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sabato 28 maggio 2022

Recensione Saggi: CHIEDI E TI SARA' DATO SE SAI COME FARLO di Esther & Jerry Hicks.


Autori
: Esther & Jerry Hicks.
Anno: 2014.
Genere: Saggio di piscologia ed esoterismo.
Editore: My Life (2014).
Pagine: 219.
Prezzo: 9.50 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Vero e proprio supporto psicologico che prende le mosse da un substrato esoterico per dilungarsi su un piano essoterico (scusate il gioco di parole) che rischia di far perdere punti al progetto. In prefazione, infatti, gli autori parlano del legame con uno spirito guida di nome Abraham (di natura collettiva) che parlerebbe, collegandosi da un'altra dimensione, per bocca di uno di loro al fine di rispondere alle domande che vengono poste da terzi. Al centro di tutto l'idea dell'immortalità degli spiriti e che esista, per ogni individuo, una scissione tra il corpo fisico e una controparte non fisica presente in un'altra dimensione a cui è necessario allinearsi per godere della felicità. Le due parti sarebbero in diretta comunicazione (l'una estensione fisica dell'altra) attraverso delle vibrazioni emotive responsabili degli stati d'animo. La felicità sarebbe indice di un corretto allineamento tra le due parti, mentre l'infelicità sarebbe il frutto di un mancato allineamento sulle onde vibrazionali della fonte. Quest'ultima infatti non può che esaudire ogni richiesta e desiderio e pertanto la felicità è alla portata di tutti coloro che comprendono il meccanismo dell'esistenza. L'infelicità deriverebbe infatti dalle resistenze autoindotte dai singoli soggetti. In sostanza non esisterebbero le negatività dirette, ma solo quelle indirette. L'ambiente esterno non può interferire sulla felicità, ma può costituire motivo di distrazione che porta al disallineamento e pertanto indirettamente all'infelicità. Vietato concentrarsi su idee o pensieri deleteri o su mancanze, perché questi approcci porteranno al concretizzarsi di situazioni spiacevoli (ovvero le cose che vengono pensate). È la vecchia logica del “bicchiere mezzo pieno e del bicchiere mezzo vuoto” che può essere visto da due distinti punti di vista e dare, in tal modo, sensazioni diverse. A ragione, gli Hicks invitano ad apprezzare il buono e il piacevole (pensiero attivo), piuttosto che a concentrarsi sulle negatività (pensiero passivo), perché solo concentrandosi sulle emozioni positive si può stimolare la legge dell'attrazione e, al tempo stesso, essere portati all'azione (invece che all'imprecazione, perché le cose vanno male). “Ogni pensiero vibra, ogni pensiero emana un segnale e ogni pensiero ne attira uno di risposta che gli corrisponde. Tale processo è chiamato la Legge dell'Attrazione... in quanto ciò che è simile si attrae.”

Scopo della vita sarebbe l'espansione e la felicità dei singoli individui, uno stato identificato nella creazione continua di domande e nella successiva soddisfazione dei desideri. Un'impostazione questa che da esoterica diviene essoterica, riducendo il tutto su un piano materialistico. Il non plus ultra del sistema capitalistico e del consumismo (limite dell'impostazione degli Hicks). Gli Hicks si muovono dal concetto “non c'è nulla che non possiate essere, fare o avere” e sull'idea che “la base della vita è la totale libertà” avvicinandosi, su tali coordinate, a certi concetti propri di un esoterismo improntato su scala materiale, piuttosto che spirituale. Non dissimile, pur vertente su rituali magici, è la legge prioritaria di Thélema. 

L'intero volume giostra su una serie di idee e concetti ripetuti allo sfinimento, quasi con tecnica narrativa ipnotica, che intrecciano elementi di psicologia (su tutti la cosiddetta legge dell'attrazione) ad altri di provenienza esoterica (l'idea dello spirito incarnato, della fonte di energia, delle vibrazioni).

Il volume è diviso in due parti. La prima generica e altamente ripetitiva di matrice generale, tendente a risultare pesante per il suo insistere su aspetti detti più e più volte. La seconda invece, corredata di esempi, propone esercizi e impostazioni di pensiero di valenza applicativa ed è maggiormente accessibile al grande pubblico.

Il volume ha ottenuto un grosso successo commerciale e, pur se criticabile per certe sue impostazioni filosofiche (di impronta materialistica), è senz'altro utile a generare impostazioni ottimiste anziché legate a un deleterio pessimismo di fondo.

 
Gli autori ESTHER e JERRY HICKS
 
"Più vi sentite fortunati e vi aspettate la realizzazione di eventi positivi, più è elevato il vostro livello di permettere; se invece non vi sentite privilegiati, non vi aspettate che vi succeda niente di bello, aumentate il vostro livello di resistenza. "

Recensione Narrativa: LA NUBE PURPUREA di Matthew P. Shiel.

Autore: Matthew P. Shiel.
Titolo Originale: The Purple Cloud.
Anno: 1901.
Genere: Fantascienza / Horror.
Editore: Urania - Mondadori (2019).
Pagine: 226.
Prezzo: 6.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Torniamo a distanza di anni a parlare di Matthew P. Shiel e lo facciamo analizzando il suo romanzo più famoso: The Purple Cloud (“La Nube Purpurea”). Uscito in Inghilterra nel 1901 e giunto alle nostre latitudini già nel 1924, tradotto da Rocco Lazzazzera, viene erroneamente indicato da molti quale romanzo seminale del cosiddetto last man novel, un sottogenere che si sarebbe poi arricchito grazie ai contribuiti dei vari Richard Matheson (I Am Legend), John Wyndham (The Day of the Triffids) e Stephen King (The Stand). Walter Catalano, in Guida alla Letteratura Horror (Odoya, 2014), parla di romanzo che “anticipa la fantascienza catastrofica e apocalittica” senza null'altro dire e gli fanno da eco gli autori di Guida alla Letteratura di Fantascienza (Odoya, 2013) che parlano di “romanzo antesignano”. La realtà tuttavia è ben diversa.


UN FALSO ROMANZO ANTESIGNANO

The Purple Cloud è ben lontano da essere un romanzo antesignano. È infatti un chiaro esempio di romanzo fortemente derivativo e legato ad altre opere che non è sbagliato dire esser state cannibalizzate da Shiel. La fortuna dell'opera sta nel fatto che i romanzi in questione hanno faticato a essere apprezzati e, a differenza di The Purple Cloud, sono finiti nel dimenticatoio salvo esser riscoperti sul finire del novecento.

Impossibile non riconoscere il seme germinale di Le Dernier Homme (1805), un romanzo, purtroppo inedito in italiano, pubblicato cento anni prima dal prete cattolico francese Jean Baptiste Cousin de Grainville. È questo il vero romanzo antesignano del genere. Un'opera che Shiel “scopiazza” avendola probabilmente letta in lingua inglese, approfittando di una traduzione risalente al 1806. Il contenuto centrale che sta alla base dei due romanzi, ovvero l'eventuale rinascita del genere umano su una terra dove ormai sono sopravvissuti solo due esemplari (l'Adamo e l'Eva del futuro) in balia di forze spirituali superiori che tramano l'una per la rinascita e l'altra per l'estinzione della razza umana, è del tutto identico. Shiel modernizza, rende lievemente più implicito il legame tra le vicende del romanzo e il gran mistero della fede, ma non si discosta dal modello di partenza peraltro, a sua volta, derivativo del Paradiso Perduto di Milton (guarda caso citato esplicitamente anche da Shiel). Non solo... Arrivano forti gli echi di The Last Man (“L'Ultimo Uomo”) e della produzione di Mary Shelley. Le ambientazioni iniziali al Polo Nord ricordano il prologo di Frankenstein (1818), mentre l'idea della profezia (sotto forma di quaderni estrapolati dalle frasi di un medium sottoposta a ipnosi) che dal presente porta a un lungo resoconto scritto nel futuro dall'ultimo uomo della terra è ripresa da The Last Man (1826). Anche i continui pellegrinaggi in giro per l'Europa e il Nord Africa di cui si rende protagonista (nel corso dei quasi 20 anni del dopo disastro) Adam Jeffson, il Robinson Crusoe del futuro, sono quelli che hanno caratterizzato i movimenti dell'eroe della Shelley, pur se qua animati da un proposito difforme. Shiel, a differenza della collega (che parlava di peste), fa morire tutta l'umanità in un sol colpo e, per utilizzare un'espressione legata al cinema, fuori campo. Non sappiamo niente della tragedia che si è consumata sulla Terra, se non da alcuni articoli di giornale trovati anni dopo dal superstite. Vediamo però le conseguenze. Le maggiori città europee sono diventate tombe a cielo aperto, in balia di un silenzio totale. Se nel romanzo della Shelley il canto degli uccelli e le corse degli animali rendevano l'uomo l'unico essere a esser stato colpito, qua è l'intero creato animale a esser stato spazzato via.

UNA PUNIZIONE DIVINA SUL MODELLO DEL DILUVIO UNIVERSALE.

Tutto prende le mosse da una spedizione al polo nord che viene ad assumere valenza metaforica. Shiel paragona la conquista del polo alla mela dell'albero della conoscenza nell'Eden. Non a caso il protagonista viene spinto all'azione dalla futura moglie, un'avvelenatrice arrivista che fa di tutto per poter spingere il proprio uomo alla conquista e fa questo non certo per amore (a differenza di quanto farà la seconda donna al centro del romanzo). Sono il denaro, la vanità e la vanagloria i motori dell'azione dell'uomo (del passato) e, al tempo stesso, la sua condanna in un mondo dominato da due forze contrapposte (il bianco e il nero) che ricordano molto l'odio e amore della filosofia di Empedocle.

Durante la spedizione al polo nord, di cui resta in vita un solo superstite, una misteriosa nube purpurea, un miasma letale dall'odore di pesca e mandorle, si libera dal centro della terra e si diffonde in tutto il mondo (anche questa non è una novità, bensì una variazione di certe credenze del tutto infondate messe in circolazione ai tempi della peste nera e indicate, tra gli altri, da Daniel Defoe nel 1722 in A Journal of the Plague Year). La cosa non è casuale né frutto di una ribellione della natura, Shiel lo dice in modo implicito. Arrivando nel centro del Polo Nord il protagonista ha visto qualcosa di insostenibile, qualcosa che vortica all'infinito in un lago ghiacciato e la cui visione porta allo svenimento del protagonista. La sensazione è che possa trattarsi del diavolo, con un rinvio al Lucifero dell'Inferno dantesco e la cosa viene suggerita da una specie di lapide su cui campeggia un nome intraducibile per il linguaggio umano. Shiel scrive, tramite il suo protagonista, che “si trattava della più sacra fra tutte le cose sacre, l'antico segreto eterno e inviolabile della Vita su questa Terra e che posarvi lo sguardo era un peccato atroce per un semplice uomo”. Le conseguenze sono letali e improvvise. La nube uccide l'intero creato animale (salvo rare eccezioni, per lo più marine e acquatiche), sorprendendo gli uomini mentre sono a lavoro o svolgono le loro normali occupazioni. Chi cerca di scappare non ha possibilità di salvezza. Il fenomeno migratorio è reso percepibile dalla variabilità di usi e costumi apprezzati durante la visione dei cadaveri rimasti mummificati dalla nube. Il plot apocalittico è tuttavia meramente strumentale e permette a Shiel di lavorare sull'uomo quale creatura votata al male. L'unico superstite non trova meglio da fare che divertirsi a distruggere la testimonianza della civiltà umana, convinto di conquistare i favori di Dio erigendo in suo onore un palazzo d'oro. La solitudine lo porta nelle maglie della follia. Appicca incendi, spara con i cannoni e distrugge la creazione di secoli e secoli di umanità, deliziandosi contemplando visioni che ricordano l'inferno piuttosto che il paradiso. Londra, Costantinopoli e numerose città francesi crollano sotto i colpi dell'artiglieria scatenata dal protagonista. La guerra è in opera addirittura alla presenza di una sola parte o, meglio ancora, di un unico superstite. Va in scena, per tale via, una condanna alla razza umana di cui Shiel non si sente di sancire l'inappellabilità, lasciando sempre aperta la porta della redenzione in vista di una revisione della natura umana. “Anche se mi dovesse uccidere, io continuerò ad avere fede in lui” scrive nell'ultimo rigo del romanzo il protagonista. La morte dell'umanità, pur se dovuta all'azione di eventi (apparentemente) naturali, è il frutto di una vera e propria punizione divina, una sorta di nuovo diluvio universale estrinsecato in forma diversa, ma dal medesimo contenuto. Un grande reset da cui ripartire, grazie all'entrata in scena di un nuovo modello di donna. La protagonista di Shiel non rispecchia la Eva biblica, ma ha un qualcosa di mariano (la sua lettura preferita è la Bibbia e Dio è l'essere supremo a cui è devota), una sorta di new woman che ricorda, per la capacità di smuovere l'uomo e riportarlo sulla retta via, certe eroine di Bram Stoker. È la donna a salvare l'uomo, riconducendolo nel solco della normalità (quella della creazione) e salvandolo dalla pazzia omicida (quella della vita terrestre) di cui rischia di essere pervaso. La salvezza viene così conquistata e trova la sua fonte nella fede incondizionata verso un essere superiore che tutto guida e tutto gestisce, a cui l'uomo deve piegarsi in qualità di essere inferiore. Questo fa di The Purple Cloud un romanzo religioso e non un “semplice” precursore della fantascienza post-apocalittica. Shiel non inventa niente, caso mai assimila, rimodula e personalizza con omaggi continui. Si pensi al personaggio che si chiama Machen, non una fedele personificazione di Arthur Machen (vicino di casa e grande amico di Shiel) ma comunque a esso legato (“non scriveva per compiacere le indistinte folle di lettori che pendevano dalle sue labbra ma, come i migliori poeti, lo faceva per ritemprarsi con il calore divino che fluiva nel suo petto”); allo stesso modo il nome del protagonista, secondo alcuni studiosi, sarebbe un tributo a un altro amico scrittore di Shiel, ovvero Edgar Jepson (autore di The Garden At 19 di recente proposto da una casa editrice amatoriale italiana).

Punti di forza del testo sono le molteplici parti altamente visionarie. Si pensi alle navi che vagano per l'oceano cariche di morti (fanno venire in mente l'epilogo di Zombi 2 di Lucio Fulci), oppure alle più importanti città europee in balia della nube purpurea o, ancora, al vagare del protagonista a bordo di locomotive o auto accerchiato da scheletri e scheletri sopra i quali si trova costretto a muoversi (stile la famosa sequenza di Phenomena di Dario Argento).

Il romanzo non fu particolarmente apprezzato da Howard P. Lovecraft che di Shiel fu un convinto estimatore. Il Solitario di Providence, contrariamente dal sottoscritto, indicò la parte centrale del romanzo (quella incentrata sulle riflessioni del protagonista e sulle interminabili ricerche in giro per l'Europa) quale quella “descritta con un'abilità e una maestria che rasentano la genialità”, trovando invece dei limiti (“convenzionale atmosfera romantica”) nella parte finale, al punto da reputare la seconda parte del romanzo “una delusione”. Secondo l'opinione dello scrivente, invece, è proprio la parte centrale a costituire un limite del romanzo. Pur ben rappresentando la graduale discesa nella follia del protagonista (poiché l'isolamento porta alla follia e all'inferno, mentre la socialità al paradiso), è una parte troppo lunga e tendente al ripetitivo, finendo per diventare noiosa. Il protagonista si sposta di città in città, senza avere relazione (se non distruttiva) con niente o nessuno. Si atteggia come grande sovrano del mondo e sviluppa un atteggiamento egoista e distruttivo verso quanto è sopravvissuto della razza umana. La parte finale funge da riequilibrio dello status perduto per ricondurre Jeffson, attraverso un percorso inverso, a quella situazione di normalità iniziale di cui era portatore Adamo prima della cacciata.

Rodolfo Wilcock, negli anni sessanta, spese parole di grande elogio del romanzo, reputandolo un "capolavoro continuamente più riuscito e trascendente di un qualsiasi romanzo di Emile Zolà". 

CONCLUSIONE

A ogni buon conto The Purple Cloud, pur se affetto da svariati difetti (e con molti e grossi buchi narrativi), è diventato nel corso degli anni un classico. Riproposto in Italia nel 1967 da Adelphi, nel 1975 da Mondadori e nel 1981 da Bompiani sempre con traduzione di Juan Rodolfo Wilcock, è stato di recente (gennaio 2019) riproposto in una nuova traduzione per la serie “Collezione Urania”.

Senz'altro da leggere per tutti gli estimatori del fantastico, ma da contestualizzare e inserire in un ambito assai più ampio rispetto a quello indicato nei testi di studio del genere, così da poter meglio comprendere la genesi e lo sviluppo del cosiddetto genere post-apocalittico.


L'autore Matthew P. Shiel.

"Nessuno ha mai potuto, né può tuttora, giudicare il destino, perché esso non è compiuto: la nostra specie dovrebbe seguirlo ciecamente, avendo fede nel fatto che dopo molte curve ricondurrà il mondo a Dio. "

martedì 3 maggio 2022

Recensione Narrativa: SPLATTER di Ed Wood.

Autore: Ed Wood.
Anno: 1969-1975.
Genere: Pulp - Horror - Guerra - Thriller - Erotico.
Editore: Gallucci, 2015.
Pagine: 387.
Prezzo: 19,00 euro.

A cura di Matteo Mancini

INTRODUZIONE

Splatter è una miscellania di racconti che mancava nell'editoria italiana e che la Gallucci ben ha fatto a mettere in commercio. Un prodotto eccessivo, politicamente scorretto e coraggioso per l'epoca in cui furono pubblicate le storie, apparse in circa un lustro dal 1969 al 1975. Chi è solito pensare che lo splatter e l'hardcore horror siano prerogative di scrittori quali Edward Lee o Poppy Z. Brite è vittima di un fallo enorme pronto a sbattersi più e più volte sul background culturale che segue lo scarso gusto di questi soggetti. Oggi è molto divertente leggere Ed Wood, nonostante alcuni racconti siano troppo volgari e provocatori. Eppure contestualizzare la lettura al periodo di quegli anni, offre rispetto a un autore kamikaze che procede al grido di banzai. Se in Italia collane come I Racconti di Dracula erano indicati nell'indice dei libri vietati dalla chiesa, c'è da sorridere a immaginare il trattamento che sarebbe stato riservato a un Wood pur prodotto dalla Chiesa americana... ma ormai questa è prerogativa del vissuto e rivolgersi ai profeti della parola di dio ci sembrerebbe alquanto fuori luogo.

Eppure il titolo di pulp ben si lega a questo lavoro che anticipa di trent'anni la corrente del cosiddetto hardcore horror, col suo giocare su temi scottanti (prostituzione, omosessualità, alcolismo, guerra) miscelati di continuo all'horror o al giallo, cercando sempre il colpo di scena finale all'insegna dell'ironia più dissacrante. Insomma, roba per la quale Alessandro Manzetti farebbe carte false per proporre il volume, debitamente censurato nella copertina, quale testo cardinale per la formazione degli studenti ammessi alla sua accademia letteraria sognando la California di c'era una volta a Hollywood.

E proprio da Hollywood, seppur non quella luccicante di Quentin Tarantino, arriva il personaggio celato dietro al progetto in questione, un vero e proprio mito della cinematografia di genere. Un nome che ai più suonerà come sconosciuto, ma che è diventato un Mostro sacro nell'ambiente. Un personaggio che è finito per suscitare le attenzioni del maestro del gotico Tim Burton (Edward Mani di Forbice, Batman, Il Mistero di Sleepy Hollow, Alice in Worderland, Mars Attacks!) e di un asso come Johnny Depp che ha deciso di personificarlo nel film Ed Wood (1994). Un binomio che ha portato Ed Wood addirittura alla notte degli oscar, strappando due statuette. Un biglietto da visita, questo, che, a dispetto di quanto si possa ritenere di cattivo gusto e indecoroso, rende questo autore (Ed Wood) una leggenda immortale. Eppure, la sua vita è stata tutt'altro che felice e spensierata.

Soggetto spesso e volentieri entusiasta, scatenato, sempre alla ricerca di un sogno impossibile da realizzare. Squattrinato, approssimativo, incapace di gestire in modo professionale il materiale umano a disposizione, eppure geniale e trascinante proprio per questo. Pur se limitato, gettò l'anima e il cuore oltre l'ostacolo nella carriera cinematografica, sia in veste di attore, produttore e, soprattutto, di regista, sostenuto da una passione infinita. Fu persino conduttore di programmi televisivi e tentò di lanciarsi nel settore pubblicitario. Amico di altrettante leggende cadute nell'oblio, su tutte l'ungherese Bela Lugosi (il primo e indimenticabile Dracula nell'omonimo film diretto da Tod Browning), il wrestler Tor Johnson e il medium televisivo “The Amazing Criswell”, diresse molteplici film da inosservato, tra il 1953 e gli anni sessanta. Un insuccesso commerciale, passato da improbabili produzioni tra cui quella del film Ladri di Tombe dallo Spazio Profondo (“Plan 9 From Outer Space”) finanziato nientemeno che dalla Chiesa Battista di Beverly Hills che impose come condizione il battesimo di tutti gli attori e i tecnici coinvolti, Degli sviluppi di carriera che valgono da soli il tributo di maestro del cinema bis dell'epoca, al fianco di nomi quali Herschell Gordon Lewis o il nostro Joe D'Amato.

Genio folle, addirittura ai limiti dello sdoppiamento della personalità (il suo primo film, non a caso, si intitolava Glen or Glenda). Conduceva una doppia vita all'insegna del travestitismo. Costretto fin da piccolo dalla madre a vestire da femmina, Wood creò un personaggio alter ego di nome Shirley che entrava in scena ogni qualvolta dovesse scrivere una sceneggiatura o un programma televisivo. In quei momenti, Wood cambiava totalmente personalità. Prima ancora di sceneggiatori come lo specialista di western spagnoli José Mallorquì (si vestiva da cowboy), Ed Wood si calava nei panni di Shirley e diventava scrittore. La prima moglie finì per lasciarlo, incapace di sostenerne i vezzi e il feticismo per i golfini da donna. Poco male, Wood riparò su un'altra compagna proseguendo nel vizio senza più discussioni.

Attenzione però a commettere l'errore di reputare Wood una femminuccia o un giullare di corte. Niente affatto. Eroe di guerra nel secondo conflitto mondiale in cui si arruolò come volontario nei Marines, mentendo sull'età anagrafica pur di partire per il fronte. Medaglia di bronzo al valore militare. Prese parte alle battaglie nelle isole Marshall e a Tarawa, finendo ferito a seguito di una scarica di mitra. Leggende dicono che avesse l'abitudine di indossare, sotto la divisa, un reggiseno e mutandine rosa da donna. Verità o mito, le voci e le stranezze sul conto Ed Wood scorrono alla stregua di un bicchiere di whisky scaricato in piena gola in una serata di gala e non fanno specie a chi lo abbia conosciuto, tanto che l'aeronautica militare gli commissionò la produzione di una serie di documentari sul volo mettendo da parte le sue uscite in veste di Shirley. Wood è strano, folle, estremo, ma è bravo. Il sindaco di Los Angeles, Sam Yorty, in vista del secondo mandato, lo mette sotto contratto per fargli scrivere i discorsi della sua campagna elettorale. La cosa potrebbe sembrare pazzesca, eppure Wood ha il rispetto dell'estabilishment nonostante la critica ritenga monnezza tutto quello che fa. I suoi film, infatti, sono fiaschi incredibili e questo gli chiude la porta per il mondo dei sogni.

Dopo aver tentato vanamente di sfondare nel cinema, con una moglie da mantenere (la seconda) e una scappata per la disperazione, Wood si ricicla nell'editoria delle edicole. Riviste pornografiche, horror e pulp gli accettano i racconti, sebbene lui dica di amare l'horror classico e il western. Lavora soprattutto per la Pendulum Publishing di Bernie Bloom, col quale stringe un rapporto di odio-amore caratterizzato da continui licenziamenti e successivi richiami.

Sul finire degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta, la storia di Wood piomba nella disperazione. L'alcool diviene sempre più la medicina per placare la depressione, i quartieri popolari sempre più malfamati della periferia i Hollywood sono le scenografie in cui vanno in scena le ultime peripezie del genio maledetto. Prostitute, spacciatori e delinquenti di varia specie prendono il posto degli attori, dei registi e delle eccellenze della Hollywood bene. Cambiano i protagonisti, ma non cambia Wood. È costantemente impegnato a racimolare il gruzzoletto utile a evitare lo sfratto, ricorre più volte al banco dei pegni. Lo sbattono spesso fuori casa. Perde posti di lavoro, poi riesce a farsi riassumere perché nel suo lavoro di narratore è bravo e produce quanto soddisfi gli editori di riviste pruriginose che lo sottopagano con tre bicci. Wood beve forte, forse prende anche sostanze allucinatorie che lo aiutano nella produzione, ma lo avvicinano sempre più all'autodistruzione. Una vecchia e scalcagnata macchina da scrivere lo accompagna nelle ultime avventure condotte dai voli di una fervida quanto perversa fantasia che non lo porta ad approdare a nessun porto florido. Wood non ha mai avuto mezze misure, figurarsi nell'ultima parte di carriera. Non è mai stato artista da salotti o ambienti benedetti dal crisma dell'alta società. Attacca sempre più, con sarcasmo e coraggio, la società americana, soprattutto quella periferica delle campagne. I suoi vizi diventano oggetto dei racconti e lo fanno all'insegna della degradazione, quasi come se fossero dei moniti. Alcolizzati, prostitute, magnacci, ballerine di locali promiscui, omosessuali che fanno coming out sono i suoi personaggi preferiti e si alternano a storie più classiche dove troviamo vampiri, banshee, diavoli e militari che combattono sul fronte vietnamita. Il sesso è spesso al centro di trame che mettono alla berlina la società bacchettona dell'epoca. Splatter e volgarità fanno spesso capolino, sebbene Wood dimostri di avere uno stile non proprio da gretto e piazzi alcuni racconti persino introspettivi ed elaborati. Non mancano infatti dei piccoli gioiellini del genere, quanto mai satirici.

Muore giovane, a soli 54 anni, nel 1978. I giornali non gli dedicano neppure un trafiletto. Il servizio funebre va quasi deserto. Viene cremato e le sue ceneri sparse. Wood compie il suo ultimo viaggio da perfetto signor nessuno. Cala il sipario e il dimenticatoio è pronto a ingoiare Ed Wood come capita per la maggior parte dei comuni mortali ma c'è un ma... un ma inatteso, imprevedibile, folle, grosso come una caserma militare. Dei cinefili, amanti dell'orrido e delle stranezze (tipo quelli che a fine anni novanta saccheggeranno le videoteche per appropiarsi delle vhs più strane), all'inizio degli anni ottanta, rispolverano le pellicole di Ed Wood. Le tirano fuori dalle cantine più isolate e organizzano un concorso, il Golden Turkey Awards, dove Ed Wood spopola a gran furore, sbaragliando la concorrenza. Proposta nel giusto ambiente la crisalide è prossima a liberare la fantomatica Maniposa Negra oggetto di ricerche dell'antagonista dell'unico vero sequel ufficiale di Django; le pellicole di Ed Wood ottengono quell'attenzione che non hanno mai ricevuto prima, liquidate troppo frettolosamente per intravederne il genio e sregolatezza dell'autore. Ladri di Tombe dallo Spazio Profondo diventa, contro ogni pronostico degli anni precedenti, un culto al punto da far scomparire il Minnesota di Massimiliano Allegri e da portare il regista e la sua produzione all'attenzione di università e accademie. I professori parlano di Ed Wood, gli studenti ne studiano le sequenze e le battute. La seconda moglie, quando viene avvicinata e informata dei nuovi sviluppi, pensa che sia tutto uno scherzo e tende a svenire per i giramenti avuti dal capo. Ed Wood, incredulo persino nelle scritture automatiche estrapolate dalle sedute spiritiche acquisite agli atti, si guadagna il titolo di “peggior regista di tutti i tempi” e la cosa è così bella da farne un simbolo che arriva persino a bussare alla porta di casa di Tim Burton e Johnny Depp, con buona pace per la cremeria. Persino i suoi libri vengono riscoperti. A New York viene organizzata una galleria intitolata “Gli Infimi Libracci di Ed Wood.” Il pubblico ora applaude e si diverte, prendendo dalla giusta prospettiva il lavoro dell'artista. Il brutto anatroccolo che amava travestirsi da oca ce l'ha fatta, tributato negli studi accademici sul cinema del Novecento, oggetto di tesi di laurea e persino di lezioni di cinema capaci di impietrire i puristi della settima arte. Visti i mezzi a disposizione, le peripezie e le continue follie, una vera e propria leggenda degna del sogno americano, c'è poco da girarci intorno.

 

CONSIDERAZIONI GENERALI

Trentatré racconti, scritti tra il 1969 e il 1975, indirizzati in buona parte al circuito delle riviste softcore (anche se alcuni sono pornografici a tutti gli effetti, specie considerando l'epoca, e per giunta nell'ambito del sesso omosessuale), che delineano il mondo “artistico” di Ed Wood. Una lettura variegata dove tornano in modo ossessivo il tema della morte, quello dell'anima intrappolata in un involucro ormai non più funzionante, ma anche le problematiche sessuali di coppie che trovano nella perversione la medicina per superare la crisi erotica o dei singoli che trovano la felicità facendo coming out e dichiarando al mondo la propria omosessualità. È un Ed Wood che invita alla libertà, al superamento dei confini imposti da etica e religione, fino a invocare, in via provocatoria, il diavolo in persona. In tutto questo non manca lo splatter (non vi aspettate però sbudellamenti o sangue continuo), di cui anche al titolo della selezione ufficiosa curata dalla Gallucci, e soprattutto (a tratti) una predilezione per quell'orrore gotico proprio dei racconti dei vari Edgar Allan Poe e Bram Stoker. Alla tensione però subentra presto l'ironia e un marcatissimo taglio politicamente scorretto che pervade quasi tutti i racconti. Prostitute, ballerine a fine carriera, omosessuali, lesbiche, ubriaconi di periferia, ma anche vampiri, banshee, fantasmi e il diavolo in persona sono i personaggi che si muovono sullo scacchiere di Ed Wood.

Possiamo azzardare a indicare quattro grandi gruppi di racconti. Da una parte abbiamo i racconti erotico/pornografici che ruotano attorno a problemi di diversa natura sessuale, da chi ha perduto la potenza erotica a chi è incerto sui propri gusti o cerca di nascondere la sua vera natura per evitare la condanna etico/sociale. Abbiamo quindi un gruppo di racconti di atmosfera orrorifica che costituiscono, in svariati casi, un dichiarato omaggio alla narrativa gotica che ha fatto forte il genere nell'ottocento. Nutrito, da un punto di vista numerico, anche il gruppo di racconti corali con un manipolo di soggetti, di solito ubriaconi o campagnoli, che raccontano le sorti di qualcuno che è perito per giungere a conclusioni strampalate. Completano il lotto un più contenuto gruppo di racconti di guerra che sviluppano il passato bellico dell'autore.


ANALISI NEL DETTAGLIO

Tra i tanti racconti brilla Petti di Pollastrella, un autentico gioiello pubblicato nel 1972. È un Wood altamente ironico al servizio di un soggetto che anticipa film quali Hostel di Eli Roth o la canzone di Alberto Fortis Nuda Senza Seno o, ancora, la barzelletta del “toro e del torero e della particolare pietanza offerta ai clienti del ristornate dell'arena dove va in scena la corrida”.

Wood si muove partendo dall'idea dell'esistenza di ristoranti esclusivi e riservati a una stretta cerchia di soci, in cui si permette ai clienti di scegliere, tra quelli ancora in vita, l'animale da cucinare e poi da servire quale pietanza. Wood distorce il tutto proponendo una pietanza molto particolare: la donna. Fin qui interessante, al punto da costituire un antesignano di quell'hardcore horror che avrebbe poi fatto la voce grossa sul finire del novecento nei premi di settore quali il Bram Stoker Award (si pensi ad autori quali Edward Lee), il racconto evolve ulteriormente in vero e proprio gioiello, grazie a una conclusione in crescendo che lo rende difficilmente dimenticabile. Vera e propria perla per gli amanti degli spice magazines.

Fa coppia con questo racconto Bordello degli Orrori: Il Tocco Atroce. Pubblicato nel medesimo anno e più orientato verso atmosfere da horror gotico, si tratta di un testo in cui l'autore gioca nel ribaltare la ricerca dei piaceri del sesso capovolgendoli in qualcosa di perverso dietro al quale si muovono vendette e perversioni che conducono alla morte. Protagonista è una squillo intenzionata a proseguire la propria carriera in una casa di tolleranza. Furba e all'apparenza indipendente, la donna, ormai non più troppo giovane, finisce per essere adescata per un bordello molto particolare costruito nei pressi di un cimitero. A gestirlo è una maitresse pagata da finanziatori che utilizzano prostitute da trasformare in armi di contaminazione batteriologica.

Sempre della medesima cerchia è il precedente, di un anno, Vieni Dentro che potremmo considerare quale ispiratore, seppur meno riuscito, dei due precedenti racconti. Ironico e simpatico fin dal titolo (avente ovviamente un doppio senso), ruota attorno a un curioso “Istituto per i Disinformati in Erotica Sessuale” che mira a risolvere problemi di coppia. A dirigere il tutto è una vampiressa, che appare solo a mezzanotte, esperta in necromanzia al punto da far resuscitare i proverbiali morti (quelli a cui non si alza più l'organo maschile).

Erotismo perverso e necrofilo torna in Desolazione di Pietra, una riscrittura in chiave hardcore della paura dei cimiteri e degli strani spettri che si muovono tra i sepolcri al calare del sole. A metà strada tra un horror classico e un pulp politicamente scorretto, con tanto di evanescenti sagome viste penetrare nel cimitero e che il protagonista scambia per Belzebù a caccia di anime oppure direttamente per la morte. Wood volge il tutto sul versante dell'erotismo malato, tanto che il protagonista, un giovane bullo, supera inizialmente le proprie paure accoppiandosi di continuo con giovani donne costrette a coricarsi sulla tomba di una vecchia reputata una strega. Come in Vieni Dentro, la creatura mortale artiglierà il ragazzo, pretendendo di essere soddisfatta.


Questi quattro racconti, via via sempre più interessati da atmosfere orrorifiche, ci conducono verso gli elaborati più in linea col genere gotico. Wood si dimostra un abile creatore di suspense e di atmosfere del terrore. Sotto questo versante Dracula Revisited e La Notte in cui la Banshee Lanciò il suo Urlo sono i due elaborati migliori, seppur assai meno originali dei precedenti. Entrambi pubblicati nel 1971, costituiscono dichiarati omaggi alla narrativa dei grandi maestri del terrore. Si confermano il forte retrogusto necrofilo e la passione per le nebbie, l'oscurità e gli urli nella notte. Il primo è una riscrittura dell'arrivo di Jonathan Harker al castello di Dracula. Seppur lievemente ridondante, è una storia che mette in evidenza le sicure qualità dell'autore che qua abbandona la satira, i doppi sensi e il politicamente scorretto per un testo all'insegna del classico. Bella la parte della carrozza trainata dai cavalli imbizzarriti.

La Notte in cui la Banshee Lanciò il suo Urlo parla dello spirito di una morta che si risveglia dal suo sonno mortifero, perché richiamata da un urlo. Lo spirito, un po' come quelli presenti in Dracula Revisited, fluttua in aria nei luoghi che erano stati quelli natali finché non scopre di aver ereditato il ruolo dell'antica banshee.

Non dissimile per taglio e contesto scenografico è L'Ultimo Sipario. Uscito nel medesimo anno dei due sopracitati, è un racconto a tratti metaforico (rappresenta l'oscurità della morte) e a tratti allusivo (teatro come bara dentro cui si è imprigionati), sospeso tra il fantastico e il realistico. Un attore, rimasto all'interno di un teatro sgombro (che rappresenta la vita venuta al suo termine), vaga all'interno dei locali fino a imbattersi nell'oggetto misterioso che andava cercando: una bara in cui coricarsi.

La tematica della morte è una vera e propria ossessione di Wood. La ritroviamo, affrontata in modo diverso, in una mezza dozzina di racconti. In Il Ritorno della Mummia (1971) lo spirito di un faraone sepolto 3.000 anni prima torna a calcare la terra dopo che la sua tomba è stata profanata da tre individui. Horror piuttosto classico che ripropone l'idea ritornante di Wood della morte quale paralisi dell'anima che resta intrappolata all'interno del corpo destinato a imputridire. Il faraone, tornato a calcare la soglia del sepolcro, non riconosce più il nuovo mondo, se non per le armi che sembrano non essere cadute di moda. Decide così di tornare nella tomba, portandosi dietro uno dei tre profanatori, ovvero una ragazza dai capelli biondi che intende avere per sposa nell'aldilà che va ancora cercando. In Dentro alla Tomba (1971) Wood insiste sulla questione suggerendo le sensazioni che si potrebbero avere se, una volta morti, si rimanesse coscienti di quanto ci capita attorno, dal funerale, passando per il trasporto fino al seppellimento e la solitudine perenne nel freddo del cimitero. Rispetto ad Edgar Allan Poe, Wood dimostra di preferire di gran lunga l'ironia e la leggerezza. Sulla stessa base si muove Io, Stregone (1971) in cui, guidati dalla voce di uno stregone in relazione col demonio, si cerca di ipnotizzare l'uomo per convincerlo ad abbandonare il legame con l'anima in quanto questa è un qualcosa destinato a non svilupparsi e a restare imprigionato nella tomba. “Il male è vita e vivere è il male. Il diavolo è il vissuto e vivere è diabolico.” Il racconto viene ulteriormente sviluppato dal più hardcore e pulp Fuoco Infernale (1972), dove troviamo un Wood che mischia erotismo softcore al fantastico (prologo molto onirico), seguendo le avventure di un diavolo libidinoso a caccia di pollastrelle da condannare ai piaceri degli inferi corrompendole con una verga infinita. In entrambi i racconti, Wood si diverte a dissacrare e a giocare con i doppi sensi e le parole da leggere al contrario per comprenderne la portata. “Io sono il vissuto” dice il mattatore della storia, cioè “I'm the Lived” ovvero... arrivateci da voi.


Degni di nota sono anche i tentativi di contaminazione col giallo risalenti al 1973. Wood piazza almeno un paio di racconti riusciti.

Solo una domanda (1973) parte come i racconti nei quali Wood, con dialoghi volgari e caratterizzazioni decadenti, propone i problemi sessuali di una coppia di amanti, salvo poi svilupparsi in una trama gialla. Una coppia di ubriaconi, uomo e donna, litigano in quanto la seconda intende passare il resto della vita a sbronzarsi e pretende che il suo uomo le procuri i soldi per il vino (da notare quali siano i valori e i lussi ricercati dai personaggi di Wood). Questo, uno sfaccendato, si trova ricattato dalla prospettiva di non poter più avere un rapporto sessuale con la donna e la cosa gli da ai nervi, perché nella vita si può rinunciare a tutto ma non certo al proverbiale Breil della situazione. Della serie “chi non lavora non fa l'amore” canterebbe Celentano. Wood però è uno scrittore sarcastico a cui piace l'ironia. I suoi protagonisti non sono donne che fanno perdere la testa a un uomo, ma grette e grasse vacche (passatemi il termine) che tuttavia ottengono quello che vogliono, in quanto nella vita ci si deve pur accontentare. C'è un particolare però... qualcuno precede il protagonista nella rapina che ha studiato a tavolino, ovviamente in un'enoteca, e sottrae il bottino. Potrebbe finire qua, con la beffa, e invece no. Wood ribalta la situazione, fa diventare un paladino della giustizia il suo improbabile protagonista. L'uomo, infatti, rincorre il ladro di turno, lo aggancia e lo blocca, strappandogli di mano il bottino, proprio mentre i due vengono illuminati dalla polizia. Il “nostro” evidenzia subito il suo fare eroico così da passare da integerrimo difensore della legge e per un attimo riesce quasi a convincere la polizia. C'è una domanda che sorge spontanea, un po' come avviene all'epilogo degli sketch di Tortora quando interpretava l'ispettore Derrick: cosa ci faceva, di notte, un individuo come lui all'interno del locale violato?

Gioca le sue carte all'insegna della truculenza alla Robert Bloch Schizzi di sangue dappertutto (1973). Wood recepisce la lezione di Psyco e confeziona un giallo che offre una buona resa, per la breve distanza, riuscendo anche a sorprendere. Protagonista è un uomo ambiguo, a cui piace vestirsi da donna, che cerca di collaborare con la polizia per coprire le tracce dell'omicidio della sorella, ma questo si scoprirà solo alla fine. Tipico racconto alla Wood, con l'elemento del travestitismo alla Norman Bates. Bello.

Un altro thriller grandguignolesco, ma debole nel finale, è Particolari Cruenti (1972). La polizia indaga su un giro di depezzamenti di donne, dapprima profanate dai cimiteri e poi uccise da un assassino che sottrae trofei diversi per costruire un corpo con le parte anatomiche rimosse alle vittime. Questo è ciò che pensano gli indagatori. La realtà, tuttavia, sarà ben diversa e legata a traffico di organi da impiegare in trapianti chirurgici. Intreccio deboluccio, ai limiti del fantascientifico. La polizia trova facilmente il case linkage ovvero il collegamento che lega le vittime all'assassino e risolve il caso.


La serie dei racconti da salvare prosegue con due elaborati di ambientazione bellica. Autorizzazione Negata (1971) è forse il miglior racconto di Wood relativamente alla cura delle caratterizzazioni dei personaggi e alla descrizione di quanto sta avvenendo durante la narrazione dei pensieri del protagonista. Wood gioca tutto sull'introspezione del protagonista, un pilota di caccia di rientro sulla portaerei dopo un'azione di guerra. Un imprevisto, però, rende impossibile l'atterraggio dell'intera squadriglia che si trova costretta a volteggiare sopra la nave, in attesa che la pista venga liberata dalla carcassa di un aereo precipitato. Eccellente la gestione dei tempi. Wood dimostra un'insospettabile bravura nel tratteggiare la psicologia del pilota in quello che sembra un racconto che anticipa i dialoghi tra Rocky e Adriana nella saga del più famoso pugile della cinematografia hollywoodiana. Il pilota ricorda i dialoghi avuti con la moglie che ha cercato di far di tutto per dissuaderlo dal proseguire nella carriera militare. Ma fare il pilota è l'unica ragione di vita del protagonista, perché fuori dall'aereo da guerra non sarebbe più lui.

Molto buono e più action Niente atei all'inferno (1971), un altro dei migliori racconti dell'antologia. L'inferno dantesco si sveste dei contenuti fantastici per assumere quelli reali della guerra in Vietnam. Wood sposta la sua attenzione sul campo di battaglia, tra gli orrori del conflitto che ha insanguinato le vite di tanti americani. In guerra non c'è più spazio per le idee preconfezionate e la follia è dietro l'angolo persino per un reverendo che sembra perdere la fede, sembra... poiché in guerra è impossibile non raccomandarsi a Dio. Bello e chiuso con un gesto eroico, tra esplosioni e proiettili saettanti. Forse il titolo più bello dell'antologia.

Segue la via della parodia Posizione del Missionario Impossibile (1971) che dileggia apertamente Cuore di Tenebra di Conrad, anni prima dell'uscita di Apocalypse Now. Dissacrante e molto divertente per l'epilogo attraverso il quale Wood ribalta un racconto serioso e drammatico, all'insegna dell'avventura - tra sabbie mobili e crotali velenosi - incentrato sull'attraversamento di una giungla da parte di una spedizione capitanata da due missionari alla caccia di una regina albina. In realtà è tutta una farsa utile a criticare i luoghi comuni della società perbenista. Da sottolineare infatti i ragionamenti attraverso i quali i due protagonisti reputano la società da cui provengono preferibile a quella di chi vive disperso in una giungla e pertanto da non poter essere rifiutata quale futura prospettiva. Non andrà così. Epilogo squisitamente farsesco. Buona la gestione del racconto e l'atmosfera avventurosa.


Tra i racconti di matrice squisitamente sessuale è da salvare Via col Vento (1971), che propone i sogni di una ragazza di campagna che brama di emanciparsi e di vivere una nuova esistenza in città. Wood struttura il racconto su un doppio binario, giocando sui ricordi privati e intimi della giovane che sta ingannando il tempo guardando le poche auto passare sulla strada. L'epilogo della storia dimostrerà che tutto il mondo è paese e che il rapporto sessuale avuto per capriccio dalla giovane con uno dei tanti verginelli del paese è assai meno peccaminoso, nonostante quanto la stessa potesse pensare, delle orge tenute sottobanco dagli insospettabili bacchettoni che popolano la zona.


Carini, infine, Fiori per Flame LeMarr (1973), che propone la decadenza professionale di una ballerina di locali equivoci che preferisce infortunarsi in modo grave piuttosto che essere allontanata da un datore di lavoro stanco della perdita di freschezza della donna, e Sul Luogo del Delitto (1971). In quest'ultimo racconto un reporter intervista una serie di testimoni oculari di un omicidio perpetrato da un killer armato di coltello. Tutti si lamentano e reclamano sicurezza, eppure nessuno ha mosso foglia per soccorrere l'aggredita, affermando tuttavia che sarebbe intervenuto se solo qualcun altro avesse fatto il primo passo.


Quanto sopra è il meglio dell'antologia. La Gallucci non lesina in proposte e inserisce anche testi volgari che hanno poco da dire se non evidenziare il coraggio dell'autore nell'affrontare questioni spinose, in modo sbandierato ed esplicito. E così ecco racconti quali Divorzio sull'Isola (1969), Superfava (1971) e L'autografo (1974), nei quali si parla in modo spinto e diretto di rapporti omosessuali, evidenziando, in modo abbastanza critico, le difficoltà sociali a cui andava (o va) incontro chi ha certi orientamenti. Se in Divorzio sull'Isola la cosa porta a un ricatto ai danni dell'omosessuale, in Superfava (altro titolo che gioca sui doppisensi) diviene punto di forza per scalare la classifica nelle vendite di prodotti commerciali (guarda caso proprio le fave).

In Come un'aquila sgozzata (1972) la componente pornografica è legata al gusto per il truce e lo splatter. Un Tentativo di uxoricidio finisce male o così sembrerebbe, perché anche da morta la donna riesce a dire la sua. È una folle anticipazione seminale del futuro hardcore horror, pur se raccontato con spiccata ironia.

Calamity Jane Ama Hosenose Kate che ama Cattle Anne (1971) propone, dopo un lungo dialogo all'insegna di proposte saffiche e pettegolezzi femminili, un duello all'ultima lacrima in un saloon del far west tra le due amanti del defunto Wild Bill Hickok.

Molti sono poi i racconti in cui sbandati, ubriaconi e campagnoli vincono la noia nelle bettole raccontatosi le vicende cui sono andati incontro alcuni dei loro concittadini. In Dadi (1971) si parla della morte e delle mutilazioni subite dal più abile giocatore di zona, in Tanto per Ammazzare un Sabato Sera (1972) degli ubriaconi disquisiscono sull'opportunità di uccidere qualche prostituta perché sabato è tale solo se ci si diverte, mentre in Epitaffio per un Ubriacone (1973) si ricorda un compagno di bevute morto in cella per aver cercato di riscaldarsi dopo che gli è stata sottratta l'ultima bottiglia di whisky. La siccità e l'opportunità di ingaggiare uno sciamano indiano sono al centro dei dialoghi di Preghiera per la Pioggia (1971).

Non mancano poi racconti in cui coppie risolvono i problemi sessuali prendendo vie sadomaso (Doppio Colpo, 1973) e fetish (Pornostar, 1973) dopo aver scoperto, per mero caso, le abitudini deviate del proprio compagno. In Private Girl (1975), invece, un magnaccio cerca di convincere la sua donna privata a soddisfare un cliente particolare, giusto per fargli un favore personale. Un favore che sarà destinato a ripetersi. Racconto che ricorda molto l'episodio interpretato da Eva Grimaldi in Abbronzatissimi (1991).

Completa il lotto il modesto Riflessi Lenti (1972) che propone una ritardata mentale che non ammette i suoi difetti intellettivi neppure dopo aver collezionato una lunga serie di licenziamenti, salvo finire annebbiata dall'alcool e al completo oscuro dei gusti sessuali ricercati dagli uomini.


CONCLUSIONE

Splatter è un'antologia destinata agli appassionati di pulp e di horror che affronta la materia in modo dissacrante e all'insegna dell'ironia. Il divertimento, il dileggio e il politicamente scorretto sono i propositi ricercati dall'autore, che ha scritto questi testi per racimolare qualche dollaro e non certo per fare alta narrativa. C'è tuttavia del buono e più di un soggetto così delirante e folle da superare le aspettative iniziali del lettore.

 
Lo scrittore-regista Ed Wood.
 
 
"Lo spavento è per i disinformati. Il terrore per gli impreparati. L'orrore per gli ignoranti. La seduzione invece è per gli audaci. Chi ha mente audace attingerà a rivelazioni... entità dell'ignoto quasi impensabili... piaceri inconcepibili per un mortale."