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venerdì 29 luglio 2022

Recensione Narrativa: CRONACHE DALLA VAL LEMURIA di Cristiano Demicheli.

 


 

Autore: Cristiano Demicheli.
Anno: 2019.
Genere:  Fantastico / Terrore / Weird.
Editore: Edizioni Hypnos, 2019.
Pagine: 170.
Prezzo: 14,90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.  

Altra meritoria e lodevole scoperta firmata dalle Edizioni Hypnos di Andrea Vaccaro che pesca il vincitore del blasonato Premio Hypnos, edizione 2018, dove peraltro ottenne una menzione pure il sottoscritto col racconto La Zona (poi pubblicato per i tipi della Delos Digital, collana Innsmouth), e apre il sipario su una produzione che ha ancora molto da dire.

Facciamo così la conoscenza di Cristiano Demicheli, già edito nel 2011 da Rizzoli col romanzo per ragazzi Melasia (finalista ai premi Cento e Minerva) e qualche mese fa riproposto dalla Hypnos con L'Anno delle Volpi (Hypnos, 2022). ideale sequel dell'antologia qui oggetto di esame.

Genovese, classe 1975, Demicheli è un condensato personalissimo fatto di passione per il cinema estremo di genere (si dichiara un fulciano), parodia, weird di inizio novecento e un classicismo ricercato che rimanda a background colti in cui fanno capolino storia, (fanta)geografia e soprattutto culto per la poesia e l'arte pittorica.

A balzare agli occhi e a entusiasmare i cultori della letteratura è il ricercato, eppur mai pesante, stile narrativo. Pur ammiccando ai patiti del fantastico con atmosfere del terrore, Demicheli, alla ricerca dell'eleganza e dello stile, si distacca dai canonici insegnamenti votati all'immediatezza espressiva tanto cara a una certa editoria (interessata a far cassa piuttosto che a proporre standard qualitativi superiori al gusto della massa). La sintassi è estremamente elaborata, con costruzioni di periodi studiati a tavolino al fine di rendere "aristocratica" la narrazione. Impossibile non sottolineare il testo in più punti, vuoi per la comicità esaltata dai toni seriosi della narrazione (in aperto contrasto con gli scanzonati dialoghi), vuoi per passaggi degni di finire in una raccolta di aforismi. Ampio il ricorso a locuzioni latine, modi di dire francesi e via dicendo. Traspare inoltre una marcatissima formazione classica, costruita mattone su mattone nel corso di anni di letture e studi, che allontana per stile (e non per contenuti) l'autore dalla "livellata" narrativa di consumo che ormai siamo abituati a sorbirci. Citazioni a poeti, letterati persino latini e riferimenti della realtà storica accompagnano le vicissitudini dei vari protagonisti, tra riferimenti giuridici e aspetti che evidenziano l'estrema cura con la quale l'autore cesella i racconti in ogni loro componente più marginale (si veda anche il demenziale Gott Mit Uns? in cui si spiegano nel dettaglio le dotazioni delle ambulanze, una delle quali dotata di sirena che riproduce dodici note di Torna a Surriento!?). Su tutto impera la volontà di parodiare il weird delle origini, con punte di satira sociale e politica che fanno capolino tra le righe.

Cronache dalla Val Lemuria ben rappresenta "l'universo Demicheli. Un lotto di racconti tenuti uniti dalla fantastica ambientazione geografica alle porte di Genova, nell'immaginifica Val Lemuria, da lemures che vuol dire "spettri". Alla maniera di H.P. Lovecraft, Demicheli riscrive i contorni geografici e storici di un mondo che non esiste nella realtà, stando però attento a renderlo credibile agli occhi del lettore del nuovo secolo e incastonandolo in una cornice geografica ben definita ed effettiva. Una realtà in cui, pur in epoche diverse, si muovono cabalisti inseguiti dal diavolo, folletti che richiamano il piccolo popolo della tradizione celtica, fantasmi che infestano le camere di un albergo investito dalla neve e creature volatili non distinguibili dagli occhi ma percettibili dall'udito.


Materiali per una Guida in Val Lemuria è la cornice (più che racconto) da cui parte tutto, ivi compresa l'ideazione dell'antologia. Demicheli la presenta al Premio Hypnos e, piuttosto a sorpresa (data l'atipicità della struttura del testo), ne centra la vittoria. L'autore concepisce l'elaborato come una fanta-guida storico-geografica di una regione destinata all'attrazione turistica (nonostante ogni qualvolta si decide di partire verso di essa succeda sempre qualcosa che costringe a rivedere i piani). L'elaborato è la base su cui costruire il resto, l'insieme generale in cui si tratteggiano le caratteristiche e le particolarità del luogo: una valle avvolta dalle nebbie costanti, popolata da leggende e creature di interesse criptozoologico, in cui si muovono massoni, seducenti studiosi di occultismo e in cui fantasmi e patti diabolici sono all'ordine del giorno. Le tematiche sono quelle del weird classico delle origini. Demicheli dimostra di amare i grandi maestri del genere, prendendo le distanze dalla corrente dell'hardcore horror o di quell'orrore di matrice mathesoniana in cui il perturbante si insinua nella vita di tutti i giorni veicolato dagli oggetti del comune vivere. Ecco che emerge il profilo di un autore interessato alle atmosfere e a un fantastico di stampo soprannaturale (magari percepito tale per erronee interpretazioni dei personaggi) che non scende mai in truculenze o gusto per l'orrido, ma che occhieggia alla favola nera. Una penna leggera e altamente leziosa, a cui piace muoversi tra le maglie del tempo e dello spazio plasmando racconti attraverso i quali, sovente, si delineano percorsi diversi contenenti più storie tra loro intrecciate sebbene lontane nel tempo. In tutto questo, nonostante possa apparire strano, imperversa l'ironia, talvolta debordante nel comico più sbracato (si vedano Per Aspera Ad... o i racconti riconducibili al fantomatico Domenico Firpo), talaltra in una parodia più delicata dal retrogusto british che porta l'autore, sul finire dell'antologia, a intraprendere una sorta di gioco allo specchio di matrice metaletteraria in cui parla di uno scrittore che scrive di un certo Demicheli che parla da un mondo fantastico (cioè Genova) della realtà effettiva della Val Lemuria. 

Tra i racconti degni di maggior menzione spicca La Birta Odlata, un'avventura folk-horror che si snoda in epoche diverse e che gravita attorno a una carrozza maledetta, che finisce per intrecciare la propria storia di misfatti alla maledizione di un alchimista braccato dal diavolo e di ritorno dall'estero. Demicheli mischia sapientemente satira politica (peripezie e inefficienze del trasporto pubblico), horror rurale (diavolo), weird e addirittura western (l'ambientazione è ottocentesca) per dar vita a un racconto dai contenuti classicheggianti. Da The White People (“Il Popolo Bianco”) di Arthur Machen arriva l'idea che "le medicine più benefiche (leggi l'esoterismo, ma anche la psicologia e la filosofia) sono di necessità potenti veleni ed è per questo che vengono tenute chiuse in un armadietto (è, a mio avviso, sottinteso dalla società con tutte le sue convenzioni, le regole e la cultura di massa). Il protagonista infatti, aspirante rabbino e cabalista, si lascia infatuare dal richiamo dell'occulto e della carne (il diavolo qua è il tentatore travestito da novella Eva) e finisce per essere corrotto dal male, al punto da vagare con l'anima scorporata dal corpo e tenuta all'interno di un contenitore che porta sempre dietro con sé. Della serie la donna ti ruba l'anima e ti condanna alla maledizione. Un piccolo capolavoro, una favola nera dalla tensione cadenzata dal grande senso del ritmo, in cui confluiscono sotto trame e ironia dissacrante (eloquente il parallelismo che viene a crearsi tra il diavolo e l'alchimista e tra la donna passeggera e il dottore protagonista, con entrambi che affermano ai malcapitati di turno la frase: “adesso non mi scappi più!”). 

Echi da Machen arrivano dall'ancora più parodistico Era più Facile, che riprende da The Novel of the Black Seal le ambientazioni montane e la presenza di uno scienziato che si convince, sulla base di una serie di resoconti folkloristici, che sotto le alture delle colline genovesi dimori un'antica razza preumana, che i locali chiamano “cecini”, equiparabile al piccolo popolo celtico. A differenza di Machen, Demicheli si prende gioco della questione; stende un finto racconto fantastico in cui il weird si traveste di giallo, con due assistenti che, a ritroso, si mettono sulle tracce del loro mentore scomparso nel nulla. Il taglio e il registro sono seriosi, eppure la componente parodistica emerge sempre più, soprattutto sul finale in cui le superstizioni, i travisamenti e le erronee conclusioni porteranno a conseguenze tragicomiche.


La comicità assoluta e scatenata irrompe col surreale e folle L'Invenzione della Passeggiata. Demicheli riesce qua a scrivere un racconto partendo dal nulla, ossia da una disquisizione sulla differenza tra il “camminare” e il “passeggiare”, e lo porta in fondo presentando ai lettori una bufala travestita da evento storico riportato negli almanacchi della zona.

C'è pane per i denti anche per i puristi dell'orrore classico. Dopo aver divertito e regalato sorrisi, Demicheli proietta i lettori in una ghost story che non lascia spazio all'ilarità. Quando Cade la Neve mantiene la struttura articolata in più periodi storici, ma non concede pause dal target occulto. La storia propone poco di nuovo, ma l'autore è geniale nel gestire e raccontare le vicissitudine di una coppia di nobildonne su cui grava una maledizione di famiglia. Si parte dagli anni sessanta e si arriva a oggi, con una seconda parte di grosso effetto, culminante nell'epilogo più terrorizzante dell'antologia al punto da rievocare le atmosfere dello Shining di Stephen King.

Ne Il Cielo Sopra Tolengo, altro racconto articolato su più epoche, Demicheli si prende gioco, ma in modo più velato, del sottogenere “caccia ai tesori perduti”, con tanto di pietre mobili, indovinelli matematici da risolvere e finale in cui si liberano strani esseri, probabilmente dei demoni evocati e poi rinchiusi in una torre in tempi remoti.


In conclusione, Cronache dalla Val Lemuria è un'antologia che mostra un talento secondo a pochi, tra gli emergenti del fantastico italiano, e che fa di Demicheli un profilo di caratura internazionale che andrebbe tutelato ed esaltato nelle opportune sedi. Non ancora ben orientato sulla piega cui lanciarsi (per sua espressa volontà e spirito di contaminazione), Demicheli si presenta quale scrittore completo, a suo agio sia sul versante comico che su quello del terrore, con punte di satira dissacrante che spianano la strada verso un futuro che può consentirgli il definitivo balzo nella grande editoria. Lo seguiremo...

 

"La letteratura è il mestiere di chi vuol essere inutile alla società, di peso ai parenti, di danno a se stesso. In questa battuta c'è già tutto Firpo: il suo gusto un po' puerile di scandalizzare l'interlocutore, l'autodenigrazione che nasconde uno smisurato orgoglio e una non minore opinione di sè, il cinismo assoluto che, come spesso accade, costituisce l'altra faccia di un'assoluta tenerezza."

sabato 23 luglio 2022

Recensione Narrativa: LA BESTIA DENTRO di Antonio Tentori

Autore: Antonio Tentori.
Anno: 2015.
Genere: Horror (Antologia di racconti).
Editore: Profondo Rosso.
Collana: Orizzonti del Fantastico.
Pagine: 148.
Prezzo: 14,90 euro.

A cura di Matteo Mancini

Seconda antologia dello sceneggiatore cinematografico nonché saggista di cinema Antonio Tentori, già letto in veste narrativa in occasione della selezione Nero Profondo (Cut Up, 2008), che rinnova il sodalizio con Profondo Rosso dopo alcune esperienze maturate alla corte di altri editori. Giungono così ai lettori incalliti di horror sedici racconti brevi, tra fantastico e realistico, oltre alla riproposizione della novelization Inferno scritta nel 1997 per l'antologia Terrore Profondo interamente dedicata a Dario Argento ed edita dalla Newton & Compton.

Nell'occasione Profondo Rosso realizza una veste grafica in linea con i gialli pulp dell'editoria romana degli anni settanta, corredando il testo con le copertine dei vari film sceneggiati da Tentori, tra i quali si ricordano Un Gatto nel Cervello, Frankenstein 2000, I 3 Volti del Terrore e Dracula 3D diretti da maestri colossali del cinema di genere italiano quali Lucio Fulci, Joe D'Amato, Sergio Stivaletti e Dario Argento. Degno del tratto di un evidenziatore è infine l'abbordabile prezzo di euro 14,90 perfettamente in linea al numero delle pagine proposte.

Da un punto di vista stilistico si nota chiaramente la provenienza cinematografica dell'autore. Tentori, salvo alcune eccezioni (tra cui Inferno), tende a scrivere per immagini e adotta una sintassi semplificata che ricerca l'essenzialità piuttosto che il lirismo o l'eleganza narrativa. Periodi brevi, utilizzo privilegiato del presente (e della prima persona), scarsa articolazione dei periodi sono il marchio di fabbrica dell'autore. L'impressione è quella di essere alle prese con soggetti cinematografici lievemente integrati per esser convertiti in racconti, senza troppo interrogarsi sul collegamento tra le varie parti di storia e con personaggi il più delle volte di “cartone” utilizzati a mo' di marionette destinate a soccombere.

Un altro aspetto criticabile è la ridondanza degli elementi centrali dei racconti che tendono a tornare da una storia all'altro, pur fondendosi tra loro in combinazioni distinte. Dominano i serial killer che compiono mattanze che non portano mai la polizia sulle loro tracce, cui fanno seguito prostitute destinate a fare da macelleria, antiquari assassinati da killer votati a truculenze e, ancora, mariti accompagnati a donne traditrici di cui ignorano la vera natura diabolica (ora bestiale e ora umana). Tentori sembra esser interessato all'atto omicida, tendendo a sorvolare sulle caratterizzazioni e ancor più sulle indagini correlate agli assassinii che, addirittura, sono del tutto assenti. Spesso frettoloso e poco curato nella costruzione delle storie, Tentori pecca sovente nello sviluppo delle trame. L'obiettivo è quello di intrattenere e terrorizzare gli amanti dell'horror e del pulp senza alcuna velleità ulteriore. Non vi sono messaggi che sottendono alle storie e anche quando Tentori vorrebbe suggerirlo (si veda il racconto La Bestia Dentro) il messaggio non arriva a dovere. Sorprende, dato il curriculum enorme e invidiabile dell'autore, leggere nelle interviste la dichiarazione dello stesso Tentori che afferma di aver scelto il meglio tra la sua produzione.

Oltre alla novelization di Inferno, di gran lunga la più curata sotto tutti i versanti, dalle scelte sintattiche (più articolate) allo sviluppo delle personalità dei personaggi, solo un trittico di racconti riesce a colpire a dovere. La palma del miglior racconto va probabilmente a Sposalizio Segreto, una storia con interessanti risvolti erotici e rimandi hitchcockiani (“La Finestra sul Cortile”) all'insegna della gelosia, sotto la quale si nascondono strani sogni premonitori, riti satanici e gatti diabolici marcati dalla cifra numerica della Bestia. Davvero un buon racconto.

Interessante, pur se poco innovativo e con echi che ricordano parti del racconto sopramenzionato, è anche il lovecraftiano L'Avvento, ad avviso dell'autore il miglior racconto dell'antologia. La profezia Maya del 21 dicembre del 2012 e la fenomenologia legata ai terremoti si fondono al mito dei grandi antichi lovecraftiani prossimi a riprendere il controllo della Terra. Tentori guarda a Il Richiamo di Cthulhu e sposta il tutto in Italia, a Torino. In azione vi è la setta della Fratellanza di Dagon in una storia che propone, ancora una volta, la gelosia di un uomo accompagnato a una donna che, a sua insaputa, è una musa di una setta votata al male. Buoni l'ambientazione torinese e i rimandi all'antiquario di Inferno, così come l'epilogo tra i sotterranei di un palazzo che rimanda, ancora una volta, a Dario Argento (si pensi a La Terza Madre)

Rispetto alla narrativa di Lovecraft è più imparentato con H.G Wells L'Abisso, racconto che ripropone in chiave moderna The Island of Dr. Moreau (“L'Isola del Dottor Moreau”, 1896) di H.G. Wells miscelata al “Nuovo Popolo” di matrice lovecraftiana. A differenza de L'Avvento, L'Abisso è molto meno curato sul piano sintattico (mi verrebbe da dire che è scritto male). Tentori è approssimativo, tendente all'essenziale. Lo scrittore romano non cura la tecnica narrativa, ma va al sodo. C'è inoltre un'alternanza incomprensibile (a mio modo di vedere errata) tra l'uso del presente e il passato prossimo che infastidisce non poco la lettura.

Cambiano le location, assai simili a quelle dei due zombie movie che Tentori ha scritto per il regista Bruno Mattei. Dal contesto urbano de L'Avvento si passa in uno scenario caraibico, in cui delle creature ibridate si muovono nella notte, gettando nello sconforto il protagonista. Quest'ultimo è uno scrittore, a caccia di idee per il suo nuovo romanzo, che si ritrova isolato in un lembo di terra attorniata dall'oceano. Assediato da incubi in cui si scopre inseguito da mostri frutto di ibridazioni genetiche, si ritroverà protagonista del suo stesso incubo.

Tentori plasma una discreta atmosfera onirica, gioca su mostri lovecraftiani che si accompagnano ad altri di natura più classica. In questo racconto è inoltre presente la scena più terrificante dell'antologia ovvero l'uccisione di un cane sbranato vivo dal suo stesso padrone. Ecco che L'Abisso, pur non essendo lodevole sul piano meramente stilistico, beneficia di impennate oniriche che lo elevano rispetto a molti degli altri racconti dell'antologia. L'epilogo ricorda quello di Zombi – La Creazione (2007).

Più curato è Opera Nera, un racconto che rimanda a Il Modello Pickman di Lovecraft, pur se sviluppato in maniera personale. Un giovane pittore prende in locazione l'edificio in cui viveva colui che reputava essere il suo maestro nel campo della pittura. Quest'ultimo è scomparso senza lasciare traccia di sé, eccetto un quadro macabro all'insegna di omicidi, torture e strani esseri antropomorfi dalla testa di pesce. Rapito dal quadro non ancora completo e assediato dai sogni in cui appare il pittore autore del quadro, il giovane diviene preda di una maledizione che lo costringe a ultimare l'opera. Per farlo, però, avrà bisogno di modelle da sottoporre a “trattamenti” particolari... Carico di mistero e di una discreta dose di violenza, pur nel suo non essere innovativo, Opera Nera può definirsi una riuscita variante, legata al tema dei quadri maledetti, che ben si presterebbe per un cortometraggio.

Tra gli altri racconti è piuttosto quadrato e ben gestito Vendetta Voodoo che riporta ad Haiti in modo piuttosto ordinato il mito degli zombi, tra sfruttamento di schiavi e atti di bullismo operati dai coloni bianchi. Sufficiente, pur se tirato via nelle caratterizzazioni, Il Velo della Carne, ideale soggetto per un cortometraggio amatoriale. Un serial killer in fuga dalla città si ritrova in una città fantasma dove vivono un pugno di abitanti che altro non sono che demoni antropofagi pronti ad accoglierlo. L'istinto omicida del killer, però, farà cambiare loro idea, trasformando il nuovo arrivato in cibo prelibato per i loro palati.

Il resto dell'antologia, non me ne voglia l'autore, lascia un po' di amaro in bocca. Tentori plasma un'autentica orgia di omicidi, talvolta compiuti da licantropi, più spesso da killer irrefrenabili che si rendono protagonisti di sequele di omicidi che non vengono mai arginati da chi di dovere, sebbene gli stessi siano perpetrati senza alcuna precauzione (le camere di albergo divengono scene del delitto). Tentori si limita a descrivere uccisioni di prostitute, travestiti e studentesse dimenticandosi di delineare i contorni delle storie, dando l'impressione di aver concepito il tutto per una rappresentazione filmica votata a esercizi di stile registici. Ecco che ci troviamo al cospetto di racconti abbozzati, dove persino l'atto violento dell'assassinio scorre via senza alcuna verve o soluzione innovativa. Persino l'incontro tra i due serial killer contrapposti de Sacerdoti della Notte passa senza verve e senza struttura di fondo. Non vi è ironia, non vi è lavoro sui dialoghi, ben che meno sul versante delle metafore. Tutto passa alla maniera di un film che illumina una sala cinematografica dove si mangiano pop corn e si lancia qualche risatina tra una morte e l'altra.

Tra queste storie è da segnalare La Donna Perfetta, una prevedibile variante del Frankenstein di Mary Shelley virata in un contesto contemporaneo e del tutto liberata da risvolti alchemico/scientifici. In azione abbiamo un folle ragazzo che tenta di comporre la donna perfetta, adescando giovani ragazze che poi finiranno per esser uccise. Epilogo cattivissimo, col killer alla ricerca di chi abbia la capacità di vedere oltre le apparenze, una qualità che solo le mamme, evidentemente, possono offrire.

Non manca poi un omaggio a Luigi Cozzi e al suo negozio di Roma, sotto il quale si articola il museo di Dario Argento. Una Notte a Profondo Rosso, infatti, vede due giornalisti, ospiti di Cozzi nella notte di Halloween, contravvenire agli ammonimenti del padrone di casa, varcando una porta che sarebbe dovuta restare chiusa proprio mentre in superficie Dario Argento firma autografi ai fan.


Che dire in conclusione? Probabilmente che si sarebbe potuto predisporre una selezione più variegata, sia per tematiche che per sviluppi, evitando di mettere assieme troppi racconti simili. Sarebbe inoltre stato preferibile sviluppare meglio le trame di diverse storie, in modo da coordinare i tanti “stacchi” tra un omicidio e l'altro, magari proponendo indagatori e poliziotti impegnati nel tentativo di risolvere i vari enigmi oppure predisporre un background psicologico dei vari killer (aspetto presente nel solo Nero Profondo), con l'intento di far luce su quel lato oscuro che, alla stregua di un cancro, contamina le cellule di chi cede al fascino del male. Non del tutto riuscito.


Antonio Tentori
sceneggiatore prestato alla narrativa
 
"Ce ne sono molti di misteri in quel libro, ma l'unico grande mistero della vita è che essa è governata unicamente da gente morta."

lunedì 18 luglio 2022

Recensione Saggi: IL GRANDE LIBRO DI STEPHEN KING di George Beahm

Autore: George Beahm.
Titolo originale: The Stephen King Companion.
Anno: 2021.
Genere: Biografico e Critica Letteraria.
Editore: Mondadori (2021).
Pagine: 648.
Prezzo: 29.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Mammuth edizione Draghi, per intenderci (con pagine bordate di rosso e copertina nera), che la Mondadori ripropone in una nuova e aggiornata versione all'ottobre del 2021. Si tratta di un ampio saggio, in origine pubblicato nel 1989, che ripercorre l'intera vita e la produzione, narrativa e cinematografica, di Stephen King, rendendo accattivante il contenuto grazie al corredo di foto, disegni e interviste di chi con King ha lavorato o convissuto.

Beahm analizza l'universo kinghiano, dalla vita privata alla passione per la musica rock (con tanto di concerti in cui King svestiva i panni dello scrittore per indossare quelli del chitarrista), passando per festival, tour promozionali, pagine internet, collezionismo, edizioni grafiche, cinema e, ovviamente, narrativa. Beahm presenta tutti i romanzi, da Carrie a Billy Summers, ma, salvo i casi più noti, dedica poche pagine a ognuno di essi. Si va da un paio di paginette a piccoli trafiletti nel caso dei romanzi post Il Bazar dei Brutti Sogni. Alcune note sulla trama, qualche rigo di critica estrapolato da riviste o articoli nonché stralci ripresi dalle introduzioni originali di King. Un po' poco. Pur riconoscendo all'autore la necessità di massimizzare lo spazio a disposizione, si ricorda che il volume è formato da circa 650 pagine, a mio avviso un'analisi più approfondita dei romanzi non avrebbe gustato.

Da un punto di vista editoriale, l'edizione è estremamente curata e seducente (perfetta per un regalo). Un fan di King difficilmente ne potrà fare a meno e, di certo, non verrà frenato dal prezzo prossimo alle 30 euro (non esoso, data l'edizione). 25 x 17,50 circa, copertina cartonata, taglio schematico e strutturato attorno a otto parti per un totale di 128 capitoli che volano via senza fatica (un po' noiosa la parte sulle raffigurazioni delle edizioni da collezionisti, credo non presenti sul mercato italiano). Immergersi nella lettura è come compiere un viaggio a ritroso nel tempo, tra aneddoti di vita vissuta e curiosità. Una sensazione che, ne sono certo, non potrà che essere gradita a un personaggio malinconico e legato al passato quale dimostra di essere il buon King (si vedano i vari Il Corpo – alias Stand By Me -, It, L'Acchiappasogni o Revival). Io, per esempio, ricordo molto bene che ai tempi delle elementari (1987-91), quando King era sul mercato da appena una decina di anni, già si parlava di questo scrittore come se fosse un idolo. Le copie di It circolavano negli zainetti e venivano viste come materiale bandito, assolutamente vietato per un minorenne. Una devozione e un culto fuori dalla norma, un parlare e un sussurrare del tutto alieno agli altri scrittori. Appena si proferiva la parola "horror" un solo nome saltava fuori tra i ragazzini di elementari e medie... Non c'erano all'epoca i vari Poe, Lovecraft, Stoker e compagnia. C'era solo lui: Stephen King. Uno scrittore capace di attecchire in lettori giovanissimi, portarli alla lettura e farli sognare (o meglio non dormire, con buona pace di Freddy Krueger). Un vero e proprio fenomeno di massa da studiare nelle accademie letterarie per il modo attraverso il quale dal nulla sia stato costruito un mito destinato a durare nel tempo, se si pensa che in numero di vendite King è secondo al solo William Shekespeare. Per chi è cresciuto negli anni ottanta e novanta, Stephen King è stato un compagno e un amico immancabile, compresi per coloro che non hanno mai aperto un libro. Il cinema infatti lo ha portato nelle case e lo ha sdoganato oltre i confini popolati da quel piccolo zoccolo duro che va sotto il nome di "lettori". Si parlava di film di Stephen King e poco importava se, in fondo in fondo, King ne avesse diretto solo uno (il trascurabile Brivido). De Palma, Hooper, Kubrick, Cronenberg, Carpenter e Romero, pur dall'alto del loro talento, erano nomi che sparivano sotto la gigantografia "STEPHEN KING". Ecco che un'operazione come quella lanciata sul mercato dalla Mondadori non può che ravvivare ricordi personali di molti lettori che con King sono indirettamente cresciuti.


Passiamo ora ai contenuti. Dalla lettura, e questo a mio avviso è un difetto, si percepisce un approccio troppo fazioso. Beahm difficilmente assume un punto di vista imparziale, tendendo a collocare King su un piedistallo protettivo in modo da salvaguardarlo dagli attacchi dei dissidenti, col fine di innalzare la sua produzione al livello dell'alta letteratura. Per Beahm parlare di King è come parlare di Dickens o Faulkner. Credo che in pochi avranno a ridire contro la conclusione che Beahm sia un fan sfegatato di King. È possibile giungere a tale considerazione dall'insistenza nel volerne difendere a spada tratta l'opera omnia dagli attacchi di una certa critica snobista, quella che potremmo definire classica o comunque “letteraria”, che reputa spazzatura la produzione di genere o, in generale, di intrattenimento. La difesa a oltranza si percepisce anche dalla mancanza di un'analisi articolata e comparata della produzione di King. Apprendiamo che King è una vera e propria macchina capace di generare oro, disponibile a venire in soccorso degli emergenti (soprattutto cineasti), ma per nulla disposta a rinunciare ai diritti d'autore derivanti dalle proprie opere e per questo in lotta con diverse delle case editoriali con cui ha avuto a che fare (interessante la parte che tratta i vari passaggi da una casa editrice all'altra con le relative motivazioni). Una personalità mite ed educata, ma antisistema e alle prese con fan invadenti e talvolta tanto folli da ricordare i personaggi che popolano le pagine dei vari Misery e La Metà Oscura.

Poco viene detto circa il tema dell'originalità dei romanzi e delle influenze subite da King. Si dice solo che abbia cominciato a scrivere dopo aver trovato in una mansarda una serie di libri, tra i quali un'antologia di H.P. Lovecraft che King vede come suo primo mentore. A parte il caso de Le Notti di Salem (dichiarato tributo al Dracula di Stoker), non viene fatto cenno ai tanti plagi di cui la produzione dello scrittore del Maine è affetta, si pensi alle troppe similitudini di cui sono portatori romanzi quali La Lunga Marcia (ricorda Non si Uccidono così anche i Cavalli?, romanzo del 1935 di Horace McCoy, uscito al cinema nel 1969), L'Uomo in Fuga (un Robert Sheckley all'ennesima potenza, si veda il racconto La Settima Vittima), Pet Semetary (identico al capolavoro italico Zeder uscito prima del romanzo e diretto da Pupi Avati), Il Gioco di Gerald (si veda il racconto breve La Vasca di Richard Laymon inserito nell'antologia Erotic Horror) e via dicendo. Questo è senz'altro un difetto che rende di parte il volume e per questo particolarmente gradito a quei fan di King per i quali l'horror o il fantastico si ferma alla conoscenza di una decina (lo so, mi piace essere ottimista) di autori.

Ciò premesso Il Grande Libro di Stephen King è un volume che non può mancare assolutamente nella libreria dei fan del maestro del Maine, un testo di gradevole lettura per tutti gli appassionati. Chi potrebbe rimanerne deluso, probabilmente, sono gli accademici e coloro che si aspettano un'analisi dei testi che scenda in profondità rispetto al primo livello di lettura. Critiche queste che non sminuiscono il valore dell'opera di Beahm specie se si tiene conto la natura commerciale del progetto. Non deve infatti sfuggire che Il Grande Libro di Stephen King è un saggio per le masse.

 
L'autore GEORGE BEAHM
 

domenica 17 luglio 2022

Recensione Narrativa: Le Femmine dell'Avvoltoio di Joe Freeman (alias Libero Samale).

Autore: Libero Samale (Sotto lo pseudonimo di Joe Freeman).
Genere: Giallo.
Anno: 1965.
Edizione: Editrice Romana Periodici, collana I Narratori Americani del Brivido, N. 245.
Pagine: 124.
 

Commento di Matteo Mancini

Giallo ascrivibile al sottogenere del Whodunit ovvero del “Chi l'ha fatto?” che il barone Cantarella, titolare delle E.R.P. Edizioni, pubblica il 15 settembre del 1965 all'interno della collana da edicole I Narratori Americani del Brivido. A scanso di equivoci si sottolinea subito che all'interno della collana di “narratori americani” non vi è traccia. Gli autori erano tutti scrittori del circuito editoriale romano, molti dei quali legati a cinecittà e a produzioni di serie B (si pensi ai registi Parolini, Pinzauti e agli sceneggiatori Simonelli e Pino Belli). Nella fattispecie il nome Joe Freeman, autore del testo, cela l'identità di uno scrittore oggetto di rivalutazione proprio in questi ultimi anni ossia quello dello “psichiatra dell'incubo” Libero Samale, meglio noto con lo pseudonimo Frank Graegorius.

Studioso e appassionato di occultismo, aderente a organizzazioni segrete di matrice massonica e storico collaboratore della collana “I Racconti di Dracula”, Samale è meno noto nell'ambito del giallo nonostante questo possa definirsi il suo genere di elezione per numero di romanzi pubblicati. Operativo dal 1960 al 1981, pubblicò qualcosa come settantadue romanzi gialli (contro i ventotto horror/gotici), soprattutto per le collane I Narratori Americani del Brivido e I Gialli dello Schedario F.B.I firmandosi con gli pseudonimi Joe Freeman o Lewis Micheal.

Le Femmine dell'Avvoltoio è il diciottesimo romanzo presentato da Samale per la collana sopracitata, preceduto da altri quindici romanzi gialli proposti per altre collane (per dettagli si veda il recentemente uscito Libero Samale – Lo Psichiatra dell'Incubo di Matteo Mancini, Edizioni Profondo Rosso).

A differenza di altri romanzi della serie, si tratta di un solido plot che prende le atmosfere dall'hard boiled (bettole dove scorrono alcool e fumo a volontà, indagatori improvvisati, picchiatori/esattori al soldo del boss di turno, torture a base di pestaggi e femme fatale che fanno le scarpe agli uomini) miscelandole al giallo alla Agatha Christie (ricerca del responsabile di un crimine, esami balistici sulle pistole, salotti in cui si discute sui fatti, epilogo didascalico in cui si spiega l'intera vicenda). Samale è abile tessitore di intrighi e fa cadere i sospetti su tutta una serie di personaggi che si trovano a intrecciare le loro vicende, trovandosi ora avversari e ora alleati contro un nemico comune. Tutto parte dall'uccisione di un boss dell'area portuale di una cittadina americana, ma niente è come appare e pure il bosso non è tanta cattivo come potrebbe apparire. Si delinea infatti una vicenda dove sentimenti amorosi, traffici di droga, regolamenti di conti nonché desiderio di far carriera nell'ambito della mala locale si sovrappongono di continuo l'uno sull'altro scandendo un giallo dall'intenso ritmo. La polizia, come spesso succede nelle opere di Samale, resta alla finestra, scavalcata nelle indagini da un privato che la mala voleva incastrare e dalla “squadra” dallo stesso predisposta. Alla fine si trovano in azione tre gruppi distinti l'uno contrapposto all'altro ma intenzionati ad allacciare relazioni per far cadere la responsabilità sul gruppo fuori dall'accordo, in una sorta di western urbano di leoniana memoria in cui i vari tasselli vengono definiti alla fine dell'opera componendo un puzzle ben studiato a tavolino. Continui capovolgimenti di fronte, sparatorie, scazzottate ed effusioni amorose scandiscono la progressione narrativa, accompagnata dal classico tema che impregna buona parte della produzione dell'autore ossia la presenza di donne seducenti, dai valori contrapposti, che irretiscono il protagonista che passa da un letto all'altro cedendo al richiamo della carne, ma finendo alla fine col mettersi insieme con la donna buona (ma meno appariscente e provocante) che incarna gli ideali della moglie domestica.

Non di facile reperimento, Le Femmine dell'Avvoltoio è un buon giallo di intrattenimento che, pur non proponendo niente di innovativo, sa far ben girare gli elementi in gioco rendendo viva e accattivante la narrazione dalla prima (vivacissimo l'inizio) all'ultima pagina. Inadeguata la copertina di Mario Ferrari che suggerisce la presenza di una sommozzatrice sebbene nel testo non ve ne sia traccia.

mercoledì 13 luglio 2022

Recensione Narrativa: PULP HORROR di Arthur Leo Zagat

Autore: Arthur Leo Zagat.
Curatori: Jacopo Corazza & Gianluca Venditti.
Anno: 1934-1947.
Genere: Horror / Pulp / Giallo.
Editore: Edizioni Arcoiris, 2022.
Collana: La Biblioteca di Lovecraft.
Pagine: 202.
Prezzo: 14,00 euro.

A cura di Matteo Mancini

Ottava uscita, al momento ultima, della collana La Biblioteca di Lovecraft delle Edizioni Arcoiris. Il duo Venditti-Corazza propone nell'occasione una vera e propria primizia in Italia, dando alle stampe la prima antologia in italiano di Arthur Leo Zagat (1896-1949). La caduta dei diritti d'autore sui racconti rende possibile un lavoro di sdoganamento nella nostra penisola di un autore pulp praticamente sconosciuto alla nostra latitudine fatta eccezione per tre racconti, uno dei quali incluso nell'antologia (pubblicato da Providence Press). Apparso in Italia nel 2004 e nel 2006 a oltre cinquant'anni dalla sua scomparsa, Zagat è stato un autore molto conosciuto nel circuito delle riviste weird e pulp che popolavano le edicole americane tra il 1930 e il 1949. Di professione avvocato, era solito arrotondare lo stipendio vendendo racconti e romanzi brevi a tutte le principali testate del periodo. Suoi racconti infarciscono le pagine delle varie Argosy, Weird Tales, Astounding Stories, Oriental Stories, Wonder Stories, Terror Tales, Dime Mystery Magazine, Spicy Mystery Stories e via dicendo. Si parla di qualcosa come cinquecento pubblicazioni che gli sono valse il soprannome di Magister Trismegistus of the Macabre.

Conosciuto inizialmente per racconti e romanzi di fantascienza (spesso in coppia col collega di lavoro Nathan Schachner) che ne hanno tenuto a battesimo i debutti letterari, tanto che le sue prime due pubblicazioni in italiano sono proprio due racconti appartenenti a questo genere (Venus Mines Incorporated e The Menace from Andromeda), si è poi interessato a tutti gli altri generi commerciali che andavano in voga nel periodo. In particolare è ricordato per quello che è conosciuto come il weird menace ovvero racconti apparentemente caratterizzati da una componente soprannaturale che sfuma in una soluzione terrena. Proprio quest'ultimo gruppo di racconti sembrano quelli interessare al curatore Gianluca Venditti che, dopo una colta prefazione in cui parla del fenomeno di inizio novecento legato alle riviste pulp, propone un lotto di cinque racconti, quattro dei quali apparsi per la prima volta in un volume italiano.

Si tratta di una selezione che non rende molto onore a Leo Zagat, dal momento che ne esce fuori il profilo di uno scrittore unicamente votato all'intrattenimento e dotato di uno stile non particolarmente seducente da un punto di vista costruttivo e letterario.

Le storie hanno epiloghi spesso e volentieri forzati e poco verosimili, dando la sensazione quasi di voler essere delle parodie del genere fantastico.


NEL DETTAGLIO

Dei cinque racconti solo uno, Table for Two (“Tavolo per Due”, 1942), non a caso pubblicato in origine su weird tales, può definirsi fantastico. Zagat propone la storia di un amore impossibile che passa da un crimine avente la funzione di rimuovere l'ostacolo che impedisce la felicità dei due amanti protagonisti. Storia breve, eppure poetica. Nonostante l'epilogo non chiarissimo (anche se sembra che il protagonista sia morto così come il suo rivale in amore), è di gran lunga il racconto più riuscito tra quelli proposti. È infatti il più solido del lotto e alla fine si rivela una curiosa ghost story.

Gli altri quattro racconti presentano tutti dei difetti anche se siamo pronti a scommettere che siano preferiti dalla maggior parte dei lettori per le loro particolarità. The Dead Who Kill Again (“I Morti Uccidono Ancora”, 1947) è quello che piace meno. È un giallo estremamente macchinoso (e irrisolto) visto dalla prospettiva inconsueta della vittima ormai passata a nuova vita. Zagat regala alcune descrizioni interessanti (la traversata sul mare e il lento crescere della marea che avvolge la scogliera dove il protagonista, rimastovi imprigionato, ha celato dei documenti compromettenti con i quali intendeva ricattare il datore di lavoro), senza però chiudere in modo incisivo.

Atmosfere più tese e terrorizzanti si respirano in Midnight Fangs (“Il Sentiero del Lupo”, 1934) e Cargo for Hell (“Cargo per l'Inferno”, 1936), entrambi caratterizzati da premesse molto affascinanti e orrorifiche rovinate da epiloghi forzati per la loro volontà di fornire spiegazioni razionali a quanto fin lì delineato. Nel primo caso si assiste a una storia sulla licantropia non priva di gravi buchi narrativi (non si capisce come il sospettato venga giudicato non presente ai fatti, vista poi la soluzione finale) e di semplificazioni tutt'altro che possibili (si vedano le manovre orchestrate da una donna che non si capisce come riesca a gestire tutta la macchinazione, tanto da far apparire e scomparire un cane particolarmente feroce senza farsi scoprire dal marito). Difetti di costruzione, questi, che invalidano l'ottima struttura iniziale del testo e le atmosfere che Zagar riesce ben a costruire. Cargo for Hell, forse superiore per il taglio pulp e le ambientazioni esotiche (siamo su un'imbarcazione che solca l'oceano a nord dell'Australia), cade preda dei medesimi difetti di Midnight Fangs. Qua Zagat omaggia (o fornisce parodia) Dracula di Bram Stoker nella parte del viaggio via mare del Conte dalla Romania all'Inghilterra. Le atmosfere sono buone (da racconto horror), inoltre vi è un sadismo e una brutalità da pulp con venature erotiche. Cazzotti, cadaveri dissanguanti, bare al cui interno si scoprono defunti marinai scomparsi nel nulla e un'antica maledizione che parla di un'isola popolata dai morti viventi sono gli ingredienti nel frullatone del newyorkese. Belle premesse che Zagat distrugge con un finale decisamente brutto all'insegna di un machismo, di gran lunga superiore a quello di Robert E. Howard, rappresentato da un protagonista antipatico e brutale che picchia i suoi uomini e tratta da oggetto la novella moglie (che pure lo ama).

Ancor più folle, ma aiutatemi a dire folle, è il delirante Revel for the Lusting Dead (“L'Orgia degli Zombi”, 1937), una sorta di parodia estrema del genere zombie. Un racconto che, considerato l'anno di uscita, vanta importanti punti a proprio favore. Zagat mette in scena degli zombi che ricordano, a parte per i risvolti socio-politici, quelli ai quali ci ha abituato George A. Romero. Li vediamo uscire dalle tombe, barcollare verso i vivi che si sono asserragliati dentro un ambiente chiuso, quindi abbattere le porte delle abitazioni e resistere alle fucilate che gli uomini li riversano contro. A differenza degli zombi di fine anni sessanta, i morti viventi di Zagat parlano e vogliono copulare con le donne. Sembra di leggere una sceneggiatura di Jess Franco o Jean Rollin, anche perché il ritmo è sollecito e la struttura è completamente votata all'azione, senza attimi di respiro. Una giovane ragazza, un po' come la prostituta interpretata dalla Cardinale in C'era una Volta il West, giunge in provincia per unirsi a quello che dovrà essere marito, ma al suo arrivo non trova il promesso sposo ad attenderla alla stazione. Dopo essersi registrata in un albergo, si troverà asserragliata all'interno, circondata dagli zombi e senza possibilità di fuga. Verrà presa prigioniera e condotta all'interno del cimitero dove prenderanno luogo dei baccanali ultraterreni. Bello, ma assurdo, perché Zagat orienta tutto sul versante sadico, pulp e sessuale, proponendo, ben prima di Libero Samale, scene in cui gli zombi prendono a frustate le donzelle o costringono le stesse a combattere l'una contro l'altra in un'orgia di sangue alla maniera del gladiatori dell'antica Roma. Purtroppo, ancora una volta, Zagat perde il controllo della storia e, alla fine, si scopre che di morti viventi non ce n'era neppure uno, ma un'organizzazione di pervertiti che faceva capo proprio a colui che la donna avrebbe dovuto sposare e che ha organizzato il tutto per frodare le assicurazioni. Zagat cerca di spiegare per tale via quanto descritto (i fucili erano caricati a salve, i morti viventi recitavano un ruolo e via dicendo) ma è come cercare di convincere un tedesco sull'opportunità di comprare la Torre di Pisa da un venditore senegalese sorpreso nell'atto di vendere dei rolex a trenta euro. N.C.S. come direbbe Guido Nicheli: “non ci siamo!”.


CONCLUSIONI

Che dire in conclusione...? Pulp Horror è un'antologia dalla confezione estremamente accattivante ed elegante, con inserti divertenti che riproducono le assurde pagine pubblicitarie che impolpavano le riviste pulp dell'epoca, utile come studio “archeologico” di un periodo e di una realtà editoriale scomparsa. Da un punto di vista letterario il valore dei racconti è pressoché nullo, le storie sono palesemente scritte per ragioni alimentari pur riuscendo a regalare qualche momento esilarante. Le scelte di Zagat di cercare di fornire una spiegazione razionale a quanto proposto sembrano quasi costituire una parodia del genere fantastico, ma per esserlo veramente manca l'ironia. Nella sua sconclusionatezza, Zagat si prende sul serio. Alla fine comunque sono letture che non annoiano e intrattengono solo a una condizione: urge sospendere l'incredulità e soprattutto occorre non farsi domande sorrette da quella ragione che Zagat vorrebbe chiamare in causa. Lettura diversa dal solito.

L'Avvocato ARTHUR LEO ZAGAT