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sabato 27 giugno 2020

Recensione Saggi: LA MENTE DEL GATTO di Bruce Fogle.



Autore: Bruce Fogle.
Titolo Originale: The Cat's Mind.
Anno: 1991.
Genere: Saggio sui gatti.
Editore: Gruppo Editoriale Armenia (1999-2005).
Pagine: 288.
Prezzo: 16,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
PROSSIMAMENTE


L'autore BRUCE FOGLE
veterinario "con oltre 20 anni di esperienza"

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domenica 21 giugno 2020

Recensione narrativa TUTTO QUEL BUIO di Cristiana Astori.



Autore: Cristiana Astori.
Anno: 2018.
Genere: Giallo citazionista cinematografico.
Editore: Lit Edizioni Srl.
Pagine: 254.
Prezzo: 17,50 euro.

A cura di Matteo Mancini.
A distanza di quattro anni da Tutto quel Blu, torna Cristiana Astori col suo celebre personaggio Susanna Marino. Dopo aver scandagliato gli anni settanta e ottanta, la cacciatrice di pellicole perdute, una sorta di Lucas Corso italiano (il protagonista del romanzo spagnolo Il Club Dumas, esaltato dalla trasposizione cinematografica di Polanski intitolata La Nona Porta), regredisce alle origini del cinema, negli anni venti, nello sterminato e incompleto mondo del cinema muto. Si forma così un crocevia tra cinema horror dei primordi e letteratura, sviluppato, dall'ormai matura scrittrice piemontese, per effetto di un intrigo non così complesso ma sapientemente orchestrato, in un mix di giallo e narrativa del terrore. Susanna si trova a muoversi tra musiche ipnotizzanti plasmate dal lento incedere dei violini zigani, tra furti e omicidi che la vedono coinvolta e costretta a ripiegare su scantinati sotterranei che si muovono al di sotto della Budapest quotidiana, attorniata da personaggi ambigui e doppiogiochisti ma anche da apparizioni che rappresentano il graduale manifestarsi dei fantasmi delle epoche sepolte; epoche di morte, privazioni e cancellazione dei diritti umani.
La Lit Edizioni srl va così sul sicuro, scommettendo su un progetto ampiamente avviato e garantito nel suo successo dalla presenza di uno zoccolo duro di lettori pronti a fare calte false per accaparrarsi la nuova avventura di Susanna Marino (sembra tra l'altro che sia prossima l'uscita di un quinto volume). Ormai giunto al quarto capitolo, oltre un racconto pubblicato in un'antologia collettiva, la serie dedicata al cinema perduto espatria per tale via dalla Mondadori e, più specificatamente, dalla collana Il Giallo Mondadori, senza tuttavia subire battute di arresto.
Susanna si sposta in Ungheria, al soldo dell'ennesimo collezionista a caccia del gioiello perduto. Costruito su due piani temporali divergenti, uno ancorato ai tempi della pellicola ricercata e l'altro ai tempi odierni, Tutto Quel Buio si snoda nei meandri di una Budapest magica che ricorda, con i suoi ghetti ebraici e gli edifici diroccati, la Praga de Il Golem (1915) di Gustav Meyrink. Al centro della vicenda c'è un film ungherese, realizzato con maestranze austro-ungariche, ricordato quale il primo vero film tratto dal romanzo culto Dracula (1897) di Bram Stoker: Drakula Halala ovvero La Morte di Dracula. Un accostamento maledetto quello costituito tra il Dracula e il cinema. Realizzato nel 1920, il film è tuttora introvabile e oggetto di ricerche in giro per l'Europa. L'Astori ci ricama sopra e cerca di ricostruire la vita della misteriosa attrice Margit Lux, chiamata a interpretare la sposa di Dracula, vedendovi un'attrice di origine ebraica bruciata nella carriera e nella psiche da questo lavoro (non sarebbe l'unica attrice ad aver subito il fascino del male, permettendo allo stesso di insinuarsi dalla finzione alla realtà non riuscendo più a discernere tra le due e perdere così la retta via). In altri termini, la Astori ricorre alla figura di questa giovane ragazza sedicenne, che nella realtà non si sa chi fosse (secondo alcuni era uno pseudonimo di Lene Myl), per rappresentare la purezza contaminata dal male ovvero da un regista dracula (inteso però in chiave machiavellica) intenzionato ad appropriarsi della bellezza per un mero cruccio e senza valori di fondo. Tutto si muove da fatti concreti ma, ovviamente, poi si delinea in modo fantasioso. Si prende le mosse dalle due uniche fotografie sopravvissute di un film andato probabilmente distrutto nel corso dell'occupazione nazista e proiettato negli anni venti in sole due circostanze. Un destino che ha rischiato di ripetersi due anni dopo anche col Nosferatu (1922) di Murnau, ovvero il primo grande film su Dracula. Girato e realizzato in Germania, l'opera di Murnau fu predisposta sul modello proposto da Stoker senza tuttavia pagare i diritti d'autore con conseguenziale causa giudiziaria e condanna della casa di produzione, peraltro fallita a seguito della contesa, a distruggere tutte le copie messe in circolazione. Fatti e circostanze che hanno ammantato i personaggi e i film sul principe della notte di un'aura maledetta, basti pensare al destino dello stesso Murnau (trasportato cadavere sull'oceano a bordo di una nave, era morto a Tahiti, e poi tenuto per giorni in una cantina una volta sbarcato in Germania, proprio come il vampiro protagonista del suo film, oltre che esser vittima di una successiva profanazione con decapitazione del cadavere, proprio come successo a Dracula, e scomparsa definitiva della testa) o del più celebre attore che abbia mai interpretato Dracula ovvero Bela Lugosi (morto con la convinzione di essere davvero un vampiro e sepolto con gli indumenti di Dracula) o ancora Libero Samale, autore di punta col celebre pseudonimo Frank Graegorius della celebre collana italiana degli anni sessanta/settanta I Racconti di Dracula, trovato morto senza sangue nelle vene (a causa di un'emorragia interna).

"Uno degli aspetti che mi divertono" scrive l'autrice "consiste nel far sembrare reale l'immaginario e immaginario ciò che è reale." Un proposito che sembra calzare assai a pennello sia in riferimento al personaggio al centro della vicenda (Dracula) sia in riferimento all'autrice. Con Tutto quel Buio, Cristiana Astori tenta la duplice fortuna caratterizzata dal curioso miscelarsi tra finzione e realtà, così da sfidare la sorte e vedere se, nel prossimo immediato futuro, il film Drakula Halala salti davvero fuori come avvenuto nel romanzo e come effettivamente successo, con le altre pellicole interessate dall'attenzione della scrittrice nostrana (celebre anche per le traduzioni dall'inglese all'italiano di Jeffrey Deaver e Jeff Lindsay), dopo l'uscita dei precedenti romanzi. Infatti Un Dia en Lisboa e L'Autuomo, fulcri dei precedenti intrecci, sono effettivamente stati ritrovati a dimostrazione di quanto i propositi dell'Astori siano, di fatto, tutt'altro che fantasiosi.

TUTTO QUEL BUIO
si presenta quale quarto capitolo
delle avventure "dei colori" che hanno la cacciatrice di pellicole scomparse
Susanna Marino quale protagonista.

Sul romanzo giova evidenziare la meticolosa cura nella descrizione delle scenografie ungheresi. Per esser maggiormente efficace, l'Astori ha dichiarato di aver passato svariati giorni nella capitale magiara e questo ha indubbiamente portato lustro all'opera. Budapest viene utilizzata in ogni sua parte per conferire fascino al narrato e diviene personaggio aggiuntivo col suo lungo incrocio di culture, il retaggio dei regimi contrapposti - dall'imponenza imperiale alle simpatie naziste fino alla povertà nel periodo di influenza russa - ma anche con la sua cultura e i suoi cibi. Curate le caratterizzazioni dei personaggi, forse addirittura prevalenti sul soggetto. Questo infatti ricalca un po' le precedenti avventure, se non fosse per una maggiore attenzione nella ricostruzione storica. Il contesto ambientale e le deportazioni ebraiche degli anni quaranta diventano occasione per ricordare le follie e i veri orrori che hanno funestato il novecento. Una male oscuro andato ben oltre alle fantasie dei narratori del terrore. L'Astori, con tatto e anche con importante dose di studio pregresso, penetra nel delicato contesto della memoria, tornando a esumare piaghe che hanno lasciato ferite che non possono saturarsi neppure nei passaggi di consegna generazionali.
Lo stile è un calibrato mix di eleganza e di immediatezza, così da poter esser apprezzato da diverse categorie di lettori, sia i c.d. lettori usa e getta sia quelli che ricercano un'eleganza che trascenda dalla mera narrazione. Manca forse, a livello di intrigo giallo, qualcosa nell'intreccio (la soluzione finale appare didascalica in perfetto stile film giallo all'italiana degli anni settanta e, forse, un po' forzata ed estremamente improbabile), carenza comunque ampiamente compensata dalle atmosfere e dalla cura nella descrizione ambientale e dagli usi locali. L'epilogo, all'insegna del cinismo, mostra un'Astori romantica ma, al tempo stesso, concreta e poco in linea con la società in cui si muove la sua protagonista (aspetto che era emerso in modo più marcato già in Tutto quel Blu). I collezionisti sono raffigurati, più che come appassionati e amanti del cinema, quali biechi opportunisti ed egoisti, non orientati alla divulgazione, bensì speculatori che sfruttano il lavoro altrui per fare ricchezza personale.
La parte più bella? Direi quella portata in scena al Memento Park, in mezzo alle statue decadute del comunismo.
Molte le citazioni disseminate nel testo. Le più evidenti sono quelle al sopracitato Golem di Meyrink (per la cura scenografica) e un vero e proprio plagio ovvero la morte della Novak. L'Astori costruisce la scena a immagine e somiglianza del decesso della Baronessa Kessler nel film La Nona Porta. "Io l'ho visto prima di te" affermava la nobildonna, in riferimento al diavolo; qua invece a interessare è l'altro principe della notte, il Dracula, in una girandola che vede agire, tramite cacciatori di pellicole, collezionisti intenzionati a ridurre il numero di pellicole ancora in circolazione proprio come Boris Balkam (cognome che suona alla stessa maniera del cognome della moglie di Bram Stoker, ovvero Balcombe, intenzionata a far bruciare tutte le pellicole del Nosferatu) faceva nel citato film di Polanski col volume Le Cinque Porte. Poco da dire, quando si chiama in causa Dracula si finisce sempre con il rimanere legati al fascino del male finché quanto scritto sulla carta si concretizza alla maniera di un fumo sulfureo che, a poco a poco, assume consistenza fisica e materiale bruciando quanto di innocente è rimasto. Quando questo avviene è troppo tardi per destarsi dall'incubo e svegliarsi dalla catalessi. Gli artigli della notte affondano nella carne sotto forma di due canini appuntiti, mentre tu, vittima consapevole eppure ammaliata, resti rapita da quel giallo... tutto quel giallo, che ti scruta e ti penetra nell'anima e allora urlare diviene impossibile, perché il dolore si confonde col piacere e la sanità mentale si unisce alla pazzia in un amplesso di morte. In quell'istante comprendi cosa siano paura e terrore, eppure il tuo urlo si fa muto, in tutto quel buio che cala implacabile sul palcoscenico e rende simile la vita al cinema, trasformandoti in una pellicola perduta diretta da un regista maledetto.

DI TUTTI I COLORI: 
SUSANNA NON DEVB MORIRE.
Il terrore più vivo dell'autrice CRISTIANA ASTORI
prossimo a trudursi dalla finizione in realtà.

"La paura è immotivata, ma il terrore ha sempre un motivo."

mercoledì 10 giugno 2020

Recensione Narrativa LA DAMA DEL SUDARIO di Bram Stoker.



Autore: Bram Stoker.
Titolo Originale: The Lady of the Shroud.
Anno: 1909.
Genere: Drammatico.
Editore: Vari.
Pagine: 320.
Prezzo: 15,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Penultima fatica di Bram Stoker, autore entrato nella leggenda e nell'immaginario colletivo per effetto di una sola opera: Dracula (1897). Un successo debordante, capace di dar vita a un vero e proprio sottogenere della narrativa del terrore, continuamente riproposto al teatro e al cinema, tanto da inchiodare il suo già non più giovane autore (cinquantenne) a una notorietà unicamente connessa al suo romanzo di maggior successo. In verità Abraham Stoker, recensore, scrittore e soprattutto socio dell'attore teatrale Henry Irving, ha scritto molto (peraltro quasi tutto tradotto in Italia) e non sempre incanalandosi in quella branca riconducibile alla narrativa fantastica. Autore romantico e attratto da complesse storie di amore (piuttosto che di morte), Stoker ha da sempre dimostrato il proprio interesse per l'occultismo e la narrativa fantastica, ma non se ne è fatto rapire alla maniera dei veri e propri specialisti del settore. Studioso di mesmerismo, egittologia, folklore locale e mitteleuropeo, aderente all'ordine esoterico della Golden Dawn, ha orientato la propria produzione verso l'orrore proprio in funzione dei riscontri e della notorietà accordatagli dopo l'uscita del celebre romanzo che gli ha concesso una gloria seconda a pochi. Prima di allora, e in parte anche in seguito, le sue incursioni nel fantastico erano state occasionali. Penalizzato da uno stile vetusto, assai ricco di divagazioni e tendente alla ripetizione, non è più riuscito a confermare il successo assaporato col Dracula. The Lady of the Shroud, da noi tradotto con svariati titoli a partire dal 1985 (La Dama del Sudario, La Signora del Sudario o La Vergine del Sudario), non si sottrae dai limiti della produzione dello scrittore, anzi nè è un fulgido esempio.

Stoker prova a rinnovare lo schema narrativo del Dracula, sviluppando la storia quale coacervo di estratti dai diari dei vari personaggi, articoli di giornale e corrispondenze epistolari. Ne emerge una ripetitiva riproposizione dei medesimi fatti filtrati dai diversi punti di vista. Oltre questo limite, non brilla neppure il soggetto. Stoker accenna al fantastico e lo fa strizzando l'occhio, anche nel contenuto, alla sua opera più riuscita.
Dall'Inghilterra ci si sposta ancora una volta in Est Europa, questa volta nei Balcani. Il protagonista, un giovane rampollo della nobiltà inglese, tale Rupert St Leger, riceve in eredità da uno zio una sfarzosa proprietà nell'immaginario (credo) regno delle Montagne Azzurre. Zona collocata ai confini di Dalmazia, Bulgaria, Serbia, Erzegovina e Albania in cui è presente "il più bel porto tra Gibilterra e i Dardanelli". Uno spicchio di terra che fa assai gola all'impero ottomano e che viene difeso da uno zoccolo duro di sospettosi e chiusi montanari. In questo scenario, Stoker propone la storia d'amore, all'inizio impossibile e minacciata da una malefica onta in odore di dannazione, tra l'ospite inglese e la giovane figlia del re. Quest'ultima viene portata in scena con gli stilemi tipici del romanzo gotico di primo ottocento. L'autore, tramite il suo personaggio, parla apertamente di vampiri e "non morti". La giovane difatti si manifesta di notte, scappa alla luce del giorno ed è protetta da un solo sudario bianco. Bagnata nelle vesti, pallida e fredda, offre la sensazione di essere una defunta. Non fa niente per celare la propria condizione, anzi sembra volerla caldeggiare. L'intuizione viene confermata dalle ricerche del protagonista che, penetrato nei sotterranei di una vicina Chiesa, la scorge all'interno di una bara delimitata da una lastra di vetro che consente di vedere all'interno del sepolcro. Assai d'effetto, inoltre, è il prologo del romanzo, che si apre con dei ritagli di giornale, riconducibili a una testata chiamata "Il Giornale dell'Occultismo", dove si parla di un avvistamento notturno, nel cuore dell'Adriatico, "di un'esile figura bianca di donna, che andava alla deriva in una strana corrente a bordo di una piccola imbarcazione... l'imbarcazione non era altro che una bara sopra la quale la donna stava in piedi."
Si tratta della parte più riuscita del testo. Stoker, pur se in modo assai macchinoso, crea atmosfera e mostra la predilezione per un piglio grandguignolesco che si percepirà assai meglio nell'antologia postuma fatta pubblicare dalla moglie (Dracula's Guest & Other Weird Stories). Assistiamo infatti alle premonizioni della madrina del protagonista (una studiosa di occultismo che afferma di esser dotata di una seconda vista), con descrizioni estremamente riuscite e dotate di grande gusto onirico. In particolare c'è la visione di un matrimonio in odore satanico, con cuori che pulsano e grondano sangue calpestati da monaci avvolti da tonache nere. Purtroppo la spinta fanstastica termina qua. A circa un terzo di romanzo, si scopre che di paranormale e di fantastico non c'è assolutamente niente. La dama del sudario è infatti una normalissima ragazza, figlia del Re del posto, costretta a simulare di esser morta per prendere tempo ai fini di interesse politico e strategico. Sul posto infatti grava l'imminente miaccia di un tentativo di invasione turca. Scoperto l'inghippo, St Leger convolerà a nozze e metterà a disposizione dei locali tutto il suo eroismo, tra rapimenti, liberazioni e assalti bellici con tanto di navi da guerra e aerei. Il romanzo passa così dal fantastico a un genere dapprima d'azione e poi di fantapolitica, con Stoker, ben attento a tessere lodi al ruolo dell'Inghilterra nel farsi garante delle libertà dei popoli di autodeterminarsi, che immagina di tratteggiare i futuri scenari dell'equilibrio europeo, ormai prossimo a disgregarsi proprio partendo da quelle lande da cui si muovono le vicende di The Lady of the Shroud.

Spesso presentato quale romanzo horror o comunque fantastico, La Dama del Sudario è indirizzato ai soli studiosi della narrativa di Stoker e si segnala per alcune descrizioni lievemente caricate di una sana e casta spinta erotica (anche se, a differenza del Dracula, c'è un atteggiamento più bacchettone), ma soprattutto esaltate da un'atmosfera necrofila (il protagonista dichiara amore alla sua amata anche qualora questa dovesse essere una morta) che si sviluppa negli scantinati di una Chiesa. Sensazioni e visioni che, come abbiamo detto, sfumeranno in un romanzo di ben altra natura, assai vicino a un testo fanta-politico rallentanto da pause e interi capitoli che suscitano una noia che rende assai ardimentoso il compito del lettore. Difficile arrivare al termine senza saltare le pagine. Non consigliato.