Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

martedì 12 dicembre 2017

Recensioni Narrativa I VIAGGI DI GULLIVER di Jonathan Swift.




Autore: Jonathan Swift.
Genere: Fantastico.
Anno: 1726.
Edizione: Varie.
Pagine: 286.
Prezzo: 7,90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
La recensione odierna ci permette di parlare di un'opera cardinale nell'ambito del fantastico e della letteratura inglese. E' il 1726 quando, in forma anonima, esce in Inghilterra I Viaggi di Gulliver. Apparentmente è uno dei tanti libri di viaggi che inondano le librerie dell'epoca, in realtà è un qualcosa di molto diverso, un volume che farà storia pur prospettando storie incredibili che vanno oltre la realtà. Swift confeziona un'antologia di fanta-sociologia costruita da diverse prospettive di veduta. Uno Swift satirico, divertito e divertente che regala sprazzi di umorismo e di momenti che oggi qualcuno definirebbe trash (seppure tremendamente inteliggente) per dar sfogo a una feroce critica alla natura della razza umana. Un'opera che delinea i contorni di un vero e proprio grande maestro, altro che autore di un romanzo per ragazzi, questa è un'opera che si dovrebbe rileggere ogni tanto per fare un paio di riflessioni che vadano oltre al mero materialismo che conduce le sorti del mondo. Dunque uno Swift all'apparenza leggero ma che infligge un affresco marcato a fuoco che lascia il segno e colpisce duro nel profondo.
Il protagonista, appunto Gulliver, è un chirurgo globe trotter a caccia di avventure in giro per gli oceani, tanto coraggioso quanto personificazione delle idee dell'autore. Un individuo che racconta, in una sorta di libro dei viaggi, le proprie avventure verificatesi in un arco temporale di sedici anni. Va in giro perseguitato da una (s)fortuna che gli permette inconsapevolmente, tra un nubifragio e un altro, di oltrepassare le barriere del mondo conosciuto per penetrare in una sorta di realtà parallela che Gulliver spaccia per reale, pretendendo di dire la verità a differenza dei colleghi autori di libri di viaggio (esilarante anche in questo).
Nella prima avventura il protagonista, naufragato in pieno oceano, ripiega a nuoto su un'isola sconosciuta. Stanco per la fatica, si addormenta sulla spiaggia e al risveglio si trova, legato come un salame, proiettato in quello che sembra esser un altro mondo. “I nostri filosofi sono inclini a pensare che tu sia piovuto dalla luna o da una stella“ diranno più tardi di lui gli abitanti di Lilliput: un microcosmo uguale in tutto e per tutto alla società umana se non fosse che tutto è ridotto in scala. Uomini alti non più di quindici centimetri, alberi alti due metri, animali terrestri ma ridotti in scala e poi bastioni, palazzi e una struttura sociale e politica assimilabile a quella umana.
Alla stregua di un elefante in un salotto, Gulliver si trova a troneggiare in mezzo ai lillipuziani da cui riceve istruzione e contratti sociali da firmare. Ne conquista la fiducia prima, poi esegue quanto da loro ordinatogli, contribuisce alla disfatta della città rivale (Blefuscu), ciò nonostante la sua presenza diviene presto ingombrante per tutti. Consuma una quantità di cibo esorbitante per i lillipuziani, è un pericolo potenziale di distruzione di massa, inoltre una sua eventuale morte comporterebbe il rischio di una peste dovuta ai processi putrefattivi di una carcassa dalla mole mastodontica.
Swift tocca punti di ironia assai divertenti per evidenziare quanto i sovrani siano fin troppo inclini a fare i c.d. “soli al comando“, al punto da cancellare il ricordo degli aiuti ricevuti persino da esseri, se vogliamo, superiori, come l'uomo montagna che sembra un qualcosa di assimilabile ai grandi antichi delle leggende legate alla realizzazione di monumenti quali le piramidi di Giza o Stonehenge. “Tanto insignificanti sono reputati i servigi resi ai regnanti, quando vengano contrapposti al rifiuto di compiacere alle loro passioni!“ A nulla serve che l'uomo montagna rispetti gli impegni, a poco a poco, la volontà di controllarne la vita porta i lillipuziani persino a valutare l'opportunità di abbatterlo. Pensate un po', mi è venuto da pensare, al potenziale rapporto tra uomo e Dio col primo presto tentato a togliere di mezzo il secondo, così da poter disporre poi a proprio piacimento. 
Racconto importante anche sotto il mero profilo fantastico, che sta alla base di futuri celebri racconti firmati Ballard, Matheson, ma anche e soprattutto Campo di Battaglia di Stephen King. Swift descrive infatti gli attacchi di questi uomini in miniatura al grande gigante, con frecce, archi e coltelli vari. Scene che potrebbero sembrare assimilabili all'offensiva di uno sciame di tafani (per strizzare l'occhiolino a Socrate, elogiato nel testo da Swift) a un uomo.
Al di là della natura fantastica, l'opera è soprattutto un mezzo per ridicolizzare politici e fare parodia sulle abitudini di onnipotenza dei sovrani. Swift si diverte nell'evidenziare come il motivo di scontro tra Lilliput e Blefuscu si regga su una banalità come la modalità da adottare e da seguire per poter bere da un uovo. Un ordine tale da determinare addirittura uno scisma religioso (nel testo si fa riferimento a un libro sacro che viene definito come il Corano, sembrerebbe leggersi tra le righe già a quei tempi una critica all'estremismo musulmano). Esilarante quando fa spegnere un incendio scoppiato nel palazzo della regina facendo urinare Gulliver dall'alto della sua possenza (viene in mente la canzone di Dalla Se io Fossi un Angelo), una soluzione, pur se efficace, reputata altamente offensiva al punto da valergli la condanna a morte. Anzi no, alla cecità perché in fondo il sovrano è un magnanimo tanto da pretendere un gesto di riconoscimento del gigante così da indurlo a sottoporsi spontaneamente alla disposizione permanente del proprio organo della vista.  La fuga da questo mondo sarà la salvezza di Gulliver passato da oggetto alieno a eroe nazionale e infine a ingombrante minaccia da togliere di mezzo. Una fine propria, del resto, a tutti gli eroi.

Da un punto di vista narrativo, l'avventura di Lilliput è quella più coinvolgente, tuttavia la verve satirica dello scrittore irlandese emerge in modo prepotente con i successivi tre racconti. Swift non tarderà, del resto, nel farsi conoscere quale "penna temibile e caustica". Nella successiva avventura a Brobdingnag, Gulliver si trova in una situazione diametralmente opposta a quella di Lilliput. Questa volta è lui l'essere di pochi centimetri, mentre tutto il resto è gigante. Sembra di rivivere l'avventura che caratterizzerà il protagonista di 3 Millimetri al Giorno di Richard Matheson. Il passaggio tra le due avventure delinea quindi I Viaggi di Gulliver quale antologia delle diverse prospettive, un modo per indurre il lettore a pensare e a calarsi nelle diverse situazioni al fine di cercare di comprendere ciò che è veramente giusto. Gulliver diviene una sorta di animale domestico che deve divertire gli uomini e che deve ballare allo sfinimento per loro, un po' come l'uomo fa con certi animali (si pensi ai cavalli). "Il padrone, che cominciava a rendersi conto di quali guadagni gli avrei procurato, decise di portarmi a fare il giro delle città più importanti del regno... ero stato sottoposto a una vita così massacrante che la mia salute era seriamente minata per lo strapazzo di dover divertire la marmaglia a ogni ora." Dunque il tema dello sfruttamento, ma anche una diversa altezza in cui vivere e che trasforma animali come topi e gatti quali mostri con cui combattere per aver salva la vita.
Swift pensa a tutto, rende i suoni di Brobdingnag paragonabili a boati (contrapposti alla silente voce dei micro-abitanti di Lilliput) e presenta i volti dei giganti alla stregua di visioni effettuate dalla lente di un microscopio con le imperfezioni della pelle e la presenza di parassiti che rendono abominevole, agli occhi di Gulliver, la vista di questi esseri. "Lo spettacolo più ripugnante era costituito dai pidocchi che brulicavano sulle loro vesti, tanto più che vedevo questi insetti distintamente mentre grufolavano con i grugni porcini, molto meglio di quanto si possa studiare al microscopio i pidocchi europei.
Al di là della componente fantastica comuqnue curata, ciò che veramente interessa all'autore è trovare il pretesto per parlare della sociologia a lui contemporanea e metterla a confronto con quella dei mondi fantastici. Già dal secondo racconto inizia a prendere piede in modo spiccato il trattato socio-psicologico che diventerà sempre più prevalente nelle due successive storie. Ogni occasione è buona per sparar contro ai vizi della natura umana e all'atteggiamento egoistico proprio dei politici ("un primo ministro sa usare la lingua per tutto meno che per esprimere quello che pensa; non dice mai la verità o se la dice la fa passare per una menzogna"), dei nobili (presentati come uomini deboli, malaticci frutto di rapporti incestuosi), avvocati ("corporazione che si è creata un proprio gergo incomprensibile ai comuni mortali, nel quale redige le proprie leggi che cerca in tutti i modi di moltiplicare, fino al punto che il vero è indistinguibile dal falso, il giusto dall'ingiusto"), medici e soldati ("mestiere più nobile è quello di un soldato, il quale viene pagato per uccidere a sangue freddo quanti più simili gli è possibile senza che questi gli abbiano fatto nulla"). Swift spara a zero, senza mezze misure e senza speranze in un pessimismo che vede poco di buono. I governatori di Brobdingnag evidenzieranno al protagonista quanto il suo mondo ormai si sia deteriorato nella corruzione. Da questo punto di vista Swift arriverà ad anteporre, con l'ultimo dei quattro racconti, i cavalli all'uomo (mostrato alla stregua di una bestia scimmiesca, dispettosa, sporca e vorace proprio come a noi appaiono i maiali), in quanto creature pure che non conoscono la menzogna e non si lodano delle proprie virtù non avendo secondi fini o malizie funzionali a strappare vantaggi. Sempre in quest'ultimo racconto Swift continua a giocare sulle prospettive. Ribalta il rapporto uomini-cavalli e rende i secondi le creature dominanti. La componente narrativa si assottiglia a favore dello studio sociologico del mondo degli Houyhnhnms, cioè i cavalli parlanti che hanno assoggettato l'uomo (gli yahoo) a un essere schiavo e inferiore. Swift sfrutta la questione per condannare, più che la società della sua epoca come mi è capitato di leggere in svariati commenti, la razza umana in toto e al di là dei periodi storici. In altre parole lo scrittore irlandese sposa le teorie del quasi contemporaneo Thomas Hobbes e del suo concetto homo homini lupus. L'uomo, caratterizzato quale una bestia che si difende cacando addosso ai nemici (alla stregua di una puzzola), è un essere abietto, che attacca i propri simili per avere la supremazia in un gruppo. Un qualcuno che non è assoggettato ai principi basilari dell'onore, della giustizia, della temperanza, della verità, dell'amicizia e della benevolenza, ma una creatura capace di sfruttare quel poco di ragione solo per moltiplicare i vizi e conseguire vantaggi propri e non collettivi. Gli yahoo rappresentano dunque la forma embrionale della natura umana che non può che portare, in una società maggiormente sviluppata, alla guerra e alla distribuzione squilibrata delle risorse in favore del più forte. Aspetti questi ultimi che sono estranei ai cavalli e che sono sempre di moda pure tre secoli dopo la scrittura del romanzo (altro che critica alla societa inglese del settecento). Il gioco delle diverse prospettive induce Gulliver a una sorta di auto-analisi che lo porta a discostarsi dalla razza umana, a reputarla un atroce scherzo di natura, quasi un essere del creato macchiato da un peccato tale da farne una creatura malevola. "Quando una creatura che pretende di essere razionale è capace di azioni abominevoli, c'è da temere che la corruzione della ragione sia peggiore della brutalità in se stessa" questo scrive Swift e, probabilmente, ne ha ben donde. 

Nella terza avventura prosegue lo studio sociologico un po' come Bulwer Lytton nell'ottecento farà per il suo famoso La Razza che Verrà. La narrazione viene fagocitata dalla descrizione di usi e costumi propri di un'isola volante, tale Laputa, che viene manovrata grazie a un magnete da collocare in modo diverso alla stregua di una cloche di volo. Una trovata questa che, alla lettura odierna, fa subito saltare in mente un'astronave (si pensi al film Dark City di Alex Proyas) e che evidenzia quanto la fantasia dell'autore fosse sviluppata. Gulliver si imbatte con scienziati estraniati dal mondo e interessati ai loro bizzarri e sconclusionati studi (come generare dagli escementi il cibo originario), tanto da non accorgersi di esser traditi dalle mogli ma anche da dover esser accompagnati da dei servi pronti a richiamarli all'attenzione nei dialoghi della vita comune. Swift critica in questa fase della raccolta la scienza, la magia e si interroga sul senso ultimo della morte vedendo il concetto cristiano della immortalità come una condanna più che un premio (viene presentata una categoria di highlander). Arriva persino a offrire una diversa lettura della storia, grazie all'evocazione delle anime dei grandi personaggi dell'antichità, e come questa possa venire distorta da chi viene incaricato di riscriverla da governi o da particolari orientamenti politici. La manipolazione delle informazioni, delle leggi e delle parole si conferma un tema centrale dell'opera e proprio dell'ipocrisia umana.


Il congedo di GULLIVER dal paese dominato dai cavalli parlanti.  

L'opera si chiude in una critica sui libri di viaggio, all'epoca genere in voga in Inghilterra. Swift scrive che il fine ultimo di un libro di viaggio è raccontare la verità ("sii sempre fedele alla verità") e non meravigliare il lettore romanzando le avventure, così da dar sfogo alle proprie vanità di scrittore o ai propri gusti personali o, ancor peggio, "piacere al pubblico più rozzo". Una visione questa che, ne siamo certi, non sarebbe certo stata condivisa dal nostro Emilio Salgari Una logica infatti non molto lontata dall'attuale narrativa mainstreaming dei tempi odierni orientata alla vendita più che all'impulso artistico o a quello educativo. L'intento principale di uno scrittore di viaggi, dice Swift, è "istruire il lettore e non divertirlo, in quanto il vero scopo di un viaggiore dovrebbe essere migliorare gli uomini, renderli più saggi e temprarne gli animi con esempi buoni e cattivi." Scopo dunque nobile che Swift, a nostro avviso, raggiunge in pieno pur spostando l'angolo di studio dalla mera descrizione dei fatti alla loro analisi allegorica. 


I Viaggi di Gulliver è dunque un'opera fondamentale, a mio avviso, fin troppo superficialmente "declassata" al rango di "narrativa per ragazzi". Costituisce difatti una tappa fondamentale per lo sviluppo della narrativa fantastica con la F maiuscola. Un'opera scritta in modo  scorrevole, specie se consideriamo che è stata scritta nel 1726. Poco importa se il ritmo è talvolta rallentato dalla minuziosa descrizione di usi e costumi, quello che resta è la satira e soprattutto l'introspezione umana operata da Swift, centrale rispetto alla narrazione vera e propria (fa forse eccezione l'avventura di Lilliput). Swift gioca sulle prospettive, sul voler far ragionare il lettore dai diversi punti di vista, ivi compresi quelli degli animali. Il tutto è legato all'obiettivo di mettere in campo una feroce (non certo scorretta o estremizzata) analisi della società e, da ultimo, della natura dell'uomo. L'autore raggiunge lo scopo in modo trasversale, e giammai propagandistico, a beneficio di quella verità che richiama a fine opera quando parla del fine ultimo di uno scrittore. "Non prendo partito per nessuno, ma scrivo sempre scevro da passioni, pregiudizi o malevolenza nei confronti di chicchessia, come di qualsiasi gruppo di persone. Scrivo per perseguire il più nobile degli scopi, che è quello di informare e istruire il prossimo, e credo senza offendere la modestia di eccellere." Viene dunque usato lo strumento della satira per intavolare quella che è, a tutti gli effetti, una sentenza di condanna ai danni della società umana così come si è sviluppata. "Le leggi sono spiegate, interpretate e applicate in maniera ineccepibile da quanti hanno interesse e abilità nel pervertirle, confonderle ed eluderle". La finzione e la strumentalizzazione ordunque quali strumenti di massima ipocrisia per dar vita a un mondo corrotto in mano a poteri forti in perenne contrasto tra loro al fine di trovare fragili equilibri sempre pronti a rompersi per rivolte funzionali, a loro volta, a ricreare ordini iniqui con la promessa della libertà e della giustizia. Su I Maestri della Letteratura fantastica si legge: "Considerare Swift un umorista o un satirico eccezionale sarebbe un limitarlo in modo eccessivo. Swift è uno scienziato e un iniziato, scrive in un linguaggio segreto, si esprime secondo la cabala fonetica, il suo è un messaggio che meriterebbe di esser accuratamente analizzato sotto la luce dell'ermetismo, perché così facendo ci si accorgerebbe che Swift era doppiamente geniale."

JONATHAN SWIFT


"C'erano delle persone istruite fin da giovani nell'arte di dimostrare, con la moltiplicazione delle parole inutili, che il bianco è nero o il nero è bianco a seconda del desiderio di chi paga: tutti gli altri sono al loro cospetto degli schiavi."

"Un trono non si regge se non nella corruzione, mentre il carattere sobrio, serio e aperto del virtuoso è una palla al piede per gli affari di stato."

giovedì 7 dicembre 2017

Recensione Cortometraggio LION di DAVIDE MELINI.



Produzione: Luca Vannella ("Avengers", "Thor", "Harry Potter", "Apocalypto", "In the Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick"), Alexis Continente ("Assassinio sull'Orient Express", "Transformers: The Last Knight", "Thor"), Vincenzo Mastrantonio ("Titanic", "Moulin Rouge", "La passione di Cristo", "Romeo + Giulietta"), Bobby Holland Hanton ("Il cavaliere oscuro - Il ritorno", "Game of Thrones: Il trono di spade", "Assassin's Creed", "007 - Quantum of Solace"), Ferdinando Merolla ("Troy", "Gangs of New York", "Hannibal Lecter - Le origini del male"), Roberto Paglialunga.
Anno: UK, Italia e Spagna, 017.
Regia e Sceneggiatura: Davide Melini.
Genere: Horror.
Colonna sonora: Francesco Tresca.
Fotografia: Juanma Postigo.
Montatore: Daniel Salinas.
Interpreti Principali: Pedro Sánchez, Michael Segal e Tania Mercader
Durata: 11 minuti circa.

Commento di Matteo Mancini
A distanza di sette anni da La Dolce Mano della Rosa Bianca (2010), sembra ieri, ho di nuovo l'onore e il piacere di presentare un corto dell'amico DAVIDE MELINI, con cui ci sentiamo dai tempi dei suoi debutti con The Puzzle (2008). Sette anni sono un periodo enorme, un periodo in cui i miglioramenti devono esser palpabili specie per chi, come Davide, viene da una serie di collaborazioni da assistente alla regia di importanti serial quali l'horror anglo-americano e irlandese Penny Dreadful (2016) con attori come Josh Hartnett (lo ricordiamo, tra gli altri, in Pearl Harbor e in svariati film di Robert Rodriguez) o Eva Green (nomination ai Golden Globe quale migliore attrice protagonista nei serial televisivi ottenuta proprio con questa serie) o quali il serial americano Into the Badlands (2016) infarcito di diverse star del serial televisivo a stelle strisce. Esperienze dunque importanti che hanno portato il regista romano, partito dall'Italia e poi costretto a ripiegare a Malaga per proseguire nel suo sogno, a respirare aria di grande cinema. Un palcoscenico che gli ha permesso di allestire una squadra, tra cugini e amici, che in produzione vanta un curriculum da paura, specie in certi contesti. Sei coproduttori a rappresentare tre stati con titoli che sintetizzano buona parte dei maggiori successi internazionali firmati HOLLYWOOD.
Non c'è comunque da pensare che sia stato facile per il regista portare in fondo questo progetto, concepito e girato a stretto giro di posta rispetto al precedente Deep Shock (2017), omaggio allo spaghetti thriller. Per portare a termine i suoi progetti Davide Melini ha dovuto sudare, lottare, tra defezioni di attori e problemi organizzativi, al punto di veder quasi naufragare i progetti e di dover riorganizzare il tutto sperando in un miracolo (mai perdere la fede, specie se è quella d'oro matrimoniale). Alla fine però è riuscito a ritornare alla regia da primo protagonista, facendo man bassa di premi e di selezioni. Il suo Lion, al momento, conta qualcosa come 40 vittorie e 43 nominations (fonte imdb) in giro per il mondo da Hollywood a New York, per proseguire a Londra, passando per la Spagna, selezionato al prestigiosissima selezione del David di Donatello 2018 e non dimentichiamoci della fredda Mosca.

Lion vuole essere una denuncia, pensiamo di poter dire, alle violenze che avvengono all'interno del nucleo familiare, in particolare ai danni dei bambini. Protagonista è il piccolo Pedro Sanchez (al debutto), un bambino di nome Leon che ha la fissazione per i leoni e che cerca di evadere da una triste realtà che lo vede preda degli insulti e delle violenze di un padre ubriacone (interpretato dal "prezzemolino" Micheal Segal, attore simbolo in cortometraggi di genere). Il sogno dunque, incarnato da un pupazzetto di un leone da stringere al petto, pensando al re degli animali, il compagno di tanti pomeriggi passati davanti alla tv in documentari che riprendono le sue gesta nella selvaggia savana. I bambini, lo si sa, sono attratti dagli animali, il sottoscritto, per inciso, riuscì a farsi regalare un'intera enciclopedia dedicata agli animali passando ore e ore davanti a quark o alle videocassette, e Leon non fa eccezione. Il leone, dunque, diviene simbolo e mezzo attraverso il quale operare il riscatto, una soluzione disperata e unica per chi, piccolo, non può ribellarsi o sottrarsi alle violenze di adulti ingiusti e severi oltre i limiti giustificati da finalità educative. Una situazione dove nessun può o vuole sentire le lamentele e dove solo il trascendente può arrivare a riprestinare l'ordine (proprio come nella savana del famoso Kimba).

E allora ecco che il Leone viene a materializzarsi davvero, richiamato da un piccolo che ha la fortuna di venire ascoltato dall'oggetto dei suoi sogni pronunciando una semplice frase che passa inosservata da tutti, meno uno. L'incubo, o forse il sogno di vendetta, ha inizio. Melini porta in scena il re della foresta con un riuscito ed evidente omaggio a Demoni 2 di Lamberto Bava, non a caso la frase lancio del corto è: "Il Demonio ha un nuovo volto." Non è però il cinema la dimensione da cui esce la bestia, ma la televisione vera e propria, intesa quale la programmazione giornaliera. Melini gioca infatti con un riuscito bilanciamento tra realtà e finzione televisiva con un montaggio serrato che ha del metatelevisivo e che vede il leone passare dalla dimensione televisiva a quella reale, sfidato e incitato dal padre del ragazzino (bravo Segal) che prende a inveire contro il televisore in un testa e testa che sembra evocare lo scontro bus vs bus in Danko. Un gioco, questo, che permette a Melini di piazzare omaggi in qua e in là. Si vedono infatti immagini di Psyco di Hitchcock ma anche di fatti di cronaca sportiva o di politica (appare persino Donaldone Trump). Tensione gestita in modo magistrale e amalgamata con un tocco poetico che porta in equilibrio il rapporto tra violenza e pace (cosa per nulla facile). In particolare sono bellissime le inquadrature sul leone, demone dalla bellezza statuaria di un angelo ribelle proveniente da un'altra dimensione per liberare il piccolo dalla violenza.
La sceneggiatura, dello stesso Melini, è semplice, votata all'essenziale. Pochi dialoghi, durata limitata. E' la componente visiva a fare la differenza, esaltata dalle scenografie esterne (uno chalet isolato in una foresta innevata a richiamare, chissà, Shining) e da effetti speciali che reggono sempre pur essendo costretti a rappresentare in scena un leone. Bene anche gli effetti sonori, fondamentali per un corto del genere. Accattivante e visivamente eccezionale l'intro, che tuttavia sembra introdurre un film di fantascienza con il leone rappresentato quale elemento astrologico. Non so quanto calzante al resto, di certo un gran bel vedere.

Che altro dire...? Melini, a nostro avviso, è pronto al grande salto nel mondo dei lungometraggi, evenienza che gli auguriamo di gran cuore. Lion è un cortometraggio raffinato, pulito, con una bella fotografia, buone interpretazioni e sprazzi visivi eccelsi. Non avrà una sceneggiatura forte, ma la sua figura di certo non latita e non latiterà a farla. Atteso, tra i numerosi festival, anche al FI-PI-LI 2018 (lo cito, essendo un festival di casa di questo recensore).

Alcune informazioni utili a chi voglia approfondire:

Pagina IMDB: http://www.imdb.com/title/tt5480036/?ref_=nm_ov_bio_lk5
Pagina web ufficiale: http://davidemelini.com/LION
Facebook: https://www.facebook.com/Lion-Film-982262008522129/
Twitter: https://twitter.com/Lion_Film2017

PREMI E NOMINATIONS (al giorno d'oggi, il corto ha vinto ben 42 premi, li troverete mimetizzati nel testo):

"LION" IS AN OFFICIAL SELECTION AT THE PRESTIGIOUS "DAVID DI DONATELLO 2018"
- Morningstar Cine Festival 2017 (New York, United States): Best Film, Best Director, Best Production, Best Actor (Pedro Sánchez), Best Actress; Best Visual Effects, Best Makeup.
- Los Angeles CineFest 2017 (Los Angeles, United States): Official Selection.
- Hollywood International Moving Pictures Film Festival 2017 (Los Angeles, United States): Best Horror Film.
- 12 Months Film Festival 2017 (Cluj-Napoca, Romania): Best Film, 2nd Audience Award.
- Los Angeles Film Awards 2017 (Los Angeles, United States): Best Fantasy Film, Best Visual Effects.
- Barcelona Planet Film Festival 2017 (Barcelona, Spain): Best Director.
- Gold Movie Awards 2017 (London, United Kingdom): Best Actor Under 18 (Pedro Sánchez).
- London Independent Film Awards 2017 (London, United Kingdom): Best Horror/Thriller/Sci-Fi Short.
- L.A. Short Awards 2017 (Los Angeles, United States): Best Horror Film, Best Director.
- Independent Horror Movie Awards 2017 (United States): Best Director.
- Fangofest Amposta 2017 - Festival Internacional de Cine Fantástico, Terror y Gore de Amposta Amposta (Tarragona, Spain): Official Selection.
- Lake View International Film Festival 2017 (Moga - Punjab, India): Official Selection.
- European Cinematography Awards 2017 (Warsaw, Poland): Best Visual Effects.
- Eurasia International Monthly Film Festival 2017 (Moscow, Russia): Official Selection.
- Top Shorts 2017 (Los Angeles, United States): Best Horror Film, Director's Honorable Mention.
- Mindie - Miami Independent Film Festival 2017 (Miami, United States): Official Selection.
- Festigious International Film Festival 2017 (Los Angeles, United States): Best Horror Film, Best Young Actor (Pedro Sánchez).
- Five Continents International Film Festival 2017 (Puerto La Cruz, Venezuela): Best Horror Film, Best Visual Effects, Best Makeup.
- Oniros Film Awards 2017 (La Thuile, Italy): Best Fantasy Film, Best Young Actor (Pedro Sánchez).
- Edmonton Festival of Fear International Film Festival 2017 (Edmonton, Canada): Official Selection.
- Italian Horror Show 2017 (Latina, Italy): Official Selection.
- Fear Fete Horror Film Festival 2017 (Biloxi, United States): Official Selection.
- Upstate NY Horror Film Festival 2017 (New York, United States): Official Selection.
- Feel The Reel International Film Festival 2017 (Glasgow, Scotland): Official Selection.
- Hollywood Hills Awards 2017 (Los Angeles, United States): Best Supernatural Thriller.
- Horror Online Art 2017 - Festival Internacional de Cine Fantástico y de Terror de Navarra (Pamplona, Spain): Official Selection.
- Hollywood Film Competition 2017 (Los Angeles, United States): Best Horror Film.
- Cine Horror Bahia 2017 (Salvador, Brazil): Official Selection.
- Pop Ninja HorrorShort Film Festival 2017 (Lake Charles, United States): Official Selection.
- Los Angeles Independent Film Festival Awards 2017 (Los Angeles, United States): Best Production, Best Visual Effects.
- Niaffs 2017 - Noidentity International Action Film Festival Spain (Seville, Spain): Official Selection.
- S.O.S. Indie Horror Film Festival 2017 (Wheelersburg, Ohio, United States): Official Selection.
- Rincofest 2017 - Festival de Cortos de Terror, Scifi y Fantástico de la Rinconada (Seville, Spain): Official Selection.
- Tenebra Film Festival 2017 (Guadalajara, Mexico): Official Selection.
- American Horrors Film Festival 2017 (Lake Geneva, Wisconsin, United States): Official Selection.
- Obscura Film Festival 2017 (Berlin, Germany): Official Selection.
- L'Aquila Horror Film Festival 2017 (L'Aquila, Italy): Official Selection.
- Aab International Film Festival 2017 (Moga - Punjab, India): Best Film.
- Festival Cine Animal Bogotá 2017 (Bogotá, Colombia): Honorable Mention.
- Terror Córdoba Festival Internacional de Cine de Terror y Fantástico 2017 (Córdoba, Argentina): Official Selection.
- Muestra de Cortometrajes de Terror 2017 (Marbella, Spain): Official Selection.
- Cinecittá World Horror Show 2017 (Rome, Italy): Official Selection.
- Anatomy: Crime - Horror International Film Festival 2017 (Athens, Greece): Official Selection.
- Mediterranean Film Festival 2017 (Siracusa, Italy): Best Horror Film.
- New York Film Awards 2017 (New York, Unites States): Honorable Mention for Actor (Michael Segal), Best FX.
- AFC Global Fest (Kolkata, India): Official Selection.
- Diabolical Horror Film Festival 2017 (San Francisco, United States): Official Selection.
- Zed Fest Film Festival (Los Angeles, United States): Official Selection.
- Los Angeles Horror Competition 2017 (Los Angeles, United States): Best Film, Best Director, Best Visual Effects.
- Smallmovie Festival 2017 (Calcinaia, Italy): Official Selection.
- Top Indie Film Awards 2017 (Manchester, United Kingdom): Best Sound.
- The Lost Sanity Horror & Sci-Fi Film Festival 2017 (Temecula, United States): Official Selection.
- Genre Celebration Festival 2017 (Shanghai, China): Official Selection.
- Global Film Festival Awards 2018 (Los Angeles, United States): Official Selection.
- North American Film Awards (United States): Best Editing.
- Bloodstained Indie Film Festival (Shanghai, China): Official Selection
- Los Ángeles SR Film Festival (Los Ángeles de San Rafael, Spain): Official Selection (December 8th)
- International Short Film Festival Beveren (Beveren, Belgium): Official Selection (December 10th).
- The European Independent Film Award 2017 (Paris, France): Official Selection (December 23rd, 2017).
- Russian International Horror Film Awards 2018 (Moscow, Russia): Official Selection (March 25th, 2018).

DAVIDE MELINI, a sx, pronto al ciak
con l'onnipresente MICHAEL SEGAL
(Bravi ragazzi).

sabato 2 dicembre 2017

Recensione Narrativa: DER ORCHIDEEN GARTEN, Autori Vari.



Autore: AA.VV.
Anno: 1919-1921.
Genere: Fantastico/Horror.
Editore: Edizioni Hypnos, 2016.
Pagine: 260.
Prezzo: 20 euro.

A cura di Matteo Mancini.
La piccola Edizioni Hypnos torna sulla cresta dell'onda costituita dalla grande narrativa fantastica, proponendo una perla di eccezionale rarità che dir imperdibile per tutti gli studiosi e gli estimatori del genere è dir poco.
Uscita nel 2016 per volere di Andrea Vaccaro e del germanista e scrittore Alessandro Fambrini, Der Orchideen Garten è una selezione di brevi racconti che vuol omaggiare e proporre (finalmente) a distanza di quasi cento anni il meglio apparso su quella che è definita, dopo una misconosciuta rivista svedese, la prima grande rivista mondiale dedicata al genere fantastico e orrorifico. Costituita a Monaco, nel 1919, è caratterizzata da 55 fascicoli spalmati in tre soli anni di attività in cui trovano spazio i grandi maestri internazionali del genere (i vari Poe, Kipling, Doyle, Maupassant, Puskin, Andersen, Merimee etc), i contemporanei tedeschi e una serie di interessanti dilettanti che non avranno più altro modo di emergere. Lotto dunque eterogeneo di testi, variabili nei contenuti e impreziositi da disegni e raffigurazioni dei migliori disegnatori di lingua tedesca dell'epoca con Alfred Kubin a emergere su tutti. Uno snodo dunque essenziale per lo sviluppo di un underground culturale, se così vogliamo definirlo, alternativo alla letteratura classica e, soprattutto, fondamentale punto di riferimento per l'ispirazione di successive riviste, come le americane Weird Tales (1923) e Amazing Stories (1926), che detteranno di lì a poco la via per lo sviluppo della narrativa fantastica portandola sempre più alla ricerca di quel sense of wonder che ne sta alla base del successo.

La scelta di Andrea Vaccaro permette così di (ri)scoprire autori ingiustamente depennati dall'elenco dei nomi da tradurre, vuoi per la sirena per molti di loro costituita dal richiamo alle idee nazionalsocialiste (coneguenziale e inevitabile onta di autori maledetti da evitare e da considerare socialmente pericolosi) vuoi per la maggiore propensione da parte delle case editrici di tradurre autori anglo-americani o francesi. Eppure scrittori del calibro di Karl Hans Strobl, e non solo lui, meritavano la doverosa riscoperta e riproposizione. Ennesima lode quanto mai meritata (e giammai sviolinata) alla HYPNOS sempre all'avanguardia in queste iniziative che dovrebbero fungere da esempio anche per le altre case editrici, specie quelle più grosse. E' proprio la presenza di Strobl, presente con tre racconti, il motivo che mi ha spinto a scoprire prima (ennesima segnalazione dell'amico Cesare Buttaboni) e comprare poi questo volume. Strobl, una delle due anime della rivista (insieme a quella del ceco Alf von Czibulka), in particolare denota un lirismo e una padronanza linguistica che sfiora il poetico, non a caso viene definito dagli studiosi della letteratura di stampo fantastico una delle punte dell'ideale triangolo germanico costituito dal grande maestro Gustav Meyrink e dall'altro scrittore maledetto con inclinazioni nazionalsocialiste Ewers (io aggiungerei tuttavia anche il ceco Perutz in questo lotto). A differenza però di questi autori menzionati, Strobl era pressoché introvabile in lingua italiana. La speranza è che la Hypnos, così come fatto per la Mandragora di Ewers, possa proporre qualche suo romanzo, oltre ai tre racconti qua inclusi.

Der Orchideen Garten, che è anche il nome della rivista, non è solo Strobl e Czibulka. Fambrini, come giusto che sia, taglia dalla sua selezione tutti i "nomi noti" e le "guest star internazionali" pubblicate - ci fornisce un elenco esaustivo Walter Catalano nella postfazione - e inserisce una selezione degli scrittori tedeschi dell'epoca e degli amatori pubblicati sulle pagine della storica rivista. Ne viene fuori un prodotto molto eterogeneo per stili e soprattutto per tematiche in cui spiccano, evidenti, le differenze con la narrativa anglo-americana. Gli scrittori tedeschi puntano meno sul sense of wonder e sull'occultismo, legano le loro storie alla realtà e giocano tutto sulla fortissima componente macabra (marcatissimi richiami a Edgar Allan Poe) o, in alternativa, al divertissement in cui ci si prende gioco dei generi (soprattutto la detective story) o della scienza (vuoi che sia medica o che interessi le più recenti scoperte). Non mancano tuttavia alcune opere che, pur partendo dal realismo, finiscono nel maelstrom onirico che ascende a caratteristica priminente, mentre sono rari i contributi erotici o soprannaturali. A livello di stile prevale il taglio raffinato, talvolta ricercato, che si contrappone a testi di maggior presa popolare e lineare (di solito quelli di natura grottesco-satirica). Questa in sintesi la natura dei venti racconti proposti, tutti assai brevi (il più lungo è di circa sette pagine), per sedici autori.

Così vediamo focalizzare l'attenzione degli scrittori sul tema della necrofilia. Se Karl Strobl opta con Il Maestro Jericho per un'atmosfera che sembra evocare le migliori parti del Dracula di Stoker (si pensi a quelle ambientate nel cimitero con Lucy), con un profanatore di tombe seriali che asporta cuori alle vittime per rendere migliore la musica suonata dal proprio organo, Hans Meixner miscela il tema alle convinzioni fisiognomiche portate in auge da Cesare Lombroso a fine ottocento. In questo secondo racconto, intitolato Il Cervello, un serial killer di donne incinte diviene, suo malgrado, protagonista della morte della moglie di un primario colpevole di aver asportato parte del cervello dell'uomo e averlo condotto a casa per poterlo studiare. Precognizione e destino già scritto si confondono alle circostanze casuali.
Ancora la necrofilia al centro del paranoico racconto di A.M. Frey, Il Bottino. Qua abbiamo protagonista un ex soldato che ha combattuto nella grande guerra e che non riesce a liberarsi dal rimorso di aver ucciso persone, cercando scuse per giustificare la propria condotta. Un rimorso che prende presto la forma delle vittime ritornate a scrutarlo nella fredda stanza di un abbaino in cui vengono scaricate da un losco figuro. "Potevo fare altrimenti? E' vero, avevo pontificato che non avrei mai sparato sugli esseri umani, ma poi mi ci hanno costretto. Mi hanno costretto... Non ero autorizzato a farlo? Non ero obbligato? Avete ragione. Non avrei dovuto uccidere. Sono stato un infame, ho rotto il mio giuramento, ho fatto violenza a me stesso, sono un criminale. Avevo la grazia di riconoscere ciò che è bene e ciò che è male... Da codardo avrei trovato una morte ingloriosa, ma avrei dato coraggio a coloro che si sono trovati sulla mia strada. E se in cento si fossero rifiiutati di uccidere, come me, si sarebbero rifiutati in mille. E se in mille si fossero opposti, diecimila li avrebbero seguti. E il mondo sarebbe meno bagnato di sangue, e il buon seme sarebbe stato seminato nel mondo..." Dunque un messaggio di pace che passa per un onirico racconto con punte macabre di grosso impatto (assai truce), per mezzo di un onirismo malato e visionario che lo rende tra i migliori racconti del lotto. Bel pezzo davvero. Un elaborato in cui le allucinazioni, alimentate dal rimorso di aver sposato la violenza in luogo della pace, si sovrappongono alla realtà conducendo alla pazzia il povero protagonista.
Spicca di nuovo la necrofilia ne Il Pianoforte Elettrico di Leonhard Stein, uno dei pochi racconti dove si respirano quei luoghi comuni cari a una certa cultura tedesca pre-hitleriana. Un imprenditore polacco di origine ebraica amputa le mani del celebre pianista che ha ingaggiato, morto prima dell'ultimo spettacolo concordato, per far suonare le stesse per un'ultima volta. La trovata è necessaria per non perdere i soldi investiti e vincere la scommessa con un assistente in grado di leggere il futuro nelle mani degli uomini.
Fin qui la natura fantastica è latente, gioca soprattutto sulle allucinazioni o sul fortissimo elemento macabro. Cominciano a cambiare le cose col classicheggiante Il Castello Valnoir di Ernst Scupin, un gotico con riuscite punte di un velato erotismo sadico. Anche qua si respira aria di Dracula di Bram Stoker, penso alla parte iniziale in cui Harker giunge al castello del Conte. Nell'occasione abbiamo una variante femminile del principe della tenebre, in una storia in cui la realtà si confonde con il sogno (ancora una volta si cala la carta onirica piuttosto che la fantastica pura) cercando di modernizzare la tematica con spassosi riferimenti a L'Isola del Dottor Moreau (1895) di Wells. Riuscitissimi i riferimenti agli animali dallo sguardo umano a suggerire chissà quali più assurde arti magiche per intrappolare l'anima umana in animali da cavia. Tra i racconti più interessanti e più "fantastici" con un retrogusto erotico da master femminile & slaves maschili.
Ancora animali dalla natura umana, seppure con stile e soggetto più grossolano, con Gli Esperimenti del Dottor Wiemer di Max Schenke. A differenza del racconto di Scupin, manca la sensazione di esser caduti vittima di un sortilegio. Schenke infatti parte dalla morte, ancora la necrofilia al centro di tutto (un ossessione a quanto pare per il Der Orchideen Garten), per ridare vita in corpi di animali su cui spiccano teste umane parlanti. Pure in questo caso, all'epilogo, l'incubo si sovrappone alla realtà così da rendere difficile discernere ciò che è tangibile con i sensi umani da ciò che è il mero prodotto di un cervello cullato dall'abbraccio del sonno.

Capolavoro, tributo al celebre La Maschera Rossa della Morte (1842) di Poe, Serata di Ballo di Strobl, a mio avviso il racconto più bello dell'antologia, sintesi tra le varie sfumature che possono caratterizzare un racconto del terrore. Onirismo, occultismo, sensazione di esser intrappolati in corpi altrui e rapimento dalla realtà per poi farvi incosapevole ritorno con elementi dell'incubo fatti materia sono gli ingredienti di questo testo. La poesia della penna austriaca crea un connubio tra un amore non più corrisposto, e dunque perduto, e una vendetta articolata quanto maledetta fin dalle prime righe per l'incontro con un rospo (celebre vittima e strumento centrale nei riti di magia nera). Strobl rivisita il racconto di Poe, lo personalizza come un moderno Thomas Ligotti. L'uomo diviene marionetta di un teatro grottesco in cui si trasforma da spettatore a protagonista incapace di opporsi agli ordini di un regista occulto che muove i fili e fa ballare i burattini (come direbbe Edoardo Bennato). Epilogo bellissimo, in puro stile esoterico, con venature degne di un rituale di magia nera, a far sorgere ulteriore curiosità per la narrativa di questo autore fin troppo dimenticato. 

Non c'è solo il macabro tuttavia, lo abbiamo anticipato. Sulle pagine di Der Orchideen Garten si assiste anche a un tentativo di proporre storie fantascientifiche. Ne costituisce un esempio l'avanguardistico Il Viaggio nel Cervello di Helumth Unger, che anticipa di qualche anno il ben più celebre Viaggio Allucinante (1966) di Asimov. Un professore scopre l'infondatezza delle proprie tesi sull'inconscio ritrovandosi protagonista di un viaggio all'interno del corpo umano di un suo paziente. Dal buco in una vena si ritrova a danzare nella materia grigia del suo assistito. Cerca di entrare nel cervello di un paziente anche il protagonista di Morti? di Ernst Karl Juhl, seppur con il metodo tradizionale dell'ipnosi. Se cambia il metodo non muta il risultato finale. Il medico è sconfitto dal paziente che fa saltare le credenze della psichiatria a beneficio di un'illuminazione non ben chiara: e sei i supposti pazzi fossero degli illuminati che conoscono ciò che si cela sotto il velo dell'esistenza?
Altro medico che fallisce è il protagonista della fiaba nera (La Gamba che Cresceva) di Ernst Grau. Qua gioca una molla il narcisismo di fondo che fa perno su un preparato capace di rigenerare arti e organi. Convinto della propria scoperta, il medico si fa amputare una gamba per dimostrare che con un'iniezione del preparato tutto ritornerà come in origine. L'uomo non sa che alcuni colleghi invidiosi hanno cancellato la formula del controsiero necessario per contrastare l'effetto del preparato. Risultato finale...? Un gamba che cresce all'infinito!? In fondo, il medico aveva ragione!

Torniamo alla fantascienza più tradizionale con il discreto 3270 di Otto Stiegele in cui un visitatore dall'anno 3270 da sfoggio in una bar delle doti parapsicologiche raggiunte dall'uomo per accorgersi di aver sbagliato anno di destinazione e di esser finito nel 1920. Ecco perché nessun riusciva a capirlo e comprenderlo... Frustrato, decide di far ritorno al suo mondo lasciando sbigottiti l'astanti al cospetto dei vestiti improvvisamente svuotati della materia che avvolgevano.

Sposa il surreale con una impronta retorica di fondo Czibulka che immagina col suo La Cometa e la Terra la presenza di comete pensanti e tra loro parlanti che si interrogano sulla natura dell'uomo sperando di vederlo evolvere in creatura pacifica. Il passaggio nel 3110 cancella ogni speranza: dopo aver condotto guerre e distruzione sul pianeta terra, l'uomo ha deciso di attaccare Venere!
Altro divertissiment con venature fantascientifiche è il meno riuscito e più criptico Latuk di Karl Eulenburg che propone una visione del mondo in cui i demoni, tramite l'elettricità, dominano e muovono come marionette gli uomini incosapevoli di essere mere pedine di un gioco più grande di loro. Sulla stessa falsa riga La Casa Bianca di Ferdinand Weinhandl (che sembra profetizzare l'avvento degli Stati Uniti quale super potenza mondiale che, grazie al progresso scientifico, spazzerà le potenze dell'Europa avvalendosi degli scienziati della stessa... Fermi ed Einstein erano ancora in Germania e Italia) e il surreale Il Nitrito dei Trasformatori di Czibulka.

Non viene tralasciata la narrativa poliziesca con due gustosissimi testi parodistici (tra i racconti migliori del lotto). Il più evidente è L'Ultima Avventura di Sherlok Holmes (scritto con refuso per ragioni di copyright) siglato da Leopold Plaichinger, in cui il maestro di Baker Street racconta agli amici l'episodio che lo ha portato ad abbandonare la carriera da indagatore: i suoi impulsi inconsci lo han portato a diventare lui stesso un ladro incosciente delle proprie azioni sonnambule. A scoprire tutto lo stesso Holmes, in versione “bello e cattivo tempo“. Nell'altro racconto, Galvanostegia di Hanns Wohlbold, uno scultore realizza un'eccezionale opera d'arte esaltata dal fatto di riprodurre i lineamenti della fidanzata, figlia di un ricco possidente newyorkese contrario al rapporto amoroso tra i due. Lo scultore, d'accordo con la fidanzata, organizza la scomparsa della giovane e fa credere a tutti di averla uccisa e trasformata in metallo attraverso uno speciale processo di “metalizzazione“ da lui stesso inventato. Poco prima dell'esecuzione della pena di morte si scopre che è tutto un imbroglio orchestrto per finalità pubblicitarie. Lo scultore diventa così famoso e ottiene il consenso a sposare la ragazza dal fin lì ignaro genitore.
Ancora Wohlbold è ideatore delle fascinose atmosfere nebbiose de La Metamorfosi di Tobias Humbrugk, in cui, evocando i celebri racconti londinesi di Stevenson, un uomo iniziato alle arti negromantiche da un vecchio olandese e arrendevole al cospetto della autoritaria moglie fa credere alla stessa di esser morto. La donna è infatti convinta che il vecchio mago, deceduto in sua presenza, abbia traslato la propria anima in quella del marito. Un modo come un altro per risolvere, in pace e senza violenza, le liti coniugali. Notevole per il senso del ritmo e l'atmosfera.
Complesso e tutt'altro che lineare La Moneta Bizantina, terzo racconto di Strobl, in cui onirismo e una situazione sospesa tra la vita e la morte divengono teatro di tragedie familiari assai frequenti ai giorni nostri (e forse anche nel primo ventennio del novecento).
Scatenato racconto comico, molto prima delle varie La Macchina Nera e Christine di King, di De Nora che chiude l'antologia mettendo in scena un automobile pensante che fa danni più di Herbie un Maggiolino Tutto Matto (1968). Letto all'epoca sarà di certo passato come stupido, seppur divertente... riletto ora sembra aver fatto scuola da Herbie a seguire, con le cugine più diaboliche come Buick 8 di Stephen King. "E allora accadde qualcosa di straordinario che inaugura una nuova epoca negli annali dello sport automobilistico: la mia auto, tale e quale un cavallo campione nel salto ostacoli, si staccò da terra, superò con eleganza la Daimler e atterrò liscia sulla strada... dopo essersi presa una bella sorsata di benzina dal serbatoio, la mia macchina fa inversione da sola in mezzo alla strada, si mette di fronte all'altra con aria di scherno, lancia dal cofano un minaccioso ghignante oh, oh, oh, dimena la parte posteriore come un coniglio e infine si rimette tranquilla in carreggiata... E via a tutta birra come se corresse in piano..." Avete capito che caratterino? Altro che CARLO ABARTH da Merano... non si offenda Mr Mercedes, sia chiaro,

Questo il contenuto del volume della Hypnos, presentato con una veste grafica assai più accattivante dei volumi consueti dati alle stampe da Vaccaro. Impreziosito da sedici pagine di copertine e raffigurazioni interne, sia a colori che in bianco e nero. Un volume dunque unico che non potete trovare altrove e che merita, anche per questo, l'acquisto, soprattutto perché costituisce uno spaccato della letteratura tedesca di inizio novecento. Lo studio della narrativa fantastica passa anche dalla Germania e Der Orchideen Garten è una delle principali palestre di formazione di scrittori austriaci, tedeschi e cechi. Lunga vita alle Edizioni Hypnos e alle sue promozioni della grande narrativa celata dai veli dell'ignoranza.

Il deprecabile per le scelte politiche
HANS KARL STROBL,
lodevole tessitore di storie macabre,
maestro indiscusso del fantastico teutonico e 
anima della rivista DER ORCHIDEEN GARTEN.


"Noi detective siamo criminali invertiti, compiamo i nostri crimini con la fantasia, l'unica differenza con i veri malfattori è che la nostra coscienza agisce come inibitrice, e non impedisce soltanto la nostra azione criminosa, ma si spende per impedire anche quelle di deviati simili a noi."

martedì 28 novembre 2017

Recensione Narrativa: FIABE STORTE, Autori Vari.



Autore: AA.VV..
Anno: 2017.
Genere: Drammatico - Vita Reale.
Editore: Edizioni Il Foglio.
Pagine: 190.
Prezzo: 14,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Antologia collettiva infarcita di nuove proposte del pisano agli ordini di Federico Guerri, apprezzato scrittore presentato al Premio Strega 2015, data alle stampe in occasione del Pisa Bookfestival 2017 quale "primavera", se vogliamo, del parallelo progetto L'Altra Metà di Pisa - Racconti Neri Ambientati nell'Area Pisana in cui trovano sfogo scrittori di maggiore esperienza.
Il volume nasce, da quel che ho capito, quale sbocco finale di un cammino avviato nell'ambito di un laboratorio di scrittura creativa denominato "la cassetta degli attrezzi dello scrittore" che ha coinvolto molti giovani scrittori per un totale di tredici racconti. Iniziativa lodevole dunque, ben resa da una cura del testo che non ha niente da invidiare alle antologie di scrittori affermati.
I tredici racconti sono tutti assai scorrevoli e prendono le mosse, molto alla lontana, da celebri fiabe che tutti noi conosciamo, rielaborate ma soprattutto contestualizzate alla vita di tutti i giorni in quel di Pisa. Guerri e soci infatti hanno deciso di sfruttare le location del comune di Pisa - Marina di Pisa e Tirrenia comprese - per mettere in scena il campionario fatato che popola l'immaginario collettivo dell'infanzia di ogni ragazzo o ragazza. Al di là del sicuro talento degli scrittori, bravi a gestire i tempi di narrazione (e soprattutto da incentivare in questa loro passione), si respira un'aria da trovata commerciale, se mi concedete il termine. Il curatore, penso si debba ascrivere a lui la scelta relativa alla piega da dare alle storie, decide di parlare di "Fiabe storte", vuoi per il fatto dell'ambientazione facilmente individuabile con la torre pendente (e da qui storta), vuoi per gli epiloghi spesso crudeli e drammatici (da qui storti rispetto a quanto di solito avviene nelle fiabe per bambini), per poi proporre un lotto di racconti dove il c.d. sense of wonder così come il contenuto allegorico tipico di un certo genere narrativo (come appunto quello delle fiabe, vuoi che siano favole vuoi che siano nere) sono del tutto assenti. Curioso rilevare come l'unico vero racconto dove si respira a pieni polmoni aria "fantastica" sia proprio quello di Federio Guerri, con un elaborato ai limiti dell'horror con venature erotiche molto interessanti.

Ne viene fuori un progetto finale che è piuttosto fuorviante per un potenziale acquirente all'oscuro di quanto sta per acquistare, specie se si considera la copertina scelta del tutto in linea ai gusti di un pubblico di giovanissimi a cui non credo debba esser destinato questo testo. Non essendo presente il sense of wonder infatti si viene a creare un qualcosa da destinare a un pubblico diverso da quello ricercato con l'immagine di cappuccetto rosso in bella mostra a fianco della torre pendente. Fiabe Storte è un'opera dalla forte portata drammatica, con alcune storie crudeli (badate bene, non violente o truculente) nel senso realistico del termine, che ha un marcato legame, più che col mondo fantastico delle fiabe, con la realtà di tutti i giorni. In altre parole il lettore si trova al cospetto di un "collage" di situazioni che ben si possono respirare in città, con il carico di difficoltà cui vanno incontro gli studenti fuori sede, piuttosto che i clochard da strada con i loro fantomatici racconti di una vita passata o ancora gli adolescenti al cospetto con la maturità o piuttosto che con la confusionaria movida che vivacizza le estati della vita notturna pisana.

Un altro aspetto che ho notato, spesso e volentieri (non riguarda tutti i racconti), è la tendenza a non sfruttare i finali con trovate quanto meno spiazzanti o comunque tali da ribaltare quanto fin lì letto. Caso emblematico, sotto questo profilo, è il testo di Francesca Germanà che riesce a creare, con l'ingresso nell'orto botanico, un'atmosfera da fiaba e poi si perde in un finale senza arte né parte. Gli autori tendono a narrare storie che hanno uno sviluppo lineare, su un unico livello di lettura, quando invece avrebbero potuto sfruttare maggiormente la magia creativa. E' pur vero che in più di un'occasione la lettura suscita emozioni di tristezza o comunque di malinconia (molto bello sul piano poetico, a questo riguardo, il racconto di Matteo Romani), ma a mio avviso si poteva fare di più (vuole essere una critica costruttiva e non una bocciatura). Fa eccezione, in parte, relativamente agli epiloghi, l'atmosfera magica evocata da Luca Pappalardo con il protagonista che sembra quasi veder materializzare nelle ombre della città la fantomatica donna con gli stivali che da una parte concede (fortuna) e dall'altra toglie e che è stata al centro del racconto di un misterioso clochard.
Lodevolissima, per la gestione della storia e la fluidità dell'elaborato (non che gli altri non abbiano questi pregi, perché su questo aspetto l'antologia è riuscita), la caustica Sara Tirabassi. Il suo racconto è forse, sul piano strutturale, quello maggiormente coinvolgente con un personaggio che è più volte sul punto di soccombere e poi passa dall'altro lato del bancone, se così possiamo dire. Da studente sfigato a professore, il tutto con pregiudizio altrui in un'ottica in cui l'egoismo viene alimentato e incentivato dalla società stessa.
Bel ritmo anche nel racconto di Andrea Gemignani che ricostruisce una Pisa sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale in bello stile, pur se con contenuto latente sul piano innovativo.

Chiudo con un elogio per la veste formale dei racconti, ben presentati e curati, e soprattutto con un incoraggiamento a tutti gli autori che, lo ripeto, dimostrano qualità su cui lavorare. Col soggetto giusto, e per giusto intedo voler dire dotato di spunti innovativi e fantasiosi, ognuno dei dodici può benissimo fare la sua figura al cospetto di chiunque, poiché Fiabe Storte mette in sicura luce le qualità di narratori di ognuno dei dodici scrittori proposti. Ho detto dodici perché Guerri non si scopre adesso... ma qui sotto...!

Il "coordinatore del progetto"
FEDERICO GUERRI.

"In ogni luogo, in ogni persona, ci sono due cose. C'è una vetrina: un angolo perfetto che sembra un plastico messo insieme dal migliore architetto della galassia, con un grande prato verde dove tutti reggono la torre pieni di felicità, meraviglia e gratitudine verso il mondo. E poi c'è Pisa.

domenica 19 novembre 2017

Recensione Saggi: PIERINO CONTRO TUTTI di Gordiano Lupi.



Autore: Gordiano Lupi.
Anno: 2017.
Genere: Saggio Cinematografico.
Editore: Edizioni Senso Inverso.
Pagine: 60.
Prezzo: 12,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Coraggiosa disamina sull'intera produzione cinematografica incentrata sull'irriverente e sboccata figura di Pierino, lo studente ripetente dalla battuta tanto facile quanto volgare e dagli irreplicabili voti scolastici. Un materiale dunque assai di nicchia, vuoi per le sceneggiature sfilacciate spesso costituite da una lunga serie di barzellette incollate alla bene meglio, vuoi per la pochezza dei contenuti spesso orientati su un versante erotico pruriginoso. Poco importa ricordare che il film che dette il là alla serie nel 1981, Pierino Contro Tutti di Marino Girolami, riuscì nell'impresa di incassare circa nove miliardi, lasciando basito un maestro del calibro di Sergio Leone (il quale già odiava Trinità, figurarsi il Pierino di Vitali), perché simile risultato non fu neppure lontanamente lambito da tutti i successivi e ripetitivi episodi. Un insuccesso che non può che rischiare di riflettersi anche su un volume interamente dedicato alla serie.

Rischio flop dunque molto marcato e pochi autori, probabilmente, disposti ad affrontarlo. Si lancia allora nel progetto, di riportare in auge il terribile bimbo cresciuto che terrorizza le belle donne e ridicolizza i professori, Gordiano Lupi; chi altro se non lui? Scrittore e appassionato di cinema italiano, già impegnato in volumi divulgativi di registi e attori più o meno noti, il piombinese è uno dei pochi a non temere questi progetti. Se da una parte vengono alla memoria la monumentale opera articolata in cinque volumi sul cinema horror italiano o i volumi dedicati ai vari Di Leo e Deodato, dall'altra è da ricordare la riscoperta (o forse il tentativo di riscoperta) di Bruno Mattei, regista da molti considerato come il "peggior regista" nostrano impegnato nell'horror italiano. Come per Mattei, Lupi confeziona l'unico libro dedicato alla figura di Pierino e lo fa col suo consueto piglio già ammirato nelle sue precedenti opere di "critica" cinematografica. Dopo un breve capitolo in cui si fornisce un cenno sulle radici letterarie del personaggio (si parla di Mark Twain e di Pierino Porcospino), Lupi passa a presentare uno dietro l'altro i tre film della saga ufficiale e gli ulteriori sei apocrifi comprendendovi anche un paio di pellicole ai limiti dell'hard. Vengono dunque fornite le schede tecniche dei film, qualche aneddoto (non molti, in verità) e la disamina delle trame e dei momenti più o meno riusciti, senza farsi prendere dalla smania di voler recuperare a tutti i costi questi film. I commenti sono precisi e calibrati, quando c'è da cazziare Lupi non si fa prendere dai sentimentalismi. Completa l'opera una succinta analisi delle colonne sonore a firma del ceco Jan Svabenicky, già letto in altri volumi come il libro intervista al duo Aldo Lado & Ernesto Gastaldi o nel primo capitolo del mio Spaghetti Western Vol.3.

Abbiamo definito la pubblicazione come "coraggiosa" e lo abbiamo fatto perché, da un punto di vista commerciale, il progetto non sembra poter disporre di una capacità di richiamo tale da lasciar presagire un elevato numero di vendite. Il prezzo, per di più, non è ben bilanciato rispetto alle pochissime pagine che compongono il volume e rischia di render ancora meno appetibile il volume. 12 euro per sole 60 pagine, praticamente 20 centesimi a pagina (il mio terzo volume sul cinema western italiano, di 600 pagine, verrebbe così a costare qualcosa come 120 euro!?), ci sembrano troppe. Probabilmente sarebbe stata buona cosa impolpare il volume trasformandolo in una sorta di testo dedicato ad Alvaro Vitali, magari anche con interviste inedite e curiosità sulla sua figura, da concentrare poi con un ampio capitolo dedicato alla figura di Pierino, senz'altro il personaggio a cui l'autore romano è più legato. Non avrebbe guastato, poi, un capitoletto con le barzellette più riuscite dell'intera saga, un modo per presentare il testo anche come un volume di barzellette di pronta soluzione.

Il progetto nasce in modo curioso, grazie alla richiesta fatta dalla figlia di Lupi di vedere le pellicole della saga Pierino. Come darle torto, dato che io stesso da piccolo guardavo a ripetizione queste pellicole quando venivano date sulle reti regionali (tutt'oggi, se le trovo durante un giro di zapping, non riesco a cambiare canale anche perché mi ricordano un periodo a me molto caro). Un'occasione propizia per Lupi per riguardarle con la deformazione "professionale" che caratterizza chi prende il vizio a scrivere recensioni e commenti (io ne so qualcosa). Così facendo l'autore piombinese si è trovato per le mani un volume già fatto, con appunti e opinioni pronte a esser condivise, ma con poca convinzione (probabilmente anche per i motivi che abbiam sopra esposto) nel darle alla stampa in un'opera organica. Sono dovute allora entrare in gioco le Edizioni Senso Inverso di Ravenna che, con la loro collana Italia Nascosta, han deciso di scommettere su Pierino una volta informate dei progetti dell'autore conservati nel c.d. cassetto. Il volume cerca così di rispondere a uno dei fini della collana ovvero quello di "recuperare e dare alla luce quanto di italiano sia caduto nell'oblio", il tempo dirà se la scommessa è stata vincente.

L'autore GORDIANO LUPI.

"I film della serie pierinesca vivono soprattutto per volgarità, anarchia e inosservanza degli schemi cinematografici. Sono pellicole politicamente scorrette, irriverenti e assurde, ma rappresentano un sano e sboccato divertimento che il pubblico in quel preciso momento storico chiedeva al cinema."

sabato 18 novembre 2017

Recensione Saggi I CAVALLI DI LEONARDO... E CARLO di Carlo Abete e Leonardo Pantuosco.



Autore: Carlo Abete e Leonardo Pantuosco.
Anno: 2017.
Genere: Sportivo - Ippica.
Editore: Carmignani Editrice.
Pagine: 184.
Prezzo: 13,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Raro volume dedicato al mondo dell'ippica, acquistato la scorsa settimana insieme ad altri sette libri al Pisa Bookfestival. Tredici euro impreziosite dall'autografo di uno dei due autori, trovato per caso allo stand della Carmignani Editrice di Staffoli. "Neanche a farlo apposta, c'è qui l'autore..." il commento degli addetti allo stand nel momento in cui, senza neppur vedere la lunga serie di volumi esposti, rompo il ghiaccio al seguente proclama: "Prendo questo!". E così sul frontespizio della mia copia si legge, impresso con inchiostro a pennarello: "A Mattia, con amicizia" seguito dalla firma "Carlo" e dal disegno di un abetino. "A Mattia" dunque e non "A Matteo", un errore che evoca il mio quasi omonimo re di Piazza del Campo il cui nome veniva spesso confuso con quello di "Mattio" ovviamente Mancini, una curiosità che viene esaltata dal fatto che Carlo Abete (da non confondere con il più famoso Giancarlo, storico Presidente della FIGC), l'autore della dedica, è stato speaker per anni dell'impianto Pian delle Fornaci di Siena. "Come ti chiami?" ovviamente rispondo col mio nome ma specifico di non scrivere Mattia onde evitare di chiamare in causa un mostro sacro di certe piazze... detto fatto, con buona pace della Balivo... il refuso è presto vergato.
Un volume dunque che va a impreziosire il lato della mia biblioteca in cui trovano spazio i vari Varola, Gianoli, Castelli, il Laghat di Querci (cavallo tra l'altro allenato da Pantuosco, pur se non ricordato nel volume) e opere collettive dedicate alla Società Steeple Chase o ai 100 anni dell'ippodromo di Merano.

"Questo libro è nato dai ricordi lontani nel tempo, da scritti e lettere ormai abbandonate" è il leit motiv che sta alla base di un progetto introdotto dalla prefazione del "prezzemolone" Renzo Castelli e intitolato I Cavalli di Leonardo... E Carlo, con "Il Cavallo di Leonardo" a spiccare nella copertina in omaggio sia a Leonardo Pantuosco (il gentleman e poi allenatore che è il protagonista del volume) sia alla scultura che troneggia all'esterno dell'ippodromo di San Siro.
I due autori rendono così il loro tributo al loro passato, ma soprattutto a una lunga serie di personaggi, sia addetti ai lavori sia spettatori più o meno eccentrici, che hanno popolato le giornate degli amici dell'ippica. Ne esce fuori un libro un po' strano, con vaghe reminiscenze al Charles Bukowski che spiegava le strategie di scommessa per sbancare i totalizzatori o i picchetti. Un testo stampato nel marzo del 2017, ma già giunto alla sua seconda edizione, che cambia spesso registro, offrendo punti di vista diversi con una costruzione che non sempre è lineare ed evolutiva. Sintetico e scritto bene dal punto di vista stilistico, denota forse un'incertezza di fondo sulla piega da dare al progetto. Nasce forse come un volume biografico, legato alla genesi della passione comune ai due autori che poi raccontano in terza persona le proprie vicende personali. Da una parte Leonardo Pantuosco, un bambino romantico e sognatore che cresce in campagna nella Val di Cecina con l'amore per i cavalli da maneggio fino a tentare la via del gentleman e poi dell'allenatore; dall'altra un vivace ragazzino che ha perso da giovane il padre e che studia buttando un occhio dapprima alle partite del Livorno e poi sui programmi delle corse dei cavalli, costruendosi una discreta carriera da scommettitore prima e da giornalista di settore poi. In mezzo a questo canovaccio, forse troppo rischioso in termine di vendite, i due autori colgono l'occasione per fare una panoramica divulgativa del settore, sia sui personaggi centrali sia sui cavalli, non disdegnando a tratteggiare un generico abbozzo di profilo psicologico dei vari componenti del mondo dell'ippica. E' un libro tuttavia di emozioni (rese in modo sopraffino in alcuni punti in cui lo stile diviene addirittura struggente e melanconico), non ci si sofferma troppo, salvo alcuni casi, sul versante sportivo, ma c'è ampio spazio sulle vicende di vita con un bellissimo capitolo di un amore rimpianto per una donna, tale Ilaria, che ha acceso l'estate di un giovane Pantuosco, un sentimento trasformantosi presto in una triste metafora della vita. Vicende di vita comune che si intrecciano con gli aneddoti storico-sportivi, probabilmente i più interessanti per un lettore di settore, con dei capitoli in pillole in cui si offre uno sguardo sull'ippica italiana di un tempo, quella capace di affermarsi all'estero (i vari Grundy, Bolkonski, Wollow, Mannsfeld, Sirlad e Tony Bin) ma anche sugli allenatori e sui fantini che hanno reso magiche le serate al Caprilli di Livorno con una lunga prima parte che sembra far le veci di quel Bignami (il riferimento non va allo storico allenatore in ostacoli, bensì ai volumetti che andavano per la maggiore in ambiente liceale) dell'Ippica che mai nessuno ha avuto il coraggio di scrivere (e che noi abbiam più volte stimolato ma senza esito).

Le emozioni, abbiamo detto, anteposte alle statistiche e alle curiosità su quello piuttosto che sull'altro cavallo. Nel testo non si dice che Leonardo Pantuosco ha colto 130 vittorie da allenatore, oltre 38 ulteriori successi marcati dalla Scuderia Flery di sua proprietà prima del conseguimento del patentino (io ricordo anche un timido tentativo di approccio con le siepi col sauro Serleo). Per i due autori i freddi dati degli albi d'oro sono marginali, c'è comunque qualche aneddoto che ogni tanto spunta fuori sui vari Robereva, Gott Mit Uns o Fast Gate (cavallo capace di regalare svariate vittorie a Cagnes sur Mer e di confrontarsi addirittura a Lingfield, Inghilterra, con Frankie Dettori in sella), portacolori che hanno costituito la punta di diamante di circa venti anni di professione con due Coppe del Mare in bacheca, conseguite con un invidiabile doppio messo a segno da Robereva e Gran Gordito nel 1997 e nel 1998, ma anche una Listed a Milano (unica affermazione in pattern race del team Pantuosco) e l'Handicap Principale Galilei firmato sempre Robereva.

Un volume dunque non di facile presa commerciale che cerca di tastare i gusti dei lettori proponendo un materiale variegato che va dagli aneddoti personali gravitanti attorno alle scommesse (su cani, cavalli e casinò), passa poi sul versante sportivo e da questo alle vicende private (nonché sentimentali), senza mai dimenticare di rendere quel giusto e comprensivo tributo alle persone della giovinezza. Persone che, a loro modo, hanno condiviso passioni comuni ai due autori e hanno reso uniche giornate ormai evaporate negli anni; un mondo che forse, una persona sufficientemente sensibile, può illudersi al tocco di quel Rol (un tempo allievo di Pantuosco) di poter rivivere nell'abbandonato ippodromo del Caprilli come un magico revival dei tempi perduti liberatosi dall'oblio del tempo per una sola notte d'estate.

Ben vengano dunque libri del genere, si segnala anche Il Bimbo delle Sorgenti di Renzo Castelli uscito pochi mesi fa e relativo alla carriera di Ovidio Pessi (prima fantino e poi allenatore di successo), necessari per contribuire a sviluppare quella cultura ippica che, al di fuori dell'ambiente di riferimento, è pressoché nulla e influenzata da luoghi comuni tutt'altro che positivi. Attendiamo allora nuovi progetti da Abete o anche da Querci per portare ossigeno nel rarefatto mondo letterario dell'ippica italiana. A proposito degli alberi, ricordo che Alberelli era uno storico fantino bravo sulle siepi...specie quelle da gran premi.


"Chi vive il cavallo solo con il cuore spesso deve convivere con chi trova nel cavallo un mezzo per ostentare il suo stato economico; o chi, attraverso questi animali, vuole raggiungere fantastici, quanto improbabili, guadagni; o chi, ancora, investe i propri denari spinto da strategie economiche o per necessità di natura fiscale. Inevitabilmente, relazioni obbligate, quanto impossibili, fra generi così diversi di turfman danno origine a screzi e incomprensioni, proprio perché da una parte si decide il da farsi tenendo conto in primis della salute e dell'incolumità del purosangue, e dall'altra non esiste ragione diversa del servirsene in maniera sconsiderata e indegna."


venerdì 17 novembre 2017

Recensione Narrativa: I PARASSITI DELLA MENTE di Colin Wilson.



Autore: Colin Wilson.
Titolo Originale: The Mind Parasites.
Anno: 1967.
Genere: Fantascienza / Psicologico.
Editore: Mondadori, collana Collezione Urania (n.177).
Pagine: 230.
Prezzo: 6,90 euro.


Commento a cura di Matteo Mancini.
Dopo tanti anni mi sono di nuovo imbattuto in uno di quei testi, vuoi per la troppa carne al fuoco, vuoi per la complessità dei temi trattati ma soprattutto per una certa ridondanza e ripetizione delle tematiche, che ho faticato non poco a ultimare.
Nato come omaggio alla produzione narrativa di Howard Philips Lovecraft, si parla di uno scavo che permette di scoprire la città ciclopica al centro di alcuni dei racconti del solitario di Providence (la fantomatica Kadath), il testo si allontana anni luce dalle tematiche classiche. Lo scrittore inglese classe 1931 Colin Wilson cerca di fondere la narrativa creativa a quella saggistica che lo aveva lanciato alla ribalta con il saggio sulla psicologia nella letteratura intitolato The Outsider (1956). Il suo The Mind Parasites diviene così un colto calderone infarcito di citazioni e di teorie che fatica però a svilupparsi per le vie convenzionali. Si ha infatti la sensazione, per la quasi integrità del testo, di essere alle prese con un saggio fantastico mascherato da romanzo. La lettura diviene lenta, pesante, persino ripetitiva con le elucubrazioni mentali anteposte ai fatti. Ne viene fuori un testo introspettivo all'ennesima potenza, una sorta di diario, che ruota attorno alla supposta esistenza di impalpabili creature, più o meno aliene, i c.d. "parassiti della mente", che popolerebbero il sub inconscio di ciascun uomo allo scopo di impedire lo sviluppo dell'intera società. Evidente la critica al materialismo figlio delle logiche commerciali, responsabile di atrofizzare le menti e plagiare gli uomini per scopi cari a chi tesse le trame del "gioco". L'umanità deve allora imparare (o sarebbe il caso di dire reimparare, come avveniva nell'antichità) a esplorare la propria mente, paragonata a un vero e proprio continente, per liberarsi dalle catene che ne impediscono quell'evoluzione capace di trasformare ogni individuo in una sorta di creatura simile a una divinità dotata di poteri paranormali (dalla telepatia alla telecinesi). "Il loro scopo (dei parassiti) è impedire all'uomo di scoprire i mondi interiori, e tenere la sua attenzione rivolta costantemente verso l'esterno."
Le teorie di Jung sul sub inconscio collettivo si intrecciano così con le tecniche del "risveglio dell'uomo" professate da Gurdjieff. Per Gurdjieff la persona dormiente è colui che attraverso le abitudini ha appreso comportamenti di cui non è consapevole pur essendone schiavo. Una situazione che può essere ribaltata solo con la conquista del vero io attraverso delle tecniche introspettive. Ecco allora che i protagonisti di Wilson muiono in senso metaforico intraprendendo una lotta mentale con i parassiti e, se vincitori, rinascono illuminati, iniziati a un nuovo modo di vedere il mondo. "Mi sembra di essere morto e di essere rinato diverso, gli altri ora mi sembrano addormentati." E' evidente come l'autore usi l'intelaiatura fantascientifica (la storia è ambientata nel prossimo futuro con strumentazioni futuristiche che vanno dalle astronavi alle escavatrici capaci di perforare per chilometri la terra) per portare in scena una storia metaforica che ha poco o nulla persino del fantastico, venendo ad assumere un significato prettamente esoterico-evoluzionistico (direi addirittura psicologico) inteso come cammino da intraprendere per l'evoluzione personale da inquadrarsi sotto un profilo spirituale piuttosto che materialistico. I parassiti diventano così un vero e proprio cancro, più che entità provenienti da altri mondi, sviluppato dalla società industriale e dal capitalismo, un male che ottenebra le menti e porta all'apatia e a un'inconscia schiavitù dettata da tutte quelle abitudini acquisite e imposte indirettamente dal sistema. "Un nemico che non attacca di fronte o alle spalle, ma è dentro ognuno di noi."
Se la parte centrale risulta sufficientemente accattivante, con la scopertà dell'antica città sepolta, la parte conclusiva si trasforma in un qualcosa di fracassone, ai limiti del delirio collettivo schizofrenico, dove trovano spazio viaggi spaziali ai confini di Plutone, cambi di orbita lunare, terze guerre mondiali con gli Stati Uniti d'Africa e un revival della Germania nazista di nuova genesi (curioso leggere di un'Italia invasa e piegata agli ordini degli africani) fino a giungere al controllo mentale degli iniziati a danno (Wilson ha una visione ottimista e sarebbe più corretto scrivere "in favore") dei comuni mortali. Ne viene fuori, lo ripetiamo, un romanzo dotto (non si contano le citazioni dal marchese De Sade a Huxley, passando per Yeats, Gurdjieff e molti altri ancora) ma assai pesante da sostenere e non adatto assolutamente a un lettore medio. Interessante la tematica, meno convincente lo sviluppo soprattutto per un'eccessiva ripetitività che si snoda per tutto il testo. Wilson si preoccupa più di esporre filosofie e congetture che sviluppare una trama vera e propria.
Molteplici le frasi disseminate nel testo adatte a una raccolta di aforismi. Resta un progetto limitato e indirizzato a pochi, pubblicato dalla Arkham House di Derleth nel 1967 e in Italia dalla Fanucci dieci anni dopo. Nell'ottobre del 2017, a quarant'anni dall'edizione della Fanucci, è stato riproposto dalla Mondadori per la collana "Urania - Collezione".

L'autore COLIN WILSON.

"Il mondo di tutti i giorni polarizza la nostra attenzione, e ci impedisce di sprofondare in noi stessi... I problemi e le ansie della vita lo rendono difficile... ma la mente si estende all'infinito dentro di noi, è un pianeta con giungle, deserti e oceani in cui vivono esseri strani di ogni genere."


martedì 31 ottobre 2017

Recensione Narrativa: IL TREDICESIMO ZODIACO di Alessandro Pugi.




Autore: Alessandro Pugi.
Anno: 2014.
Genere: Giallo - Serial Killer.
Editore: Edizioni Il Foglio.
Pagine: 203.
Prezzo: 14,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Quarto romanzo nel carniere dell'ispettore di Polizia Penitenziaria Alessandro Pugi, qua alle prese con un thriller che definirei atipico. Lo scrittore elbano, classe '72, confeziona un'opera ambiziosa che miscela generi diversi ruotando attorno a una struttura gialla orchestrata su due piani temporali. Il Tredicesimo Zodiaco, dato alle stampe dalle Edizioni Il Foglio nel 2014, prende le mosse come un thriller convenzionale con un'indagine a carico di un serial killer rituale il cui modus operandi suggerisce un movente a sfondo esoterico. Lo spunto iniziale diviene sempre più affascinante e coinvolgente al procedere della lettura. Pugi dimostra maturità e stile nel veicolare il narrato, tocca temi come il destino già scritto, la magia e l'occultismo come dati di fatto di una realtà che sfugge alla scienza in cui viene dato per assodata l'esistenza di un aldilà che consente alle anime dei defunti di entrare in relazione con i medium. In questo contesto muove i suoi passi un sanguinario e sadico killer che uccide e mutila le sue vittime (non si vede mai in azione, sappiamo solo dei suoi delitti dall'analisi dei cadaveri rinvenuti), incidendo sui corpi dei segni che si scopriranno poi essere la riproduzione delle costellazioni dello zodiaco (da qui il nome di Killer dello Zodiaco, niente a che vedere con lo Zodiac Killer di fine anni '60 di San Francisco). Ogni omicidio è caratterizzato da una mutilazione diversa connessa alla tipologia della costellazione raffigurata, a sua volta coincidente con un segno zodiacale. Pugi in realtà, lo scoprirete alla fine, è un po' disonesto col lettore. Fa capire che il killer sceglie le proprie vittime in funzione del loro segno zodiacale, sempre diverso, così da ricreare l'intera scala dei dodici segni necessaria a completare il rito legato a un fine di carattere esoterico. In realtà questa soluzione non è in linea con la natura delle vittime designate e la cosa non può non emergere al procedere delle indagini (il perché di questa mia osservazione lo capirete terminato il romanzo), ma nel romanzo questa elementare considerazione passa in secondo piano e non viene evidenziata dagli indagatori (che tutte e tredici le vittime fossero di segni zodiacali diversi sembra praticamente impossibile).
Grazie anche a questi artifici necessari per le esigenze letterarie, si respira per lunghi tratti aria di narrativa fantastica a sfondo esoterico, cosa che innalza le aspettative. Immaginatevi una Bologna, città in cui si svolgono i fatti, assimilabile alla città in cui è ambientato il film Seven di David Fincher, piovosa, densa di traffico. Ed immaginatevi un commissario di polizia che fa ricerche sui misteri astrologici, su antiche leggende e in particolare su quella che vorrebbe esistenti tredici segni dello zodiaco, in luogo dei dodici convenzionali, in cui si parla di illuminati e di poteri in grado di anticipare le vicende del futuro. Una situazione che ricorda abbastanza da vicino il caso del Mostro di Firenze, con la differenza che le vittime sono singole e tutti uomini. Fate poi passare trent'anni, con un secondo poliziotto che si mette a indagare sul caso chiuso, perché pungolato da un spirito che si manifesta sottoforma di possessioni mostrandogli visioni di una vita passata e perché la vicenda continua ad avere molti punti oscuri, tanto da dar l'idea di esser stata chiusa con l'arresto e la successiva morte di un capro ispiatorio (cosa vi ricorda?).
Pugi tira in ballo persino un libro riportato nell'Apocalisse biblica, in grado di offrire a chi compierà una serie di sacrifici umani il potere di leggere il futuro, il dono del c.d. terzo occhio ovvero il segno degli illuminati (il fantomatico tredicesimo segno dello zodiaco). La componente fantastica, ai limiti dell'horror, viene rafforzata dalla presenza di esperti di astrologia, medium e soprattutto di un'entità ectoplasmatica (evocata anche grazie a delle sorte di sedute spiritiche) che sembra perseguitare i due agenti che si troveranno, in epoche diverse, a condurre le indagini. Grande costruzione iniziale dunque a suggerire una via su cui sarebbe stato bene proseguire, ma Pugi, volendo ricercare l'originalità, cerca di evitare lo scontato e la prevedibilità di sviluppo ricorrendo a elementi fantascientifici (programmi virtuali in cui muoversi alla ricerca di notizie del passato) e a una serie di soluzioni funzionali a mettere in contatto il futuro col passato (e non viceversa), un po' sulla scia del film Frequency - Il Futuro è in Ascolto (2000) di Gregory Hoblit, con ripercussioni conclusive che ricordano molto alcuni racconti di Ray Bradbury. Questa scelta determina un effetto non proprio vantaggioso. Ne viene a risentire la componente fantastico-esoterica, tanto che il modus operandi del killer si traduce in una macchinosa montatura atta a celare la vera natura degli omicidi (movente classicissimo che nulla ha a che fare con l'esoterismo). Peraltro Pugi pecca di un pizzico ingenuità, dal momento che sussiste un fortissimo legame tra le vittime e se è vero che questo è difficilmente ricostruibile dagli agenti indagatori lo stesso non può dirsi per le vittime. Queste ultime si conoscono tra loro, vien da se intuire la conseguenza di ciò al susseguirsi degli omicidi con la polizia che verrebbe di certo imbeccata dai superstiti ricevendo così un forte aiuto per la risoluzione del caso.

Da un punto di vista stilistico, di gestione della storia e dei personaggi, Pugi si rivela uno scrittore molto interessante e da seguire. Peccato che non abbia, a mio avviso, sfruttato appieno la componente esoterica della storia (resta uno specchietto per le allodole atto a sviare le indagini), perché sarebbe potuto venir fuori un romanzo notevole. Editing perfetto.
Resta una lettura a lunghi tratti coinvolgente che non fa staccare facilmente il lettore dal libro. Finale un po' deludente e tendente al fracassone, almeno per i miei gusti.

L'autore ALESSANDRO PUGI.


"C'è chi dice che per essere felici bisognerebbe avere il corpo di un ragazzo e la mente di un vecchio."