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martedì 24 marzo 2020

Recensione Narrativa: CULTI SVEDESI di Anders Fager.



Autore: Anders Fager.
Titolo Originale: Svenska Kulter.
Anno: 2009.
Genere: Horror/Erotico.
Editore: Edizioni Hypnos, 2019.
Collana: Modern Weird.
Pagine: 270.
Prezzo: 16,90 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Curiosa e accattivante nuova proposta della Hypnos di Milano che, nell'ottobre 2019, pubblica per prima sul mercato italiano lo scrittore svedese Anders Fager.
Ex ufficiale di fanteria, Fager è uno scrittore nato e residente a Stoccolma, classe 1964, legato soprattutto al mondo dei videogiochi, nella veste di game designer, e a quello dei giochi di ruolo. Proprio in virtù di questa sua passione si deve l'incontro ideologico con lo scrittore Howard Phillips Lovecraft, apprezzato da Fager per la presa visiva ma disprezzato per lo stile e i continui lirismi. Intervistato a Milano, Fager racconta di essersi imbattuto nella narrativa del solitario non grazie ai libri ma per effetto del gioco di ruolo The Call of Cthulhu. Da tale origine, tutt'altro che aulica, arriva la linfa da cui traggono origine le storie raccolte nella prima delle antologie, delle cinque previste, che costituiscono il c.d. ciclo dei Culti Svedesi.
Svenska Kulter è l'antologia, pubblicata in patria nel 2009, che ha lanciato Fager nel mondo dell'editoria. Grazie a essa, lo svedese ha ottenuto elogi che hanno portato alcuni critici a descrivere i suoi testi quale ideale punto di incontro tra la narrativa di James Ellroy e quella di H.P. Lovecraft. Pubblicato in Svezia, Finlandia, Francia e Italia, Fager si è contraddistinto per l'interesse per il genere horror, dimostrando fin dal suo debutto, bagnato con un Novellpris per il racconto Mormors Resa (Il Viaggio della Nonna) e dalla conquista della finale, in Francia, al Grand Prix de l'Imaginaire, grazie ai racconti Les Furies di Boras e Le Reine en Jaune, una marcatissima impronta votata a una contaminazione con un erotismo di matrice omosessuale sconfinante nel porno. Dunque un orrore tutt'altro che trascendente, ma finalizzato a ridimensionare sul piano realistico quanto Lovecraft proiettava su dimensioni cosmiche. In questa ottica ne deriva un orrore che mira, più che a spaventare nell'animo, a scioccare il lettore, suscitando ribrezzo. Ecco quindi lo splatter, il continuo giocare sul senso dell'olfatto richiamando gli olezzi riconducibili al sudore, allo sperma o allo sterco. Una deriva che avvicina, per certi versi, la narrativa di Fager a quella di Clive Barker, pur non essendo minimamente paragonabile sul versante della fantasia. Rispetto allo scrittore di Liverpool, Fager è concettualemente derivativo e assai più grezzo nella costruzione dei periodi. Lo stile di Fager è immediato e diretto, privo di fronzoli e virtuosismi, portato avanti con una costruzione narrativa che predilige periodi estremamente brevi a frasi d'effetto. Ne deriva una struttura linguistica frammentaria, di veloce lettura ma, al contempo, povera di poesia e poco orientata a descrizioni di valenza pittorica.
Inutile girarci intorno, il suo Culti Svedesi è una cocente delusione per questo recensore. Antologia composta da cinque novelle e da quattro brevi racconti (uno dei quali, su una piovra marina, molto carino) di cui l'autore non fornisce neppure il titolo, presentandoli quali frammenti collocati tra un testo e l'altro.
Il testo si apre con un delirio porno-horror intitolato Le Furie di Boras ("Furierna Fran Boras"). Fager cala in Svezia i miti di Cthulhu, nella fattispecie nella campagna di Underryd, al centro del triangolo formato da Varnamo, Boras e Jonkoping. Tra le cinque novelle è quella maggiormente lovecraftiana, seppur in chiave satirico-grottesca. Una congrega di moderne streghe, votate al culto di Shub-Niggurath (ovvero il Capro Nero dai Mille Cuccioli), praticano un inusuale sabba periodico nel corso del quale sacrificano al loro Dio un ragazzo (il bellone di turno) adescato nella vicina discoteca. Fager procede con volgari e idioti dialoghi, regalando schizzi più che evocare il sense of wonder. Sembra quasi leggersi, tra le righe, una condanna alla movida e alla dipendenza delle giovani generazioni ai cellulari e alle sostanze stupefacenti (viagra compreso). Su ciò si innesca un'orgia sanguinolenta che culmina con l'emersione, dal fitto del bosco, di una creatura ciclopica dotata di tentacoli e pronta a macellare coloro che non si attengono alle sue leggi. Questo perché Shub-Niggurath pretende carne non contaminata da droghe o altre sostanze e, qualora non soddisfatto, non perde tempo nello scagliarsi contro la sacerdotessa. Fager sembra qua deridere Lovecraft, dissacrandolo in modo osceno, con una storia che propone amplessi e frattaglie in un cocktail degno di uno scatenato z-movie.

Più criptico e, a suo modo, claustrofobico il successivo Il Viaggio della Nonna. Horror on road che propone l'odissea di due giovani ragazzi, che poi si scoprirà essere non umani, da Malmoe fino alla Slovenia e da qui al ritorno in patria. Al centro del viaggio c'è il recupero di una creatura contaminata da Yog Sothoth, che si nutre di carne umana. Fager miscela l'horror al noir, plasmando una storia che scorre lentamente e centellina le mostruosità di fondo evitando di fare quanto fatto nel primo racconto. Laddove ne Le Furie di Boras si sbatteva il mostro sotto l'occhio del lettore, con tanto di dovizia di particolari, qua si sfuma il tutto (cosa che aiuta il testo e stimola l'immaginazione del lettore). Si lasciano intendere mostruosità che però non vengono mai a galla nella loro completezza. I due giovani protagonisti sono due degenerati, vecchio retaggio dell'uomo che fu, nelle cui vene scorre un sangue bestiale. Sembrano quasi tratteggiati alla stregua di creature mannare e, allo stesso tempo, rievocano gli ibridi umani de L'Orrore di Dunwich. I due dovranno vedersela con una serie di malavitosi, chiamati ad aiutarli per effetto del denaro, ma presto schierati contro. Sparatorie e inseguimenti autostradali sono il leit motiv, tra fughe e accessi in stazioni di servizio per rifornirsi di acqua e salsicce. Il racconto, non da noi, è considerato uno degli apici di Fager.

Più classico, e a nostro avviso il migliore dell'antologia, Il Desiderio di un Uomo Distrutto (Den Brutne Mannens Onskan), dove l'autore retroagisce al 1718, spostando la narrazione in Norvegia, nei pressi di Trondheim. Qua si assiste all'evocazione di Ittakva, Colui che Cammina col Vento, per vendicare la distruzione praticata dall'esercito svedese ai danni dei contadini locali. Munito di uno speciale flauto, eredità di uno stregone padre della moglie, un campagnolo ormai prossimo a morire, dopo aver assistito all'omicidio della figlia e al pestaggio della suocera, risveglia il dio per consumare la sua vendetta sotto la forma di un gelo mortale che discende sui soldati in fuga.

Torna la componente sessuale, seppur non marcatissima, in Per Sempre Felici a Ostermalm (Lyckliga for Evigt pa Ostermalm), dove Fager condanna il materialismo e l'arrivismo proprio della società contemporanea.
Uomo d'affari rientra presso la propria abitazione affetto da una strana influenza e con strane ecchimosi sul corpo. La fidanzata, a lui legata per ragioni economiche, nota subito delle difformità comportamentali e una strana perdita di memoria. L'uomo, che sfodera una continua erezione, in realtà, non è il suo fidanzato, ma un qualcuno che ne ha preso le sembianze dopo averlo sodomizzato. Molto probabilmente è il datore di lavoro dell'uomo, un individuo di origine musulmana che si chiama John Kalim Aziz (cognome che richiama alla mente quel Al Azif titolo arabo del Necronomicon). Fager, attraverso un racconto estremamente lento e vagamente omaggiante Lo Strano Caso di Charles Dexter Ward, traccia la progressiva perdita della dignità umana a favore del materialismo e degli interessi economici, rappresentati da un uomo che smarrisce sé stesso pur di far carriera e una donna, di origine macedone, che fa calcoli e progetta un futuro con un figlio per mettere le mani sul patrimonio dell'amante.
Infelice, nel corso del testo, dato l'attuale caos generato dal coronavirus, la frase: "Le influenze sono roba pericolosa. Nel 1918 sono morte 25 milioni di persone per una cosa chiamata spagnola. Un'influenza assassina. Grazie, Signore, che viviamo nel duemila..."

Così come l'antologia si era avviata con un porno horror alla stessa maniera si conclude. Il Capolavoro della Signora Witt ("Froken Witts Stora Konstverk") è un lungo testo, decisamente noioso e prolisso, che parla delle mostre di fotografia artistica realizzate da una pornostar alla ricerca continua dell'estremo. Avvicinata da una donna, facente parte di una misteriosa fondazione a caccia di opere estreme (si rivia a quella Carcosa di cui alla narrativa di Chambers), la giovane protagonista cadrà vittima di un delirio che la trasformerà in un'assassina artistica. Racconto delirante, osceno e senza alcuna remora, che si muove tra arte pornografica e psicologia alienante, portando l'orrore in una dimensione prettamente terrena tra apatie e devianze.

Questo il debutto italiano di Fager. Autore coraggioso, interessato ai rapporti tra l'horror e il porno, che si muove su una dimensione squisitamente terrena e che, a nostro avviso, lo rende autore più vicino al pulp che al weird. In Fager il soprannaturale è pretestuoso, metaforico. Tutto si riconduce ai vizi e alle ambizioni terrene. Il piacere del sesso alternativo (spesso di natura omosessuale) che si mischia a un dolore estatico, ma anche la volontà di far carriera, di isolarsi da un'abitudine in cui imperversa la noia per prendere vie meno battute che portano a una degenerazione non troppo difforme da quella che è capace di offrire l'abuso di alcool e droghe. Culti Svedesi viene così a presentarsi in una veste impropria. Strizza l'occhio ai fan di Lovecraft e della narrativa classica, ma è decisamente più vicina a quegli autori pubblicati dalla Independet Legions Publishing, quali Charlee Jacob o Edward Lee. Fager non è un autore classico vecchio stampo, ma un alfiere di quello che potremmo definire Hardcore Horror.

L'autore ANDERS FAGER.

"Sei tu a decidere cosa significano queste immagini. L'arte non è quello che esibisco. E' quello che vedi tu in quello che esibisco. E' il tuo vissuto privato a definire cos'è tutto questo."

sabato 7 marzo 2020

Recensione Narrativa: L'ULTIMO CAVALIERE di Stephen King.



Autore: Stephen King.
Titolo OriginaleThe Gunslinger.
Anno: 1982.
Genere:  Western Fantasy.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 223.
Prezzo: 13.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

LA STORIA EDITORIALE DEL TESTO E LE ISPIRAZIONI 

L'Ultimo Cavaliere è il primo degli otto episodi della saga La Torre Nera, caratterizzato da una lunga gestazione. Stephen King lo inizia a concepire all'ultimo anno del college, dopo aver recuperato una risma di 500 fogli verde fluorescente, e prende a elaborarlo al secondo anno di università, dopo aver letto un poema del 1855 dello scrittore inglese Robert Browning intitolato Childe Roland To The Dark Tower Came, un titolo a sua volta ripreso dal Re Lear di Shakespeare. L'opera di Browning, inserita nella raccolta Men and Women e dettata (da quanto dichiarato dall'autore) da un sogno notturno, parla di un cavaliere, tale Childe Roland, alla ricerca di una misteriosa torre nera. Browning mette in scena una vera e propria odissea, col protagonista impegnato in un viaggio disperato, attraverso un territorio ostile e desolato, in cui incontra carcasse di animali morti e altri in condizioni menomate. Roland cercherà di esorcizzare l'orrore che lo circonda, guardando dentro sé stesso, pescando ricordi dall'infanzia e, in particolare, i momenti legati alle vicende vissute assieme agli amici cavalieri Cuthbert e Gilles, entrambi morti. Il viaggio assume valenze epiche e vede coinvolto un uccello nero, tale Apollion, simboleggiante l'angelo della distruzione della tradizione ebraica, che sopraggiunge per confortare il protagonista così da spingerlo a superare il crinale della montagna che si para sul cammino dell'eroe. Browning, a differenza di quanto farà King, non spiega cosa sia la torre e questo ha spinto molti studiosi a stilare le più disparate teorie.

Questa l'intelaiatura del famoso poema del poeta inglese a cui King si aggrappa in modo evidente, mutuandone l'intera struttura. King decide di sovrapporre alla tematica cavalleresca il contenitore offerto dal genere western. Il "nostro", prima di avviare la sua epopea, guarda al capolavoro Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo di Sergio Leone, ma anche alla saga di Tolkien de Il Signore degli Anelli. Ordinate le idee, pur non sapendo dove andare a parare una volta partito, tanto che dovrà poi ritornare sul testo per adeguarlo ai successivi capitoli, parte col progetto e plasma l'opera della vita, inizialmente concepita sulla distanza delle tremila pagine, a cui l'intera e copiosa produzione successiva farà spesso indiretto riferimento. Ecco allora che il contesto ambientale in cui l'asso del Maine cala la storia viene ad assumere i tratti tipici del genere western, pur se contaminato da elementi fantascientifici di valenza post-atomica e metafisica. L'eroe kinghiano, anche lui chiamanto (non a caso) Roland, è un pistolero, forse più vicino ai personaggi di Robert Ervin Howard che a quelli di Leone (King non gioca sull'arguzia e l'ironia irriverente, ma delinea le caratteristiche di un eroe muscolare), che va in giro armato di due pistole che non disdegna a sfoderare.
L'idea di rifarsi a Browning non deve sorprendere. Già altri, prima di King, avevano guardato al celebre poema dello scrittore inglese. Il poeta americano Countee Cullen, nel 1927, aveva pubblicato il poema From The Dark Tower; Prima ancora Jack London, celebre autore di Zanna Bianca e de Il Richiamo della Foresta, in uno dei suoi racconti (Storia di un Tifone a Largo delle Coste del Giappone) aveva utilizzato un personaggio che fantasticava sulla tomba di Childe Roland pensando alla torre "oscura".

King racconta di aver scritto l'incipit, quel famoso "L'uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì", nel 1970 e di aver impiegato dodici anni per ultimare il primo volume, scritto tra una pausa e l'altra mentre stava componendo Le Notti di Salem e Shining. Il lavoro viene inizialmente pubblicato in patria a tappe intermedie e parziali (sei in totale), tra l'ottobre del 1978 e il novembre del 1982, sulla rivista The Magazine of Fantasy & Science Fiction. Quando esce la prima puntata, King ha già pubblicato il post-apocalittico L'Ombra dello Scorpione, preceduto da tre romanzi e da Ossessione (edito con lo pseudonimo Richard Bachman). Sebbene il buon Stephen non creda troppo nel progetto, nel 1982, dopo una cena con l'editore Donald M. Grant (interessato per lo più alla produzione weird di Robert Ervin Howard), acconsente a raccogliere l'intero materiale in un unico volume da pubblicarsi col titolo The Gunslinger (Il Pistolero) in edizione limitata per una piccola casa editrice di Providence (cosa vi ricorda il posto?). Grant decide di impreziosire il testo corredandolo con una serie di illustrazioni (a colori e in bianco e nero) realizzate da Michael Whelan, già illustratore del romanzo L'Incendiaria. Il disegnatore accetta la proposta con entusiasmo tutt'altro che smodato; racconterà di aver acconsentito per ragioni economiche e di averlo fatto in un periodo triste a seguito della recente dipartita dellla madre. La decisione dell'editore permette di pubblicare 500 copie autografate da King e da Whelan, oltre altre 10.000. L'Ultimo Cavaliere ha così una prima pubblicazione di appena 10.500 copie, un numero davvero irrisorio che scatena, tra i collezionisti, la caccia al libro. Grant ne è comprensibilmente entusiatata, trattandosi di uno dei testi di King più vicini al weird, in particolare alle tematiche e ai contenuti della produzione di Howard.
Purtroppo, nonostante le oltre 4 milioni di copie vendute da King con Shining e le uscite dei vari La Zona Morta L'Incendiaria, il romanzo passa quasi inosservato. Genere e stile sono molto diversi dalle altre opere dell'autore, così che non scatta alcuna ressa per accaparrarsene le copie. Nel 1983 King decide allora di inserire, in calce al successivo romanzo Pet Semetary, il titolo del testo nell'elenco delle opere pubblicate. La trovata si rivela decisiva a destare la curiosità dei già tanti fan del "maestro del brivido". In pochi giorni le copie rimaste vengono ordinate e acquistate, così da rendere esaurito il prodotto. King finisce bombardato da richieste continue. Si parla di oltre 3.000 lettere di fan imbestialiti per non esser riusciti a trovare una copia de L'Ultimo Cavaliere e per questo ritenutesi offesi per aver visto tradita la propria fedeltà. Grant, pur se felice, non sa come far fronte alle richieste. Ha terminato tutte le copie e non ha un accordo per rinnovare la pubblicazione. King prova a intavolare una trattativa, propone di pubblicare altre 5.500 copie, ma Grant gli risponde che sarebbe "come pisciare in un bosco in fiamme." King allora tergiversa e cerca di far fruttare il tutto per il meglio. Il prezzo dell'edizione sale alle stelle. Durante i convegni tutti chiedono de L'Ultimo Cavaliere e il volume di Grant diviene reliquia pressoché introvabile fino al 1988 ovvero fino a quando King pubblica un'edizione tascabile per il grande pubblico ed escogita un'altra grande appetibile novità per i collezionisti. Associa infatti alla pubblicazione economica, l'uscita, al prezzo di 100 dollari a copia, del suo primo audiolibro formato da 800 audiocassette di sei ore interpretate dallo stesso King. In Italia, edito da Sperling & Kupfer, il romanzo giunge solo nel 1989, dopo che King ha già pubblicato in patria il sequel (La Chiamata dei Tre), con un ritardo di sette anni rispetto alla prima edizione integrale americana. Nel 2003, dopo aver pubblicato altri quattro volumi della serie, King pubblica una nuova versione, lievemente più lunga, per adeguare il testo ai successivi volumi pubblicati.
La serie vede il suo termine, salvo l'uscita di un ulteriore volume intermedio, nel 2004, quando King decide di festeggiare il suo 57° compleanno con la pubblicazione del capitolo conclusivo della sua serie intitolato La Torre Nera.

La copertina della prima versione
pubblicata, nel 1982, da King.
Vediamo rappresentata la parte in cui
Roland e il piccolo Jake
superano, a bordo di un
carrello a trazione muscolare 
che corre sui binari, la landa
infestata dai mutanti.

ANALISI DEL TESTO
Romanzo breve, poco meno di 250 pagine, che si distingue in modo netto dalla consueta produzione di King, sia per tematica che, soprattutto, per stile e contenuti. King parte, come suo consueto, da ispirazioni derivative per poi muovere verso un qualcosa di personale. Qua l'ispirazione arriva da un testo più classico del solito, risalente al 1855. King attinge a piene mani, sia nel delineare la struttura che gli sviluppi, dal poema di Robert Browning Childe Roland To The Dark Tower Came. Riprende la struttura dinamica della storia, inframmezzata da una lunga serie di flashback che non seguono un ordine cronologico, subendo sbalzi temporali che vanno dal passato prossimo all'infanzia del protagonista. Il romanzo prende le mosse con un lungo ed estenuante inseguimento in una landa desertica, apparentemente western, che si scopre, via procedendo, di valenza post atomica. Non c'è più traccia delle città come noi le concepiamo. Abbiamo agglomerati urbani di bifolchi, guidati da superstizioni e isterismi collettivi, che pianificano la loro vita nei saloon tra prostitute e bevute. Al di fuori di queste aggregazioni, ancorate agli usi degli Stati Uniti nell'ottecento, abbiamo dei reietti isolati in baracche che tirano avanti a suon di espedienti. Il protagonista, Roland, si muove in un mondo che cela una civiltà sepolta, passata, senza che si capisca cosa sia successo. Ci sono delle zone rosse in cui nessuno sembra inoltrarsi e in cui si fionda il protagonista, intenzionato a mantenere una promessa ben precisa. Armato delle sue inseparabili pistole, ricordo del padre defunto, vuole eliminare "l'uomo in nero". Quest'ultimo è una sorta di stregone che viaggia verso la Torre Nera e che non può morire per come pensa Roland (i proiettili non servono a nulla, poiché è un essere che vive su più dimensioni). Solo alla fine si intuirà cosa sia questa torre, dopo un eroico viaggio tra deserti infestati di umanoidi mutanti dal corpo fluorescente e aggressivi come gli zombie (il rimando va alle radiazioni nucleari), stazioni di vecchie metropoli abbandonante con cadaveri mummuficati che si sfaldano al contatto dei polpastrelli, ponti cedevoli e oracoli che preannunciano tristi eventi futuri. Roland, eroe muscolare di rimembranze howardiane (si veda il ricordo in cui narra il proprio grandguignolesco rito di iniziazione, in un combattimento all'interno di un'arena che sembra ricordare templi connessi a scuole iniziatiche esoteriche, con tanto di uscite, a seconda del superamento o meno della prova, in determinati punti cardinali), accompagnato da un giovane piovuto (per effetto di un sortilegio attraverso il quale King supera l'idea di morte) dalla nostra realtà in un mondo che non conosce in quanto pedina sacrificale di un gioco orchestrato da creature superiori,  riuscirà a scalare quelle montagne oltre le quali nessuno sa cosa si celi e a raggiungere l'uomo in nero. Non ci sarà un vero duello tra i due, bensì un confronto dialettico che spiana la strada a un sequel. Una soluzione questa che farà storcere più nasi per il suo essere completamente al di fuori di ogni previsione ipotetica.
A differenza di altri romanzi, King va oltre la valenza sociale. L'Ultimo Cavaliere, in altre parole, non è una metafora per parlare di quanto ci circonda nella vita reale, ma acquisisce una natura, per certi versi, trascendente. King supera i concetti di morte e lo fa con una costruzione multi-dimensionale propria della cosiddetta teoria degli universi paralleli. I mondi, come noi li concepiamo, altro non sarebbero che piccoli granelli di universi ulteriori e non un qualcosa di inserito in un contesto delineato e finito, piuttosto un'infinita matrioska a cui non è possibile venirne a capo. I molteplici mondi non sono seperati in modo netto, ma sono attraversabili per mezzo di portali spazio-temporali. La Torre Nera e' l'elemento che accomuna tutti questi mondi, il fulcro dell'intera esistenza, compresa l'ultraterrena.
Il romanzo di King è un'opera fantastica vecchia scuola, peraltro intrisa di contenuti religiosi che evolvono in un taglio dapprima fantascientifico, quindi metafisico e infine filosofico. King parla dell'universo come di un qualcosa di infinito non a misura d'uomo. Un complesso del creato ordito da un Dio indifferente alle sorti dell'uomo, creatura ininfluente e banale nei meccanismi intergalattici alla stregua delle formiche. "Se davvero un Dio soprintende a tutto, è pensabile che dispensi giustizia per una razza di esseri infinitesimali in mezzo a un'infinità di razze analoghe? Il suo occhio vede cadere il passero quando il passero è meno di un atomo di idrogeno isolato negli abissi dello spazio?" così l'uomo in nero spiega a Roland.
Chi è l'uomo in nero? E' uno stregone (capace come Gesù di resuscitare i morti) che riconosce di essere alle dipendenze di due creature a lui superiori, lo straniero senza età e la Bestia (nome che rimanda all'apocalisse di San Giovanni) ovvero "il guardiano della torre, il precursore di tutte le teurgie... Parlare della Bestia è parlare della rovina della propria anima davanti a lei." Da notare come si menzioni una sorta di trinità diabolica che, in apparenza rovesciata di natura (come suggerisce la follia che scoppia nel paese di Tull da cui Roland riuscirà a liberarsi grazie a una sparatoria stile sfida all'O.K. Corall), ben si ricollega alle filippiche di inizio romanzo in cui una religiosa parla di anticristo e fine del mondo, individuando in Roland il figlio della perdizione. Nella versione del 2003 King sostituirà al termine Bestia quello di Re Rosso (da notare che la Bestia nell'Apocalisse di San Giovanni viene descritta come Drago Rosso).
La Torre, di cui ne L'Ultimo Cavaliere ci si limita a parlare, è un punto di congiunzione di molti universi e provoca distorsioni temporali che non seguono regole a noi conosciute. King chiude il testo in modo molto affascinante e aperto. Roland in riva al mare guarda un orizzonte senza fine, pregustando la battaglia finale che lo vedrà protagonista all'ombra della torre nera.

L'Ultimo Cavaliere ha valenza di opera introduttiva, ragione per cui alcuni personaggi restano appena sfumati e non approfonditi (aspetto che genera un po' di confusione e lascia in sospeso situazioni che, in un'opera unica, sarebbero state approfondite), sulla quale King andrà a costruire l'intera epopea supporto della sua intera produzione, con rimandi anche ad altri romanzi apparentemente disconnessi. La saga de La Torre Nera delinea il mondo kinghiano, in un'ottica trascendente e filosofica che sovente sembra sfuggire ai romanzi "più convenzionali" e di maggiore presa commerciale. Testo meno semplice del solito, caratterizzato da uno stile più ricercato, a momenti aulico, e dotato di contenuti intrinseci, addirittura di valenza simbolica, che si liberano dal tradizionale taglio commerciale. Ciò nonostante non mancano gli omaggi all'horror e a quei prodotti crudi e duri reminescenze della vecchia narrativa pulp. King non lesina in picchi di violenza, come un falco che estirpa a suon di beccate un occhio o un gruppo di mutanti a cui Roland, che corre su un carrello spinto a trazione muscolare sui binari, fa saltare le teste a suon di pistolettate.
Senz'altro un volume da leggere, definito da King hard fantasy sulla scia della produzione di Karl Edward Wagner, autore, non a caso, legato alla narrativa di Robert Ervin Howard. Consigliatissimo ai fan di quest'ultimo autore.

La copertina della prima versione
in italiano.


"Tutto nell'universo nega il nulla; ipotizzare un limite è l'unica assurdità.".