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martedì 29 maggio 2012

Recesione Narrativa: IL SOLE DEI MORENTI (J.C. Izzo)


Autore: Jean-Claude Izzo.
Genere: Drammatico.
Editore: E/O
Pagine: 236

Commento Matteo Mancini.
Romanzo breve di genere drammatico scritto dal marsigliese Jean Claude Izzo pochi mesi prima che un tumore ai polmoni lo strappasse via da questo mondo all'età di 55 anni.
Il Sole dei Morenti è un'opera estemporanea nella bibliografia di questo autore solitamente impegnato nel noir. Il romanzo infatti ha poco o nulla dell'intreccio poliziesco (una rapina, un pestaggio e un omicidio raccontato da un trafiletto di un giornale) o comunque di stampo delinquenziale. Izzo concentra tutti i suoi interessi sulle caratterizzazioni e sul passato dei protagonisti che si susseguono con l'andare della lettura come in una passerella riservata ai disgraziati condannati a vivere al bando. Infatti oltre al primo protagonista, un clochard con un passato da persona comune, si alternano nella vicenda un complesso di veri e propri reietti tutti quanti destinati a un futuro più o meno tragico.

E così Izzo, lentamente, sposta il suo protagonista dalla fredda Parigi a Marsiglia, facendolo viaggiare su treni, braccato da controllori e poliziotti poco propensi ad aiutarlo. L'uomo ha perso tutto, a partire dalla moglie che lo ha tradito, proseguendo per il figlio che lo ha disconosciuto e per finire con il lavoro (perso anch'esso in circostanze rocambolesche).

Il nostro trova conforto solo nel vino e nella birra che beve in quantità industriale, vivendo ai margini della società e in modo sempre più disastrato fino a parlare direttamente con i topi.
Il viaggio (della speranza ma anche dell'estrema disperazione) che il protagonisa decide di compiere dopo la morte di un suo collega di strada, assume a livello metaforico il senso di un vero e proprio tuffo nel passato; in un passato in cui regnava la spensieratezza, il sogno e in cui brillava chiara e netta la stella del primo amore.

Marsiglia assume quindi la valenza di un luogo in cui morire, ma in modo più dolce come storditi dall'effetto anestetizzante di una droga; storditi dalla sovrapposizione del ricordo alla dura e crudele realtà. Il nostro infatti si abbandonerà a frequenti e continui peregrinaggi nei luoghi del primo bacio o comunque di altri flash ameni che albeggiano nel ricordo.

Non è poi un caso se tutti i protagonisti del romanzo siano ancorati al tempo che fu.
Sotto quest'ultimo profilo assume una certa importanza il capitolo in cui il protagonista incontra una giovane prostituta bosniaca reduce dagli orrori della guerra dei balcani. Il passaggio, nonostante la durezza dei dialoghi tra i due e le terribili esperienze passate che li hanno relegati al bando della società, è intriso di una speranza e di un barlume di riscatto, che però viene travolto dall'irrompere di alcuni delinquenti che avevano comprato la donna per indurla alla prostituzione e dai quali la stessa si era sottratta.
Eloquente il passaggio in la giovane donna rivela al protagonista il proprio rifiuto della realtà: Io è come se fossi già morta. Tu non so dove sei morto. Né quando. Ma so che sei come me. Ci trasciniamo con la nostra vecchia pelle. Non siamo nient'altro che un involucro vuoto. E ancora: Arrivati a un certo punto non si può più tornare indietro. Quando si sono viste cose che nessuno ha visto, vissute cose che nessuno ha vissuto. Allora si è condannati. Non voler più tornare in quella società non voleva dire impotenza. Soltanto una grande stanchezza di vivere.

Izzo ci va giù duro, condendo il tutto con una crudeltà, soprattutto psicologica, che lascia davvero stordito il lettore e gli fa probabilmente guardare con occhio diverso la fiumana di disperati che inondano le strade urbane di tutto il mondo.
Izzo amplifica la crudeltà agendo non solo sui dialoghi (spesso crudi e volgari), ma soprattutto sull'ambiente in cui si svolgono i fatti, condizione climatiche comprese. Il freddo, la neve e il gelo rispecchiano l'animo dei vari protagonisti. Un animo ormai privo di sogni e dunque sull'orlo di spegnersi raffreddandosi fino alla morte.

Il campionario di reietti contempla clochard, prostitute, immigrati, ritardati mentali, alcolizzati, drogati ed estremisti.
In conclusione Izzo getta luce sull'altra faccia della vita metropolitana quella formata da coloro che sono stati esclusi e lo fa mostrando il passato di ciascuno di loro in modo da far familiarizzare il lettore con le varie situazioni e renderlo dunque ancor più scosso e triste.

Per quanto concerne la dinamicità del plot, da segnalare una seconda parte di romanzo in calando, anche se fornita di un epilogo tragico ma al contempo estremamente poetico. Degno di nota infine l'escamotage adottato dal protagonista per elemosinare dai passanti qualche spicciolo facendosi però lui stesso ringraziare e non viceversa.

A mio avviso, un po' di pepe nella storia avrebbe fatto compiere al romanzo un balzo in avanti rendendolo più avvincente. È tuttavia probabile che l'autore abbia voluto evitare un taglio del genere in quanto preso da una forte malinconia personale amplificata verosimilmente dal tumore che lo avrebbe portato, di lì a poco, alla morte. Più che sufficiente, ma non aspettatevi un libro di intrighi o di azione. Sull'orlo del crepuscolo.

giovedì 17 maggio 2012

Recensione racconto LE CREATURE BIANCHE (Arthur Machen)




Nella foto lo scrittore ARTHUR MACHEN

Stralcio di un articolo ben più ampio che sto preparando, qualora dovesse esser scelto dalla redazione di DAGON PRESS, per un'iniziativa dedicata all'opera dello scrittore gallese ARTHUR MACHEN operante a cavallo tra l'800 e il '900.
Il racconto che segue fa parte dell'antologia Il Gran Dio Pan e altre storie soprannaturali.


Commento di MATTEO MANCINI

Machen cambia, almeno superficialmente, registro con Le Creature Bianche alias The White People (1906). Si tratta, a mio avviso, del capolavoro dello scrittore gallese, molto apprezzato anche da H.P. Lovecraft che lo valutava superiore per atmosfera e pregio artistico rispetto al più noto Il Gran Dio Pan. Allineandomi a quanto detto dal maestro di Providence, il sottoscritto rileva, oltre a una resa superiore sul versante onirico/fantastico, una maturità autoriale più accentuata rispetto ai precedenti impegni di Machen. Inoltre appare esplicita l'intenzione di portare il lettore a interpretare quanto andrà a leggere nei capitoli successivi fornendogli fin da subito la chiave di lettura attraverso cui decriptare il racconto che segue. Fondamentale, al riguardo, è l'eccezionale prologo che potrebbe vivere di vita autonoma quale saggio filosofico/spirituale. Dopo di esso viene proposta la parte narrata in cui Machen fa sognare il lettore abbondando con descrizioni immaginifiche di scenari desolanti e immensi, con scenografie costituite da pietre animate che imprigionano volti, boschi opprimenti e canyon, il tutto accompagnato da una colonna sonora fatta di litanie e sibili di vento.

Si può affermare che con Le Creature Bianche Machen abbandoni le atmosfere da giallo e le ambientazioni urbane londinesi che avevano fatto da cornice alle precedenti avventure, tra le quali Il Gran Dio Pan e La Luce Interiore. Ciò che persiste è il taglio metaforico, lo stimolo allo studio, alla ricerca della verità e la grande passione per l'esoterico visto quale chiave per forzare la serratura dello scontato.

Abbiamo già detto che il racconto si apre con un primo capitolo a metà strada tra la filosofia e la spiritualità. Protagonisti di questa parte sono un saggio alquanto bizzarro e un suo ospite (di fatto uno studente/allievo) intenti a discutere sui concetti di santità e malvagità. Entrambe sarebbero caratterizzate da una matrice comune, costituita da un traguardo benedetto dalla trascendenza e capace di regalare l'estasi dei sensi a chi lo completa mediante il ritiro dalla vita comune e il rifiuto delle sue convenzioni più banali. Eloquente, per comprendere il concetto, il seguente passaggio: la trascendenza è prodiga con i suoi figli. Molti di loro mangiano pane e acqua, ma sono infinitamente più ebbri dell'epicureo. La vocazione per il bene così come per il male sarebbero passioni solitarie, occupazioni per anime solitarie.

Machen, da cultore dell'esoterismo, lascia intuire ai suoi lettori la forte stima che nutre per coloro che ricercano la spiritualità, siano essi mossi da intenti malvagi o benigni, arrivando a dire che i grandi uomini, quale che sia il loro stampo morale,tralasciano la copia imperfetta e cercano l'originale perfetto. L'autore gallese non perde tempo nello specificare cosa si debba intendere per male e lo fa con grande cultura filosofica e una saggezza che può possedere solo un autentico maestro (non solo letterario).

Il male, ci spiega Machen, non è quello che viene percepito dalla società attraverso le violazioni dei precetti penali o delle norme dettate dal senso etico. Gli assassini, così come i delinquenti, non sono veri peccatori, ma bestie poiché agiscono in base a impulsi negativi. Il male invece è sempre positivo, anche se opera dalla parte sbagliata. Per tale motivo è raro da riscontrare nella società moderna, addirittura molto più raro della santità in quanto più originale ed estremo. Bellissimo l'aforisma di Machen che definisce l'intento del male: l'essenza del peccato sta nel dare l'assalto ai cieli con la violenza dell'uragano.
In altre parole, i peccatori sarebbero coloro che, spinti da una grande forza d'animo e dedizione nello studio, ricorrono a qualunque mezzo per trascendere ed entrare nelle più alte sfere ricorrendo a mezzi proibiti. Il loro scopo sarebbe quello di conquistare la beatitudine e la sapienza proprie degli angeli e mai appartenute agli uomini. I santi invece, rispettosi verso Dio e più umili nel loro approccio di studio, si sforzerebbero di recuperare la felicità che apparteneva agli uomini prima della loro caduta, senza andare oltre. Le persone comuni invece, in quanto prive di desiderio di ascesa o di discesa, critica aspramente Machen, non si porrebbero problemi di sorta accettando passivamente la vita così come essa viene loro presentata e restando pertanto confinati nella mediocrità. I geni, d'altro canto, avrebbero un po' del santo e un po' del peccatore, essendo quelli che oggi definiremmo dei ribelli.

Attraverso i suoi due personaggi, il maestro gallese prosegue in questa disamina, che trasuda passione parola dopo parola, e arriva a dire, giustamente, che il vero peccatore (il vicario di Satana) non sarebbe facilmente individuabile dagli uomini comuni. La ragione naturale di questi ultimi difatti, essendo gli stessi ignoranti e incapaci di vedere oltre la barriera dell'apparenza a causa dell'avvelenamento dei loro spiriti determinato dal cocktail frutto dell'unione di convenzioni, cultura di massa e materialismo, sarebbe divenuta cieca e sorda. Solo i bambini, gli animali e le donne (non sono d'accordo su quest'ultima categoria ricompresa da Machen nella sua interezza probabilmente per ragioni confinate nell'epoca storica a lui contemporanea), in quanto creature semplici, sarebbero immuni da tale deficienze e sarebbero i soli a esser in grado di individuare un vero peccatore.

Queste sono le premesse che precedono il racconto vero e proprio. La storia si sviluppa con l'artificio letterario degli appunti di una bambina riportati in un quaderno custodito dal saggio e mostrato al suo ospite/allievo.

Machen propone una vicenda ancora una volta intrisa di una velata (ma al contempo forte) componente erotica e spinge, più dei precedenti lavori, sul pedale della perversione subliminale. A livello superficiale propone l'introduzione graduale di una bambina al mondo della stregoneria a opera della sua balia. La giovane racconta direttamente i suoi progressi alternandoli a vicende di vita vissuta in cui racconta le sue incursioni in mondi fantastici e desolati (che rappresentano l'Inferno e allo stesso tempo il Paradiso) e a favole nere funzionali a spiegare i vari step raggiunti e le conseguenze degli stessi.

Si parla di culti e sabba orgiastici risalenti all'epoca romana, con tanto di statuette di creta che si animano per intrattenere rapporti con le donne che li hanno realizzati. Machen non rende troppo manifesta la natura di questi rapporti, ma la stessa traspare piuttosto chiaramente agli occhi del lettore attento ai particolari. Si tratta di rapporti blasfemi, a suggerirlo è uno stralcio del diario della bambina relativo a una statuetta di creta da lei stessa costruita all'età di sedici anni: e quando fu finito feci con lui tutto ciò che riuscii a immaginare, ed era molto di più di quanto avesse fatto la balia, perché la mia statuetta aveva la forma di una cosa infinitamente migliore.

Non mancano poi creature bizzarre quali ninfe (ci sono delle pennellate saffiche seppur in minima parte), animali antropomorfi e altri esseri non meglio specificati che escono dal bosco per sedurre gli astanti. Strepitosa, sotto quest'ultimo profilo, la fiaba nera del cacciatore che si lancia alla caccia di un cervo bianco, apparso dopo un'improduttiva battuta di caccia, per giorni e notti finendo in una dimensione ignota e scoprendo di aver seguito la regina delle fate (sarà invece ben altro) camuffata da animale. La donna lo sedurrà, lo renderà suo sposo, ma solo per una notte facendolo poi di fatto ricomparire laddove l'uomo aveva avvistato il cervo in preda a una nostalgia e un'astinenza talmente forte da non baciare più nessun'altra donna, poiché come dice con grande classe Machen: aveva gustato il vino dell'incanto e per questo non bevve più nessun vino perché nulla lo avrebbe più appagato.

Sensuale, e ancora una volta ammiccante sul piano erotico, il passaggio in cui viene riportato il rito di una strega dalle forme attraenti. Machen scrive: la signora si sdraiava fra gli alberi e cominciava a cantare una certa canzone. Da ogni parte della foresta venivano allora i grandi serpenti, sibilando e luccicando fra gli alberi;ella tendeva le braccia bianche e i serpenti, cacciando la lingua biforcuta, strisciavano verso di lei. Poi cominciavano ad avvolgersi intorno al corpo, alle braccia, al collo, finché Lady Avelin era tutto un ammasso di serpi e si vedeva solo la testa. L'avvolgevano sempre più finché non ricevevano l'ordine di andarsene. Allora l'abbandonavano, ma sul petto della signora restava una stranissima pietra a forma di uovo e dalle mille sfumature blu, gialle, rosse e verdi e le venature parevano scaglie di serpente.

Gianni Pilo, nel suo Dizionario dell'Orrore, analizzando il testo sostiene che, nonostante il tono cupo che permea tutta la storia, Machen non rinuncia alla speranza. Ciò è senz'altro giusto, ma si tratta di una speranza flebile, da individuare in un insidioso percorso (rappresentato metaforicamente dalla descrizione ambientale della bambina che parla di pareti rocciose disseminate con una logica ben precisa, boschi e fiumi, fino agli edifici costruiti da esseri giganteschi in quanto eletti) per pochi meritevoli capaci di percorrerlo per dedizione e intelligenza, piuttosto che per un talento fine a sé stesso o per mera opportunità materialistica. La bambina così come i vari protagonisti delle favole raccontate dalla stessa (spesso messi al cospetto dell'esoterico per puro caso) finiscono prigionieri e preda dei sortilegi e vanno incontro a una brutta fine.

L'insegnamento, e al tempo stesso ammonimento, di Machen, in perfetta linea con le opere precedenti, è esplicito e assume una valenza simbolica che va oltre al piano esoterico arrivando all'approccio mentale e psicologico da adottare nella vita di tutti i giorni: le medicine più benefiche (leggi l'esoterismo, ma io direi anche la psicologia e la filosofia) sono di necessità potenti veleni ed è per questo che vengono tenute chiuse in un armadietto (è, a mio avviso, sottinteso dalla società con tutte le sue convenzioni, le regole e la cultura di massa). Se una bambina (leggi l'uomo che non ha compiuto un certo percorso di studio e pertanto un qualcuno assimilabile alla cultura di un bambino, per definizione neofita) trova la chiave per caso e ne beve, si avvelena. In altri casi, invece, la ricerca di ciò che è nascosto (da decriptare come ciò che costituisce lo spirito umano) eleva l'uomo: e dopo essersi forgiato da solo le chiavi adatte (leggi dopo aver personalizzato il proprio percorso in base alla propria autocoscienza) egli trova non fiale di veleno, ma squisiti elisir. In questo consiste l'essenza dell'opera qui oggetto di esame e di certo non mero testo finalizzato all'intrattenimento spiccio.

Dunque un concetto finale che spinge alla ricerca e al contempo la sconsiglia, quasi fosse un ammonimento teso a esorcizzare la voglia del superficiale o di chi va alla ricerca di meri vantaggi materiali.

Tutti questi contenuti intrinseci fanno de Le Creature Bianche una perla preziosa della narrativa fantastica/orrorifica. Un'opera che trascende dal contesto di appartenenza , quello di genere, ed evidenzia ancora una volta l'abisso sussistente tra autori del calibro di Meyrink, Machen, Lovecraft e altri di fine '800 primi '900 rispetto ai più artificiosi (e banali) Matheson, King e Campbell. Non me ne vogliano i colleghi che continuano a difendere certa narrativa, che il sottoscritto legge volentieri ma che non si sognerebbe mai di paragonarla con la vera narrativa fantastica/orrorifica del tempo che fu impreziosita da una profondità e uno spirito didattico e filosofico anni luce superiore.
Must. Voto: 9