Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

mercoledì 30 aprile 2014

IL FACHIRO DI ATLANTIDE di Felice Pozzo


Autore: Felice Pozzo.
Sottotitolo: Percorsi dell'Immaginario, tra Avventure e Misteri.
Anno: 2013.
Genere: Saggio narrativo.
Editore: Il Foglio.
Collana: Archivi Diversi.
Pagine: 200
Prezzo: 14 euro.

Commento di Matteo Mancini.
"Il titolo di questo libro è una scommessa” avvisa Felice Pozzo, l'autore di questo saggio narrativo, un vero e proprio esperto di lunga data dell'intera bibliografia del nostro Emilio Salgari.
In realtà a essere una scommessa non è il titolo, ma l'intero volume. Una scommessa vinta sicuramente dal punto di vista qualitativo, ma probabilmente non dal punto di vista commerciale, ma su quest'ultimo punto la colpa non può certo attribuirsi all'autore bensì a un pubblico di lettori a volte un po' troppo oziosi e legati alle mode del momento.
È lo stesso Pozzo a spiegarci, in quarta di copertina, il fine e il contenuto di questa nuova e ulteriore perla firmata dalle edizioni Il Foglio Letterario di Piombino. “Si tratta di un percorso insolito, affrontato in modo sciolto ma argomentato e non privo di visuali inedite, dove prevale l'associazione di idee. Sono così riproposti famosi autore del passato – da Edgar Allan Poe a Jules Verne, da Alexandre Dumas a John Dickson Carr – accanto ad altri caduti a torto nel dimenticatoio, come a esempio Louis Jacolliot. Ritornano inoltre in scena, con risalto innovativo, personaggi mai dimenticati, sia reali, come Cagliostro, Houdini, Wandohobb, che d'immaginazione, come il Vampiro, il Fantasma dell'Opera e molti altri. Sono inoltre rievocati luoghi fantastici, altrettanto e forse ancora più noti, come Atlantide, Agarthi e la Terra Cava. Per non parlare delle sette segrete, del mesmerismo e del mentalismo da spettacolo, dei delitti nelle camere chiuse, di streghe e fate, robot, polipi giganti e mostri, di esplorazioni bizzarre e di investigatori dell'impossibile”.
Nessun altra parola potrebbe ben sintetizzare il contenuto del testo proposto dal veterano Felice Pozzo, vercellese classe 1945 con alle spalle una lunga trafila di pubblicazioni.
La lettura del saggio è spassosissima per un appassionato di narrativa fantastica e di misteri collegati al mondo orientale (in particolare le Indie). Pozzo procede, forse in un modo un po' dispersivo per chi è a digiuno di certe materie, utilizzando l'opera di Salgari come trait d'union che gli consente di passare da un argomento all'altro, avendo però come minimo comun denominatore il fascino del mistero e dei segreti rimasti tutt'oggi “insondati”. L'ideale viaggio nel mondo dell'ignoto non può che partire, vista la costruzione che ne sta alla base, dalle problematiche di Salgari e famiglia, che Pozzo va a ricostruire con cura maniacale (nel senso buono del termine) attingendo dalle più disparate fonti. Il lavoro dell'autore denota una padronanza e uno studio da vero e proprio professionista della materia. Tanto di cappello, davvero. Pozzo porta avanti la trattazione, con particolare attenzione per i mondi sotterranei, citando interi passaggi di racconti e romanzi dello scrittore piemontese (d'adozione). La sua è un'analisi obiettiva e non da fanatico dell'autore, infatti non perde occasione per sottolineare le fonti di ispirazioni di Salgari a volte autore di veri e propri furti da maestri del calibro di Verne e Jacolliot (dipinto come anticipatore e superiore rispetto al più famoso collega francese) e altri persino esoterici riconducibili alla Blavatskij. Da qui si passa a trattare la misteriosa figura di Franz Anton Mesmer, con la sua pratica del mesmerismo - ovvero una scienza non riconosciuta caratterizzata dall'impiego di un fluido capace di restituire la saluta agli ammalati, il senno ai folli e la follia agli assennati - e le sue influenze nella narrativa e nella politica dell'epoca (cenni addirittura all'inchiesta fatta condurre dal re Luigi XVI). Non mancano cenni all'ipnotismo da palcoscenico ovviamente subito recepito da fumetti e letteratura, con citazioni abbastanza approfondite su personaggi quali Mandrake e... E poi ancora spazio a Bulwer-Lytton, maestro oggi poco apprezzato imprescindibile in un'analisi seria dedicata al mondo del fantastico in modo particolare per il suo studio sul c.d. vril: l'enorme energia di cui non utilizziamo che una minima parte nella vita ordinaria, il nerbo della nostra possibile divinità.
Il passaggio dagli ipnotisti ai mentalisti/alchimisti viene effettuato giungendo al trasformista Cagliostro, sia quello reale sia quello narrato dal grande Dumas (Pozzo non lesina aneddoti), presentato come “esperto nella lettura di quella che oggi si chiama comunicazione non verbale che consente di leggere il pensiero altrui.” L'analisi anche qua è curatissima, Pozzo mostra come il personaggio Cagliostro sia stato fondamentale per la creazione di altri due personaggi immaginari carichi di fascino e che non necessitano presentazioni: La Primula Rossa di Emmuska Magdalena Orczy e Zorro ideato dal canadese Johnston McCulley. Altrettanto breve è il successivo passo verso lo spiritismo, con Pozzo che va a rinverdire figure sbiadite dal tempo come il mago Daniel Dunglas Hope, apprezzatissimo da Conan Doyle, e l'illusionismo dove non poteva non essere analizzato il grande Houdini, a cui faranno seguito nelle pagine successive i vari Pickman e Wandohobb.
Si torna al parallelo narrativo usando come scrittore l'incredibile Gaston Leroux, che l'autore presenta con un passaggio che mi ha fatto sorridere di gusto: “Quasi ogni scrittore coltiva un vezzo personale o si attiene a rituali a volte estrosi. Leroux, quando scriveva un romanzo si chiudeva nella sua stanza e pretendeva da tutta la famiglia un silenzio assoluto per periodi anche lunghi. Questo atteggiamento è piuttosto comune, lui però segnalava la fine del lavoro in modo che pochi si sentirebbero di consigliare agli amici: spalancava la finestra e scaricava un intero caricatore di pistola. A quel segnale, la moglie e i figli si precipitavano sulle stoviglie, i piatti volavano in pezzi, in un assordante fracasso di casseruole.” Mitico già da qui, segue un'analisi approfondita sui trucchi e sugli incantesimi diabolici raccontati ne Il Fantasma dell'opera nonché sul protagonista del romanzo, definito da Leroux “il più geniale dei prestigiatori, un Houdini feroce e burlone, un uomo che si rende visibile soltanto quando vuole e che vede tutto attorno a sé... Uomo a cui una scienza bizzarra, acume, immaginazione e abilità consentono di disporre di tutte le forze naturali, combinate per creare l'illusione che vi rende perduti”. Pozzo va oltre, sfruttando alcuni testi misconosciuti di Leroux (L'automa insanguinato e La macchina per uccidere), per trattare romanzi e racconti pionieristici nel portare in scena automi e robot nella letteratura ma anche nella realtà (esilarante il cenno sul Turco giocatore di scacchi, un truffatore che si spacciava per robot attorno al 1770 esibendosi persino al cospetto di Maria Teresa d'Austria). Viene così affrontato il tedesco Hoffmann, il primo, con L'uomo della sabbia, ad avviare il sottogenere e che Pozzo definisce“artista poliedrico, dal carattere spregiudicato e godereccio, con i suoi personaggi maniaci, inquietanti, oltremodo estrosi, e anche con le sue concessioni al paranormale, le sue trame a volte aggrovigliate e ondivaghe tra la realtà e il piano magico, volle delineare da un lato la frattura insanabile tra la prosaica condizione umana, rispetto alla grandezza dell'arte, e dall'altro sottolineare il divario esistente tra la quotidianità spesso meschina e le aspettative di ogni spirito inquieto che ami elevarsi verso traguardi a volte indefinibili.”
L'analisi di Leroux non può che terminare con il capolavoro giallo Il Mistero della Camera Gialla testo fondante del sotto filone c.d. delle camere chiuse ovvero omicidi perpetrati in camere ritrovate post mortem con finestre e porte chiuse dall'interno. Pozzo chiarisce subito il trucco: “uno dei modi per evitare i limiti di una stanza chiusa consiste nel non utilizzare le dimensioni dello spazio, bensì quella del tempo”, rinviando poi al romanzo “Le tre bare”. Ecco che si giunge al maestro del genere, lo specialista John Dickson Carr, il quale paragonò la propria attività di giallista a quella di un prestigiatore definendo “l'arte di un assassino uguale a quella di un mago, così abile da attirare l'attenzione del pubblico nella direzione sbagliata.” Pozzo va sulla stessa linea tanto da presentare Carr quale “mago della ragione umiliata che inserisce nel cuore del racconto l'ambiguità, ponendo il lettore al centro di un gioco di specchi in cui le immagini si mescolano a tal punto che non è possibile tenere conto dei fatti e ogni dettaglio è ambivalente.
In questo sotto filone si annovera anche il celebre I Delitti della Rue Morgue dell'insuperabile Edgar Allan Poe, a cui Pozzo dedica svariate pagine con un interessante studio sui racconti che utilizzano Poe come personaggio protagonista delle più bizzarre avventure. Il passaggio da Dupin a Sherlock Holmes è uno schiocco di dita, infatti Pozzo non tradisce le attese spiegando le evoluzioni dei due personaggi portando in mezzo ai due il meno conosciuto Locoq, ideato dal francese Emile Gaboriau. Spacconissimo Conan Doyle che fa dire al suo celebre investigatore: “Senza dubbio lei crede di farmi un complimento paragonandomi a Dupin, ma secondo la mia opinione Dupin era un mediocre. Quel suo trucco di intervenire nei pensieri del suo amico, dopo un quarto d'ora di silenzio, è pretenzioso e superficiale. Senza dubbio, Dupin aveva una certa capacità analitica, ma non era quel fenomeno che Poe sembrava considerarlo. Lecoq invece era un misero pasticcione che aveva una sola dote al suo attivo: l'energia. La lettura di monsieur Lecoq potrebbe servire come libro di testo agli investigatori perché imparino quel che devono evitare” passaggi, questi, che mi ricordano prologhi di certi spaghetti western. Pozzo potrebbe fermarsi qui, ma ecco che un altro francese arriva col proposito di superare i tre contendenti: è monsieur Leblanc che schiera in campo nientemeno che Arsenio Lupin.
Gli ultimi due capitoli sono dedicati alle piovre (Verne in cattedra) e ancora a Salgari, in quella che si presenta come una vera e propria chiusura circolare.
In sintesi un saggio indicatissimo per gli amanti di misteri che interagiscono, in reciproca relazione, tra realtà e fantasia. Stile scorrevole, testo fluido e ricco di riferimenti bibliografici e grande cultura di genere da parte dell'autore. Leggerete un Salgari e un'altra dozzina di autore come pochi professori potrebbero presentarvi.


Acquisto consigliatissimo. Gran volume, pur nella sua sinteticità.

lunedì 21 aprile 2014

BRUNO MATTEI: Intervista a Pier Paolo Dainelli




Nelle foto di cui sopra, rispettivamente dall'alto in basso, Bruno MATTEI e il sottoscritto in compagnia del volume L'ULTIMO ARTIGIANO di Gordiano Lupi e Ivo Gazzarrini (sceneggiatore del regista Ivan Zuccon), a cui ho partecipato come coautore per la sezione western.

Testo e domande a cura di Matteo Mancini.
Ho di nuovo l'estremo piacere di ospitare sulla pagine del mio blog l'amico nonché grande esperto di B-Movie Pier Paolo Dainelli. Sono ormai passati quattro anni dalla bella intervista che mi rilasciò su Jess Franco ed è dunque arrivato il momento di bissarla con un regista molto vicino al regista spagnolo, sia per avervi collaborato a inizio carriera sia per molteplici similitudini nel percorso cinematografico. Inoltre l'occasione si rende quanto mai ghiotta dovendo io stesso parlare, al fianco di Antonio Tentori, Federico Frusciante e Ivo Gazzarrini, di questo regista nel prossimo Festival FI-PI-LI che si terrà in via Terreni, a Livorno, il 25 aprile p.v. Sto parlando ovviamente di BRUNO MATTEI.
Mattei ha molti punti in comune con Franco, soprattutto per la capacità di girare in tempi stretti film di genere a basso budget, spesso con inserti erotici spinti e forte uso dello splatter tanto da andare incontro a sequestri giudiziari e censure più o meno marcate. La caratteristica specifica di Mattei, tuttavia, è quella di cercare sempre di fare film di imitazione rifacendosi, a volte pedissequamente, ai capolavori commerciali hollywoodiani dei vari periodi storici. Lasciamo però che sia Pier Paolo a parlarci di questo ultimo artigiano del cinema di genere nostrano dei tempi che fu.

M.M.: Pier Paolo, innanzi tutto ti saluto e ti ringrazio per aver accettato questa intervista. Prima di iniziare con le domande sulla carriera di Mattei, sapendo che l'hai conosciuto di persona, puoi dirci qualcosa su di lui che ti ha colpito, magari un aneddoto sul vostro incontro, un profilo sull'uomo e sul regista?

P.D.:  Conservo un ricordo di Mattei davvero molto bello. Dal momento che ci siamo conosciuti non ci siamo mai mollati per quasi due giorni. Bruno era un fiume di parole. Ricordi e aneddoti si susseguivano senza posa in una narrazione sempre brillante e piena d'ironia. Ancora oggi, a distanza di anni, su tutto domina il ricordo della sua modestia, quella modestia che è tipica dei grandi. I lavoratori del cinema, quelli veri, non hanno bisogno di parlare del loro lavoro tracciando improbabili agiografie. Per Bruno ogni ricordo era qualcosa di divertente e per ogni film di cui mi parlava, ne ricordava sempre la storia produttiva, profitti o perdite che fossero. Ed è probabilmente per questa sua attenzione al lato “alimentare” che la carriera di Mattei è durata così tanto, passando dal dipartimento del sonoro, al montaggio, al direttore di doppiaggio e alla regia. Rimasi sorpreso quando scoprii che Bruno Mattei era stato il direttore del doppiaggio di Jeeg robot d'acciaio!!!


M.M.: Non viene spesso ricordato a dovere, ma Mattei, come molti suoi colleghi, viene dalla gavetta. Ha fatto il montatore e inoltre ha curato la versione italiana di molte pellicole provenienti dall'oriente, dagli Stati Uniti e da mezza Europa come il western erotico belga Les Aventures Galantes de Zorro (1972) di Gilbert Russel e il greco Armida, il Dramma di una Sposa (1969) che molti gli attribuiscono anche come regia.

P.D: Bruno per anni ha lavorato presso l'ufficio edizioni della FILMAR curando la versione italiana di film come “Le Cinque Chiavi del Terrore”, “Il Diabolico Dottor Satana” di Jess Franco, “La Vendetta del Vampiro” e moltissimi altri. Per quanto riguarda “Armida”, secondo quanto dichiarato da Mattei in più di un'intervista, la regia è la sua e rappresenta anche il suo debutto dietro la macchina da presa. In realtà è il film "Emanuelle e Francoise - le Sorelline" a essere il remake di un film greco che secondo Mattei in Italia non avrebbe ottenuto il visto di censura. Mattei e Massaccesi si divisero i compiti: Mattei diresse il primo tempo, Massaccesi il secondo. Per quanto riguarda i film di kung-fu, un aneddoto che mi colpì molto è che siccome da Hong Kong arrivavano tradotti in inglese solo i dialoghi dei film, i nomi degli attori in cinese venivano inventati di sana pianta per la translitterazione in caratteri occidentali, creando non pochi problemi ai futuri studiosi del genere. Notevole fu il lavoro di montaggio per i film di Jess Franco. La versione italiana de "Il Conte Dracula" è sicuramente la più efficace per l'uso delle musiche tra tutte quelle approntate nei vari paesi in cui fu distribuito. Mattei mi raccontò che per questo film collaborò a stretto contatto con il geniale compositore Bruno Nicolai e quindi la versione italiana de "Il Conte Dracula" è quella che ne rispecchia al meglio le intenzioni. Mattei tra l'altro si è distinto per aver tagliato nella versione italiana il finale di “Paroxismus”. Quando gli chiesi perché, lui candidamente mi rispose:”Non mi piaceva!”.


M.M.: Hai ricordato, poco sopra, le collaborazioni con Jess Franco. Non è curioso leggere dalla rivista Notturno certe dichiarazioni di Mattei il quale afferma: “Franco era un pazzo. Le cose più brutte sono gli pseudo fantascientifici, come Frankenstein contro l'Uomo Lupo”, ma i film con Lina Romay sono ancora peggiori"...? Qualche maligno delle nostre parti non potrebbe sussurrare: guarda che roba... della serie “cencio dice male di straccio”?

P.D.: In realtà quando Mattei mi parlò di Franco ne sottolineò la personalità sicuramente eccentrica ma evidenziando anche le geniali peculiarità cinematografiche. Inoltre Mattei esprimeva giudizi severi prima su di sé e poi sugli altri. Franco è sicuramente più autore ma Mattei è stato certamente uno dei più scaltri montatori di tutta la settima arte. A chi mai sarebbe mai venuto in mente di cucire insieme tre telefilm della serie UFO e uscire nei cinema incassando un miliardo (dell'epoca!)? A lui comunque dettero solo i soldi per le sigarette..


M.M.: Se il primo film che ti ha fatto conoscere Jess Franco aveva come protagonista Sumuru, personaggio femminile nato dalla penna dell'anglo-irlandese Sax Rohmer, da cui Franco trasse anche la sua serie dedicata a Fu Manchu, qual'è il primo film che ricordi di aver visto di Bruno Mattei e che effetto ti fece la visione?

P.D.: Lo ricordo come fosse ora.. Ero in un negozio di videoregistratori (siamo nel 1986 ed erano la moda del momento) e i commessi stavano facendo delle prove con la videocassetta di "Virus". Rimasi talmente colpito dalle poche scene viste che noleggiai subito la vhs. Fu amore a prima vista! Solo dopo qualche ricerca (internet non esisteva) scoprii il nome del vero regista e iniziai a dare la caccia a tutti i suoi film nei videonoleggi. Poco dopo riuscii a vedere al cinema "L'Altro Inferno" e "Rats Notte di Terrore". Tutti film che amo moltissimo e che dimostrano una conoscenza delle dinamiche cinematografiche, secondo me, non comuni. L'inizio di "Virus" con l'incidente al modulo Antares, il monologo allucinato di Paola Montenero ne "L'Altro Inferno" e il ritrovamento del messaggio videoregistrato in "Rats" sono momenti realmente efficaci. Per non parlare del finale di Rats con il quale, citandolo in chiusura nel tema per l'esame di maturità, presi uno dei voti più alti di tutta la scuola. Quando lo raccontai a Bruno, rise a crepapelle..


M.M.: Venendo ad affrontare la carriera registica di Mattei, facciamo subito la conoscenza di un altro regista assimilabile al duo Franco-Mattei: Joe D'Amato, il quale lancerà Mattei alla regia. Anticipo inoltre che la carriera di Bruno Mattei, seppur indirettamente grazie alla stretta collaborazione che stringerà nei primi anni '80 con Claudio Fragasso, andrà a intrecciarsi con quella di un quarto regista che, a mio avviso, ha una fortissima connessione, per sviluppo della carriera e tematiche cinematografiche affrontate, con i quattro sopracitati, mi riferisco a Mario Bianchi.
A tuo avviso, che differenze ci sono tra i vari Franco, Mattei, D'Amato, Bianchi e Fragasso, tutti registi assai longevi, costretti a lavorare con budget miseri e appassionati di horror e di erotismo, con incursioni, più o meno volute, nel porno?
Non trovi, a esempio, che Jess Franco e Joe D'Amato fossero molto più portati all'erotico rispetto a Bruno Mattei?

P.D.: Farei subito un distinguo a parer mio fondamentale. Mattei, a differenza di tutti gli altri, era un montatore. Chi si occupa di montaggio conosce perfettamente i meccanismi basilari della narrazione cinematografica: gli stacchi. Regole semplici come l'anticipazione del taglio del fotogramma che però sono la base affinché tutta la macchina cinema funzioni. Mattei mi parlava di schemi da seguire nella costruzione della narrazione e di tempi, tutte attenzioni che sono più di un montatore che di un regista. Non per nulla i migliori risultati li ha ottenuti in collaborazione con Fragasso, regista dotato di una gran tecnica, ma sicuramente meno legato a certi schemi. D'Amato era un autore, pur rifiutando di esserlo e sicuramente a modo suo, ma soprattutto era uno strepitoso direttore della fotografia, tra i migliori che abbiamo mai avuto in Italia. Per tutti però vale una considerazione: spinti dalla necessità di lavorare con mezzi e tempi limitati dovevano sfruttare al massimo il loro ingegno per riuscire a confezionare prodotti in grado di essere competitivi sul mercato. E se a distanza di decenni siamo ancora qui a parlarne, qualcosa hanno sicuramente lasciato. Riguardo a Bianchi l'ho sempre considerato un onesto artigiano. Riguardo all'attitudine di Mattei per l'erotico, penso che il confronto sia impari. Franco ha dalla sua una poetica originalissima legata a questo genere mentre Massaccesi poteva contare sulla sua straordinaria abilità fotografica.


M.M.: Il primo film di un certo interesse girato da Mattei, anche se c'è chi afferma che lo abbia diretto Joe D'Amato, è il delirante Emanuelle e Francoise le Sorelline (1975). Sono gli anni de L'Ultima Casa a Sinistra (1972) di Wes Craven e Mattei confeziona una sorta di rape & revenge per interposta persona tra i più sadici e perversi mai visti. Che ci dici al riguardo e come lo presenteresti se tu dovessi lanciarlo nella tua serie “I B-Movie di Tvr”?

P.D.: "Emanuelle e Francoise le Sorelline" ha due anime, quella più malinconica e trasognata del primo tempo e quella decisamente più estrema e al limite, del secondo tempo. Stando a quanto mi raccontò Mattei la spiegazione è che lui diresse il primo tempo e D'Amato/Massaccesi il secondo. Dovessi presentarlo, anche se reputo difficoltoso un suo passaggio in Tv, punterei sicuramente l'attenzione sulla disperazione che permea tutto il film, sul beffardo destino che spetta al protagonista trasformato da carnefice a vittima. In definitiva un film davvero triste con un inizio che senza utilizzare immagini forti riesce a essere crudele quanto la parte centrale, dove quello che appare sullo schermo si spinge davvero al limite.


M.M.: Dopo un debutto interessante, seppur spinto agli eccessi, Bruno Mattei si dedica all'erotismo perverso. In quattro anni, tra il 1976 e il 1980, gira una decina di pellicole, molte delle quali dei falsi mondo movie con Laura Gemser, oltre a far debuttare Cicciolina in un erotico puro e affrontare un genere a te caro: il nazi-erotico, con due titoli violentissimi, considerati dei cult del genere. Che ci dici di questo periodo e puoi spendere due parole di introduzione, per i non addetti, sul mondo movie e sul nazi-erotico?

P.D.: I mondo movie devono la loro definizione al primo grande successo che definì il genere, "Mondo Cane" (1962) di Gualtiero Jacopetti. Si tratta di film in cui si gira il mondo alla scoperta di eventi e spettacoli raccapriccianti, in grado di colpire allo stomaco gli spettatori anche partendo dal pretesto che tutto quanto è mostrato è vero. Il nazi-erotico, definizione coniata da un addetto del ministero dello spettacolo o come meglio definito da Davide Pulici, Erosvastica, è quel genere che, prendendo a pretesto la denuncia di quanto avveniva nei campi di sterminio nazisti durante la seconda guerra mondiale, mostrava orrori di ogni tipo conditi con abbondanti dosi di sesso. Considerato uno dei generi più infami di tutta la settima arte, c'è da sottolineare che spesso quello che risalta e che ne diluisce gli eccessi è l'aspetto fumettistico. Il genere nacque anche in questo caso sulla scia del successo di altri film: il canadese "Camp 7" e "Salon Kitty" di Brass. Mattei frequentò entrambi i generi. I mondo movie furono per Bruno quasi una conseguenza naturale del suo ruolo di montatore, dato che questo filone era per la stragrande maggioranza formato da materiale di repertorio da assemblare in sala di montaggio, magari collegandolo con parti girate ad hoc. Bruno ricordava divertito che su un giornale era uscito un articolo che diceva che "Le Notti Porno nel Mondo" era stato girato senza allontanarsi dal quartiere di Roma del Tiburtino Terzo. Riguardo agli erosvastica, Mattei mi disse che lo sbaglio del suo "Kz9 Lager di Sterminio" fu proprio quello di affrontare l'argomento "seriamente", abbandonando l'aspetto fumettistico. Questa scelta fu duramente punita in sede di censura con la bocciatura del film. L'altro erosvastica di Mattei, "Casa Privata per le SS", è molto più blando anche se non privo di analisi interessanti.


M.M.: Nel 1980 Bruno Mattei gira in contemporanea due film molto diversi tra loro, sfruttando le medesime location e andando a toccare il tonaca movie. Probabilmente sono i migliori film della prima decade di carriera del regista: La Vera Storia della Monaca di Monza e L'Altro Inferno. Nel primo, inoltre, si può ammirare come protagonista una gradita conoscenza del cinema bis italiano: Zora Kerova. Che puoi dirci?

P.D.: La procedura del back to back, ovvero dei due film girati contemporaneamente, era tipica del peplum degli anni sessanta (dove il secondo film veniva definito di "recupero") e Mattei, in stretta collaborazione con Fragasso (tanto da poterlo considerare un co-regista), gira due film di assoluto interesse che condividono in parte lo stesso cast. A tal proposito è doveroso ricordare la recentemente scomparsa Franca Stoppi, attrice dotata di notevoli capacità espressive. "L'Altro Inferno" è davvero un'opera singolare che propone un mix di elementi provenienti da tutti gli horror di maggior successo degli anni settanta. Il tutto è confezionato con una disinvoltura davvero incredibile ma proprio questo compendio di tanti spunti provenienti da film diversi, rendono la visione de “L'Altro Inferno” difficilmente dimenticabile.


M.M.: Il 1980 è anche l'anno di uscita di quello che è il maggior successo commerciale di Mattei: Virus. Una pellicola non priva di difetti, ma che è tutt'oggi ricordata e apprezzata da registi come Quentin Tarantino. Quale è secondo te il motivo di tanto interesse?

P.D.: Mentre Romero nei suoi film ha sempre volutamente tralasciato il motivo per cui i morti tornano in vita, Mattei e Fragasso ce lo spiegano e la motivazione che ci forniscono è un delirio da film culturalmente impegnato, abilmente contaminato con le più azzardate teorie complottistiche: per risolvere il problema della fame nel mondo, quale miglior trovata che creare un virus che spinga la gente a divorarsi a vicenda?
Visivamente notevole è l'immensa centrale immersa nel niente, popolata dai morti viventi. La paura ancestrale del cannibalismo portata in un contesto altamente tecnologico è sicuramente una trovata funzionale. Altro punto a favore del film è l'interpretazione decisamente sopra le righe di Franco Garofalo che apporta momenti ironici davvero riusciti che oltretutto mettono alla berlina l'intero genere, tanto che a uno zombi che tenta di azzannarlo, rivolge la domanda:"Preferisci l'ala o la coscia?
Altro elemento che contraddistingue “Virus” è lo splatter, qui davvero esasperato, eccessivo e abbondante, senza dimenticare l'utilizzo delle stesse musiche dei Goblin che già tanto avevano contribuito alla riuscita della versione di "Zombi" rimontata da Argento.

M.M.: Dopo aver toccato un po' tutti i generi legati all'erotismo malato, Mattei non può esimersi dal trattare anche il c.d. Women in Prison dirigendo due pellicole gemelle violentissime e sanguinolenti che ripropongono la bella Laura Gemser protagonista. 
Se in occasione di Franco avevamo speso due parole su Soledad Miranda, questa mi pare l'occasione per parlare di quest'altra regina del cinema bis, legata soprattutto a Joe D'Amato ma che io ricordo sempre, anche in vesti caste ne I Due Superpiedi quasi Piatti, al fianco di Terence Hill... che ci dici? Hai qualche aneddoto da regalarci?

P.D.: Laura Gemser viene sempre ricordata da tutti come una persona squisita che, nei momenti in cui aspettava la preparazione delle scene, se ne stava tranquillamente in disparte. Nonostante le parti da eroina del sesso che ha sempre portato sullo schermo, la sua vita privata è sempre stata dominata da un assoluto amore per il suo compagno, l'attore Gabriele Tinti. Non per niente dopo la scomparsa di Tinti, la Gemser ha diradato drasticamente la sua attività fino a ritirarsi dalle scene. Joe D'Amato aveva una vera e propria ammirazione per questa attrice e pur di averla con sé durante le lavorazioni dei suoi film, le affidava l'incarico di costumista. Da ricordare che la Gemser fu scelta come protagonista di "Emanuelle Nera" di Albertini, dopo che era stata notata in una piccola parte nella serie originale di Emmanuelle.


M.M.: Dopo il tentativo di rinverdire il peplum con un trio di pellicole di livello inferiore due delle quali con riferimenti al cinema di Brass e di Borowczyk, Mattei gira quello che so essere un tuo cult personale (e che io espongo in DVD originale nella mia videoteca): Rats, Notti di Terrore, con il grande Ottaviano Dell'Acqua per una volta protagonista. Come lo presenteresti questo film e cosa hai da dirci al riguardo?

P.D.: Ricordo ancora i manifesti di "Rats" che, a rotazione, fecero il giro di tutti i cinema della provincia di Firenze, fu l'ultima volta che vidi cartelloni di una produzione italiana di genere esposti... Si tratta quindi di un film che davvero segna la fine di un'epoca. Successivamente le produzioni italiane di genere si sposteranno in blocco nelle Filippine alla ricerca di costi più bassi, seguendo le orme del precursore Margheriti. "Rats" parte da un'idea di Mattei decisamente originale: rielaborare "La Notte dei Morti Viventi" sostituendo gli zombi con i ratti, proiettando inoltre il tutto tra qualche migliaia di anni. Il risultato, nonostante i tempi e i mezzi limitati, è notevole, l'atmosfera di minaccia che permea tutto la vicenda è palpabile e il finale sfodera una trovata talmente allucinante da valere tutto il film. Inoltre “Rats” evidenzia un valore produttivo superiore al solito perché a Mattei fu permesso di girare sui set ancora in piedi utilizzati da Sergio Leone per il suo "C'era una Volta in America". I topi, invece, non erano altro che cavie immerse nella tinta nera. Mattei rideva come un matto quando raccontava che quelle cavie avevano formato delle colonie che ancora infestano gli stabilimenti della De Paolis dove il film fu girato.


M.M.: Abbiamo detto che Mattei era un abile sfruttatore delle mode del momento, ma è anche vero che ha cercato di ridare linfa a generi morti. Già abbiamo detto del peplum, ma a metà anni '80, spinto dal produttore Di Girolamo, fa ancora di più andando a girare due western a genere ormai morto. A mio avviso, però, Bianco Apache e Scalps sono i due film più quadrati dell'intera opera matteiana legati soprattutto alle tematiche revisioniste lanciate negli anni '70 da Soldato Blu. Anche se non credo che tu sia un patito di western, li hai visti?

P.D.: I western di Mattei sono un qualcosa fuori tempo massimo, come se qualcuno li avesse tirati fuori da un congelatore. L'unico aspetto che li lega al periodo in cui sono stati effettivamente girati sono le scene splatter che nei western fanno un certo effetto. Per il resto li trovo due film effettivamente risolti in modo compiuto.


M.M.: Dopo la parentesi western e l'imminente crisi del nostro cinema di genere, Mattei si sposta nelle Filippine dove, a fine anni '80, gira una serie di rambo movie a mio avviso difficilmente salvabili e con protagonisti muscolari pessimi, a cui aggiunge copie spudorate di famose pellicole hollywodiane come l'invedibile Robowar con un alieno killer che sembra uscito dal film Il Replicante. Tornato in Italia gira a Latina e a Venezia quello che, forse, è il suo peggior horror: Terminator II – Shocking Dark che nonostante il titolo è la copia spudorata di Aliens. Cosa si salva di questo nutrito gruppo di pellicole, secondo te? C'è qualche film che ti sentiresti di consigliare.

P.D.: Mi sono sempre divertito a guardare questi titoli con una formula: guardiamo come si possono rifare a costo vicino allo zero film dal budget milionario come Terminator o Alien! E il cinema fatto così diventa quasi una specie di gioco che personalmente mi affascina. "Shocking Dark", per esempio, ha dalla sua uno dei migliori lavori di direzione della fotografia (opera di Riccardo Grassetti) che sia mai stato fatto in un film di Mattei. Non dimentichiamoci mai che questi film si trovano distribuiti in DVD in giro per il mondo, andate a cercare i film italiani di oggi e venite a dirmi cosa trovate..


M.M.: Credo meriti una domanda a parte il film Zombi 3 che Mattei ultimò insieme a Fragasso subentrando in corso di lavorazione a Fulci. Tutti parlano malissimo di questa pellicola, a mio avviso invece, se la si considera nel lotto dei film di Mattei, non è affatto la peggiore, ma si assesta subito dietro le più riuscite. Ha un buon ritmo, un bel prologo e ci sono sequenze degne di nota, come gli zombi che avanzano nell'acqua, che anticipano certe sequenze romeriane. Sei anche te tra i disfattisti o la poni subito dietro a Virus e Rats, parlando degli horror di Mattei?

P.D.: Amo follemente Zombi 3. E le parti che amo di più di questo film sono proprio quelle dirette da Mattei e Fragasso. Fulci, per questo tipo di produzioni, aveva un approccio troppo autoriale e inoltre in quel periodo soffriva di gravi problemi di salute. Trovo riuscitissimo il lavoro di montaggio nella sequenza di apertura, quando l'elicottero insegue il fuggitivo con la valigetta contenente il Death One. E come dimenticare l'arrivo dei soldati all'albergo, in una sequenza dal ritmo serrato accompagnata dalle belle musiche di Stefano Mainetti. In definitiva un horror d'azione dal ritmo sostenuto e impreziosito dal tocco macabro di Fulci che si nota in molte sequenze, prima fra tutte quella della piscina.


M.M.: Con l'arrivo degli anni '90, Mattei interrompe la collaborazione con Fragasso. Lo storico collaboratore passa a dirigere una serie di horror, a mio avviso inguardabili, il nostro invece entra in quello che è il suo peggior momento della carriera. Tra il 1990 e il 2002, gira una dozzina di pellicole un po' thriller e un po' erotiche stile Nove settimane e 1/2, usando spesso come attore protagonista Antonio Zequila (conosciuto dal grande pubblico come “er mutanda” de L'isola dei famosi). Ti confesso di conoscere poco questa fase, c'è anche un ulteriore copia spudorata come il monster movie Cruel Jaws, ma non credo ci siano film da salvare. Che ci dici, ne hai visto qualcuno degno di nota?

P.D.: A parte "Cruel Jaws" che è più un lavoro di rimontaggio fatto a spese de "L'Ultimo Squalo" di Castellari, tutto il resto fa parte della serie di pellicole realizzate per Ninì Grassia e anche se l'aspetto predominante dovrebbe essere l'erotico, in più di un'occasione ecco che spunta il giallo con connotazioni horror, come ne "Gli Occhi Dentro".


M.M.: Nel nuovo secolo, seguendo Jess Franco nella scelta di optare per il digitale, Mattei torna al suo genere di elezione: l'horror. Quest'ultimo periodo, forse, è il più interessante del regista, quanto meno per l'impegno e il tentativo di rilanciare generi ormai morti. Supportato da Gianni Paolucci, prima di girare un trio di erotici di bassa lega, confeziona per il mercato homevideo l'ennesimo film di imitazione a immagine e somiglianza dei film in voga all'epoca (Snuff Killer), ma soprattutto due cannibal movie nella giungla filippina e uno tra gli horror più originali della produzione matteiana: La Tomba. Doppiaggi pedestri e interpretazioni ai limiti dell'amatorialità penalizzano fortemente queste pellicole, ma è indubbia la passione di Mattei. Le hai viste e che ne pensi?

P.D.: Intanto parliamo del fatto che "Belle da Morire" diventò un successo nel mondo dell'home video tanto da generare anche un sequel e che questo risultato spinse Mattei a tentare anche la carta di generi un po' meno facili. Bruno mi disse che queste produzioni erano realizzate con ritmi velocissimi, tanto che piazzava la macchina in mezzo alla giungla e semplicemente girandola da una parte e dall'altra, filmava tutti i primi piani del film. Senza contare i furti: solo ne "La Tomba" ci sono parecchie scene prese di peso da "L'Armata delle Tenebre"di Sam Raimi. Inoltre in questa fase della sua carriera Mattei aveva rinunciato a montarsi personalmente i suoi film e purtroppo si nota.


M.M.: La fiducia di Paolucci e l'arrivo di un collaboratore come Antonio Tentori, a mio avviso il migliore tra quelli avuti in tutta la carriera da Mattei, permettono al nostro di girare tre tra i suoi migliori lavori in assoluto. Per un bizzarro gioco del destino sono le sue ultime tre opere peraltro neppure tradotte in italiano, davvero una mancanza imperdonabile. Mi riferisco al women in prison The Jail e ai due zombie movie girati nelle filippine. Cosa ne pensi?

P.D.: Conobbi Mattei proprio nella fase precedente la realizzazione di questi film e lui ne parlava con entusiasmo. In effetti il recupero dei generi, fatto con l'aiuto di uno storico del cinema come Tentori, poteva essere una grande occasione. Purtroppo non molto tempo dopo, Mattei è morto. I film che rimangono non fanno altro che testimoniare quello che Bruno ha dimostrato durante tutta la sua carriera: l'abilità non comune di realizzare pellicole proponibili sul mercato internazionale, prodotte con costi irrisori. Una qualità sicuramente derivante dalla capacità di girare solo l'essenziale per il funzionamento di una sequenza, sfruttando la sua grande abilità di montatore.


M.M.: Abbiamo parlato di Paolucci e di Tentori, non posso quindi non chiederti, visto il coinvolgimento di entrambi i nomi, cosa ne pensi di Dracula 3D, ultimo horror di Dario Argento. Non è curioso notare come un regista del calibro di Argento sia finito per andare a sostituire un artigiano come Mattei, prendendone di fatto il posto seppur con un budget superiore?

P.D.: In effetti questo è successo, ma Argento, uno dei più grandi talenti del nostro cinema, non è sicuramente abituato a certi metodi di lavoro, così come si sarebbe trovato spaesato Mattei a girare il suo "Shocking Dark" con il budget di Aliens.


M.M.: Un'ultima domanda sugli alias utilizzati da Mattei. Sappiamo che molti registi italiani si nascondevano dietro nomi anglofoni o comunque stranieri. Eppure Mattei, come anche Jess Franco, sebbene sia conosciuto soprattutto come Vincent Dawn, Werner Knox o Jordan B. Matthews, sfodera una lista di nomi che sfiora le venti unità. Perché una simile scelta, secondo te?

P.D.: Secondo me a tutti noi sfugge sempre qualcosa che non ci fa comprendere completamente figure come quelle di Mattei o Franco. Questa era gente che non faceva cinema alla ricerca del capolavoro così come certa critica sembra interpretare esclusivamente la settima arte, questa era gente che col cinema ci viveva... e quando si lavora per vivere e non solo per fare arte, non si sta a valutare tutti i progetti per la loro qualità, magari si accettano incarichi solo per il compenso. Anche la Storia dell'Arte è piena di pittori che firmavano con pseudonimi i lavori su commissione.


M.M.: Chiusura d'obbligo con una domanda sul futuro di Pier Paolo Dainelli e dei B-Movie. Ci sono novità in arrivo? Progetti per il futuro?

P.D.: Nonostante il mio grande amore nei confronti della TV regionale come laboratorio per esperimenti meno legati all'auditel o agli sponsor, non posso fare a meno di sottolineare quanto le scelte scellerate del nostro paese sul piano tecnologico, con l'adozione di un sistema inadeguato e completamente superato come quello del digitale terrestre, abbiano messo in ginocchio le TV medio-piccole. I costi di adeguamento alla nuova tecnologia e la congiuntura economica hanno creato un clima di concorrenza forsennata che ha portato a un abbassamento dei listini pubblicitari e di conseguenza degli introiti. Tutto questo ha generato un circolo vizioso, dal quale non vedo uscita. Inoltre l'arrivo dell'on-demand ha reso in un istante obsoleto tutto l'armamentario della vecchia tv. Rimane una sola consolazione, tutti questi film sono entrati a far parte di quella sorta di enorme coscienza collettiva che è la rete. Rimarranno per questo sempre accessibili a chiunque vorrà avvicinarsi a un cinema delle capacità, delle idee e in definitiva dell'astuzia di giocare con gli spettatori, rendendoli partecipi di spettacoli che volevano arrivare al limite del mostrabile. O almeno così gli facevano credere..


Un saluto e un ringraziamento al grande Pier Paolo.

sabato 19 aprile 2014

JESS FRANCO - Intervista a Pier Paolo Dainelli




Ripropongo una mia vecchia intervista a Pierpaolo Dainelli, pubblicata nel 2010 sulla rivista Braviautori. Ho deciso di pubblicarla anche qua sul mio blog, un po' per omaggiare il recentemente scomparso Jess Franco (su cui ruota l'intero colloquio tra me e Dainelli), un po' perché la ritengo molto interessante grazie all'indubbia competenza dell'intervistato.  Buona lettura.
Nelle foto sopra pubblicate compaiono rispettivamente Jess Franco e Pierpaolo Dainelli, immerso tra gli strumenti del mestiere.

Testo e domande a cura di Matteo Mancini.
Il regista protagonista di questa seconda uscita della rivista “Braviautori – Il Foglio Letterario” è un professionista che ha all’attivo più di 200 film di vario genere e che si contraddistingue per un’anarchia che lo porta a distaccarsi dai canoni tradizionali.
Artista (anche se lui odierebbe questo termine) spesso costretto a girare con budget inconsistenti e con tempi di produzione ristrettissimi, aspetti che ne hanno penalizzato la resa, perseguitato costantemente dalla censura e, negli anni ’70, dal Vaticano.
Sto parlando di Jesus Franco Manera meglio conosciuto come Jess Franco. Per l’occasione ho contattato uno dei più affezionati ammiratori del regista spagnolo, nonché un grande conoscitore del cinema bis (e non solo), cioè il regista/montatore Pierpaolo Dainelli.
Peraltro, proprio grazie a Pierpaolo e alla sua idea “I B-Movie di TVR” ho conosciuto capolavori della filmografia italiana di genere che altrimenti difficilmente sarei riuscito a scoprire. Sono quindi in debito con l’amico Pierpaolo e l’indimenticabile rassegna che conduceva ogni domenica sera in prima serata sulla rete televisiva sopra menzionata.
Per tali ragioni, è per me un enorme piacere poterlo avere qui con noi in questa nostra “chiacchierata” telematica. In questo articolo/intervista, dopo alcune domande che riguarderanno Pierpaolo e il suo amore per i b-movie, ripercorreremo la carriera del regista spagnolo limitatamente ai suoi film di punta con particolare attenzione per le pellicole dalle atmosfere horror.

M.M.: Pierpaolo, se gli amanti di b-movie toscani ti conosceranno di sicuro per le epiche presentazioni dei film che lanciavi in prima serata su TVR, non so se lo stesso si possa dire per gli amici delle altre regioni. Per questo, mi piacerebbe tu potessi parlare della splendida “rassegna” che conducevi su TVR e di come e dove recuperavi i film che poi lanciavi in prima serata. È vero che hai salvato pellicole sul punto di essere definitivamente distrutte, perché abbandonate in magazzini fatiscenti?

P.D: Nella vita ho avuto due amori veri, assoluti: il cinema e la televisione. Nel mio caso questi due media si accomunano, perché fu grazie alle primissime tv private e alla loro programmazione selvaggia che mi innamorai dei film più oscuri della settima arte. Il motivo di questi titoli bizzarri inseriti in palinsesto me lo avrebbe svelato Paolo Salvi, presidente di TVR, molti anni dopo: “Dai cataloghi dei distributori sceglievo solo film vietati e che costavano poco”. Vietati perché sicuramente la Rai non li avrebbe mai mandati in onda e quindi di sicuro appeal per il pubblico. Il fatto che dovevano costare poco non ha bisogno di spiegazioni.
Nei primi anni novanta iniziai a lavorare come montatore e operatore tv ed ebbi modo di collaborare con le maggiori emittenti televisive toscane. Internet, come lo conosciamo oggi, all'epoca era fantascienza: i film più curiosi se volevi vederli dovevi trovarli.
E io all'epoca mi davo molto da fare.... Così tra un lavoro e l'altro mi infilavo in una stanza in cui Paolo Salvi teneva vecchie registrazioni delle prime emissioni di TVR, nella speranza di recuperare qualche film raro. Questo mio curiosare non sfuggì agli occhi attenti di Paolo e di Elisangelica Ceccarelli che mi chiesero delucidazioni.
Spiegai che le notti selvagge in cui TVR mandava in onda film ininterrottamente erano state tra i momenti più felici della mia esistenza e che mi avevano insegnato ad apprezzare film prodotti con pochi soldi, ma con molte idee. Paolo ed Elisa rimasero così colpiti dalla mia passione che mi proposero di andare in video a presentare “I B-movie di TVR”, dove “B” sta per BIS come dicono i francesi: l'altro cinema, quello vero..
Con mia grande sorpresa divenne un programma seguitissimo e sia io che Elisangelica spulciavamo continuamente i cataloghi dei distributori televisivi alla ricerca di titoli sempre più rari e interessanti. E di rarità ne sono venute fuori molte, moltissime. Un grande numero delle tracce italiane che oggi impreziosiscono tanti dvd di film rarissimi provengono proprio da “I Bmovie di TVR” e ne sono molto felice. Nel continuo cercare film da mandare in onda non posso non citare la mitica “signora Franca” della “Programmi Tv” di Milano che costringevo ad andare a cercare i suoi titoli più rari negli angoli più remoti del suo magazzino e lei si faceva una bella risata e mi accontentava sempre. Grazie alla “signora Franca” sono saltati fuori titoli come la versione italiana di “Succubus” di Jess Franco. Un altro personaggio particolarissimo e un gran signore è Paolo Nalotto della “Tele Cine Nord” di Padova. Paolo è perennemente in giro per tutta l'Italia con la sua automobile stracolma di nastri da consegnare o ritirati dalle varie emittenti. Era lui che negli anni ‘70 riforniva di film incredibili una “Telemontecarlo” appena agli inizi. Il catalogo di Paolo è sterminato e grazie a lui ho recuperato film come “Paroxismus” e “De sade 2000” di Jess Franco. Mi ricordo ancora quando andai a trovarlo a Padova ed entrai in uno dei suoi magazzini colpiti dal maltempo; con la morte nel cuore aprivo i box contenenti i nastri dei film e li ritrovavo tutti pieni d'acqua. Ma non mi sono mai dato per vinto, spesso quando i nastri non funzionavano, perché pieni di muffa, mi mettevo all'opera con pazienza certosina e li ripulivo sbobinandoli a mano.


M.M: Ricordo che le tue innumerevoli presentazioni erano ricche di aneddoti e che, da buon appassionato del “dietro le quinte”, ti guardavo, tanto per sentire le curiosità, anche quando il film che stavi per lanciare (per il genere) pensavo non potesse interessarmi. Hai mai pensato di raccogliere tutto questo materiale in una sorta di antologia video, un po’ come ha fatto Bruschini per il cinema western italiano?

P.D.: Non è per falsa modestia che lo dico, ma in video non mi sono mai piaciuto. Le mie presentazioni erano spesso fatte al volo tra un montaggio e l'altro. Inoltre non riesco mai a essere pienamente soddisfatto di niente e quindi non ho mai dato peso alle mie presentazioni e non ne ho conservate nemmeno una; forse, visto l'affetto che ancora le persone mi dimostrano, ho sbagliato.

M.M: Voglio poi ricordare che Pierpaolo ha anche una grande passione per la regia e ha girato cortometraggi e spot pubblicitari. Progetti per il futuro?

P.D.: Ho iniziato a occuparmi di montaggio a diciotto anni e ancora oggi, che ho superato la quarantina, sono sempre lì. Ho realizzato di tutto, dai video sperimentali d'arte alle televendite. L'amore che da bambino avevo per cinema e tv mi ha dato molto: un lavoro e una grande passione. Il progetto che più amo e che ormai seguo da oltre dieci anni è Firenze Festival, una rassegna per il cinema fatto dai ragazzi che ha ottenuto riconoscimenti dall'ONU e dall'UNICEF. Ogni anno per il Firenze Festival
ho l'enorme privilegio di realizzare, insieme agli alunni delle scuole, una decina di cortometraggi. Si tratta di un'esperienza di grande soddisfazione che si conclude al Teatro della Pergola di Firenze alla presenza di oltre mille ragazzi. Quest'anno siamo giunti all'undicesima edizione.


M.M.: Prima di passare al personaggio per cui ti ho contattato, pensi che i “b-movie” possano ritornare in prima serata, come un tempo, oppure ci sono dei problemi?

P.D.: Nessun problema. È solo che non si trovano più film adatti da mandare in onda. “I B-Movie di TVR” avevano un senso nella proposta di film difficilmente reperibili e purtroppo quello che potevamo trovare l'abbiamo trovato e proposto. Per un po' abbiamo continuato con i nostri cavalli di battaglia, ma poi mi sono reso conto che forse era meglio tentare nuove strade. Io credo moltissimo nel web e così ho creato una web-tv che in pratica ripropone “I b-movie di TVR” 24 ore su 24 ed è visibile in ogni parte del globo all'indirizzo www.fantastikatv.tk
Mi è sembrata un'esperienza nuova e l'ho abbracciata con entusiasmo. Inoltre le nuove web-tv permettono agli utenti di interagire e discutere durante la visione di un film.
Si tratta di una possibilità nuova che la vecchia Tv non può offrire.
Le web-tv mi ricordano anche il pionierismo e la sperimentazione delle primissime tv private e quindi pur andando avanti è un po’ come tornare indietro nel tempo.


M.M: Veniamo adesso al personaggio per cui ti ho contattato. Come e quando nasce il tuo amore(cinematografico, si intende) per Jess Franco? Se non sbaglio hai anche scritto degli articoli sulle sue “vampire lesbiche” e organizzato serate a tema dove hai fatto proiettare in piccole sale pellicole semisconosciute (tra gli altri) di Franco, vero?

P.D.: All'epoca ero un bambino, ma ricordo un film, che poi non ho più ritrovato nella sua edizione italiana, in cui una magnifica e misteriosa donna avvolta da veli neri, seguita da altre misteriose compagne, saliva su una nave e partiva verso mete ignote, mentre una musica dolcissima sottolineava il tutto. Era una sequenza che mi faceva impazzire e solo molti anni dopo ho scoperto che si trattava di un film di Jess Franco: “Sumuru, regina di foemina”.
Poi iniziò a incuriosirmi il fatto che durante le mie notti folli il nome “Jess Franco” ricorreva spesso alla regia delle più svariate pellicole. E la faccenda iniziò a incuriosirmi...
"I maghi del black horror" strillavano i titoli di testa di “Dracula contro Frankenstein”, "regia di Jess Franco"; “Il conte Dracula”, "regia di Jess Franco" e così via. Inoltre questi film mi sembravano avere un tocco diverso rispetto a tutti gli altri, una visione a volte poetica, a volte torbida. Fu così che nel lontano 1986, all'età di diciotto anni, a chiunque mi chiedesse quale fosse il mio regista preferito, rispondevo convinto: ”JESS FRANCO”, col risultato di lasciare nello sconforto totale chi me lo aveva chiesto.
Il mio articolo sulle "Vampire Lesbiche" comparso sulla rivista "Amarcord" fu un'idea del mio editore, Igor Molino Padovan. Quando me lo propose non mi entusiasmò però mi misi al lavoro e per diverse settimane mi calai in questo strano universo.
Devo dire che, a distanza di oltre un ventennio, ci sono persone che quando mi conoscono rammentano quel pezzo. Igor ci aveva visto giusto...
Le rassegne in sala nacquero come un prolungamento reale dei virtuali "b-movie" televisivi e fu molto interessante conoscere dal vivo i miei telespettatori. L'idea fu della direzione del Cinecittà Cineclub di Firenze che oltre a darmi la possibilità di vedermi molti dei miei film preferiti in pellicola mi fece anche grande piacere.


M.M.: So che, tra i tanti personaggi che hai incontrato e intervistato, hai anche avuto modo di parlare con Jess Franco. In che occasione lo hai incontrato e che tipo era? Mi confermi l’impressione che era una persona molto alla mano, ma anche un po’ sopra le righe e bizzarra?

P.D.: Come tutti coloro che sono davvero grandi, era una persona di un'umiltà disarmante. Quando lo incontrai per la prima volta era seduto al tavolo di un ristorante e allora io per poter parlare con lui mi misi in ginocchio. Era molto divertito da questa mia posa referenziale e da quel momento parlammo ininterrottamente per due giorni... Gli chiesi di tutto e lui mi raccontò una montagna di aneddoti, feci solo una stupidaggine, non registrai la conversazione. Ogni tanto se ne veniva fuori con delle affermazioni sul cinema in generale assolutamente non allineate, ma spesso condivisibili. Trovavo meno nelle mie corde il suo distacco verso i suoi primi film anche se, conoscendo il suo percorso, posso capirne il motivo. Lo rincontrai in occasione del Joe D'Amato Horror Festival, a Livorno, del quale era ospite d'onore. Lui fu molto carino e mi dimostrò tutta la sua simpatia. Ebbi modo di conoscere anche Lina Romay, una persona splendida che mi fece un po’ effetto quando tirò fuori dalla borsa un enorme borsellino per pagare un panino. Anche uno dei miei più grandi miti di celluloide aveva una vita normale...!


M.M.: Da grande appassionato del cinema bis (come piace definirlo a noi), ti chiedo un profilo artistico di Jess Franco. Cosa diresti se tu dovessi presentarlo a chi non ha mai visto un suo film?

P.D.: Su un sito ho letto che il mio modo di presentare i “b-movie” era in “pompa magna” (non ho ancora capito perché) quindi tenterò di usare lo stesso metodo.
Nessuno, nella storia della settima Arte, ha mai saputo illuminare di così tanta luce le tenebre più perverse dell'animo umano e l'inevitabile oscurità profonda che si nasconde tra un fotogramma e l'altro, nello scorrere della pellicola cinematografica. Ed è la verità. Nei film del regista spagnolo il sesso e tutte quelli che sono i nostri desideri più reconditi sono esplorati; i nostri lati più oscuri sono messi in luce, talvolta in modo brutale, talvolta con immagini connotate da un gusto estetico decisamente fuori dal comune.
Jess Franco ha sfidato con violenza iconoclasta tabù morali ed estetici in un cinema spesso decorativo, gratuito fino all'assurdo ma sempre con uno sguardo distaccato grazie alla sua sottile ironia. I temi centrali del suo cinema sono il sadismo, la perversione e un erotismo dagli aspetti torbidi ma allo stesso tempo poetici. Non per niente è stato spesso definito poeta dell'infimo. Incontrare il suo cinema si trasforma spesso in un guardare allo specchio ciò che di noi ci fa più paura e che teniamo nascosto.


M.M: A differenza di molti registi dell’epoca, a oggi, Franco non è stato rivalutato come dovrebbe – a mio avviso anche a causa dei troppi film effettuati, molti dei quali girati con poca cura per esigenze di tempo – eppure ha nel suo curriculum collaborazioni con maestri del calibro di Orson Wells e vanta gusti cinematografici assai raffinati. Come ti spieghi questo atteggiamento di snob nei suoi confronti da parte anche di molti amanti dei film di genere?

P.D.: Jess Franco vive per il cinema e con il cinema. Il cinema gli ha dato tutto: un motivo di vita e un modo per vivere. Quando vivi del tuo lavoro hai bisogno di lavorare e guadagnare. E quella del cinema non è certo una professione delle più semplici. Ecco che molte delle scelte “artistiche” di Jess Franco sono state dettate anche da motivi alimentari. E in questo non c'è niente di male. È anche impossibile tenere livelli qualitativi elevati quando si girano undici film in un anno, come accadde nel 1973.
Per quanto riguarda gli amanti del cinema di genere ci sono degli atteggiamenti che non mi spiego. Non ho mai amato o odiato un autore in toto. Amo il cinema in assoluto e non distinguo tra film di taluno o talaltro ma solo tra film che mi piacciono e che non mi piacciono. Odiare il lavoro di chicchessia in ogni suo aspetto non mi sembra sensato. Però Franco o lo si ama o lo si odia, spesso non sono possibili posizioni intermedie.
Il suo è un cinema che vive su una lunghezza d'onda molto particolare… o si riesce a coglierla oppure non c'è niente da fare.


M.M: Passando ai film del “nostro”, il primo che mi viene in mente, in ordine di tempo, è “Il Diabolico dottor Satana”. Si tratta di un film senza dubbio importante, per varie ragioni. Prima di tutto vede protagonista uno degli attori di riferimento di Jess Franco, cioè Howard Vernon (credo abbia fatto più di trenta film con lui); in seconda battuta, fu il biglietto da visita che permise a Franco di aprirsi la strada in quello che sarà uno dei suoi generi prediletti: l’horror, anche se ancora legato a un certo classicismo.
Mi risulta che il film uscì in Italia in versione tagliata. Che puoi dirci?


P.D.: Il film uscì in Italia distribuito dalla Filmar, una casa specializzata in b-movie che aveva nel proprio reparto edizioni un dipendente dal nome che poi sarebbe diventato familiare per gli amanti del bis: Bruno Mattei.
“Il diabolico dottor Satana” pur essendo un film apparentemente classico in realtà mostrava la voglia del regista di rompere col passato, in quanto si tratta di un melange piuttosto eterogeneo in cui i “soliti” ingredienti sono miscelati in modo anticonvenzionale ed esplosivo. Basti pensare ai seni nudi e alle incisioni dal bisturi prontamente tagliati nell'edizione italiana.
Il film rappresenta il debutto nel cinema fantastico dello svizzero Howard Vernon che spesso, pur di lavorare con Jess Franco, accettava di venire assoldato come fotografo di scena perché altrimenti il suo compenso sarebbe stato troppo alto e la produzione non avrebbe potuto permetterselo. Jess Franco ha sempre considerato Vernon il suo attore preferito.
Dopo il “Dottor Satana”, tra il 1961 e il 1967, Franco dirige una serie di film (tra cui Miss Muerte e Necronomicon) che non sono ricordati tra i suoi masterpiece, tuttavia sono importanti perché lasciano affiorare elementi che caratterizzeranno la cinematografia futura del regista: in particolare la “poetica” dell’erotismo e il ricorso allo zoom che, nei film successivi, diventerà una sorta di vera e propria ossessione (anche se Franco la motiverà per ragioni tecniche piuttosto che stilistiche). Necronomicon, uscito in Italia come Delirium, è un film importantissimo nella filmografia del regista e un capolavoro del cinema fantastico in generale.
Lorna vive una realtà in cui irrompe con violenza la sua dimensione onirica, per giungere a un finale originale in cui i sogni prendono il sopravvento in modo poetico su una realtà sempre meno interessante.
Questo film è anche al centro di un giallo curioso, in quanto proprio nel nostro paese fu distribuito in una versione che non trova corrispettivi su altri mercati. Intere sequenze sono completamente diverse anche se non sembrano avulse dal resto della pellicola e specialmente il finale si scontra concettualmente in modo violento con quello conosciuto. Franco a tal proposito riconosce la piena paternità della versione internazionale, ma alcuni studiosi dell'opera di questo regista (compreso me) ipotizzano che la versione italiana sia la director's cut. Tale teoria è suffragata dal fatto che le riprese in questione non sembrano fatte in un secondo momento e rispecchiano soluzioni visive tipiche dell'opera del regista.
L'utilizzo eccessivo dello zoom deve essere contestualizzato per poter essere compreso. Il pancinor (poi detto zoom) era stato per decenni un miraggio dei cineasti in quanto costosissimo, così quando divenne alla portata di tutti ci fu una voglia smisurata di sperimentarne le possibilità espressive. Negli anni settanta venne percepito come qualcosa di nuovo nel linguaggio cinematografico e quindi se ne fece un uso intenso. Dietro a quel semplice gesto di premere il pulsante dello zoom c'era molto di più di quanto ci possa sembrare ai giorni nostri. Inoltre era un espediente che permetteva di ridurre i costi sia per il fatto che volendo si poteva fare a meno di cambiare le ottiche davanti alla macchina da presa, sia perché in un piano sequenza era possibile cambiare focale senza interruzioni.


M.M: Con i l 1968 e l’incontro con il produttore Harry Alan Towers inizia, a mio avviso, il periodo d’oro di Franco. In questi anni gira film potendo contare su assi come il pazzo Klaus Kinski, Christopher Lee, Herbert Lom e i risultati, da un punto di vista tecnico, non si lasciano attendere con film, come "The Blood of Fu Manchu", "Il conte Dracula" (i cui interni sono stati girati dietro casa mia, a Tirrenia, per la cronaca), “Justine ovvero le disavventure della virtù” dove recita una giovanissima Romina Power (di cui Franco ha sempre detto peste e corna). Si tratta, a mio avviso, dei film più curati di Franco, ma nonostante questo le pellicole non ebbero il successo atteso e portarono alla rottura del regista con il produttore. Cosa non funzionava secondo te in questi film, sempre che tu possa vederci qualche vizio?

P.D: Il conte Dracula è la versione più affascinante che sia mai stata tratta dal romanzo di Stoker. È un film, assai sentito sia dal regista che da Christopher Lee, che portava sullo schermo i dialoghi così come erano stati scritti da Stoker. In questo senso la sequenza in cui Dracula ricorda come in passato il castello fosse un potente baluardo contro i turchi mi emoziona ogni volta che la vedo (menzione d'onore al livornese Emilio Cigoli che doppia Lee in modo formidabile). Il film fu un grande successo in Germania, ma andò male negli USA e per questo motivo la sua uscita nel nostro paese fu cancellata. Solo nel 1974, quando la FILMAR, la società che lo aveva prodotto, fallì, la INDIEF ne acquisì i diritti e finalmente lo fece uscire.
Inoltre sia in questo film che in Justine le musiche sono di Bruno Nicolai che firma delle colonne sonore memorabili che sottolineano in modo potentissimo le sequenze più belle.
Al riguardo di questo secondo film, come non ricordarne l'inizio, con De Sade (Kinski, e chi sennò!?) tormentato nella cella dai fantasmi delle sue creature letterarie, un momento, a mio avviso, tra i più alti di tutta
la produzione di Franco.
Justine ebbe ovunque problemi con la censura e non poteva essere altrimenti. Harry Alan Towers era un produttore inglese assai astuto che con capitali americani riusciva a organizzare film a medio budget per noi europei, ma assolutamente low budget per i canoni dell'industria americana. Towers vide in Franco un regista velocissimo che ben si sposava con i suoi stessi tempi. La leggenda vuole che Towers scrivesse le sue sceneggiature per i suoi film durante i trasferimenti in aereo tra Londra e Los Angeles. In realtà il loro rapporto fu proficuo solo che, a un certo punto, fu Franco a stancarsi di questa collaborazione in esclusiva.
Probabilmente questi film, essendo produzioni più impegnative, non gli garantivano quella libertà assoluta in cui era abituato a lavorare. Franco e Towers inoltre avevano due forti personalità e questo può portare facilmente a immaginare che tra i due fossero frequenti grossi scontri.


M.M: Nel cast tecnico de Il conte Dracula, essendo una co-produzione che coinvolgeva anche l’Italia, c’era anche Bruno Mattei. Ne approfitto per aprire una parentesi su questo artigiano nostrano che so che conoscevi per averlo incontrato di persona. Che aneddoti ci puoi regalare su Mattei?
Ricordo che parlavi sempre delle sue invenzioni quanto montava i film provenienti dalla Cina senza sapere
chi fossero gli attori. 

P.D.: Altra persona di un'umiltà disarmante nonostante fosse dotato di un grande intuito cinematografico e di doti come montatore non comuni. Bruno era una persona abituata a combattere, ad arrangiarsi e nonostante tutto riusciva a imprimere la sua personalità in ciò che faceva.
Posso dirti che è stato sfruttato fino in fondo. Quando ebbe l'idea di adattare per il grande schermo i telefilm della serie UFO in film che incassarono miliardi, a lui non dettero nemmeno i soldi per le sigarette.
Ha curato l'edizione italiana di un numero sterminato di film, tra cui La vendetta del vampiro di Corona Blake e Paroxismus dello stesso Franco di cui tagliò il finale perché non gli piaceva.
Per i film di Kung-Fu non gli mandavano mai le traduzioni in inglese dei nomi degli attori e allora lui se li inventava. Per questo in Italia è un vero problema individuare le versioni originali di molti film di questo genere provenienti da Hong Kong.


M.M: Dopo il periodo Towers, Franco è costretto a girare con pochi soldi, ma è in questo periodo che irrompe il suo talento onirico e bizzarro, peraltro si trova per le mani un’attrice di una bellezza e una sensualità rara: Soledad Miranda (che aveva lanciato ne Il conte Dracula).
So che sei un grande fan di questa attrice (ti confido che siamo in due, detto tra noi), se non sbaglio la ricordavi sempre quando parlavi delle dive horror.

P.D: Soledad Miranda era una donna di rara bellezza e femminilità. Gran parte del fascino de Il conte Dracula risiede proprio nell'eterea bellezza del suo personaggio che, sotto sonno ipnotico indotto dal principe delle tenebre, vaga in una notte resa fantasmatica dalle musiche di Bruno Nicolai.
Anche quando Lucy (il personaggio interpretato da Soledad Miranda) cade preda del Conte vampiro la sua espressione di piacere mista a repulsione riempie lo schermo di picchi di sensualità indescrivibili.
Sono assai interessanti le immagini di Cuadecuc Vampir di Pere Portabella che mostrano l'arrivo dell'attrice
sul set del film. La Miranda sembra una creatura eterea e immaginaria, soprattutto nelle riprese del trucco prima del ciak che ce la mostrano quasi in uno stato di trance. Purtroppo, da lì a poco, l'attrice avrebbe perso la vita in un tragico incidente automobilistico.


M.M: Con la Miranda, Franco gira tre dei film horror con elementi erotici più “poetici” della sua filmografia, insieme al successivo Un caldo corpo di donna (conosciuto anche come Erotikiller o La contessa nera) che vedrà invece protagonista la moglie Lina Romay, la quale raccoglierà il testimone abbandonato dalla sfortunata Miranda. Mi riferisco al suo capolavoro  Vampyros Lesbos, ma anche al thriller She killed in ecstasy e a De Sade 2000. Penso di poter dire che con queste pellicole si assiste a un’evoluzione delle regia di Franco, con una improvvisazione sul set che raggiunge livelli prima mai toccati, con effetti psichedelici che assumono la veste di una vera e propria firma del regista.
Che ci dici su questo lotto di film?

P.D.: Sono sicuramente le cuspidi nella filmografia del regista spagnolo. Queste bellissime donne incarnano creature fantastiche condannate dalla loro diversità alla solitudine eterna. Franco le immortala sullo schermo con soluzioni visive fuori dall'ordinario e con accostamenti di montaggio originali. In Erotikiller, uno dei film che amo di più, Franco crea il personaggio di una vampira che vaga in foreste desolate.
Questa solitudine è sottolineata dal suo essere muta e da un bisogno d'amore che la rende una delle creature più tristi di tutto il cinema fantastico. Un film che, nelle sequenze in cui dalle nebbie fluttuanti si materializzano strane e misteriosi voci, raggiunge assoluti vertici di poesia.
De Sade 2000 è un’opera condotta con estrema libertà. Esplora le zone più oscure dell'animo umano, alla ricerca del piacere e della perdizione assoluta. Un film assai controverso, ma dove il nostro lato oscuro riesce a mostrare tutto il suo ambiguo e ammaliante fascino. Tra l'altro in questa pellicola Soledad Miranda sfodera un magnetismo e un fascino difficili da dimenticare.
Un plauso anche a Paul Muller che tratteggia uno dei personaggi più riusciti di tutta la sua carriera.
L'improvvisazione per Franco è essenziale. Lui è anche un musicista jazz e come tale conosce il potere creativo dell'improvvisazione. Anch'io, nel mio piccolo, ho sperimentato che quando si ha il coraggio di lasciarsi andare sul set si raggiungono risultati assai più originali che non pianificando tutto a tavolino. È che il cinema è un'arte difficile da gestire senza un'adeguata pianificazione perché ha costi altissimi anche nelle produzioni più piccole e permettersi di improvvisare o peggio ancora di sbagliare, perdere tempo e di conseguenza soldi, è un lusso che non ci si può permettere. Eppure l'improvvisazione paga moltissimo in termini creativi , anche Hitchcock, che era uno che arrivava sul set con delle sceneggiature di ferro e storyboard precisissimi, riconobbe che l'improvvisazione che aveva adottato in alcune riprese de Gli uccelli aveva portato a eccellenti risultati. In questo senso Franco è unico, molte testimonianze riportano che questo regista mentre girava un film aveva già in testa il successivo o addirittura iniziava già a girarne alcune scene fino ad arrivare a realizzarne due contemporaneamente, con il secondo film prodotto all'insaputa di troupe e produzione.


M.M.: Con la morte della Miranda, a parte qualche eccezione, il cinema di Franco entra in una parabola discendente. Nel 1976 ritorna a collaborare con Klaus Kinski dirigendo un film con un budget superiore ai suoi ultimi lavori: Jack The Ripper (in Italia presentato con l’orribile titolo Erotico Profondo). Si tratta di un’opera dove il genio ribelle di Franco, seppur ancora riconoscibile, torna a incanalarsi in schemi prefissati. Personalmente ricordo due o tre sequenze degne di nota (tra cui il primo omicidio e quello perpetrato all’interno della foresta), poi una regia piatta e una sceneggiatura che mette in scena Jack lo squartatore per
poi stravolgere i fatti storici e il modus operandi dell’assassino. Un film confuso anche sulla piega da seguire, sospeso tra il thriller e il poliziesco… Sono sicuro che mi contraddirai.

P.D.: Il cinema di Franco ha conosciuto molte fasi e trasformazioni. In linea di massima Franco è uno che il cinema lo conosce molto bene ed è in grado di realizzare qualsiasi cosa. Non c'è quindi da stupirsi del taglio classico con inquadrature stranamente bilanciate di Erotico profondo. Trovo che in questo film la trasgressione, sia nel rappresentare con un taglio visivo da horror del decennio precedente situazioni che sconfinano nello splatter, sia resa ancora più scioccanti dal contrasto che se ne ricava. Eppure l'ironia graffiante del regista è presente in più di una sequenza. Basti pensare a come si diverte a canzonare la sua musa Lina Romay, quando sale sul palco e inizia a cantare con una voce al limite dello sgradevole e dal pubblico si levano grida che dicono: ”Mostra il culo che è la cosa che sai fare meglio!”. Una sequenza
impagabile.


M.M: Un altro film che ricorderai con piacere, e che io non ho visto, è Greta, la donna bestia del 1976. Se non sbaglio è riconducibile al genere women in prison (che in Italia vedrà Bruno Mattei come principale regista di riferimento) e alla serie Ilsa, di cui sei, se la memoria non mi inganna, grande estimatore.

P.D.: La serie Ilsa era in realtà l'incarnazione cinematografica di una cattiva super maggiorata che oltre ad avere delle curiose connotazioni fumettistiche è anche l'incarnazione della mistress per eccellenza. La donna prosperosa in grado di dominare l'uomo: un sogno che da sempre rincorre gli amanti più spinti e trasgressivi del cinema bis. Però c'è da fare un distinguo, mentre nella serie Ilsa tutto il contesto storico è poco più che un pretesto, nel film di Franco la denuncia alla dittatura e ai suoi metodi per esercitare il potere è sentita e sincera. In fondo lo stesso Franco è stato messo all'indice per anni nel suo paese e il Vaticano sembra che lo avesse schedato come un regista pericoloso. Infatti, proprio in questo film, lo sguardo spesso compiaciuto che il regista spagnolo ha nei confronti di torture e sevizie, diventa ancora più cinico, più disincantato.


M.M: Dopo il 1976 inizia quello che io ritengo il periodo buio di Jess Franco. Come farà qualche anno dopo Joe D’Amato, il “nostro” scivola via via nel porno, proponendo, di tanto in tanto, horror di bassa lega di imitazione tra i quali i cannibalici La donna cannibale(con la bella Sabrina Siani e Al Cliver, al secolo Pierluigi Conti, attore feticcio di Lucio Fulci) e Il cacciatore di uomini, ma anche zombie movie come Il lago dei morti viventi e Oasis of the zombies. Non so se ci sia qualcosa da salvare, perché non ho visto tutti i film del periodo. Tu, consigli di recuperare qualcosa?

P.D.: Più che il periodo buio per Jess Franco inizia il periodo buio per tutta la cinematografia cosiddetta “media”. L’uscita di un film come Guerre stellari dette il via a film portati sullo schermo con milioni di dollari, mettendo in scena storie che fino a qualche anno prima sarebbero state realizzate con scotch e fil di ferro, segnando di fatto la crisi dei film artigianali. Ecco che fiorisce lo splatter, un genere che comunque anche con bassi budget permette di colpire e impressionare lo spettatore. Sono film fatti per motivi alimentari
e anche le sue sempre più frequenti incursioni nell'hard la dicono lunga sul bisogno di lavorare. Sinceramente non è il periodo di Franco che preferisco, ma l'inizio de La dea cannibale con la bambina rapita dagli indigeni e il carillon che suona mi ha sempre colpito. Inoltre Franco si ritaglia in questa pellicola una delle sue tante apparizioni da attore che spesso, di film in film, sembrano lanciare messaggi autobiografici. In La dea cannibale, Franco interpreta una specie di contrabbandiere che, a un certo punto, esclama: ”Non è colpa mia se mi fanno fare certe cose… devo pur lavorare!”.
Lo stesso Franco mi confermò questa mia impressione.


M.M.: Nel 1988 si registra il canto del cigno di Jess Franco, con un film criticato da molti ma che io considero un cult, cioè I violentatori della notte. Il film ha uno dei più grandi cast che Franco abbia mai avuto a disposizione (Helmut Berger, Caroline Munro, Telly Savalas, Brigitte Lahaie, Howard Vernon, Lina Romay). La sceneggiatura non è originale, cita un film degli anni ’60, ma riesce a intrattenere a dovere e offre momenti gore molto interessanti (alcuni citano Fulci). Peraltro, c’è una scena che Stivaletti riproporrà pari pari per il suo I tre volti del terrore
Come presenteresti questo film se tu lo dovessi lanciare ai “B movie di TVR”?

P.D.: In realtà ho avuto l'onore di programmarlo e presentarlo su TVR e chiaramente fu una di quelle presentazioni in cui avrei voluto dire mille cose e alla fine, forse, non riuscii a dire niente. Comunque lo lanciai come “il canto del cigno dell'horror classico del vecchio continente”. Il tema della bellezza perduta, cardine del cinema fantastico europeo, viene qui attualizzato e portato alle estreme conseguenze.
Il tipico mad-doctor è qui un chirurgo estetico che tenta di rendere la bellezza alla sorella dal volto sfigurato dall'acido. I due sono oltretutto legati da un rapporto incestuoso nella migliore tradizione franchiana. In
questo film trovano posto tutti gli elementi che hanno accompagnato la lunga carriera del regista spagnolo: il dottor Orloff, la sua musa Lina Romay e la trama stessa che è in pratica un remake del suo primo film fantastico.
Les predateurs de la nuit nasce per volontà del potentissimo distributore e produttore francese Renè Chateau che, desideroso di lanciare sul piano internazionale Brigitte Lahaie, mette insieme un cast davvero sorprendente che va da Telly Savalas a Chris Mitchum, da Caroline Munro a Stephane Audran, da Brigitte Lahaie a Helmut Berger. Per non parlare di Howard Vernon che ricopre il ruolo che già aveva interpretato ne Il diabolico dottor Satana e Lina Romay che il professor Orloff presenta come il suo capolavoro. Il gioco dei rimandi si fa quindi davvero interessante. Si tratta di un film dal punto di vista tecnico ineccepibile tanto a sottolineare, per chi non lo avesse ancora capito, che quando Franco è tecnicamente sciatto lo fa o per cifra stilistica o perché non gli importa niente di quello che sta facendo. Les predateurs de la nuit è un film ancora più cinico e disincantato di tutti gli altri realizzati dal regista spagnolo e si chiude con un finale che lascia pochi dubbi: i cattivi sono destinati a vincere, il male trionfa. Alla fine c'è un minimo segnale positivo, ma che il bene vinca è davvero molto incerto. Questo è Jess Franco.


M.M: Negli anni ’90 si scivola pian piano nell’ultima fase del regista, dove irrompe la sua cospicua produzione digitale, a me del tutto ignota.
Hai visto qualcosa di questa ultima fase, c’è del buono?

P.D.: Sono riuscito a vedere alcuni di questi titoli e devo dire che Incubus del 2002 e più che altro Snakewoman del 2005 sono un bel tuffo nel cinema di Jess Franco.
Altri titoli sono un delirio puro che sembrano realizzati più per accondiscendere i motivi della sua fama presso le nuove generazioni che altro. Io conservo nel cuore altri film..


M.M: Venendo agli attori “secondari” che hanno lavorato con Jess Franco, non posso non ricordare Horst Tapper, meglio conosciuto per aver interpretato l’ispettore Derrick. Ce  ne erano però altri che ricordi con simpatia?

P.D.: Sono molti i caratteristi che hanno lavorato con Jess Franco, primo tra tutti lo svizzero Howard Vernon, il suo attore preferito, indimenticabile nel ruolo dello zio Howard ne Una vergine nella terra dei morti viventi (1971) che in realtà è un morto vivente che abita le fredde acque dello stagno prospiciente il castello in cui si svolge tutta la vicenda.
Altro attore svizzero che spesso collabora con Franco è Paul Muller, famoso in Italia per le sue partecipazioni alla saga di Fantozzi. Attore dalla lunghissima carriera ha ricoperto il ruolo da protagonista solo in De Sade 2000 di Jess Franco. Paul Muller è sicuramente un attore che andrebbe rivalutato specie per i suoi ruoli da raffinato villain nel nostro peplum e horror gotico.
Altri due attori ricorrenti nella filmografia di Franco sono Fred Williams e Jack Taylor. Il primo dopo un importante incursione nel cinema di Federico Fellini si dedicò alla moda aprendo una serie di negozi a Berlino, il secondo ha continuato a lavorare come attore e lo si ricorda piacevolmente ne La nona porta di Roman Polanski.


M.M: Una caratteristica di Franco, ma anche di molti altri registi importanti (tra i quali Hitchcock e Fulci) era quella di ritagliarsi sempre dei piccoli cammei.
Come valuti il Jess Franco attore?

P.D.: Ne parlavo prima. Quando Jess Franco partecipa ai suoi film si ritaglia sempre ruoli di personaggi ai margini. Spesso sono maniaci e malati di mente. In uno dei suoi film più controversi, Le viziose (1975), riveste addirittura il ruolo di uno spretato coinvolto in messe nere. Ma il suo cammeo più divertente lo si può vedere nel rimontaggio di due film di Jess Franco operato da Joe D'Amato (Aristide Massaccesi): Justine (1979). In questo film Franco interpreta il ruolo di un cliente di una prostituta che essendo impotente cerca di eccitarsi con la copertina di una rivista di cinema che mostra Lorna, la protagonista di Delirium, uno dei suoi
film più belli.
È esilarante quando in Una vergine tra i morti viventi tenta di dare fuoco alla casa con una scatola di fiammiferi...


M.M: Chiudo con una domanda sul cinema contemporaneo di genere, sia italiano che americano. Cosa ne pensa un amante di cinema bis come te dei film di ultima generazione e pensi che in Italia possa rinascere il cinema di genere?

P.D.: So che rischio di passare per snob e fanatico, ma siccome non lo sono esprimo tranquillamente il mio giudizio: non c'è rimasto più niente. Il cinema di oggi è solo un guazzabuglio senza senso montato con ritmi frenetici e ossessivi nella remota speranza di interessare in qualche modo lo spettatore. Abbiamo perso completamente i tempi e il gusto della narrazione cinematografica e i film mi ricordano di più una partita giocata al Nintendo o alla Playstation fatta con i miei figli. Ma niente cinema, quello è un'altra cosa! Certo è vero che poi dalla Francia arrivano perle come Calvaire di Fabrice Du Welz oppure Them di Moreau e Palud. Ma sono sprazzi, il resto è desolante.


M.M.: Un caloroso ringraziamento a un vero amico del cinema di genere come Pierpaolo Dainelli, meritevole di avermi fatto scoprire film come Femina Ridens, La corta notte delle bambole di vetro, Le orme, Gli occhi al cielo e moltissimi altri. Grazie di cuore.