciato in me una traccia indelebile per la loro malinconia decadente. Questo mondo di cui ho accennato risponde al nome del CINEMA ITALIANO DI GENERE. Fu per merito di Dario Argento e di Sergio Leone e del loro modo (del tutto alieno a quello commerciale di Hollywood) di riprendere le scene che diventai un autentico divoratore di cinema italiano di genere (prima ancora che Quentin Tarantino lo sponsorizzasse pubblicamente).
Presi a programmare il videoregistatore e a registrare film che passavano a orari assurdi (creandomi una videoteca sterminata che oggi conta quasi 1,800 film), studiando attentamente le trame e le recensioni che li riguardavano. Mi avvicinai all'horror e al thriller, generi che fino ad allora mi ero quasi sempre rifiutato di vedere perché li snobbavo. In poco tempo, grazie alla lettura di centinaia di recensioni, imparai a comprendere il metodo con il quale deve esser visto (e letto) un film, compresi il modo di interpretare le sceneggiature e il linguaggio con cui si traducevano in immagini i contenuti sottintesi a una data trama. Bramoso di manifestare le mie opinioni e condividerle con coloro che mi avevano permesso di sviluppare e apprendere certe cose, e dunque anche per riconoscenza, iniziai a scrivere recensioni su svariati siti (soprattutto su filmtv.it, dove scrivo ancora commenti in pillole).
Fu proprio per questo mio hobby che approdai alla scrittura creativa. Determinante fu una serata (penso nel 2005) in cui a Tirrenia, il paese dove ho sempre vissuto, si teneva una rassegna di cortometraggi horror amatoriali. Ricordo che rimasi piuttosto deluso dalle sceneggiature che valutai, nella quasi totalità dei casi, dei pretesti per dilettarsi in meri esercizi di stile. Giudicai infatti quei lavori piuttosto banali e scommisi con me stesso che sarei stato capace di scrivere soggetti più interessanti.
Dopo i saggi di criminologia e le recensioni cinematografiche, ebbe così inizio la mia terza fase: la scrittura di brevi sceneggiature per ipotetici cortometraggi. Come mio solito, quando mi interesso a qualcosa di nuovo, presi a studiare i vari manuali sulla materia per poi stravolgere i suggerimenti con il fine di adattarli al mio modo non convenzionale di approcciarmi alle cose (come quando a calcio 5 mi allenavo per conto mio con esercizi bizzarri per i miei colleghi di reparto e tenevo una posizione tra i pali del tutto fuori dalla norma, lasciando spiazzati avversari e compagni di squadra ma riuscendo a ottenere ottime prestazioni con tanto di trafiletti sui quotidiani locali). Così presi a scrivere decine e decine di piccole sceneggiature senza preoccuparmi della concreta possibilità di tramutarle in corti. Iniziai anche ad avvicinarmi alla narrativa, perché compresi subito che chi vuol scrivere deve leggere molto.
Fondamentale fu l'incontro con i racconti di H.P.Lovecraft di cui mi innamorai immediatamente, perché scritti con quel gusto decadente e visionario che mi ha da sempre affascinato fin dai tempi in cui, da piccolo, giocavo nelle colonie fatiscenti del vecchio regime fascista o negli impianti abbandonati degli stabilimenti cinematografici Cosmopolitan che sorgevano proprio dietro casa mia. Da Lovecraft poi mi avvicinai a Poe e a tutti gli altri maestri del weird americano e via via sempre più estesi agli autori contemporanei, grazie anche all'amore presto sbocciato per la collana Urania della Mondadori (decisivi, in tal senso, furono Valerio Evangelisti e i post-atomici).
Presto, però, mi accorsi che la possibilità di piazzare le sceneggiature o di confrontarsi con dei colleghi era quasi ridotta allo zero per cento. I registi amatoriali, infatti, sono riluttanti nel portare in scena lavori altrui, preferendo dirigere propri soggetti anche se spesso di una mediocrità sconcertante. Così un giorno, attraverso la lettura di un quotidiano locale (IL TIRRENO), venni a sapere di un concorso che aveva in Carlo Lucarelli il suo principale organizzatore. Il concorso era molto semplice: occorreva scrivere un breve finale a un racconto iniziato da Lucarelli e da Matteo Bortolotti. Decisi di partecipare anche se non mi ritenevo minimamente capace di organizzare un racconto vero e proprio. Scrivere una sceneggiatura, infatti, è molto più semplice che scrivere un racconto, perché si tratta solo di concepire una serie di azioni e trasporle in immagini senza preoccuparsi dello stile narrativo e delle sensazioni interne dei personaggi. Con mia sorpresa, nonché con un pizzico di fortuna (visto che riuscii a scrivere senza commettere quegli errori tipici di un neofita che poi mi avrebbero perseguitato nei successivi testi), riuscii a piazzarmi in terza posizione con tanto di articolo sul giornale (che custodisco in bacheca) e intervista telefonica. Fu un “successo” inatteso che mi spinse ad abbandonare la sceneggiatura per interessarmi alla narrativa e a partecipare ai laboratori di scrittura. Questa, in sintesi, è la genesi di Matteo Mancini “scrittore”.

2) Quali sono gli Autori cui ti sei ispirato durante il tuo percorso?

A questa domanda ti ho in parte già risposto, quando parlavo di Lovecraft e Poe tuttavia nel mio caso l'ispirazione non viene solo dalla narrativa. Con l'andare degli anni, grazie ai vari hobby che mi hanno accompagnato instaurandosi piano piano nel mio tempo libero, in modo che io potessi interessarmi a ciascuno di essi in maniera pressoché unica e totale per poi passare a un altro, ho subito influenze provenienti da vari settori. Più che influenze però le definirei incoraggiamenti morali, nel senso di aver trovato nelle mentalità di taluni personaggi illustri dei piccoli punti in comune al mio modo di rapportarmi e concepire l'esterno. Così ho avuto maestri (da me eletti tali, quale allievo potrebbe esser più fortunato di quello che può scegliersi con coscienza i propri maestri?) provenienti dal mondo della regia cinematografica, della pittura, della narrativa, dello sport, della musica e della filosofia. Dunque una cultura da autentico autodidatta che nulla ha da spartire con quella poca appresa sui banchi di scuola.
Si può dire che le mie ispirazioni nascono da questo mix di studi filtrati dal mio carattere e dalla mia simpatia verso alcuni approcci.
Ti posso dire che, da quando scrivo, ho sempre avuto come punti di riferimento le sceneggiature di GEORGE A. ROMERO e del suo modo di proporre storie di intrattenimento organizzate attorno a un messaggio subliminale ben determinato e spesso di critica sociale, ma anche i testi delle canzoni di EDOARDO BENNATO (uno dei miei cantautori preferiti, tanto per citartene uno), testi spesso apparentemente scanzonati ma di una profondità tutt'altro che banale, e di FRANCO BATTIATO o ancora dello scrittore tedesco GUSTAV MEYRINK o dell'inglese BALLARD (scrittori difficili che costringono il lettore a interpretare ciò che legge e a giungere a conclusioni diverse a seconda della chiave di lettura adottata).
I maestri che mi sono scelto però, come anticipato, riguardano anche settori che, in prima battuta, potrebbero sembrare lontani dalla narrativa ma che invece sono per me molto importanti perché vicini alla mia filosofia (e dunque al mio approccio con la vita in generale). Questi personaggi hanno nella dedizione fino alla mania e nella filosofia libera dalle consuetudini di BRUCE LEE, nella necessità di sviluppare un proprio Io di SOCRATE e KRISHNAMURTI, nonché nella follia e nel coraggio di spingersi oltre il limite di piloti come AYRTON SENNA, GILLES VILLENUEVE e STEFAN BELLOF il loro apice.
Inutile poi dire che con il proseguire degli studi e delle letture nuovi maestri si sono aggiunti agli iniziali, tra essi non posso non ricordare BORGES, BUZZATI e P.K. DICK. Quello che ci tengo a sottolineare, però, è che sono rimasto impressionato da questi personaggi perché ho trovato nel loro modo di concepire l'arte o la loro professione dei punti in comune al mio approccio. Non ho dunque mai inteso scimmiottarli o comunque cercare di rifarmi passivamente alle loro idee. Credo infatti che i miei testi siano molto personali.
Infine, per concludere, talvolta i miei testi sono stati agevolati da dipinti di pittori surreali. Sono infatti dell'idea che guardando certi quadri si riesca a trovare un'ispirazione che altrimenti non si potrebbe avere, quasi come se i dipinti iniziassero ad animarsi proiettando l'osservatore in un contesto onirico e crepuscolare; visto che l'osservatore, nel mio caso, si diletta nella scrittura perché non dovrebbe approfittarne per manifestare i propri viaggi di fantasia condividendoli con i suoi lettori?

3) I tuoi racconti spaziano dall’horror, al weird, al fantastico, alla fantascienza, al western… Rispecchiando i tuoi molteplici interessi e curiosità. Se dovessi privilegiare un filone, dare delle priorità, quale senti a te più congeniale fra i diversi generi in cui ti sei cimentato? E quanto invece senti affini al tuo stile i meccanismi di contaminazione tra generi differenti?

Nonostante chi legga i miei racconti spesso sostenga che io sia portato per il giallo (forse per il mio background in materie criminologiche), io mi definisco “scrittore onirico”.
Mi piace e mi diverte infatti scrivere scene o momenti surreali, caratterizzati da un forte impatto visivo e spesso bizzarro. È chiaro che il tocco onirico assume valenza maggiore in un testo fantastico o weird dove l'autore ha maggiori libertà rispetto ai dati di fatto dettati dall'esperienza del comune vivere. Inoltre in questi tipi di racconti posso dedicarmi a descrivere scenografie distorte spesso utilizzate come veri e propri personaggi aggiuntivi finalizzati a costituire delle chiavi di lettura del testo. Come si può facilmente capire, questa libertà tende ad affievolirsi con la fantascienza, fino quasi a scomparire del tutto con il western e il giallo. Quindi se mi chiedi quali generi io senta a me più congeniali ti rispondo di sicuro l'horror, il weird e il fantastico.
Ciò detto però, come ho discusso varie volte sui forum, ritengo che un genere specifico non possa mai costituire un limite invalicabile per uno scrittore. Come hai giustamente sottolineato, ho scritto racconti di tutti i generi (non hai citato l'erotico e il giallo) perché credo che il genere sia una sfumatura atta a veicolare l'idea e il messaggio che l'autore vuole trasmettere. Quindi, a seconda del genere in cui ci si inserisce, cambierà l'intelaiatura del racconto ma non la sua anima e l'impronta dello scrittore. Ecco dunque che il genere non ha questa grande importanza, perché fondamentale è solo l'anima che sta dietro a un testo. E quest'anima, secondo me, non è tanto la trama ma il messaggio che si cela dietro all'elaborato e su cui il lettore attento può riflettere e trarne le sue idee, magari assumendo punti di vista che in precedenza non aveva mai adottato e dunque vivendo un'esperienza che passa dalla fantasia alla realtà di tutti i giorni.
Per quanto concerne l'affinità con i meccanismi di contaminazione tra i generi ti rispondo ricordando il regista Lucio Fulci (un altro dei miei tanti maestri). Come molti sapranno Fulci era soprannominato “Il terrorista dei generi” perché dirigeva film di ogni genere andando però a contaminarli secondo il suo modo di fare cinema. Fulci diceva: “tento sempre di essere un terrorista del genere, cioè nel senso sto dentro però intanto metto la bomba che tenta di deflagrare il genere” . Ecco, nel mio piccolo, cerco di mettere in pratica l'insegnamento di Fulci, perché credo, come ti ho già detto, che il genere sia un mero veicolo e non un qualcosa che deve imbrigliare lo scrittore costringendolo in schemi prefissati. Gli schemi infatti sono fatti per essere conosciuti, appresi e poi superati in una concezione personalizzata capace di adeguarsi a ogni evenienza e di distinguersi dai canoni convenzionali.

4) Per adesso la tua produzione è stata orientata verso il racconto breve, una forma che prediligi in particolare. Ti misurerai anche con un progetto di scrittura di più ampio respiro?

Se intendi chiedere se mi confronterò con il romanzo da centinaia di pagine ti dico che questa soluzione non è molto probabile, anche se non si può mai sapere.
Sono un fanatico di racconti, specie di fantascienza e horror. Ho la casa costellata da antologie di tutti i generi e amo in modo particolare il formato breve perché un racconto ben scritto è privo di quelle perdite di tempo che vengono invece inserite in un romanzo per far calare il lettore nei personaggi o per rallentare il ritmo al fine di far rifiatare chi legge. Un racconto invece è come salire su un bolide ignorando le marce basse e partire innestando direttamente la quarta marcia per schizzare via a folle velocità senza mai toccare il freno.
La mia concezione del racconto è diversa da quella canonica. Per molti il racconto è un romanzo in miniatura (come diceva, sapendo di mentire perché i suoi racconti erano tutt'altro che romanzi in miniatura, James G. Ballard), ma è un qualcosa di sospeso tra la poesia e la prosa. Nel racconto si deve centellinare tutto, qualunque cosa si scriva deve essere funzionale al risultato finale e non inserita tanto per “fare brodo” o per creare pause. Il racconto di qualità, a mio avviso, impone di scegliere le frasi, di dipingere con la parola, di impressionare il lettore sensibile con metafore dirette a fargli esclamare: “cacchio, che bella frase!”. Tutte queste cose nel romanzo finiscono per essere diluite, perché scrivere un testo lungo con il taglio del racconto renderebbe la lettura troppo pesante con il rischio di indurre i lettori a sospenderla prima di averla ultimata. Quindi, visti i due diversi approcci che ne stanno alla base, credo che uno specialista dei racconti difficilmente sia anche un maestro del romanzo e viceversa.

5) Nei tuoi racconti metafore e simbolismi rivestono un’importanza del tutto peculiare. Puoi accennare qualche considerazione a questo riguardo?

Vero, in quasi tutti i miei testi le metafore e i simbolismi assumono una valenza fondamentale. Molto spesso costruisco i racconti cercando di dar loro un'intelaiatura superficiale capace di avere una vita autonoma e dunque facilmente apprezzabile anche con una lettura poco attenta. Sotto questa superficie, però, cerco sempre di inserire il vero racconto, cioè quello che deve esser interpretato andando a sciogliere i vari simbolismi e le varie metafore (spesso contenuti nelle scenografie) che ho snocciolato per tutto il testo, anche cercando di far emergere più di una soluzione finale. Questo mio stile, talvolta, mi porta a ricevere commenti negativi in cui mi viene detto che il testo risulta essere confuso, ma questa impressione non corrisponde alla realtà.
I testi sono volutamente criptici, perché rimango dell'idea che, come diceva Borges, “un buon lettore è raro quanto un bravo scrittore” e che dunque è compito di chi legge interpretare e personalizzare quanto viene proposto, perché la lettura è un'esperienza personale e deve lasciare margini di scelta a chi legge, altrimenti saremmo nel campo della propaganda che è senz'altro poco stimolante sia per chi scrive che per chi legge. È evidente che il mio è un approccio che può risultare un tantino arrogante, perché ho la pretesa di costringere il lettore a leggere più volte un mio testo, ma penso anche che chiunque si avvicini a un lavoro o a una professione debba, con la giusta dose di umiltà, avere una spiccata dose di coraggio, incoscienza e spregiudicatezza, perché chi si limita ai compitini consuetudinari difficilmente riuscirà a emergere dalla massa.

6) Nel corso del tempo ti sei occupato anche di editing curando la stesura di alcune raccolte di racconti di autori vari. Quanto ti è tornata utile quest’esperienza per la tua attività di Autore?

Ho fatto più volte editing per piccole antologie, soprattutto per dare una mano ad amici o comunque perché ritenevo di esser in grado, in quei contesti, di dare un apporto che avrebbe potuto migliorare il risultato finale. Fare editing è molto difficile e faticoso.
Nella mia esperienza, nonostante le molteplici incazzature (passami il termine), mi è tornato molto utile partecipare ai laboratori di scrittura. Se si capita nel posto giusto si imparano molte cose, anche se spesso i laboratori di scrittura sono templi per personaggi ciechi che si fossilizzano sulla forma e non sono in grado di andare oltre a un'analisi superficiale del testo. L'editing è importante, ma non così fondamentale come si vuol lasciare intendere perché la forma si acquisisce con l'esperienza, mentre è molto più difficile imparare a creare la sostanza. La superiorità della sostanza sulla forma è dettata dal fatto che l'anima di un autore risiede sempre nella sostanza, non nello stile o nel modo di raccontare una storia, è da questa consapevolezza che nasce la mia distinzione tra un autore e un mero narratore.

7) GDS Edizioni ti ha affidato l’incarico di selezionare e supervisionare i testi per un inserto semestrale di racconti fantastici e a tema. Qualche anticipazione al proposito?

La GDS Edizioni è sempre stata molto carina con me, da quando ho vinto un concorso organizzato dalla stessa con il racconto “Il ritorno del gatto nero” (omaggio personalizzato sia a Poe che a Fulci). Mi ha manifestato più volte fiducia pressoché incondizionata, fino a pormi l'idea di questo progetto.
Sto lavorando in questi giorni per preparare il primo numero (penso uscirà in Estate). L'idea è quella di creare un piccolo angolo dedicato a racconti horror non commerciali caratterizzati da un alto tasso di bizzarria e onirismo, possibilmente con un apprezzabile contenuto di fondo. In aggiunta ai racconti si parlerà anche dei grandi maestri del genere e di recensioni sempre a tema, spero anche di coinvolgere professionisti con interviste e pareri (purtroppo però molti si tirano indietro per i loro impegni lavorativi).

8) Come lettore, quali sono i criteri cui ti affidi per giudicare la buona qualità di un pezzo, cosa distingue a tuo parere un buon racconto, degno di pubblicazione, da un racconto di altissimo livello?

Di sicuro, a differenza dalla maggioranza delle persone, non mi affido al gusto personale. Ci possono essere infatti dei racconti che personalmente amo follemente ma che non definirei mai dei buoni racconti in senso oggettivo.
Credo che i criteri di valutazione debbano essere oggettivi. Valutare seriamente un testo, a mio avviso, richiede un'analisi chirurgica del racconto. In pratica è come analizzare un'autovettura e per farlo si deve scomporre il testo in più parti (le componenti dell'autovettura) e sforzarsi di capire cosa lo scrittore abbia cercato di dire e perché abbia scelto un certo stile piuttosto che un altro. È chiaro che un testo che ha uno stimolo di fondo, a mio avviso, è quasi sempre oggettivamente superiore rispetto a uno di mero intrattenimento perché non sarà mai un semplice esercizio di stile, ma si proporrà di affrontare con piglio critico una certa problematica con l'intento di spingere il lettore a riflettere.
La differenza quindi che c'è tra un buon racconto e un racconto di altissimo livello ricade sempre su quell'anima di fondo di cui ho parlato nelle precedenti risposte. Un racconto di altissimo livello non è mai vuoto, ma contiene una profondità che va oltre la trama e i personaggi i quali non sono il fulcro della vicenda ma dei veicoli indispensabili per diffondere l'idea di base e denunciare certe situazioni o cercare di far riflettere su problemi di carattere storico-sociale. Contrariamente a quanto si voglia far credere in quest'epoca consumistica, l'arte deve essere espressione del pensiero, non una produzione da allevamento diretta a rincitrullire col divertimento chi legge con il solo fine di fare cassa. A mio avviso, da consumatore di vecchi B-Movie, si può e si devono unire le due cose con l'obiettivo di divertirsi, ma ragionando e imparando.
È chiaro che questa mia concezione presuppone l'esistenza di lettori attivi, con una certa esperienza alle spalle, e non di soggetti passivi che leggono con il tempo cronometrato in cerca di divertimento spiccio.

9) Chi ti conosce sa che la tua produzione è improntata su criteri molto lontani dal compiacimento e dall’inseguimento forzato del riscontro commerciale… Ma qual è (se c’è) l’obbiettivo più ambizioso che ti prefiggi, anche a lungo termine, nella tua attività di scrittore?

Sposo in pieno una massima di un piccolo autore americano (David Morrell) che, in un racconto relativo ai quadri di un pittore folle, arriva a scrivere: “Un grande artista usa il colore che gli dà l'effetto migliore. Quello che vuole è creare, non vendere” .
Penso che questa teoria assuma un'importanza maggiore in un contesto amatoriale. A mio avviso, volersi uniformare alle logiche di mercato per un amatore è una follia totale perché chi si rivolge all'undergorund lo fa per cercare prodotti alternativi a quelli imposti (perché di fatto sono imposti) dalle grandi catene commerciali. Dunque lo scrittore amatoriale deve distinguersi dalla massa e deve proporre storie che lo caratterizzano in modo netto. Nell'underground si deve puntare alla nicchia e non alla massa, perché altrimenti l'aspirante scrittore avrà già perso in partenza (chi cerca storie convenzionali si rivolge a scrittori già affermati e non va certo all'avventura in cerca di novità).
Personalmente non mi pongo mai obiettivi a lungo termine, perché faccio le cose cercando di divertirmi e sempre in un modo del tutto personalizzato e fuori dagli schemi. Quello che mi interessa è convincere me stesso di aver lavorato bene, del resto mi importa poco. Ciò a cui si deve ambire, in quello che si fa, è acquisire la sicurezza utile per evolversi e non fermarsi al cospetto degli ostacoli che di volta in volta si presenteranno sul proprio cammino. Non sono importanti le onorificenze o i riscontri venali, ma la consapevolezza di saper fare una certa cosa perché è solo da tale consapevolezza che nascerà quella follia che spinge a fare cose che gli altri non si sognerebbero di fare. E il sogno altro non è che la benzina che fa muovere la macchina della vita verso futuri traguardi.

Quali che siano allora i prossimi traguardi all’orizzonte ti auguriamo di raggiungerli tutti! Grazie per la disponibilità e il tempo che ci hai dedicato e a presto, Matteo!

lunedì 14 novembre 2011

Recensione: IL VANGELO SECONDO SATANA - Patrick Graham





Autore: Patrick Graham
Anno: 2007
Genere: Horror/Thriller
Editore: TEA
Pagine: 512
Prezzo: 8.90 euro

Commento di Matteo Mancini
Romanzo dato alle stampe nel 2007 in Francia da Patrick Graham, capace di vincere al suo debutto il "Maisons de la Presse" e di vendere in Italia oltre 50.000 copie tanto da spingere l'autore a scrivere subito un sequel (di minor successo) intitolato "L'apocalisse secondo Marie"
Appassionato di storia e dello studio di religioni, Graham struttura il suo romanzo strizzando più di un occhio a Dan Brown e più nello specifico al romanzo "Angeli & Demoni" .

I punti di contatto tra le due opere sono decisamente marcati e le similitudini piuttosto evidenti. Ancora una volta si assiste a un complotto nato in seno al Vaticano per sovvertire la Chiesa e smascherare una menzogna (nella fattispecie relativa alla resurrezione del Cristo, che in realtà non sarebbe mai avvenuta). Graham non si limita a questo, ma come Brown pone al vertice del complotto il Camerlengo (figura improvvisamente diventata affascinante nell'immaginario dei romanzieri) con tanto di omicidio del Papa avvenuto ancora una volta per avvelenamento (fatto passare, come nel già citato romanzo di Brown, per morte naturale) e successivo conclave (con rapimento questa volta dei parenti dei cardinali e l'uccisione di alcuni di loro). Non manca infine qualche richiamo ai Templari e soprattutto agli Illuminati, visti come il braccio armato della "Fumata nera di Satana" (gruppo qua protagonista e veneratore non già della scienza bensì del maligno).

E allora se il romanzo è tanto debitore dell'opera di Brown, perché ha suscitato così tanto interesse?

A mio avviso la risposta va ricercata nell'introduzione da parte di Graham di una forte componente horror nonché nell'aver introdotto uno sviluppo della storia più blasfemo di quello pavimentato da Brown.

Tutto ruota attorno a un vangelo apocrifo andato perduto: "Il vangelo secondo Satana". In questo testo, che viene caratterizzato in stile Necronimicon (foderato in pelle umana e dal contenuto così scioccante da indurre a pazzia chi lo legge), si afferma che Cristo sulla croce avrebbe rinnegato Dio trasformandosi in Giano (ovvero ne il figlio del diavolo, decretando la morte del bene). La metamorfosi sarebbe stata talmente brutale e rabbiosa da costringere i romani a uccidere il figlio della bestia a sprangate pur di placarne l'impeto e la rabbia sulla croce. Giano/Gesù non sarebbe quindi risorto, ma rinchiuso in un sepolcro e successivamente recuperato dai Templari. Il suo teschio sarebbe poi finito secoli dopo nelle mani di alcune suore di clausura incaricate di custodire in segreto i testi vietati dalla Chiesa (tra cui il Vangelo secondo Satana) nonché i resti di Giano.
Fin dall'inizio i seguagi di Giano si sarebbero moltiplicati in tutto il mondo, soprattutto in seno alla Chiesa, giungendo persino in Sud America svariati secoli prima di Colombo e dei conquistadores, iniziando Maya e Atzechi al culto del diavolo. Nel mentre, un gruppo di monaci satanici condotti da un essere immortale chiamato Caleb, nel tentativo fallito di entrare in possesso del Vangelo, si sarebbero macchiati di atroci delitti a danno di suore e di chiunque fosse stato incaricato di nascondere il libro.

Questo in estrema sintesi il soggetto del romanzo, che viene sviluppato grazie a escamotage come le capacità sensitive della protagonista - un'agente dell'FBI, incaricata di indagare su una catena di omicidi internazionali a danno di suore, in grado di entrare in trance e assistere a episodi verificatesi persino nel Medioevo immedesimandosi nelle vittime (prabilmente la parte di maggior effetto del romanzo, in cui Graham si dimostra assai talentuoso nel suscitare tensione) - e la scelta di ambientare il plot in svariate parti del mondo (si va dall'Africa alla giungla Amazzonica nei pressi di Manaus, per chiudere in Italia e più nello specifico a Roma).

Il limite principale del romanzo, a parte i fin troppo evidenti richiami a Dan Brown (che sicuramente ne minano l'originalità), sta nell'insistente ripetitività (si torna troppe volte sulle stesse vicende, anche se trattandole in modo via via più completo e da punti di vista diversi) e nella scarsa capacità dell'autore nel generare attrazione in chi legge. Mi spiego meglio. Mentre nel romanzo di Brown il testo si sviluppava in modo essenziale, quasi ridotto all'osso e con l'unico scopo di stimolare il lettore nel chiedersi chi fosse l'assassino, quali fossero i personaggi che orchestravano il complotto nonché cosa sarebbe successo nell'evolversi dei fatti, in quello di Graham questo non avviene o comunque si rivela assai ridimensionato. Tutto è eccessivamente diluito e la natura del completto nonché i segreti che ne stanno alle spalle vengono subito dati in pasto al lettore fin dalle prime battute. Ne deriva un calo vertigionoso di quella suspence che invece sarebbe stata opportuna mantenere.
Trovo inoltre fuori luogo, perché appesantiscono la lettura, i capitoli in cui Graham si sofferma sugli aspetti prettamente criminologici fornendo classificazioni non corrette (parla dei "Cross nation" , così vengono definiti in criminologia i serial killer che si spostano da un luogo all'altro complicando così le indagini e costringendo gli inquirenti a individuare quello che viene definito il "case linkage" , come una categoria criminologica a sé stante distinta dai serial killer quando invece si tratta esclusivamente di un modus operandi proprio di alcuni delinquenti seriali).

Nonostante gli importanti limiti il romanzo non crolla solo per la bravura di Graham che sforna alcuni passaggi densi di tensione e di un tocco visionario veramente da grande maestro (soprattutto la parte di romanzo ambientata in Sud America e quella ambientata nel medioevo dove si evocano atmosfere da Heroic Fantasy) e con punte splatter niente male per un testo commerciale.

Dunque un romanzo copioso che, a mio avviso, avrebbe beneficiato del taglio di almeno 100/150 pagine, con troppi debiti a "Angeli & Demoni" ma scritto con grande coraggio e con momenti horror (senz'altro gli aspetti più interessanti del testo insieme all rapporto Giano/Gesù, rispetto al già visto intreccio incentrato sulle cospirazioni vaticane) che ne valgono la lettura. Blasfemissimo, non indicato ai religiosi suscettibili. Voto: 6