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domenica 31 ottobre 2021

Recensione Narrativa: LA STREGA DI SALAMANCA di Dan Britt (alias Renato Carocci).

Autore: Renato Carocci (Sotto lo pseudonimo di Dan Britt).
Genere: Horror / Drammatico / Erotico.
Anno: 1977.
Edizione: Edizioni Antonio Farolfi, collana I Racconti di Dracula, II Edizione, N. 107.
Pagine: 126.
 

Commento di Matteo Mancini

Più drammatico che horror, La Strega di Salamanca, spacciato come The Sorceress of Salamanca di un sedicente Dan Britt, è uno dei rari horror offerti da Renato Carocci per la collana I Racconti di Dracula. Collaboratore della prima ora di Ennio Mancini per la serie thriller/horror KKK, Carocci è un autore da edicole che ha pubblicato molteplici romanzi tra gialli, horror, erotici e spionistici utilizzando circa venti pseudonimi, fin dagli inizi degli anni '60, tra cui i più noti Christian Busch e Red McCalley.

Il suo apporto alla serie I Racconti di Dracula e alle relative Edizioni Romane Periodici facenti capo al barone Cantarella, concorrenziali rispetto alle Edizioni Atlantica dei fratelli Vicario e alle Editrice Italiana Periodici, è tardivo e numericamente limitato. Con lo pseudonimo Dan Britt, Carocci debutta ne I Racconti di Dracula solo nel gennaio del 1977 col romanzo Il Demonio nel Ventre. Diventa uno degli scrittori più utilizzati nel periodo da Cantarella, anche se la collana è a fine corsa. In due anni e mezzo, Carocci pubblica nove romanzi nella collana horror della ERP, otto dei quali firmati Dan Britt e uno con lo pseudonimo Edward Mills.

Pur intervenendo nel momento qualitativamente peggiore della serie, Carocci è tutt'altro che un inesperto nel campo horror. Arriva alle Editrici Romane Periodiche con alle spalle una lunga serie di pubblicazioni. Ha contribuito alle serie I Supergialli dell'Ossessione, EPI – Grandi Peccatrici, Agente Segreto, I Suspence Diabolici, ma soprattutto alla serie KKK. In sei anni, dal 1962 al 1968, ha pubblicato cinquanta romanzi per la serie KKK con un coinvolgimento crescente che tocca punte di undici-tredici romanzi annui nelle ultime due stagioni (1967/68). Conosciuto soprattutto con i nomi Christian Busch (utilizzato sedici volte) e René du Car (dieci firme), Carocci ha utilizzato ulteriori nove pseudonimi per la serie KKK, cercando in tal modo di dare l'impressione di una scuderia di scrittori a disposizione di Mancini più ampia di quanto fosse. Tra i titoli più evocativi di questa serie ricordiamo Il Sabba del Fuoco Nero (1963), La Frusta e il Piacere (1963), L'Urlo di Satana (1965) e I Sepolti Vivi (1968).

Lo sconosciuto Dan Britt è così in realtà un esperto del circuito editoriale da edicole romano. La Strega di Salamanca è il suo secondo romanzo per la serie I Racconti di Dracula. Si tratta di un romanzo in cui l'orrore è prettamente fisico. Il paranormale è pressoché assente, solo suggerito da testimonianze artificiose e da un atteggiamento suggestivo subito da contadini e maggiordomi. In questo è un'opera molto differente ai tradizionali Racconti di Dracula. Non vi è infatti alcuna traccia di vampiri o altri revenant.

Ambientato nella Salamanca “del triste periodo dell'Inquisizione”, il romanzo mette in scena la disperata storia d'amore tra una giovane diciottenne, data in sposa contro il suo volere all'inquisitore locale, e un nobile decaduto del posto. La giovane compie l'errore di concedersi una scappatella con il suo vero amore. Un'uscita che rimpiangerà a più riprese e a cui tenterà di porre rimedio, sottoponendosi volontariamente alle punizioni. Purtroppo infatti, dal terrazzo del proprio castello, l'inquisitore vede la scena e si lancia contro i due giovani. Nuda e attorniata dai suoi quattro mastini napoletani, la giovane assiste impotente al duello tra i suoi due amori, mentre sopraggiungono anche gli uomini di corte intenzionati a dar manforte al loro padrone. Il duello però si risolve a favore dell'amante, un abile spadaccino, che con una stoccata trafigge il cuore del rivale. I mastini contribuiscono ad arginare l'operatività del personale di corte, ringhiando e sbranando gli arti degli uomini più coraggiosi. In sella al destriero morello del nobile, i due amanti si danno così alla fuga seguiti dai quattro mastini.

Carocci è essenziale e fluido nella narrazione. Il suo stile non è certo elegante. Mira alla velocità e alla semplicità. Il soggetto viene spacciato quale ricostruzione di una storia narrata da brani di diari dell'epoca e da documenti vari scoperti a Salamanca. È curioso notare come nonostante si parli di documenti non si sia in grado di contestualizzare la storia se al periodo di Torquemada (1420-1498) o a quello di Ximenes (1436-1517).

La storia comunque prosegue con l'arrivo a Salamanca del Grande Inquisitore. L'uomo, crudele e attorniato da banditi e stupratori che si celano sotto il cappuccio dei boia, vede, dietro l'omicidio, la mano del diavolo e l'azione ordita da una giovane che ha svelato la natura di strega. La convinzione dell'uomo, caratterizzato in modo decisamente ingenuo poiché da dimostrazione convinta di credere a quanto va dicendo, viene alimentata dalle testimonianze sballate di chi ha conosciuto la ragazza.

Invidia, cattiveria, ma anche paura di andare incontro ai guai in caso di dichiarazioni non gradite all'autorità procedente sono le ragioni che portano i cortigiani a cedere a ogni pressione dell'Inquisitore, confermando tutti i dubbi dell'uomo e l'innegabile presenza del male a Salamanca. Il resoconto del duello viene impreziosito da dettagli irreali e fantasiosi. Il morello del nobile diviene una creatura che sbuffava fuoco e fumo dalla narici. I mastini diventano demoni che copulavano con la giovane. I tentativi di coprirsi della giovane vengono raccontati come atteggiamenti lascivi diretti a stimolare l'erezione dei cortigiani. Carocci utilizza l'invenzione letteraria dei verbali di escussione testimoniale per riportare i fatti. L'unica ragazza, l'ancella della giovane fuggita, che dice la verità viene sottoposta a infinite torture dal Grande Inquisitore, perché la sua deposizione è troppo difforme da quella degli altri e pertanto non può che essere falsa. Non può che essere una strega minore e come tale trattata.

Ha inizio il dettagliato e sadico resoconto delle torture. La Strega di Salamanca si trasforma in torture porn, con descrizione di lesioni a capezzoli, stupri e quant'altro che deformi e bruci la carne, tra urla e disperazione. Concedendosi la spettacolarizzazione delle pratiche legate alla lotta delle streghe, Carocci condanna in modo evidente l'inquisizione. Gli inquisitori (tra cui il marito della giovane) e i boia sono uomini tutt'altro che timorati. Uomini che passano da un letto di una prostituta all'altro e che utilizzano il loro potere per compiere abusi e ottenere vantaggi. Pur mantenendosi su un livello che non porta mai il romanzo a decollare, Carocci, da esperto narratore, costruisce una quadrata storia tragica (più che horror), poco fantastica, che solo nel finale cerca di richiamare un intervento soprannaturale, capovolgendo tuttavia i ruoli. Non c'è speranza in questo romanzo, anzi c'è un sadismo che tende a suggerire vie di fuga che poi si richiudono e puniscono la bontà e il reale desiderio di espiazione dei peccati.

Da segnalare, quale miglior parte del romanzo, il capitolo in cui l'amante della povera coniuge dell'inquisitore di Salamanca irrompe, in una notte flagellata dal maltempo, nel palazzo in cui hanno sede le torture e libera la ragazza.

Piccolo romanzo, dunque, non certo migliore rappresentazione, per livello e contenuti, della collana. Tutto sommato, considerato il format, è un modesto (non ha colpi di coda) ma sufficiente romanzo.

martedì 26 ottobre 2021

Recensione Narrativa: THE DARK SIDE a cura di Roberto Santachiara.

Autore: AA.VV..
Curatore: Roberto Santachiara.
Titolo Originale: Il Lato Oscuro.
Anno: 2006.
Genere:  Giallo / Crime.
Editore: Einaudi (2006).
Pagine: 520.
Prezzo: 16,50 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

LA PREMESSA

A volte il destino disegna delle trame da cui è impossibile sottrarsi e una di queste è quella che mi lega a questa antologia. Uscita nel 2006, primo anno in cui intrapresi la via della scrittura, The Dark Side si propose alle mie attenzioni pochi mesi dopo la sua uscita, facendo mostra di sé dagli scaffali dei libri dell'Ipercoop in cui, anni prima, avevo preso il mio primo libro di Stephen King (“Stagioni Diverse”). All'epoca leggevo soprattutto antologie collettive horror o di fantascienza oltre che testi di criminologia e di Carlo Lucarelli, da cui peraltro a inizio 2007 fui selezionato in un concorso narrativo. Leggere il nome di Lucarelli, in copertina, unitamente a quello di Stephen King, mi indusse ad afferrare il libro e a sfogliarlo. Diciannove nomi, molti dei quali per me (all'epoca) sconosciuti, con un insolito mix di scrittori americani e italiani. Interessante, ma anche, per un lettore in erba, meno accattivante di altri testi per l'idea di costituire un tentativo di lancio di autori di casa. La cosa comunque colse la mia attenzione, ma il rimando alla crime fiction frenò il mio entusiasmo. Non presi il libro e passai oltre, preferendo dedicarmi all'approfondimento della narrativa del terrore. Quella non fu l'unica occasione che mi avvicinò all'acquisto del volume. The Dark Side si è più volte riproposto alla mia attenzione, vuoi nelle librerie dei libri usati, vuoi tra i volumi venduti da utenti ebay da cui avevo scelto una serie di volumi in blocco. Tutte le volte, la visione del volume mi indusse a soffermarmi e a valutare l'acquisto per poi declinarne il proposito. Sono così passati, in un battito di ali, quindici anni di mancato amore finché un giorno, sospeso da lavoro a causa della mancata effettuazione del tampone e di ritorno da una manifestazione No Green Pass, The Dark Side è tornato per l'ultima volta ad accarezzare le mie dita. Un banale lunedì mattina di metà ottobre, mentre scartabellavo una catasta di volumi ammucchiati in una bancarella montata sotto il Comune di Pisa, ecco che la copertina nero-azzurra riaffiora dal tempo. Accanto, scritto a pennarello in formato gigante, il prezzo per ogni volume disposto in quella parte della bancarella: 1 euro. Ultima chiamata e ultimo prezzo per un'offerta che non si può rifiutare, giusto per restare in tema di crime fiction. Ora o mai più, mi dico. Decido di rispondere all'invito, sarebbe altrimenti offensivo non farlo. A quel prezzo, il volume è praticamente regalato. Lo compro e in appena sette giorni leggo il testo.
 
ANALISI GENERICA 
The Dark Side è un'antologia alquanto insolita. Curata dall'agente letterario Roberto Santachiara, è un volume che propone diciotto racconti neri (uno di questi fantascientifico), equamente divisi tra scrittori italiani e scrittori americani, a cui si aggiunge uno spaccato di vita autobiografico di uno dei maggiori autori di noir a stelle strisce ovvero James Ellroy.

Un volume dunque accattivante e con ambizioni internazionali da premiare per il proposito di lanciare scrittori italiani usando quale via promozionale la partecipazione di un parco di scrittori d'oltreoceano di eccezionale presa commerciale. Tra questi ultimi spicca Stephen King, credo per la prima volta inserito in un volume al fianco di scrittori italiani. L'asso del Maine, celebre per romanzi quali It, Shining e Il Miglio Verde, è solo uno dei tanti assi schierati da Santachiara. Nel testo figurano infatti maestri assoluti come lo scrittore della golden age fantascientifica Robert Silverberg, il plurivincitore dell'Ellery Queen Readers Award for Best Short Story of the Year Jeffrey Deaver (autore, tra gli altri, del romanzo Il Collezionista di Ossa, da cui poi è stato tratto il film interpretato da Denzel Washington), l'ex pugile F.X. Toole celebre per il racconto da cui Clint Eastwood ha tratto il capolavoro Million Dollar Baby, il giornalista di cronaca giudiziaria James Grady poi assurto al rango di scrittore di culto con I Tre Giorni del Condor (da cui il film degli anni settanta diretto da Sidney Pollack con Robert Redford) nonché il monumentale Ed McBain, creatore di quell'87 Distretto annoverato tra le serie poliziesche più popolari di ogni tempo. Al fianco di questi autori figurano inoltre una serie di scrittori italiani popolarissimi. Alle celebrità Carlo Lucarelli, conduttore della trasmissione Rai Blu Notte e di Dee Giallo, ma soprattutto scrittore di thriller (tra i quali ricordo Almost Blue e L'Isola dell'Angelo Caduto) e libri di inchiesta, e il magistrato Giancarlo De Cataldo (divenuto uno scrittore di riferimento del giallo all'italiana grazie a Romanzo Criminale) si sommano autori meno noti al grande pubblico ma dotati di una larga schiera di aficionados. Tra questi abbiamo il portabandiera del cosiddetto gotico rurale italiano (alla Pupi Avati, per intenderci) Eraldo Baldini e il collettivo bolognese Wu Ming, ma anche uno dei principali traduttori dall'inglese all'italiano di Stephen King ovvero Giovanni Arduino. Dunque un bel gruppo di scrittori coordinati da Roberto Santachiara, agente letterario con molte amicizie influenti oltreoceano. Santachiara pensa in grande e, parlando con McBain, concepisce un'idea priva di precedenti: mettere insieme una generazione di scrittori noir, horror e mistery italiani - legati alla sua agenzia letteraria - col top proposto dalla produzione americana. Un amalgama funzionale a esportare negli Stati Uniti gli scrittori della nostra penisola. Un tentativo di conquista che non andrà in porto.

Santachiara bada ai nomi, non costruisce un progetto definito. Gli autori non hanno limiti di battute né viene loro indicato un tema a cui dedicarsi se non il generico collegamento alla crime fiction. Santamaria vuole i grandi nomi, poco importa a cosa essi si dedichino. Quello che conta è il richiamo del pubblico che gli stessi sono in grado di garantire. Il risultato finale risente molto di questa impostazione. The Dark Side è un'antologia che non ha un fil rouge, mancando quindi di una vera e propria anima. Ciò inficia il giudizio sul volume, ma non ovviamente quello sui singoli racconti spesso e volentieri interessanti.

Sebbene manchino racconti geniali sul versante dei soggetti, la qualità degli autori spicca nelle notevoli doti narrative. Circa la metà dei racconti è piuttosto qualitativa, soprattutto per la capacità di coinvolgimento di cui sono capaci i narratori. Certo, non ci sono idee innovative. La bontà sta nel saper raccontare le storie. Gli scrittori stranieri, in media, sono di qualità superiore rispetto alle prove offerte dai “nostri”. Sono sei i racconti che definirei buoni, di cui due italiani (tra cui quello di Carlo Lucarelli). Altri quattro (compresi De Cataldo e Baldini) sono più che sufficienti. I restanti vanno dal sufficiente al mediocre, con soli due racconti (entrambi italiani) che ho reputato scarsi per i motivi che indicherò di seguito nell'analisi dettagliata.

Ciò premesso, The Dark Side è un volume da premiare per l'intento che ne sta alla base e per il suo offrire ai lettori l'opportunità di conoscere autori nuovi, cercando di spingerli sulla produzione italiana. Da non sottovalutare il tentativo di offrire visibilità internazionale a una serie di autori italiani e, di conseguenza, al nostro movimento letterario di genere. Un aspetto questo che non può che essere lodato. Purtroppo, l'Einaudi non ha ristampato l'antologia, segno di un successo non riscontrato sul mercato e per questo rinviato al mittente.

Carlo Lucarelli.

ANALISI DETTAGLIATA

Pur riconoscendo una qualità generale più che interessante. Sono tre i racconti che si contendono il gradino più alto dell'ideale podio.

Si tratta di tre storie molto diverse, che non hanno certo nel soggetto il loro punto di forza. La qualità sta in un caso nella tecnica e nel giocare sui luoghi comuni del lettore medio, nell'altro caso sta nel particolareggiato sviluppo del contesto ambientale rappresentato dal mondo dello sport e nel terzo caso risiede nella caratterizzazione del personaggio protagonista. Ciò premesso ritengo il racconto che chiude l'antologia, Holy Man (“Sant'Uomo) di F. X. Toole, il miglior elaborato dell'antologia. Conosciuto soprattutto per Lo Sfidante, il racconto da cui è stato tratto Million Dollar Baby, Toole, già scomparso da due anni rispetto all'uscita di The Dark Side, offre nelle mani di Santachiara un inedito che non è affatto inferiore al capolavoro che gli ha permesso di ottenere il successo internazionale. Ex pugile ed ex allenatore di pugilato, Toole mette a disposizione della scrittura la propria esperienza, fatta di duro lavoro a bordo ring ma anche di conoscenza di aneddotica pugilistica, per raccontare dal punto di vista di un allenatore, alla ricerca del campione che possa portarlo alla corona, la vicenda di un pugile decaduto che riconquista l'olimpo per cadere di nuovo in disgrazia, in balia dei medesimi richiami (donne facili, soldi, cattive amicizie e alcool) che ne avevano spezzato la carriera. Testo denso, coinvolgente, che rispolvera i ricordi cinematografici che hanno reso epica l'epopea di Rocky Balboa, senza però cancellare la zona d'ombra caratterizzata dalla illegalità, dagli incontri combinati e dagli egoismi che gravitano attorno al mondo della boxe. Cinico, ma realistico nel suo mostrare la lunga e faticosa strada verso l'ascesa e, al tempo stesso, la ripida e veloce discesa da cui perdere tutto (fiducia e stima comprese). Toole ci dice che, a volte, la seconda chance è un qualcosa che non deve essere concesso a chi non se l'è saputa meritare. Amaro.

Molto qualitativo e, per certi versi, didattico, per l'evidente tecnica messa a nudo dall'autore, è Born Bad (“Seme Cattivo”) dell'asso Jeffrey Deaver. Racconto breve del 2003 che gioca sui luoghi comuni e sui cambi di prospettiva, in una logica sofistica che ribalta, attraverso un lavoro di costruzione e decostruzione progressiva, il quadro che il lettore si era fatto. Storia in sé e per sé semplice, ma lavoro di tecnica magistrale. Deaver propone un arresto in famiglia raccontato in modo da capovolgere gli iniziali i ruoli (supposti dal lettore) di madre modello e di figlia scapestrata.

Lavora invece sulla caratterizzazione del personaggio l'italiano Giampiero Rigosi, con il suo Alfama, una storia che rievoca i copioni di Luc Besson (penso a Leon). Autore di Bologna, con cui ho avuto l'onore - nel giugno del 2021 - di condividere una pubblicazione nella medesima antologia (siamo insieme pubblicati in Storie Felsinee – I 34 Racconti di Bologna a cura di Giovanni Modica, per Il Foglio Letterario), Rigosi piazza una storia da annoverare nel sottogenere dell'allievo che supera (o tenta di farlo) il maestro. Sicario della ndrangheta operativo a Milano, Alfama è un vecchietto silente dai modi gentili, romantico, malinconico e apparentemente pacifico. È un qualcuno che potrebbe benissimo celarsi nella popolazione, passando da inosservato (cosa che farà all'epilogo per sottrarsi alla vendetta dei mandanti di un tempo). Alfama è chiamato ad addestrare il nipote di un boss, un ragazzo amante della bella vita e delle donne appariscenti, chiacchierone e caciarone che non spende troppo nel premere il grilletto. Improvvisamente tagliato fuori dalla cosca mafiosa, Alfama riesce a sventare l'omicidio commissionato a sue spese, grazie a quell'esperienza a cui un giovane killer non può pensare di sopperire col coraggio e il fegato. Testo bello, triste, che mostra la dura vita (e la rinuncia alla propria famiglia) di un sicario costretto a fare quello che fa più per condanna di vita che per una libera scelta.


Si mantengono su livelli buoni altri tre racconti. Più concentrato sull'intreccio è Carlo Lucarelli che col suo L'Uomo col Vestito a Strisce regala forse l'unico racconto veramente giallo dell'antologia. Lo scrittore parmense ambienta il suo giallo nell'inusuale cornice di un campo di concentramento nazista. A corto di indagatori, il responsabile del campo, per venire a capo dell'omicidio della fidanzata (un'ausiliaria con la passione per gli ufficiali uccisa nel campo da una SS con pulsioni da serial killer), si trova costretto, suo malgrado, a ricorrere all'acume di un ex poliziotto triestino recluso nelle baracche. Lucarelli ricrea, da abile narratore, il clima e la follia dei campi di concentramento. Lo fa con eccezionale presa visiva e fa avvertire al lettore i calci e i cazzotti a cui sono sottoposti gli ebrei. L'intreccio giallo tiene tanto da rendersi beffardo all'epilogo, andando di pari passo con lo sviluppo del contesto d'insieme in cui si svolgono i fatti. Uccidere una SS, anche per un pari grado, non è la stessa cosa di uccidere un “semplice” ebreo, lo capirà bene l'ex poliziotto triestino che, risolto il caso, se la ride senza che gli altri ne comprendano la ragione.

Notevole è Herbert in Motion dell'inglese Ian Rankin, celebre per la serie di romanzi del ciclo John Rebus. Racconto del 1996 che ricorda il giallo In The Frame (“Una Tela Rosso Fuoco”) di Dick Francis, Herbert in Motion (titolo di un quadro immaginario) trova la sua linfa vitale nella dettagliata descrizione del mondo dell'arte pittorica, tra nomi di pittori e opere d'arte, gallerie (il protagonista è il direttore della Tate Gallery di Londra), agenti che si propongono di offrire quadri di giovani emergenti e richieste di noleggio dei quadri avanzate da clienti per far colpo su ospiti internazionali. Rankin è altamente ironico e, al contempo, adrenalinico. Fa mettere in piedi ai suoi protagonisti, tra cui il direttore della Tate Gallery, una truffa attraverso la quale rubare una serie di quadri minori custoditi nei sotterranei della Tate Gallery per sostituirli con delle copie fatte realizzare appositamente da pittori in erba, così da poter vendere gli originali a collezionisti privati senza dare l'idea che ci sia stato un furto (idea mutuata dal citato romanzo di Francis). La richiesta di noleggio da parte del primo ministro inglese di uno dei quadri sostituiti getta però nel panico il direttore della galleria... è l'inizio di una serie di incredibili coincidenze che porteranno il direttore a essere smascherato da uno degli ospiti del primo ministro inglese, un politico americano, patito per la pittura e amico fraterno dell'autore del quadro originale (il Vittorio Sgarbi della situazione). Il direttore, ormai preso dall'idea di suicidarsi, viene salvato da un particolare... il vero quadro è stato acquistato mesi prima dallo stesso politico americano che si complimenta per la qualità della riproduzione ("E' un falso con i controcoglioni!"). Davvero molto carino.

È molto buono anche Six-Love (“Sei-Zero”) di James W. Hall dove l'intreccio lascia spazio a un'analisi introspettiva. Protagonista è un padre frustrato che vede ricadere sulla figlia, una promessa del tennis, i propri fallimenti ancora una volta a vantaggio dell'imprenditore che gli ha rovinato la vita. È infatti il datore di lavoro dell'uomo, di nuovo, a rubare quanto il destino aveva altrimenti messo a disposizione del nostro. Dopo aver perso la donna, l'uomo vede la figlia superata in maestria dalla figlia del rivale. Convinto di vedere in quest'ultima le caratteristiche ciniche del padre, pensa bene di attentarne la salute sparandole dalla distanza con una carabina così da stroncarne la carriera. L'infortunio della ragazza, lancia la figlia del nostro verso le più alte vette del tennis. Ormai divenuta popolare, la giovane tennista si diletta nell'umiliare le avversarie; diventa arrogante e presuntuosa tanto che il padre tende a non riconoscerla più come propria. Infatti, c'è un particolare... quella non è sua figlia, ma la figlia del rivale, mentre chi ha azzoppato è il reale prodotto del suo sangue... Si può rimediare a un torto patito? Certo, facendone un secondo...!


F.X. Toole
l'autore del miglior racconto d The Dark Side.

Su un livello inferiore, pur assestandosi sopra la sufficienza, ci sono quattro ulteriori racconti. Di James Grady (What's Going On) quello migliore, una prison story che proietta il lettore in un carcere di massima sicurezza in cui sono detenuti, tra gli altri, il protagonista e suo figlio, uno scapestrato spaccone a cui una banda rivale (per futili motivi) ha promesso la morte. Un'evenienza, quest'ultima, che il padre del giovane cerca a ogni modo di ovviare, prevenendone le occasioni. Laddove falliranno le trattative col direttore del carcere e col boss che muove i fili della malavita all'interno della prigione, sarà l'arguzia e i rapporti interpersonali con gli altri detenuti ad arrivare. Il vecchio riuscirà a innescare una rivolta interna, passando agli occhi di tutti come l'unico in grado di poterla sedare senza spargimenti di sangue e senza ritorni massmediatici. Per risolvere il tutto, l'uomo chiederà al direttore del carcere quanto aveva già chiesto con le buone: il trasferimento del figlio in un'altra struttura. Una richiesta banale che solo in una trattativa dove c'è qualcosa da perdere può divenire una merce di scambio. Richiesta accordata e rivolta sedata.

Si vola nell'anno 3000 con Robert Silverberg, maestro indiscusso della sci-fi, che tratteggia un mondo in pace perenne, rivoluzionato dai viaggi in pianeti esterni, dal surriscaldamento terrestre e dalla pratica della clonazione umana. Silverberg è in vena di filosofismi e cita indirettamente gli insegnamenti di Empedocle, filosofo greco che vedeva nella lotta tra odio-amore la linfa vitale del progresso e della vita. A salvare l'esistenza dall'apatia ci penseranno quattro cloni illustri (tra cui quelli di Picasso, Hemingway e Einstein) e i loro attentati terroristici funzionali a cancellare quanto resta dell'epoca antica, così da poter di nuovo riavviare l'intelletto e la fantasia. Il nuovo millennio sarà salutato dal crollo del Louvre. “Quello di cui abbiamo bisogno nel mondo è un ritorno alla sfida... Dobbiamo tornare a vivere nel rischio.”

Orienta il tutto verso l'orrore rurale Eraldo Baldini, vero e proprio specialista del genere, con la sua Notte di San Giovanni. Si tratta di un racconto classico, ben descritto e ambientato nel periodo susseguente al termine della seconda guerra mondiale. È il contesto socio-ambientale contadino ad acquisire rilevanza primaria. Baldini fa vivere sulla pelle dei lettori il senso di povertà, la scarsità di cibo e la rabbia verso i vicini che si sono rivelati accomodanti con l'invasore tedesco. In questo contenitore, sapientemente ricostruito, Baldini delinea una storia dall'epilogo telefonato in cui folklore, disperazione, superstizione, innocenza fanciullesca e stregoneria si uniscono per confermare, pur se con presa realistica, la leggenda popolare per la quale attendere a un crocicchio una strega comporta il rischio di perdere l'anima.

Meno qualitativo, ma comunque costruito con maestria è Dolcevita Zen Shot del giudice De Cataldo. Il racconto parla del mondo dei paparazzi, dei loro intrallazzi e delle macchinazioni ordite per incastrare potenti uomini della finanza. Come si suol dire, però, il diavolo fa le pentole e non i coperti... così, in una ripresa casuale, il giovane allievo supera il maestro immortalando la premessa che da avvio alla macchinazione orchestrata per incastrare il facoltoso finanziere. È il proverbiale “zen shot”: “l'immagine che non dovrebbe esserci. L'inquadratura non programmata. L'incidente che può salvarti la vita o rovinartela.”

Sprazzi interessanti sono riscontrabili in In Like Flynn del collettivo bolognese Wu Ming. Protagonista è il mito di Hollywood Errol Flynn, attore di punta del cinema action degli anni trenta e quaranta, che troviamo in una fumeria d'oppio a Hong Kong, in compagnia di un fedele amico tedesco e di un ladruncolo italiano. Flynn, allentato dalle sostanze psicotrope, racconta dell'avventura a Manila che lo ha visto tentare di truccare un combattimento tra galli. Testo strano, in cui la dimensione della realtà e quella del sogno si mescolano, favorite dall'influenza delle droghe. La parte relativa al racconto dei galli è a dir poco spassosa, meno sono i sogni dei vari personaggi che mischiano quanto detto prima di addormentarsi in un calderone che porta a soluzioni a dir poco surreali.

In tutto questo, oltre che per lo spaccato autobiografico di James Ellroy (primizia imperdibile per i suoi fan), risiede il buono di The Dark Side. Un materiale sufficiente, direi, per consigliarne l'acquisto, anche perché il resto non è certo da buttare. Vi sono almeno altri due racconti meritevoli di menzione dettagliata.

Il racconto che apre l'antologia, per esempio, The Mexican Pig Bandit (“La Scrofa Messicana”) di James Crumley, autore considerato il “più importante autore di romanzi hard boiled degli anni settanta-ottanta”, è un pulp action in salsa hippie (è ambientato a fine anni sessanta) di tutto rispetto, pur se con un soggetto troppo lineare e un lessico sporco. Protagonista è un detective privato ritornante dell'autore, C.W. Sughrue, in vacanza in Messico. L'uomo, un asso nel ritrovare giovani marmocchi in fuga dalle famiglie, se la sta spassando in Messico a suon di birre e marijuana, quando assiste a una strana rapina. Un commando di banditi, che poi saranno impropriamente accostati ai comunisti, assalta un bus cittadino inducendolo alla fermata grazie all'intervento di un'enorme scrofa ammaestrata. Il fine economico dell'operazione è marginale. Il vero obiettivo è un neonato di un'americana che, riconosciuto Sughrue, chiede aiuto al nostro prendendolo a male parole per essersi limitato a fungere da osservatore. Azione e intrigo giallo sono al centro della storia, peccato che il finale cali di intensità.

Merita un plauso La Divisa Stretta del barese Piero Colaprico, che confeziona un classico crime italico immerso nella realtà del meridione e, più nello specifico, del barese. Una realtà in cui la linea di demarcazione tra crimine e anti-crimine è così sottile da confondere i confini (“crimine e anticrimine sono le due facce della stessa medaglia”). Notevole la parte di racconto ambientata nel ristorante dove i poliziotti, tra cui un ispettore mandato da Milano per risolvere un caso di corruzione interna alla Polizia, mangiano a fianco del tavolo dove è riunito il clan mafioso.


Convincono poco gli altri testi. Ed McBain (Can che Abbaia) abbandona la narrativa poliziesca di cui è maestro per deludere con un testo breve e banale (pur se scritto bene) che vede un uomo impegnato a uccidere il cane della compagna (un Maltese nano) finendo per assassinare la stessa. Sulla stessa falsa riga è Stephen King (Il Sogno di Harvey) che giostra il tutto su un sogno premonitore che sembra, all'epilogo, manifestarsi nella sua concretezza (ma ciò è solo suggerito al lettore).

Il Nero, del vincitore del Premio Calvino Flavio Soriga, propone (in modo stanco e poco coinvolgente) le pratiche seguite dai burocrati fascisti per eliminare banali rivali di amici, addossando agli stessi fantomatiche attività eversive. Meno brillante è Giovanni Arduino che anticipa Wulf Dorn (si veda il romanzo Incubo) con Francesca Sta con Me, racconto telefonato che gioca sulla tematica dell'amico immaginario a cui confidare le proprie debolezze. Sperimentale e confusionario La Gabbia, a mio modesto avviso, il razzie award per il racconto meno riuscito dell'antologia. Lo firma Simona Vinci.

CONCLUSIONI:

Al di là della mancanza di un trait d'union che conferisca una dimensione specifica all'antologia superandone la matrice collettiva, The Dark Side è un'ottima occasione per avvicinarsi alla lettura di un genere, la crime fiction, piuttosto sviluppato anche in Italia. Santachiara, curatore del progetto, offre il meglio che c'è sulla piazza realizzando un prodotto unico, purtroppo non ripetuto, in cui la narrativa di genere italiana si incontra con l'americana. Vedere “i nostri” al fianco di mostri sacri quali Stephen King, Jeffrey Deaver, Robert Silverberg, James Ellroy, James Crumley, Ed McBain e James Grady non può che essere un sogno per un lettore e appassionato italiano. Plauso a Santamaria per il messaggio lanciato, meno per la gestione del progetto. Se lo trovate sulle bancarelle dell'usato a prezzo ribassato non lasciatevelo sfuggire, pur se non geniale nei soggetti, merita senza dubbio l'acquisto e propone il top del genere.

  
"Cercare un assassino in quell'universo di omicidi, trovare chi aveva ucciso una persona per consegnarlo a chi ne stava ammazzando milioni, e tutto questo per salvare la propria vita sapendo che comunque sarebbe morto."

sabato 23 ottobre 2021

Recensione Saggi: CRONACHE DEL MISTERO di Joe Nickell.

Autore: Joe Nickell.
Titolo Originale: The Mystery Chronicles. More Real-Life X-Files.
Anno: 2004.
Genere:  Saggio sul Paranormale.
Editore: Newton Compton (2006).
Pagine: 282.
Prezzo: 12,90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Scritte come “I Want to Believe” (voglio credere) collocato sotto un poster che immortalava un UFO sospeso sopra un bosco e “The Truth is Out There” (la verità è là fuori) accompagnavano, alla stregua di un mantra, la serie televisiva X-Files. Un serial di estremo successo, concepito nel 1993 da Chris Carter, che proponeva due agenti dell'FBI impegnati a lavorare su casi irrisolti interessati da indizi all'apparenza fuori dall'ordinario vuoi per implicazioni paranormali, vuoi per presunte interferenze extraterrestri. È a questa serie che Joe Nickell, autore di numerosi saggi dedicati al mistero (purtroppo inediti in Italia), guarda nella stesura del volume The Mystery Chronicles. More Real-Life X-Files pubblicato nel 2004 e presentato al pubblico italiano dalla Newton Compton Editori col titolo Cronache del Mistero. Un volume che io comprai appena uscito e che, probabilmente non benedetto da un particolare successo economico, è finito fuori catalogo.

Ex prestigiatore e mentalista, Joe Nickell si è trasformato, strada facendo, in investigatore privato. Al lavoro principale fatto di indagini su rapine e delitti vari ha presto associato, dopo una laurea in letteratura inglese e tradizioni popolari con relativo periodo di insegnamento a Buffalo, quella che era la passione adolescenziale: lo studio del paranormale. Aiutato dall'esperienza acquisita, dapprima quale esperto di illusionismo e ipnosi e poi quale indagatore, Nickell si è trasformato in un novello Houdini a cui piace andare direttamente sul campo per intervistare testimoni e valutare con propri occhi le piste possibili per debellare la cortina di mistero. Come il celebre mago di origini ungheresi, Nickell, più che somigliare a Fox Mulder (l'agente dell'FBI che vuol credere al paranormale), è una sorta di Dana Scully (la collega che ha il compito di cercare di far ragionare Mulder, suggerendo spiegazioni razionali) al maschile. Il suo approccio alla tematica è caratterizzato da un'impostazione ultra razionalista che ha nella scienza il più fidato amico.

Con i suoi testi, pur volendo presentarsi quale arbitro imparziale, Nickell da ampia dimostrazione di non credere al paranormale. Fa di tutto, spesso e volentieri in modo calibrato e corretto, per dimostrare che quanto accade nel mondo non è affatto frutto di eventi paranormali o di natura extraterrestre, trovando invece giustificazione in visioni più o meno truffaldine, stati di sogni lucidi che portano a confondere la realtà con l'immaginazione, scherzi orditi da provetti artisti, suggestioni, alterazioni attribuibili a tecniche ipnotiche o travisamenti di cose banalmente comuni riconducibili ad alterazioni emotive quali la paura o lo stress ovvero resoconti di soggetti affetti da una personalità fantasy prone (individui esposti per loro atteggiamento psicologico a essere prede del fantastico).

Gli agenti FOX MULDER e DANA SCULLY
della serie X-FILES.

In Cronache del Mistero Nickell ha una giustificazione per tutto e quando non ce l'ha trova comunque una serie di ipotesi, a suo modo più credibili della paranormale, per smontare il mistero. Sarebbe come partire dalla premessa che l'occulto non può esistere e che pertanto la soluzioni potrebbero essere altre. In altri termini, quando non riesce a risolvere in modo oggettivo un caso, cade nello stesso atteggiamento di coloro che scommettono sul paranormale. Dando infatti per impossibile la componente misterica scommette su tutto il resto. Un'impostazione certamente più facile rispetto a quella adottata da chi gioca tutto sull'ultima ipotesi possibile, cioè la paranormale. Sarebbe come dire che Dio non esiste perché nessuno ne ha fornito ancora una prova e che pertanto la creazione dell'uomo è da attribuire a un semplice caso o a una serie di eventi naturali enucleati anche da Darwin nella teoria dell'evoluzione della specie.

Chi crede e chi non crede hanno la tendenza a partire sempre da una risposta, per poi risalire alla tesi, scegliendo di volta in volta le prove e gli argomenti che meglio giustifichino le loro conclusioni” scrive Nickell senza rendersi conto, nei casi in cui non riesce a venire a capo della questione, di fare altrettanto. Nonostante l'indagatore dimostri di adottare un atteggiamento da consulente tecnico d'ufficio degno della nomina di un Tribunale che indaga contro truffe e mistificazioni, l'atteggiamento di sfiducia verso il paranormale è evidente. Razionalista e materialista convinto, Nickell cancella ogni prospettiva fideistica non rendendosi conto che quel “i want to believe”, motto del serial televisivo citato nel sottotitolo del libro, è uno stato fondamentale per poter vivere, poiché è su tale impostazione che si basa quella speranza che può donare la linfa vitale aggiuntiva a cui un razionalista non potrà mai attingere nei momenti più duri della sua esistenza. Pensate alle religioni, per esempio. Con l'atteggiamento di Nickell si dovrebbe giungere alla conclusione che sono tutte fallaci, poiché non vi è prova alcuna dell'esistenza di un Dio e che pertanto lo stesso è frutto delle invenzione di una serie di visionari poi ispiratori di macchinazioni (le religioni) finalizzate a dominare le masse e acquisire vantaggi economici. Una situazione non poi lontana da quella relativa alle pratiche delle sedute spiritiche. La condanna dell'autore verso il mondo del paranormale è dunque senza appello, nonostante Nickell si professi un amante dell'occulto.

Cronache del Mistero, pur diviso in quarantuno capitoli che, con uno stile accessibile a qualunque tipologia di lettore, abbracciano l'intero spettro del paranormale (alieni, esorcismi, fantasmi, case infestate, criptozoologia, immagini e reliquie sante che compiono miracoli, guaritori, medium, freak show, autocombustioni umane, crop circles, linee di Nazca e riti voodoo), è un volume coraggioso ed economicamente rischioso. Nickell si rivolge a una nicchia di lettori (quelli appassionati del paranormale), ma lo fa con una prospettiva contraria rispetto a quella che la maggior parte dei lettori vorrebbe trovare. Chi compra il libro, in tutta probabilità, vorrebbe trovare tesi che possano lasciare aperta la porta al mistero e al sogno dell'esistenza del paranormale. Del resto è difficile pensare che i fruitori del volume siano coloro che pensano che il paranormale sia una buffonata, in quanto chi la pensa in tal modo difficilmente potrebbe comprare un libro a tema. Nickell però vuole smascherare imbrogli, risolvere equivoci e dimostrare che il mondo, con buona pace di Shakespeare e del suo motto per il quale “ci sono più cose in cielo e in terra di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”, è molto più semplice di quello che si vorrebbe far credere. Nella sua crociata da inquisitore del nuovo millennio, Nickel non salva nessuno, inquisitori compresi. Il nostro indagatore non si limita a giocare sul facile, attaccando fenomeni come crop circles, case infestate o criptozoologia (spiega in modo razionale e verosimile gli errori su chupacabras, uomo falena e mostri delle lagune), ma smonta anche veri e propri miti religiosi che vanno dalle icone piangenti dei santi fino al mistero della sacra sindone di Torino (definita, con prove alla mano, opera artistica ben lontana dal reale sudario che ha effettivamente avvolto il corpo di Cristo), passando per gli esorcismi (giudicati quali casi che vertono su personalità affette da disturbi psichici). Nickell ha la presunzione di voler spiegare tutto, ma spesso e volentieri sorvola su ciò che probabilmente non riesce a giustificare. Nel caso dei rapimenti alieni, che risolve come allucinazioni dovute a una predisposizione al fantastico del soggetto vittima di un sogno lucido (ipotesi verosimile se non si commette l'errore di volerla estendere a tutti i casi), non menziona i cosiddetti innesti che fornirebbero una prova aggiuntiva del fenomeno; nel caso dei fenomeni di santi e profeti, che bolla come soggetti affetti da personalità disturbate con propensione al fantastico, non studia il caso di Padre Pio, affetto da strane e bizzarre stigmate che difficilmente si era auto riprodotto (tanto che le indagini del Vaticano finirono col cedere nonostante si cercasse di fare di tutto per provare le frodi del frate); nel caso dei crop circles tralascia il fenomeno delle cattle mutilations; nel caso degli esorcismi non contempla le dichiarazioni di chi, come Padre Amorth, ne ha fatti a centinaia in giro per il mondo e non standosene certamente sulla poltrona a fare ricerche nei verbali; mancano poi indagini sul fenomeno U.F.O. e, più in particolare, su quello dei foo fighters che finirono col mandare in paranoia l'aviazione di più Stati durante la seconda guerra mondiale. Insomma, la sensazione è che a Nickell piaccia parlare dei casi che ha risolto a sfavore del paranormale, tralasciando tutto il resto. Non vi è infatti una tematica in cui l'indagatore lasci una porta aperta e questo la dice lunga sull'imparzialità del suo approccio.

Ciò detto, Cronache del Mistero resta comunque un volume molto interessante che, alle indagini, alterna dei capitoli che sono dei veri e propri saggi su tematiche quali il voodoo, i mormoni, le sacre sindoni, i circhi con le loro stranezze di un tempo, le tecniche adottate dai medium dell'ottocento e quelli contemporanei al fine di far cadere in errore gli astanti, nonché i progetti americani volti allo studio del paranormale, con tanto di impiego di medium per la risoluzione di casi di cronaca nera. Insomma, un bel viaggio nel mistero che ha la certezza di non voler ingigantire i vari episodi, permettendo così una lettura che possa fornire un certo affidamento sulla buona fede e correttezza di chi ha scritto il volume. Il limite sta nel voler chiudere la porta al paranormale e nel non sapere intercettare le aspettative del lettore di un volume incentrato sul mistero. Sarebbe come dire: mio caro lettore che ti appassioni al paranormale, il tuo impegno e le tue aspettative sono tutto tempo perso, da oggi, dedicati ad altro e te lo dice uno che ha incentrato tutta la sua vita sullo studio del paranormale!

A ogni modo il prefattore, James Randi, scrive: “Joe ha già in mente nuovi libri, pronti per essere usati in questa battaglia contro la finzione, la disinformazione, la mistificazione e contro tutti gli imbroglioni che quotidianamente ci assalgono ad armi cariche... La verità è il loro peggior nemico...”

 
L'autore Joe Nickell.

venerdì 15 ottobre 2021

Recensione Narrativa: THE LANGOLIERS di Stephen King.

  
Autore: Stephen King.
Titolo Originale: The Langoliers.
Anno: 1990.
Genere:  Horror / Sci-fi.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 320.
Prezzo: 11,00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

E non finisce mica il cielo (anche se manchi tu) cantava nel 1984 Mia Martini, un titolo che si adatta alla perfezione alla novella o, meglio ancora, al romanzo breve The Langoliers; opera pubblicata nel 1990 da Stephen King come prima dei quattro testi che formano l'antologia Four Past Midnight (“Quattro dopo Mezzanotte”).

Testo molto ampio, dal settembre 2018 dato alle stampe in via autonoma dalla Sperling & Kupfer (edizione da oltre trecento pagine, con una copertina che ricorda il finale de Alien 2 sulla Terra di Ciro Ippolito), in cui King piazza una storia degna erede degli episodi di Ai Confini della Realtà. Un soggetto che si inserisce in quello che potremmo definire l'orrore del volo. The Langoliers, pur se nella sua originalità, è figlio di racconti degli anni sessanta quali Nightmare at 20.000 Feet (“Incubo a 6.000 Metri”) di Richard Matheson e The Odyssey of Flight 33 (“L'Odissea del Volo 33”) di Rod Serling, per non parlare dei più vecchi The Horror of the Heights (“L'Orrore delle Altezze”, 1913) di Arthur C. Doyle e Gli Spettri dell'Aria di Leslie A. Lewis.

King, con la sua tradizionale cura per lo sviluppo dei personaggi e il conferire agli stessi una marcata caratterizzazione, delinea una struttura da point to point. Un gruppo ristretto di personaggi si ritrova superstite, di un maggior numero di passeggeri, del volo 29 che sorvola coast to coast gli Stati Uniti da Los Angeles a Boston. Durante l'attraversamento di quella che si pensa essere un'aurora boreale, i passeggeri ancora svegli scompaiono nel nulla, lasciando sull'aereo quanto di materiale abbiano con sé (portafogli, occhiali, gioielli, orologi, ma anche otturazioni, chiodi o placche ossee). Il mistero sembra non trovare soluzione, sebbene i superstiti, svegliati dalle grida di una ragazzina destatasi dal sonno, inizino a pensare di essere vittime di un esperimento militare condotto da un “ente governativo che opera dietro le quinte”. La realtà è ben più tragica. Nessuno risponde alla radio, inoltre la vista dai finestrini svela un mondo desolato in cui non si muove anima viva. Le scoperte portano a variare il luogo di sbarco. Viene scelta una destinazione più vicina così da poter agire con maggiore sicurezza. L'aereo atterra a Bangor, nel Maine, trovando una realtà totalmente cambiata. “Ci troviamo in un mondo che appare integro e ragionevolmente organizzato, ma anche quasi completamente esaurito. Non c'è più effervescenza nelle bibite... il cibo è insapore, l'aria inodore” dice un personaggio. Attorno all'aereo infatti regna la solitudine più estrema, una situazione che porta un finanziere, presente a bordo, a sbroccare e a trasformarsi in assassino, convinto che dietro a tutto vi siano i “langolieri”, ossia delle creature mitologiche, non troppo dissimili agli gnomi, di cui gli raccontava sempre il padre. Ha inizio un viaggio nel fantastico più puro, con delle creature che ricordando Pac-Man e che cancellano a colpi di morsi la realtà, trasformando la terra (ma non il cielo) in un buio cosmico in cui il tempo e persino l'alternanza tra il giorno e la notte sono stravolte. Il viaggio di ritorno, sulla medesima rotta tracciata all'andata, è l'unica via per tentare di ritornare nella dimensione che tutti noi conosciamo: quella della realtà.

 

E non finisce mica il cielo...
Dall'omonimo film tv tratto dal racconto.

Opera fortemente kinghiana. L'autore affronta la tematica dello spaziotempo, costituito da uno strappo aperto nel cielo all'interno del quale passa l'aereo, finendo in un mondo morto che rappresenta il passato e che per questo è in progressivo sgretolamento.

Non mancano alcuni dei personaggi più ricorrenti nella produzione dell'autore, ovvero un personaggio scrittore di gialli che si rivelerà fondamentale per il buon esito della vicenda e una piccola ragazzina dotata di poteri paranormali. Quest'ultima viene incarnata da un'adolescente dotata di una sensibilità tale da renderla detentrice di una seconda vista di valenza parapsicologica (sebbene indossi un paio di occhiali neri e sia cieca). È lei a intuire la presenza delle creature malefiche denominate “langolieri”, esseri simili a delle palle rotolanti divoratrici di materia che preannunciano la loro entrata in campo attraverso un progressivo rumore che ricorda l'alta tensione generata dal friggere elettrico dei pali che conducono l'elettricità. Non lesina poi la componente horror, con un uomo impazzito che si trasforma in serial killer e che subisce i peggiori pestaggi, tra ossa rotte e sangue che sprizza da naso e bocca. Il sense of wonder e il desiderio di sapere come andrà a finire accompagnano l'intero narrato, conferendo allo stesso un certo appeal. Non a caso The Langoliers è spesso ricordato tra le novelle più apprezzate di King.

Molte le citazioni contenute nel testo. Lo scrittore del Maine ricorda espressamente assi della sci-fi (catastrofica) quali Larry Niven, Robert Heinlein, John Christopher e John Wyndham; cita anche uno dei più celebri personaggi nati dalla penna di Sax Rohmer. Si legge infatti: “Ricordo ancora quando i lettori che si peritavano di considerarsi gente seria ridevano dei romanzi di Fu Manchu che scriveva Sax Rohmer. Li consideravano autentiche buffonate. Ora, grazie alla ricerca biologica e alla paranoia indotta da torbide sigle come CIA o DIA, vivono in un mondo che sembra uno degli incubi peggiori inventati da Sax Rohmer.

Al tempo stesso, però, sono numerose le ispirazioni che la novella ha saputo dare al decorrere degli anni. In una parte del testo si legge che i viaggi del tempo non sono idonei a impedire l'omicidio del presidente Kennedy. Nel 2011 King cambierà idea, sviluppando sulla questione il romanzo 22/11/'63. Sempre nel testo si fa riferimento all'eventualità che su un aereo siano caricati una serie di serpenti velenosi da liberare sui passeggeri durante il volo. L'idea confluirà nel 2006 nel film diretto da David R. Ellis intitolato Snakes on a Plane. Faranno peggio nel 2014 gli adattatori del romanzo scritto da Tim LaHaye e Jerry B. Jenkins, autori negli anni novanta di Left Behind (“Gli Esclusi”) ossia una saga composta da sedici romanzi, che semplificheranno il testo riproponendo (nel film La Profezia interpretato da Nicholas Cage) l'idea di un aereo in cui, d'un tratto e durante il volo, scompaiono una serie di passeggeri lasciando dietro di sé quanto di materiale avevano al seguito.

Non manca infine l'adattamento per la televisione tratto direttamente dalla novella e affidato, nel 1995, alla regia di Tom Holland, regista a cui un anno dopo sarà conferita la regia anche de L'Occhio del Male (sempre da un romanzo di King).

The Langoliers è dunque un romanzo a tutti gli effetti, ben sviluppato e orchestrato in via corale da un complesso di personaggi tratteggiati con la consueta attenzione che svela la mano di Stephen King. Discreto anche l'epilogo, sebbene la parte migliore sia quella in cui vediamo l'aereo sorvolare un paese che viene cancellato alla maniera di un pennello che dipinge tutto di nero e asporta via la materia lasciando il mondo in balia del nulla.

 
Stephen King ai tempi della raccolta.
 
 "Mai mi sarei aspettato di finire coinvolto nel più grande mistero della stanza chiusa a chiave di tutti i tempi. Eppure è successo."