Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

martedì 21 marzo 2017

Recensione Narrativa: IL GIOCATORE OCCULTO di Arturo Perez Reverte



Autore: Arturo Pérez Reverte.
Titolo Originale: El Asedio.
Anno: 2010.
Genere: Giallo storico.
Editore: Marco Tropea Editore.
Pagine: 640.
Prezzo: 20 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Dal creatore del Capitano Alatriste oltre che del romanzo Il Club Dumas, reso famoso dalla trasposizione cinematografica curata da Roman Polanski col titolo La Nona Porta, arriva questo dramma storico con venature gialle che va sotto il titolo L'Assedio, edito in Italia con il meno calzante Il Giocatore Occulto. 
Romanzo fiume, oltre seicento pagine (molte delle quali superflue), caratterizzato per esser il risultato di quattro distinte storie che si intrecciano e che hanno tutte sede nella Cadice del 1811. Perez Reverte realizza così un elaborato storico che mette in scena l'assedio della città di Cadice, porto fondamentale per i traffici di merci tra la Spagna (Europa) e le Americhe, per effetto delle truppe napoleoniche. All'interno di questo contenitore, ovvero il contesto storico, mentre i Francesi sparano bombe sulla città, spesso e volentieri, non riuscendo a farle esplodere per problemi di gittata, Reverte inserisce una serie di ulteriori storie che dilatano il soggetto spingendolo a prendere vie diverse e non per forza di cose connesse tra loro. Tra tutte spicca quella di un assassino seriale, di cui al titolo, che uccide a colpi di frusta delle giovani donne infierendo sui cadaveri al punto da scarnificarli fino a che non si vedono le ossa. L'autore, tuttavia, si limita a tracciare i contenuti superficiali di un giallo, ma non lavora sull'intreccio mystery. Non c'è speranza per il lettore di capire chi sia l'assassino e il tutto viene messo in scena con fare poliziesco, come se si fosse in un moderno noir, rendendo di fatto poco accattivante la lettura (specie andando avanti nel testo). A ogni modo è proprio la storia di questo assassino che rende vivo il romanzo, facendo a rimbalzo con i traffici organizzati da una giovane nobile convinta a investire sulle navi corsare, che praticano una forma di pirateria (a danno delle navi nemiche) legiferata dallo Stato spagnolo, per trovare gli introiti indispensabili a far fronte al periodo di magra che soffoca la città. Il tutto è funzionale a Reverte per dedicare ampio spazio alla caratterizzazione dei personaggi, ma soprattutto del contesto socio-politico ed economico generale. Viene così offerto un completo quadro della Cadice del 1811, sia geografico che architettonico che, in special modo, cittadino. Un contesto in cui si sviluppano duelli d'onore, antiche forme di galateo, feste in maschera e dibattiti politici, a cui fanno da contraltare le incursioni belliche con descrizioni di tecniche di guerriglia, sia terrestre che marine, e descrizioni balistiche atte a spiegare le parabole coperte delle bombe. Vediamo così la vita di una città che prosegue, protetta tra le sue mura, nonostante la guerra che sta bussando proprio dallo specchio di mare su cui si affaccia l'agglomerato urbano. Ecco allora che il lettore si imbatte in interi capitoli, narrati sia dal punto di vista dei francesi (attaccanti) sia dal punto delle truppe ispanico-inglesi (difensori), con spiegazioni di armi, gittate, strategie militari, depredaggi e via dicendo. Ed è proprio in ordine ai punti delle cadute di queste bombe che si verificano gli omicidi, quasi come se l'assassino prevedesse le zone di scoppio e scegliesse così di anticipare l'evento firmando la scoperta con un omicidio premonitore. Il commissario Tizon (nome quanto mai appropriato per descriverne la peculiarità manesche), un rude poliziotto all'antica (già per l'epoca) che disottempera all'orientamento di vietare la pratica della tortuna come via per ottenere le confessioni, sarà il personaggio che cercherà di garantire alla giustizia lo sconosciuto assassino. Si tratta di un poliziotto goffo, amante degli scacchi e propenso a trovare collegamenti e relazioni alquanto improbabili e cercare di forzare gli accadimenti per giustificare le proprie tesi. Un uomo dai modi spicci, sommario, che calpesta diritti e tiene sotto stretto controllo i nascenti mass-media costringendoli, sotto estorsione, al silenzio o a pubblicare articoli di favore.
Tizon è comunque solo uno dei moltissimi personaggi che si susseguono nella storia, alcuni di questi incrociano anche i propri destini per poi proseguire su vie distinte, anche se si possono individuare quattro personaggi principali, ognuno dei quali al centro di ognuna delle quattro storie che vanno a comporre il romanzo. Abbiamo il citato commissario per la storia relativa ai delitti, quindi un esperto di balistica francese per la parte che tratta l'assedio francese, la zittella commerciante per la parte in cui si parla dei traffici con le americhe e un coraggioso pirata per quel che riguarda le descrizioni degli assalti alle navi da depredare. Una struttura molto dispersiva, che non riesce a tenere sempre alto il ritmo e si rivela, a tratti, soporifera spingendo a una lettura velocissima di svariati capitoli.
Dunque un ottimo testo per chi è in cerca di un volume che ricostruisca la storia di Cadice e di un certo contesto sociale, ma terribilmente lento, e per lunghi tratti noioso, per tutti gli altri, specie per chi è abituato a un intreccio giallo canonico. Deludente il finale in cui viene acciuffato il responsbile degli omicidi, ovvero un perfetto sconosciuto rispetto al precedente narrato, col triviale Tizon, convinto per tutta la storia di esser sulle tracce di un intellettuale (citazionista dell'Aiace di Sofocle) che ha trasformato la città in un'immensa e ideale scacchiera in cui giocare la sua personale e pazzesca partita, che resta a sua volta deluso (si troverà al cospetto di un assassino comune). Poco chiara la spiegazione posta in essere per giustificare la scelta del killer di anticipare i luoghi delle cadute delle bombe con gli omicidi.
Lo consiglio solo agli amanti delle storie che ricostruiscano un dato passato storico, si astengano gli altri.

La copertina originale
spagnola.


domenica 12 marzo 2017

Recensioni Saggi: TOMBOLO di Aldo Santini.



Autore: Aldo Santini.
Anno: 1990.
Genere: Saggio Storico.
Editore: Rizzoli.
Pagine: 234.
Prezzo: 30.000 lire (pagato 3 euro al mercatino dell'usato).

Commento a cura di Matteo Mancini.
Saggio storico scritto dall'ex giornalista del Tirreno e del settimanale l'Europeo Aldo Santini, conosciuto anche per i volumi sportivi Nuvolari (1983), Carnera (1984) e Un Cavallo e il suo Tempo: Ribot (1985), oltre che per numerosi altri di genere diverso ivi compreso quello gastronomico. In questa nuova avventura, Aldo Santini utilizza i fatti gravitanti attorno all'impenetrabile area boscosa di Tombolo, località tra Pisa e Livorno, divenuta sede di traffici di contrabbando e prostituzione tra soldati americani disertori e banditi italiani, per tracciare un quadro piuttosto completo della situazione storica, sociale e politica dell'immediato dopo guerra sul litorale compreso tra Viareggio e Livorno. Lo stile è leggero, corredato da innumerevoli interviste che vengono proposte in modo quasi discorsivo così da dar vita a una via di mezzo tra un saggio e un libro interviste, più orientato però sul primo versante, e offrono uno squarcio su uno dei periodi centrali del novecento italiano, focalizzandolo in una data area geografica senza però ignorare l'insieme più vasto.
L'autore, livornese verace classe 1922, vincitore del Premio Campiello, si è spento a Livorno nel 2011, all'età di ottantanove anni dopo aver ricevuto numerosi premi e scritto molteplici volumi (si parla di settanta opere). L'opera qui oggetto di esame, siamo certi di poter dire, è stata probabilmente una delle sue preferiti, in quanto legata alle prime esperienze da giornalista presso il quotidiano Il Tirreno, appena sorto dalle ceneri de Il Telegrafo di Costanzo Ciano proprio negli anni raccontati dal saggio (immediato dopo guerra). I fatti prendon le mosse dalla liberazione di Livorno dalle truppe nazi-fasciste e dall'arrivo in massa, al seguito dei soldati americani, delle "segnorine", ovvero delle prostitute italiane (quasi tutte bionde, perché così eran richieste) salite dal meridione lungo l'intera ascesa dell'esercito americano per vivere da nababbe con i dollari scambiati in cambio di sesso offerto, per lo più, ai soldati di colore e ai prigionieri tedeschi (impiegati al servizio degli americani). Una situazione che diverrà presto indigesta al popolo livornese, ridotto alla fame e spesso e volentieri costretto a non aver un lavoro su cui contare.

Il volume viene portato avanti avendo come trait d'union di tutti i capitoli i fatti connessi alla.c.d. "rivolta dei giusti", ovvero la notte brava del 3 agosto 1947 in cui svariati cittadini livornesi insorsero contro le "segnorine" responsabili di infangare il decoro urbano ("Questa città è diventata un grande casino" non a caso negli Stati Uniti assunse presto la fama di "città del peccato"). Così Santini centellina i fatti e le conseguenze di quella nottata fino a raccontare nei dettagli le deposizioni del processo tenutosi a Firenze, per ovvie ragioni legate al malcontento popolare, e della sua parziale ripetizione in quel di Perugia, per l'eccezione sorta solo in secondo grado relativa a un vizio legato ai titoli necessari per stare in giudizio di un avvocato degli imputati. Il tema principale del volume è questo, ma così come un nastro che si riavvolge, per ogni capitolo proposto, Santini parte sempre da quei fatti per poi dilungarsi, tra un'intervista e l'altra o tra un aneddoto e un ricordo personale di vita vissuta, e aggiungere qualcosa di nuovo e di più dettagliato rispetto a quanto già detto sia dell'ambiente che delle premesse che portarono a quella nottata di percosse, stupri, violenze e segnorine denudate e costrette a vagare per strada come mamma le aveva fatte. Così ci parla del giorno (7 luglio 1945) in cui Frank Sinatra giunse a Livorno per cantare davanti a un pubblico costituito dai soldati americani, oppure delle avventure in quel di Tombolo del regista Federico Fellini al seguito del regista Lattuada nei preparativi finalizzati a girare il film Senza Pietà o ancora ci offre un profilo del poeta Ezra Pound, rinchiuso nel vicino campo di concentramento di Coltano insieme ad altri prigionieri, più o meno, legati al caduto regime fascista, intento a scrivere, tra un'offesa e l'altra, i Canti Pisani.

Un modo di raccontare che porta Santini a ritornare più volte sugli stessi temi, così da allungare il narrato, ma che gli permette anche di fissare al meglio i temi centrali che tenevano banco quegli anni: prostituzione, contrabbando, rapine ai magazzini militari americani (spesso e volentieri concordati con le sentinelle e gli ufficiali), omicidi irrisolti, disperazione, disoccupazione, desolazione urbana, speculazione finanziaria e smitragliamenti continui al ritmo del boogie woogie suonato in delle specie di baracche in cui soldati di colore (per lo più della Divisione Buffalo, una squadra kamikaze formata da colored ed elementi di razza bianca espulsi per indisciplina da altri reparti) si scioglievano tra le braccia di provocanti damigelle in cerca dell'amore della vita per scappare dall'Italia e dalla fame. Un cocktail di illecità e trasgressione che aveva un suo centro e un suo nome: Tombolo. La pineta off limits, continuo scenario di rastrellamenti da cui scaturivano arresti a danno di disertori, vagabondi e delinquenti e che quasi sempre portavano all'espulsione, con tanto di foglio di via, di signorine indesiderate dall'autorità e spesso e volentieri affette da malattie veneree. Uno spicchio verde di foresta dalle sembianze di una macchia di dantesca memoria, dunque, in cui rifugiarsi per sfuggire alla legge e in cui pianificare altre azioni criminali. Un vero e proprio tempio per gli americani di colore che avevano deciso di sfuggire alla disciplina militare e che erano costretti a darsi alla macchia perché rei di un qualche grave misfatto. E con loro, a tener compagnia, proprio loro: le segnorine, delle donne bianche che pregavano per andare con i neri (una situazione, per questi ultimi, neppure immaginabile negli Stati Uniti dove i neri eran considerati alla stregua di animali). E' l'attore Kitzmiller a spiegare il profilo di questi uomini e le motivazioni che li spingevano a schierarsi contro l'ordine costituito: "I negri di Tombolo non credono che la fine vittoriosa della guerra porterà all'abbattimento delle discriminazioni razziali, e piuttosto che essere dei paria in America preferiscono giocare la folle carta della diserzione."

Santini racconta quegli anni, ci rivela cosa successe a Livorno quando giunse la notizia dell'attentato a Togliatti, di come si formarono i movimenti portuali anti-americani e di come il Comando americano osteggiasse i nuovi comunisti pretentendo di tagliarli fuori da ogni collaborazione lavorativa. Bello anche il ricordo della Livorno semidistrutta, con il luna park luogo di scambio di operazioni più o meno illecite e di scazzottate tra italiani, tedeschi e americani con tanto di tabelloni scritti nelle tre lingue di riferimento. Questo in estremissima sintesi il contenuto di un volume che ha il merito di riportare la memoria di chi ha vissuto certe epoche a quelle situazioni che oggi paiono lontane anni luce dalla società attuale, ma anche, e soprattutto, di tenere vivo un ricordo che, altrimenti, evaporerebbe sempre più a ogni passaggio generazionale. Bravo Santini, anche se non deve esser certo questo blog a sottolinearlo e che peraltro arriva ormai tardi in questo essendo già passati circa sei anni dalla scomparsa dell'autore. Da recuperare soprattutto per gli abitanti della zona, citato nella bibliografia del volume Spiaggia a Mano Armata di Umerto Lenzi in cui, proprio Aldo Santini, compare come personaggio aggiunto (siamo certi che avrebbe gradito, addirittura letto da Quentin Tarantino).

L'autore ALDO SANTINI.

"Tempo di miseria, voglia di ricchezza, un paradiso di violenza: e Tombolo divenne l'inferno del dopoguerra italiano."

lunedì 6 marzo 2017

Recensioni Narrativa LA MANO di Howard Fast.



Autore: Howard Fast.
Titolo Originale: A Touch of Infinity.
Anno: 1974.
Genere: Fantascienza/Surrealismo/Satira.
Editore: Mondadori, collana Urania (n.649).
Pagine: 134.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Howard Fast ovvero l'ilarità che diviene narrativa e in modo divertito, divertente e, non da ultimo, intelligente, mettendo alla berlina l'egoismo, la contraddittorietà e il materialismo tipico della maggioranza degli uomini, lasciando sempre aperta una fessura sul mondo dell'altrove, il trascendente verrebbe da dire, con continui riferimenti a Dio o ai creatori della razza umana. A Touch of Infinity (1972), tradotto in Italia con il titolo La Mano nel 1974 a cura della Mondadori (collana Urania), è una summa del talento dissacrante di questo scrittore, un uomo che non si è mai nascosto e ha subito, per le sue idee (condivisibili o meno che fossero) dei gravi intralci e dei vergognosi giudizi poi ribaltati per mere ragioni incidentali.
I più che leggeranno queste righe, probabilmente, non ne hanno mai sentito parlare. Seppur in Italia non sia molto conosciuto, per alcuni è una vera e propria leggenda. Basterebbe citare solo un suo romanzo per comprenderne la portata. Ci riferiamo a Spartacus poi portato al cinema da un certo Kubrick, un regista che per la lettura (a 360°) nutriva un interesse di proporzioni stellari, mi verrebbe da dire date certe Odissee (a tal proposito da non perdersi le storie del Cervo Bianco).
Fast nasce nella città della grande mela, nel 1914, quale risultato finale di un condensato di culture. Il padre, Barney Fast(owski), era un Ucraino, mentre la madre, che si chiamava Miller, proprio come il famoso capitano de Salvate il Soldato Ryan, era nata nel Regno Unito. A unire i due sono, oltre l'amore romantico della gioventù, la comune religione ebraica e il fatto di esser scappati dal vecchio continente. Un connubio che mi fa saltare in mente un certo concittadino David Duchovny, anche lui d'origine Ucraina ed ebraica ma nato da un'altra Miller sempre del Regno Unito, l'attore che ha interpretato Fox Mulder nel serial X-Files che, come avremo modo di sottolineare nel proseguo viene quasi anticipato in un racconto con un riferimento piuttosto specifico all'FBI (a tal proposito un salutone anche alla bella Dana, eh...Sarà anche bassa, ma a me piace, oh allora...).
Inizia a lavorare giovanissimo, causa la dipartita prematura della madre, e a dieci anni è già a fare lo strillone per le strade con i giornali in pugno. “SIGNORI E SIGNORE... LA SAPETE L'ULTIMA?” E via a vendere i giornali, tra una risata e l'altra, accalappiando i passanti per pochi cents e qualche pacca sulla spalla. “Sei proprio un bravo ragazzo, Howard” e lui: “Va beh che non mi chiamano ancora Cunningham, ma non sono ne' il R.E. né il Phillips Lovecraft” che in quegli anni furoreggiavano per le strade mentre il riferimento a Cunningham lo scoprirete dopo. Gli viene subito offerto, probabilmente dopo combattuto concorso pubblico, un posto a tempo determinato (però... eh eh eh) presso l'amministrazione pubblica e viene dirottato alla biblioteca della grande mela. È proprio l'avvicinamento a riviste, giornali e libri, verrebbe quasi da dire il continuo respirare l'odore liberato dai fogli consumati dal tempo e dalle carezze di migliaia di mani, a portarlo a sviluppare una passione che poi diventerà vera e propria professione, ma con ilarità, come dimostra nel racconto Il Buco nel Pavimento (The Hole in the Floor) dove fa dire, con grandissimo tasso di ironia, a un certo poliziotto la seguente battuta, che sa quasi di barzelletta, in verità: “Se avessi un briciolo di cervello in testa farei lo scrittore, non il poliziotto. C'è un Tizio nella polizia di Los Angeles che fa lo scrittore. Ha scritto un libro che è diventato un best seller, e ha fatto un sacco di grana. Ma lui vuole continuare a fare il poliziotto. Mi fa una rabbia...!” Eppure più che di grana, Fast, avrà grane a volontà e anche piuttosto grosse. “Bada che scaglia... questa è buona per gli spaghetti, la mandano dalla Padania!” Fa il grande salto allo scoccare del '33, giovanissimo dato che per l'epoca non è ancora considerato maggiorenne (almeno in Italia), e da alle stampe Two Valleys (non tradotto in italiano, credo). Pur essendo al debutto vende subito un milione di copie, pazzesco per qualcuno (specie se poi andiamo a vedere quello che succede dopo), ma è tutto vero. Come vera diverrà la trasposizione cinematografica di una sua opera con Muhammad Alì protagonista, scritta a inizio carriera, e persino l'inserimento di alcuni suoi testi (Citizen Tom Paine) nel circuito di formazione scolastica americana, questo fin da subito. Appassionato di viaggi e della storia di America, scrive molti pezzi di natura storica, in particolare del west, con articoli e racconti dove opera una sorta di revisionismo western ante litteram sugli indiani (visti come vittime e non come il nemico da cacciare nelle riserve), e della guerra di secessione. Cerca notizie ovunque, è un vero e proprio topo di biblioteca. Va anche in giro a fare interviste, armato di matita e block notes. Scrive un romanzo, che tratta le vicissitudine di alcuni emigranti italiani ed ebrei costretti a fuggire dalla propria terra negli anni che precedettero la caduta di Wall Street (peraltro ricordata in chiave ironica, nella raccolta qua omaggiata nel racconto Il Cerchio, dove per protagonista irrompe un sindaco geniale) e che viene pubblicato con il titolo The Immigrans. Ma mentre lui può fare tutto questo, nella tranquillità offerta dal paese delle stelle e strisce, altri suoi compagni, altrove, diventano vittime di uno dei momenti più bui della storia dell'umanità. Sono anni in cui in Europa soffiano venti di guerra e, crediamo di poter dire, il trasporto di Fast (mi verrebbe da aggiungere dei coniugi Fast, avendo sposato nel 1937 Bette Cohen... sempre un omaggio al GRANDE LEBOWSKI, permettetemelo da fan) non è certo secondario e insensibile agli eventi raccontati da radio e giornali, date anche le origini e certi episodi verificatesi nel vecchio continente, probabilmente neppur lontanamente immaginabili dalla fervida immaginazione di uno scrittore horror. E badate bene, allora si parla solo di “deportazione” e non, ancora, di tutti gli orrori del dietro le quinte che emersero poi conquistando i terreni sul campo. Viene così arruolato nell'esercito americano, che sarà risolutivo come tutti sappiamo per le sorti del conflitto e, più ancora, del mondo (P.K. Dick, uno a caso, insegna con la sua riscrittura immaginaria della storia quello che sarebbe potuto succedere, altrimenti), presso l'Office of War Information. I suoi ideali politici, o meglio la sua filosofia, però traspare, non se ne sta confinata nella sfera del personale, va oltre (come giusto che sia) e diviene invisa ai poteri forti. Nel 1944 aderisce al partito comunista e allora viene scaricato. Non è possibile, non è tollerabile avere una “potenziale serpe” in corpo. Addirittura finisce in carcere per tre mesi, condannato dalla Commissione per le Attività Antiamericane, per comportamento sovversivo. In realtà la colpa di Fast, se di colpa può parlarsi, è quella di impegnarsi al fianco degli oppositori (definiti ribelli) del governo franchista che domina la Spagna. Invitato a fare i nomi, specie dei finanziatori di questi movimenti, fa andare su tutte le furie la commissione per non rivelare quanto richiesto e per il suo chiudersi in un onorevole mutismo fatto di ammiccate e boccucce. Per la corte questo è sufficiente a integrare il reato di oltraggio. Ci vien da dire, a posteriori, che a Fast non riuscì quello che mise in piedi il suo predecessore Ambrose Bierce, un altro che con i ribelli e le storie della guerra di secessione ci andava a nozze. Praticamente, tra i due, è intercorso il proverbiale Dal Tramonto all'Alba.
È il 1950, son anni in cui nell'aria si respira un altro conflitto, questa volta più devastante per la scoperta di armi e di strumenti massmediatici sempre più forti. L'incubo del nucleare aleggia sul mondo come una mano prossima a spegnere il sole e con esso la vita, come vedremo in modo surreale ne La Mano (Not With a Bang) e in modo molto più concreto ne L'Uovo (“The Egg”). Durante la detenzione, forse agevolato mentalmente dal pensiero di una ristrettezza della libertà personale e dall'idea di un'autorità despota che vuol tenere tutti sotto l'invisibile guinzaglio del controllo, sviluppa l'idea embrionale di Spartacus, da leggersi come una sorta di ideologica manlevatio dai politici e dai poteri forti ma ambientata ai tempi dell'antica Roma. Nove anni dopo, forse imprevedibilmente un po' per tutti dato che nessun editore si decide a pubblicare il testo (“E poi cosa ci succede a noi?” dicevano gli editori), la sua storia viene portata sul grande schermo dall'immenso, ma ancora giovanissimo, Kubrick; uno che con il Dottor Stranamore e Orizzonti di Gloria aveva già evidenziato il proprio humor nero verso certi estabilishment nonché il proprio smargiasso menefreghismo del sistema. “E ci fa fare i soldi” si giustificavano i produttori “Gli facciam fare i film, si... C'avete registi migliori voi?”. Una soddisfazione enorme per Fast che, abbandonato da tutti, si era pubblicato a proprie spese il romanzo...!!! Vergognoso, permetteteci lo sfogo. Vendendo “appena”, per il valore intrinseco, 48.000 copie (tante per un'autoproduzione, ma zero per un libro di tale caratura). Un'onta troppo grande per la burocrazia dei palazzi che lo isola e lo intralcia. Avete in mente l'immagine stilizzata della vecchia che va a mettere il bastone nei raggi di un bimbo che si diverte con la sua mini BMX? Bene, è coincidente alla situazione.
D'altro canto, però, il suo coraggio e la sua serietà di uomo, reso tale anche per il non abbassarsi a compromessi o ad atteggiamenti di interesse prettamente economico come il più comodo e sicuro atteggiamento qualunquista, non passano inosservati. Così, mentre con la moglie mette in piedi la Blue Heron Press, casa di produzione funzionale a produrre i propri lavori (perché nessuno si azzardava a metterlo sotto contratto, figurarsi se può esser vantaggioso inimicarsi certi soggetti), con tutti i problemi di distribuzione e di editing (molto carenti), nel 1953 riceve una chiamata che ha del pazzesco. In linea c'è Mosca e ci vuole un interprete per capirla... Si, non quella del racconto Questione di Dimensioni, in linea c'è quella capitale... “Oddio, no... quella pena, no...!” si allarma Howard. “Ma che pena... e sono i russi...” gli ride la moglie. “Ah, meno male che dormono ancora” fa lui... “Sono gli altri zzzzz”. E perché lo vogliono? Eh, sembra una barzelletta, ragazzi miei... Una di quelle che rende Buffa alla tv. Lo vogliono, perché devono consegnargli un premio... E che premio è? È uno dei più importanti riconoscimenti del mondo orientale... È il Premio Stalin per la pace, risposta sovietica alternativa al più famoso Premio Nobel per la Pace. E non lo riceve insieme ai primi che passano per la strada, tipo il perito Reznov o il compagno Grinowsky. No, signori... c'è anche spazio per l'ironia italiana. Per un bizzarro scherzo del destino, come scritto dallo stesso Fast ne Il Prezzo, “Dio opera in modo singolare”. Infatti, il colmo per uno che viene dalla grande mela è ricevere il premio con un certo Andrea Gaggero (pacifista con trascorsi nel campo di concentramento di Bolzano gestito dalle SS, secondo italiano a vincere il premio dopo Nenni, e a cui faranno seguito altri tre italiani per chiudere con GATTUSO) che invece arriva da un posto chiamato Mele, ma soprattutto insieme a loro c'è un certo PABLO NERUDA poi PREMIO NOBEL alla letteratura nel 1971. Un premio, questo Premio Stalin, che verrà consegnato per l'ultima volta nel 1990 a un tale Nelson Mandela (che ricordiamo anche per un certo Invictus di Clint Eastwood). Soddisfazioni importanti, ma a quale prezzo, appunto? Ce lo può forse dire il Frank Blunt del momento...? “Vorrete scherzare?” Ce ne guardiamo bene, è un costo molto alto, troppo, probabilmente ingiustificabile... ovvero l'isolamento operato dal proprio Stato, nel mutismo generale riservato a chi, secondo l'opinione pubblica alimentata da chi detiene il potere, è contrario a ciò che viene definito eticamente corretto dal contesto ambientale e storico. E allora c'è spazio solo nell'underground, nei comizi organizzati dal movimento politico di appartenenza, sui giornali di settore, ma anche qua non è tutto falce e martelli. E no... perché c'è anche chi vuol metterci le seghe, evidentemente. Quindi finisce accusato dai suoi stessi compagni di non essere troppo fedele al modello costituito. A quei tempi, purtroppo o forse per fortuna, non si poteva ancora parlare di correnti o scissioni e Fast, questo il destino di chi va più forte, come dirà anni dopo Giuliano Palma, si ritrova ancora una volta a viaggiare solo, in giro nel mare magnum dell'editoria come in una navigazione impazzita degna rappresentazione del maelstroem di Poe.

Fast, intanto, abbandona persino il partito, disgustato dai soprusi e dagli eccidi perpetrati da Stalin, come arriva, puntuale, a evidenziare il discorso di Kruscev pronunciato il 25 febbraio del 1956. Ancora una volta la grande personalità di Fast e il non volersi piegare ai compromessi ne fanno un simbolo di purezza e “cristallinità”. Ma a poco serve battersi, almeno apparentemente (fallisce anche il tentativo di creare una lista civica primordiale) e a poco servono i tentativi di trincerarsi dietro pseudonimi più vari, Cunningham o Ericson che dir si voglia, per cercare di fare il grande salto. È una delle tante vittime del MACCARTISMO, dal nome del funzionario a capo della commissione (appunto McCarthy). Nonostante la censura, i tentativi di svalutazione e una campagna diretta a demonizzarne l'opera, come successo a moltissimi altri artisti (tra cui il celebre attore Lionel Stander, che ricordiamo al fianco di Bud Spencer, Terence Hill e George Eastman ne La Collina degli Stivali che alla fine evidenziava chi era il vero buffone), un atteggiamento ideale prodotto tra un incrocio avente come capo razza il tribunale dell'inquisizione del medioevo, per la gioia degli Evangelisti e del loro mitico Le Catene di Eymerich (un altro che si è interessato alla storia del west). I suoi libri, da eticamente corretti al punto da esser stati inseriti nel circuito scolastico, sono ormai veleno per le coscienze e per le formazioni dei comuni cittadini. Come conseguenza cosa ne deriva? L'eliminazione immediata da ogni programma scolastico e da ogni elenco contenuto nelle biblioteche pubbliche. “E che si scherza davvero...1?” tuonava McCarthy battendo il pugno sulla scrivania a chi cercava di evidenziare come il soggetto, in realtà, fosse più che valido. Nonostante tutto questo però, come spesso avviene quando si vogliono negare le evidenze, cosa succede...? Semplice. “Ehi, ragazzi la sapete l'ultima?” dicono un bel giorno in commissione. “Bella trasmissione” dice uno dei grandi togati “Mi faceva fa' un sacco di risate”. ”Macché trasmissione... Fast è uscito dal partito comunista!” Boato generale. “Portatemi la lista e anche il bagaglino...” si entusiasma subito il numero uno della commissione. “Lo ingaggiamo?” fa uno dei soci del gruppo. “Maaaah, affare di nulla!” E così, beffa delle beffe, viene cancellato dalla lista nera e cosa succede? Semplice, quello che era prima educativo e poi diseducativo torna a essere educativo. Il tutto con una chiara ed evidente analisi contenutistica dei volumi e dei messaggi offerti dai testi. Ciò avviene, come direbbe il recente vincitore di San Remo, in un Amen. E allora ecco che, tra i primi, esce Spartacus di Kubrick, arrivano gli editori e gli editor e la produzione di Fast diviene da marginale a copiosa, sia per le tante citazioni avute sia, soprattutto, per la quantità dei volumi dati alla stampa. Abbiamo detto quantità, perché la qualità è rimasta inalterata fin dall'inizio. Risultato finale? Tradotto in quindici lingue, in modo da poter esser seguito in ogni angolo di mondo, con qualcosa come ottanta libri scritti, tra romanzi, antologie, saggi e articoli vari al punto da esser definito, come ricordato da Passerini, “uno dei più grandi cantastorie dell'America moderna, genuinamente sposato alla causa della giustizia e della libertà.” Una definizione che, a nostro modo di vedere, gli rende giustizia e vale più dei conti e della riconoscenza pubblica. Un vero e proprio fiume in piena che non conosce blocchi e massi che tengano, eretti per arginare la forza d'urto di quelle onde che si alzano sospinte, tanto per citarne uno, da Il Vento di San Francisco e che da Pacifico lo rendono Atlantico, in un testa-coda degno della sua carriera e storia. “In realtà la cosa che mi fa infuriare la sapete qual'è?” usava chiedere a chi lo avvicinasse... “È che ho più storie dentro di me di quante ne potrei scrivere in una vita!” Un vero e proprio tsunami che si abbatte sulle coste dell'omertà e dell'indifferenza di alcuni, ma che, alla fine della fiera, non può essere contenuto poiché solo i folli possono pensare di contenere le idee e le ideologie, specie quando hanno dei contenuti di giustizia e di equità di fondo. Morale della favola, alla fine del narrato, persino i suoi più accesi detrattori dovettero alzare le mani e ammettere, senza chiamare in causa la coppia italo-americana che affrontò il National a viso aperto in zona Aintree, che le sue storie erano davvero dei veri e propri page-turner.

E ci ride....
HOWARD FAST

Veniamo allora ad analizzare l'antologia La Mano, titolo adottato dalla Mondadori per l'antologia A Touch on Infinity, uscita cento numeri dopo il precedente Il Generale Abbatte un Angelo sempre dello stesso Howard Fast. Si tratta di un vero e proprio divertissement che raccoglie undici (nella versione originale sono tredici) racconti, sospesi tra il surreale e la sci-fi, uniti da una vena che più che ironica definirei sarcastico/satirica da cui si sottraggono solo tre storie. Autore travagliato, ma al contempo scanzonato e diretto, Fast condensa in undici storie il campionario tipico della sua produzione. Un insieme di opere che potremmo definire delle burlonate dal retrogusto kafkiano. Abbiamo definito l'antologia divertissement perché, a differenza di altri autori, non siamo alle prese con uno specialista del genere, ma con un vero e proprio autore prestato alla sci-fi e lo si vede anche dal taglio autoriale che da ai suoi racconti. Questi, pur essendo il più delle volte leggeri e sbarazzini, hanno una forte componente critica degli usi e dei vezzi umani chiamando in causa, quasi sempre, la figura di Dio, piuttosto che l'evento del miracolo o la presenza del trascendente come monito e limite alle pazzie o alle bassezze umane. Tutto questo viene messo in scena con uno stile leggero, brioso e con uno sviluppo dei soggetti che assumono presto la consistenza di ideali barzellette. Certo, non sempre le buone idee iniziali vengono strumentalizzate al servizio di racconti di alto spessore, tuttavia il divertimento e le risate, ottenute per giunta in modo intelligente e riflessivo, sono assicurate.

Il Talento di Harvey (The Talent of Harvey), a mio avviso, è la storia regina. Fast la colloca a termine dell'antologia mettendo alla berlina, con un taglio comico, la routine di una coppia di sfigati che viene funestata dall'improvvisa acquisizione, da parte del marito (persona priva di talenti), del potere di materializzare al semplice pensiero e acciuffare in aria oggetti precedentemente invisibili. Quello che è un dono che sembra piovuto dal cielo (tanto da esser definito "un miracolo") viene presto utilizzato per le due cose più ovvie che frullano nella testa di uomo medio: i soldi e le donne. Tuttavia, per un bizzarro gioco del destino e forse anche per punizione, ciò che il protagonista riesce a fare con i biscotti e con il pane (beni di prima necessità) non riesce ugualmente bene con gli strumenti atti a stimolare la libido. I soldi escono palesemente falsificati, mentre per quel che concerne le donne il protagonista, per l'ira della moglie che si arrabbia dando del pervertito al marito, si vede piovere dal nulla una biondona di due metri, completamente nuda e con un seno prosperoso ai quattro venti. “La voglio alta, bionda, bellissima... Al diavolo l'intelligenza” aveva chiesto. Detto fatto, dal nulla salta fuori quanto richiesto, solo che il corpo non è animato e non ha neppure gli organi, come scopriranno gli uomini del Comune (perché un cadavere “è un'impresa di cui si occupa il Comune”) chiamati a indagare sul caso, capitanati da un tenente, ilarità delle ilarità specie se a leggere è un toscano (come il sottoscritto), che si chiama SERPIO (evidente storpiatura del Serpico che operava, all'epoca, proprio nella città di Fast, cioè New York). “Non sei un pervertito, Harvey... Sei solo un porco. Un grandissimo porco” gli dice la moglie, uscita intanto dalla camera, mentre con lui ammira il corpo materializzato dal nulla e lo invita a non ripulirle i seni insozzati dalla marmellata del danese che c'è caduto sopra
Il medico legale, analizzato il caso e rimasto basito, fa chiamare Serpio, che nel frattempo pregusta un encomio per aver risolto un caso di omicidio, e gli rivela che il tutto sembra essere il risultato “dell'incredibile creazione di qualche Frankenstein pasticcione”. Il fatto, dunque, non costituisce reato trattandosi, invece, di un reato impossibile. “E' morta in senso tecnico, ma non è mai stata viva!? Credo che scriverò una relazione su questo caso e la farò pubblicare in Inghilterra, perché quando si riesce a farsi pubblicare un articolo in Inghilterra, è buffo, ma tutti lo prendono sul serio.” Risultato finale? I coniugi, nel frattempo buttati in gatta buia come arresto cautelare, vengono rimandati a casa, con Serpio che non può che constatare che un poliziotto, quando riesce a mantenersi in buona saluta, ne vede di tutti i colori nella propria carriera. E i coniugi cosa fanno? Appena arrivati a casa, il marito, bello carico per aver ammirato la creatura dei suoi sogni, cerca di fare pace con la moglie, indispettita perché, dopo tutti quegli anni di matrimonio, quello che lui desidera è “una cicciona bionda alta due metri con un pettone enorme”. Allora Harvey, il marito, si affretta subito a precisare che, in realtà, quella non era proprio esattamente il tipo che aveva richiesto e...attenzione al colpo d'autore... “Neppure io sono quella che volevi realmente?”gli chiede la donna. E lui le risponde: “Eccetto te, micia” (finalone ambiguo che sembra suggerrire che anche la donna in questione sia un parto della sua mente). E così detto, l'autore chiude dicendo che “se ne andarono a letto, e bene o male si consolarono.”

Sulla stessa falsa riga è Questione di Dimensioni (A Matter of Size), mi vien da ridere pensando al “bene o male” che sta sopra. Tutto inizia con una donna che se ne sta seduta a sgranare i piselli, quando si materializza un'altra situazione paradossale, se vogliamo agli antipodi della sopramenzionata. Credendo di aver visto una mosca, la donna schiaccia con il pigliamosche un uomo alto un centimetro. Allarmata e impaurita, chiama subito il marito, che pure lavora in ambiente giuridico. Questo, dapprima preoccupato sulla sanità mentale della moglie, constata che, effettivamente, a esser stato schiacciato è proprio un uomo, per giunta nudo, ma nonostante ciò la calma subito, dicendole che quello non ha le misure tali per poter esser un uomo...”Non vedi come è piccolo...?” Dunque è un reato impossibile pure questo, ma ecco che sorge una disquisizione sui punti di vista relativi alla grandezza. Cosa è davvero grande? Quello che noi definiamo grande, in realtà, è solo una deduzione dettata dalle nostre dimensioni, dunque un giudizio relativo e non oggettivo. Alla fine viene fuori che esiste un vero e proprio esercito di questi uomini microscopici che se ne vanno in giro, come nel successivo racconto di Stephen King (a sua volta ripreso da Matheson) Campo di Battaglia, a punzecchiare i presunti “giganti e che l'unica arma per annientarli è far volare un plotone di elicotteri carichi di DTT nella notte per sganciare, da inosservati (sebbene con la confusione fatta sveglino l'intera città), il veleno. Il racconto finisce con la moglie del protagonista che ricorda allo stesso di aver letto un libro di astronomia, di tale James Dean (!?), per poi chiedere allo stesso: “Quanto siamo grandi, noi...Quanto siamo grandi?” Evidente l'ambiguo, ancora una volta, sarcasmo di Fast che gioca alla citazione nascosta da decriptare per ridacchiare sotto i baffi, andando a ribaltare il concetto fin lì anticipato. James Dean infatti, era una stella sì, ma del cinema...e Il Gigante fu il suo ultimo film prima di morire.

Interessanti almeno altri due racconti. Il primo di questi è Il Prezzo (The Price), soggetto incentrato su un uomo abituato, fin dai tempi dell'università, a comprare uomini, cariche, recensioni, giudici e tutto quanto potesse esser utile a perseguire i suoi scopi. “Si può comprare anche il diavolo se si ha di che pagarlo... Si getta l'esca nell'acqua e via...”. Nonostante il vizio e la facile corruzione, riesce a cavarsela sempre fino arrivare al punto di voler comprare Dio per poter scambiare i soldi con altri quindici anni di vita. Rivoltosi a un santone, che si presenta quale uomo a cui sono destinati i miscredenti, i perduti, i traviati e i perseguitati dal demonio, riesce, per l'ennesima volta, a conquistare quanto richiesto ma al prezzo dell'intero patrimonio. Il racconto finisce con il santone a spassarsela su uno yacht a Ischia con una sventolona mozzafiato e i soldi presi al protagonista, che commenta così l'accaduto: “Dio lavora in modo singolare.”

Esilarantisismo poi Il Cerchio (The Hoop) con uno scienziato che realizza, attraverso una serie di equazioni matematiche, un cerchio che piega lo spazio e fa sparire tutto ciò che ci vien buttato dentro. Lo scienziato non sa spiegare, tuttavia, dove vada a finire la roba., specie quando scompare un giovane studente di Philadelphia che pensa bene di saltare dentro il cerchio. La soluzione viene subito sfruttata dal “brillante” sindaco della città che pensa bene di utilizzare il marchingegno per far sparire la spazzatura pur senza interrogarsi sulle possibili conseguenze, non sapendo ancora dove vadano a finire gli oggetti scomparsi. La soluzione, inizialmente, appare geniale. Lo scienziato viene premiato in ogni dove, addirittura nominato Colonnello del Kentucky (!?). Tutti vogliono i diritti sul cerchio, tutti lo vogliono copiare. Il sindaco viene acclamato come un eroe. Intanto lo scienziato constata quanto i filosofi abbiano errato nel voler trovare una spiegazione teologica all'esistenza dell'umanità non avendo considerato, in realtà, che l'uomo altro non è che un produttore di spazzatura. Non si contano, infatti, i camion che vanno in su e in giù a gettare spazzatura. E cosa ti va a succedere? Semplicissimo, ciò che il sindaco ha pensato di far sparire ricompare dalla pancia della terra ed erutta fuori facendo crollare l'area limitrofa a Wall Street (chiaro simbolo del mercato finanziario). Come a dire che le cose sporche non si possono sotterrare...

Questi i quattro migliori racconti. Una breve panoramica anche sugli altri. Ne La Mano un uomo nota, al tramonto, affiorare a orizzonte una mano gigante che spegne letteralmente il sole. Nessuno, tranne lui, sembra essersene accorto, ma la temperatura cala in modo vertiginoso nella notte e la certezze che sorga il sole non appare più tanto scontata... Ne Giusto Motivo (Show Case) una voce sovrumana interrompe, in ogni angolo del mondo e allo stesso orario, le principali trasmissioni radiotelevisive per chiedere, firmato Il vostro Signore Iddio, una valida giustificazione per non porre termine alla vita dell'uomo sulla terra. Dopo un clima di sospetti, con tutte le nazioni che sospettano che dietro all'evento ci sia un gioco occulto di qualche superpotenza e col Vaticano che si rammarica perché il Signore non ha lasciato almeno un elogio per il loro secolare impegno nel campo religioso (“Non una parola di lode... Avete parlato al dipartimento legale?” chiede un cardinale a un collega “Certamente, dicono che la cosa rientra nei suoi diritti”), il mondo viene salvato, esattamente 33 giorni dopo il primo messaggio, da un coglione (o apparentemente tale), che vive in un mondo tutto suo a meditare e fumare canne, individuato dagli osservatori FBI impegnati a porgere a un calcolatore la soluzione del caso e con questo che fa il nome del ragazzo. E qual'è la soluzione? Semplice, la risposta a un quesito che altro non è che un quiz fatto dallo stesso Dio e che si ricollega alle sacre scritture sull'ESODO. Clamoroso il finale con questo soggetto strampalato che se la ride dicendo: “Pazzesco...”
Ne deriva l'idea di un Dio ironico, come spiega poi il protagonista del successivo racconto: “Il riso ne è la prova. Un sorriso è l'unica espressione di eternità.”

Meno riuscito Il Buco nel Pavimento in cui una pattuglia della polizia, accompagnata da un giornalista, interviene in un caso alquanto bizzarro ovvero il crollo di un pavimento che si apre, anziché sull'appartamento sottostante, su una prateria. Appartengono, invece, alla fantascienza “convenzionale” L'Uovo, Nella Mente di Dio e Cephes 5. Il primo è ambientato in un futuro post-atomico con degli scienziati che ritrovano, nei bunker sotterranei, un vecchio laboratorio di ibernazione in cui è conservato in una cella un uovo di uccello ancora rifrigerato. La notizia ha rilievo mondiale poiché i volatili si sono estinti e nessuno ne ha mai visto uno. Grazie ai macchinari si riesce a far nascere l'uccellino che alla fine viene liberato per poter così conquistare la giusta libertà. Ironia messa al bando anche negli altri due testi, in Nella Mente di Dio un gruppo di ebrei escogita una macchina del tempo atta a permetere a un sicario di ritornare al 1897 per andare a uccidere un bambino di otto anni: Adolf Hitler. Classico anche Cephes 5 dove si scopre che gli abitanti del pianeta Terra, in realtà, sono dei soggetti di altri mondi che sono stati isolati nel più remoto pianeta adatto alla vita in quanto dediti all'omicidio e alla distruzione.

Questo il contenuto di un'antologia con idee, quasi sempre, geniali, ma sviluppate non sempre a dovere. Non manca comunque l'ilarità e alla fine viene fuori un prodotto molto riuscito che regala spensieratezza e sorrisi e, penso di poter dire, centra l'obiettivo di proporre una comicità di genere intelligente e mai stupita pur se veicolata con racconti dalla portata di barzellette. Bravo Fast! Autore da rivalutare e divulgare a dovere.

La copertina originale

"Mi irrita molto, perché non so mai se mi prende in giro o no. Trovo insopportabili gli scrittori e gli artisti, e lui è il più insopportabile di tutti. Il fatto che io vada tutti i giorni in città a svolgere il mio lavoro onesto, fa di me quel che lui definisce un membro dell'Establishment, un tipo che lui giudica con ironia e superiorità. "

venerdì 3 marzo 2017

Intervista a Roberto Albanesi in vista dell'uscita de NON NUOTATE IN QUEL FIUME 2



A cura di Matteo Mancini
Nel giorno del compleanno del quasi omonimo regista del film Il Bosco Fuori, torna sulle pagine di giurista81blogspot.com Roberto Albanesi, ormai nostro gradito ospite seriale. Lo scorso anno lo avevamo intervistato poco prima dell'uscita del suo primo lungometraggio Non Nuotate in Quel Fiume, giunto al culmine di un'esperienza che annovera diversi cortometraggi precedenti. Oggi siamo qua a fare il punto della situazione e a presentare la sua nuova fatica produttiva , in collaborazione con Innovazione 2 e Sandroni Cinematografica.

  1. Allora, Roberto, innanzi tutto il saluto e i nostri complimenti per la tua sete insaziabile di regia e di produzione cinematografica. Prima di parlare del nuovo progetto, cosa puoi dirci dell'accoglienza che ha avuto Non Nuotate in Quel Fiume? Immagino che sia stata un'esperienza molto positiva dato il progetto che hai appena ultimato. Avete avuto anche questa volta dei riscontri internazionali come alcuni tuoi precedenti cortometraggi, penso per esempio a The Pyramid?
Ciao Matteo e grazie di cuore per lo spazio che immancabilmente a ogni mio nuovo lavoro mi riservi.
NON NUOTATE IN QUEL FIUME ha avuto un ENORME successo se rapportato alla sua MINUSCOLA natura.
Infatti è stato un realizzato con soli 80 euro e ne ha portati a casa 30 volte tanto (non sono/siamo diventati ricchi, ma il tornaconto si è visto, eccome).
NON NUOTATE ha fatto il cammino opposto a quello affrontato da THE PYRAMID, infatti, se la piramide demoniaca ha visto varie distribuzioni all’estero ma manco l’ombra in Italia, NNIQF è stato distribuito/proiettato in tutta la penisola, facendo il tutto esaurito dei dvd stampati (intorno ai 350) ed il pienone alle proiezioni (Terni, Milano, Casalpusterlengo, Busto Arsizio ecc ecc).
L’orgoglio è tanto visto che il film ce lo siamo stampato e distribuito in totale autonomia, in negozi specializzati che ci hanno aiutato moltissimo
(ed in questo ringraziamo BLOODBUSTER MILANO, in particolar modo l’amico fraterno Manuel Cavenaghi, lo ZAMBO TATTOO, sì, perché i miei film vendono parecchio bene dal tatuatore, ALPHAVILLE PIACENZA e altri che non vi elenco per non ammorbarvi ulteriormente).

  1. Come è stata l'esperienza legata alla distribuzione del film sulle tv locali?
Da piccolo i miei sogni erano:
1- Girare un film
2- Vederlo al cinema
3- Vederlo distribuito in videocassetta
4- Vederlo in televisione
5- Farne un altro e ripartire da capo

Nel mio piccolo, e a modo mio, li ho realizzati tutti, ma mi mancava il passaggio tv.
Finito il film mi è spuntata in testa quest’idea di passarlo a tutte le emittenti private (piccole reti per un piccolo film) e vedere cosa mi avrebbero risposto.
Ho ricevuto solo e soltanto consensi da nord a sud ma, vuoi sapere qual è la cosa più ironica? Gli unici che non mi hanno risposto sono stati quelli di Tele Libertà Piacenza… e il film è stato girato al 90% nella provincia di Piacenza. Fantastico è?

  1. Cosa puoi dirci del DVD di Non Nuotate in Quel Fiume, ha registrato un buon incasso? Che tipo di extra avete inserito al suo interno?

Come detto prima, del film abbiamo stampato circa 350 copie che nel giro di pochissimo tempo sono andate esaurite (soprattutto alle proiezioni nelle varie sale). Lo stesso destino hanno avuto le magliette del film… spazzolate tutte, di qualsiasi taglia e colore.
Il DvD non conteneva volutamente alcun tipo di contenuto speciale perché si doveva presentare come una vecchia videocassetta… la inserisci e parte, queste le mie intenzioni sin dall’inizio. Un DvD che in realtà è una videocassetta.
Il film stesso è un omaggio alle videocassette che noleggiavo e facevo noleggiare da ragazzino in videoteca, quando ero cliente prima e dipendente poi.
  1. Quale è stata la critica che ti è piaciuta del tuo ultimo progetto? Hai ricevuto opinioni anche da registi storici del cinema italiano: cosa ti/vi hanno detto?

“CAZZO SE HA RITMO!” Il più bel complimento che ci hanno fatto… e ce lo hanno fatto in tantissimi.
Antonio Tentori (sceneggiatore di DRACULA 3D, UN GATTO NEL CERVELLO e di CATACOMBA, film che ho co-diretto con Lorenzo Lepori) si è divertito moltissimo e mi ha subito chiesto se le due ragazze disinibite che amoreggiano a metà film le avevo riprese io o avevo trafugato il filmato da qualche parte… gli ho risposto che me le aveva consegnate direttamente in moviola il fantasma di Bruno Mattei.

  1. Bene, complimenti ancora allora. Veniamo ora al futuro prossimo. Ho intuito, dato che la notizia mi pare ancora abbastanza segreta, che avete appena ultimato un sequel di questo Non Nuotate in Quel Fiume. Prima di parlare di trama e di sviluppo del soggetto, volevo chiederti se l'uscita di un precedente lungometraggio vi abbia aiutato a trovare maggiori fondi per questo progetto o se siete rimasti fedeli all'idea dell'auto-produzione a basso costo. Avete avuto dei contatti con case di produzione, seppur piccole, oppure no?

Esatto Matteo, il primo lungo è andato così bene che ho deciso di dargli un seguito, anche perché il film aveva un finale più che aperto, spalancato. Per realizzarlo siamo rimasti fermi alla regola secondo cui: SQUADRA CHE VINCE NON SI CAMBIA. Quindi non abbiamo cambiato nulla sia nella produzione che nella distribuzione (che verrà).
Abbiamo “solo” deciso di raddoppiare ogni cosa:
- il doppio degli attori
- il doppio della durata
- il doppio del budget
Infatti NON NUOTATE IN QUEL FIUME 2 – LO SCONTRO FINALE, questo il titolo definitivo, è stato girato con 160 euro. Speriamo di raddoppiare anche gli incassi… ma diciamolo senza paraculismi, noi il cinema lo facciamo per passione, non di certo per soldi… anche perché se no staremmo sulla statale 45 a battere invece che a girare.

Parte del cast di NNIQF 2
  1. Penso di essere uno dei primi spazi su internet a parlarne, dato che neppure imdb ne fa cenno, ma mi hai anticipato che sta per uscire la tua ultima creatura. Lascio allora a te il compito di presentarla al pubblico di appassionati. Cosa puoi dirci della trama di questo nuovo progetto: si tratta di un vero e proprio sequel collegato al precedente capitolo oppure è un falso sequel?

NON NUOTATE 2 è un seguito puro. Il film infatti inizia dove il primo si concludeva (anche se i piani temporali ogni tanto andranno a puttane… chi vedrà il film capirà).
Non posso dire molto della trama perché è tutta racchiusa nel primo film in cui, tre piccoli delinquenti si ritrovano vicino ad un fiume maledetto, in cui la gente scompare senza lasciare la minima traccia. Il primo film rivelava cosa si celava dietro al mistero fluviale, il secondo metterà la parola FINE all’intera vicenda… e lo farà col botto
.
  1. Lo sviluppo del soggetto gioca ancora sul parallelismo noir – horror, caratteristica che spiccava nel primo episodio, oppure ti sei buttato maggiormente sul cinema di genere?

La serie (perché ormai è una serie vera e propria) di NON NUOTATE, ha il cinema di genere nel DNA, solo che a differenza di tonnellate di film indipendenti italiani che iniziano e finiscono con lo stesso stile, i miei film hanno l’abitudine di cambiare costantemente il mood. Parti con il concetto dell’horror e finisci ridendo come un cretino e viceversa.
Nessuno che abbia mai visto un mio lavoro lo ha mai definito scontato o prevedibile… meglio di così non si può.

  1. Immagino che avrai confermato il format che voleva omaggiare le vecchie vhs? A tal proposito chissà che non succeda quello che sta succedendo con le vecchie cassette musicali che, non so se tu sia informato, stanno di nuovo conquistando spazio sul mercato con imprese che stanno riprendendo la produzione.

Oggi, e ne sono strafelice, sta tornando prepotentemente di moda il vinile ma non credo che succederà la stessa cosa con le videocassette, semplicemente perché le Vhs si deteriorano facilmente e mantengono una qualità bassa che, potranno esaltare il cinefilo vecchio stampo, ma al fruitore tipo “Mario Rossi”, fanno parecchio cagare. Ad ogni modo, posso annunciarvi con ENORME ORGOGLIO, che NON NUOTATE 1 e 2 verranno stampati anche in VHS.
Nella lista dei miei sogni d’infante questa l’avevo saltata in favore (ovviamente) del DvD… ma i conti in sospeso nella vita vanno chiusi. Sempre.

  1. Lo scorso anno ci rivelasti, per primi, che avresti iniziato a scrivere la sceneggiatura di Non Nuotate in Quel Fiume Atto Secondo. Abbiamo riscontrato che dicevi sul serio, perché hai deciso di fare un sequel invece di avviare un progetto nuovo? C'è una ragione particolare? Te lo chiedo perché, come ben saprai, fare meglio di un primo episodio, di solito, è sempre compito arduo, pensi di aver dato vita a un prodotto migliore?

Come detto prima, il film era piaciuto così tanto ed aveva un finale così aperto che la scelta è stata facile/logica. E poi sentivo di avere ancora una miriade di cose da dire sull’universo NON NUOTATE. E’ sempre difficile nella vita, in qualsiasi ambito, ripetersi o addirittura migliorarsi… ma io con NNIQF 2 l’ho semplicemente fatto. Lo so, può risultare supponente, ma NON NUOTATE 2 l’ho scritto, diretto, prodotto, interpretato e montato esattamente come ce lo avevo in mente e sento che non può fallire e non potrà non piacere al pubblico che ha amato il primo, ma anche a chi si approccerà per la prima volta al film e quindi alla mia mente contorta.

  1. Un'occhiata al cast artistico. Quante variazione ci sono state e come hai arruolato i nuovi arrivi?

Ho mantenuto tutti gli interpreti della prima avventura e vi ho aggiunto una miriade di attori e amici che VOLEVO DIRIGERE A TUTTI I COSTI.
Due importanti new entry sono le due note attrici hard Debby Love e Dana Santo che si sono messe a nudo per il film. Per “nudo” intendo in modo letterale.
  1. Cosa puoi dirci delle scenografie: hai cambiato location o hai ambientato la storia nelle stesse zone?

Il film si svolge nelle medesime zone con l’aggiunta di qualche nuova ambientazione. Abbiamo girato anche vicino a Bergamo, dalle parti del mio amicone Leo Salemi, il regista de L’ALBERO DELLE ZOCCOLE, che appariva nel primo e ora pure nel sequel… ma qui si è superato alla grande.

  1. Nel cast tecnico sono subentrati collaboratori nuovi oppure sei fedele al motto, dato che sei fan della Juventus, “squadra vincente non si cambia”?

Noi siamo una truppa e la truppa ne si tradisce ne si cambia.
Abbiamo di nuovo la produzione di INNOVAZIONE 2 del mio fratellone Ivan Brusa e della SANDRONI CINEMATOGRAFICA. Abbiamo le musiche del Maestro Oscar Perticoni. Abbiamo gli amici/attori Brusa, Galli, Zibra, Gallo, Riva, Nicosia, Crucinio, Angiuli, Salemi, Fagaroni, Gaudioso, Moretti ecc ecc ecc ecc (sono davvero troppi per elencarli tutti)
Ah, e ho trovato finalmente il mio assistente alla regia tuttofare, una mano enorme, una benedizione divina, ossia EDOARDO CLERICI. Ha appena compiuto 19 anni, è giovane, impara tutto alla svelta e ha due palle quadrate.
Il suo aiuto ha fatto la differenza.

  1. Raccontaci un aneddoto particolare legato alla produzione di questo Non Nuotate in Quel Fiume 2, magari una sequenza che ti ha dato particolari problemi di realizzazione o qualche curiosità legata a qualche interpretazione.

L’aneddoto più folle e divertente nasce ironicamente da un pesante lutto che ha colpito la mia famiglia e quindi da un momento di profondo dolore personale.
Dovevamo girare la sequenza d’apertura del film con le due attrici pornografiche di cui vi accennavo prima. Io mi trovavo al funerale di mio cugino e quindi la sequenza l’ho mandata a girare da Edoardo, il mio assistente.
Sta il fatto che di colpo, questo giovane ragazzino di 19 anni si è ritrovato da non avere una fidanzatina ne aver mai avuto una storia d’amore, a dover girare una scena lesbo hard con due note pornostar. Con lui c’era il buon Brusa a vigilare, ma in quel momento Edo era come un ragazzino solo, sperduto, al fronte, sotto una pioggia di mitragliate nemiche.
Si è comportato egregiamente e ha portato il lavoro a casa.
A fine giornata, quando è rientrato dalla bergamasca, set delle riprese, mi ha raccontato tutto e mi ha ridonato il sorriso.

  1. Parliamo di distribuzione. Come pensate di diffondere questo nuovo progetto, seguirete gli stessi canali percorsi da Non Nuotate in Quel Fiume oppure avete un asso nella manica per tentare un ulteriore salto di qualità che lo possa portare sotto gli occhi di un pubblico più variegato rispetto a quello legato al circuito underground?

Anche sul discorso distributivo, non cambieremo nulla.
Quelli che realizzo, sino ad oggi, sono film piccoli (diciamo minuscoli) che possono camminare con le loro gambe solo se aiutate con una distribuzione “fai da te” e così sarà… e poi non possiamo lamentarci, al primo giro è andata benissimo, tocca replicare e provare a migliorarsi coi mezzi che abbiamo.

  1. Progetti del futuro. Cosa bolle nella pentola del Signor Albanesi? Hai mai pensato di produrre, magari supportandolo, qualche regista in erba?

Ho pochi soldi per me, figurarsi se riuscissi a far girar qualcosa a qualcun altro. Mi piacerebbe, questo sì, ma non ho proprio le possibilità.
Per il futuro ho due sceneggiature: una che rimane nel cinema di genere e una che sto scrivendo e cancellando e riscrivendo e rimaneggiando da anni.
Un film diverso da tutto ciò che ho fatto sino ad oggi. Un film che è la summa della mia visione cinematografica e forse della mia vita stessa.
Tutte le volte che rileggo quello che ho scritto mi spaventa, è una responsabilità grossa perché è una storia che guarda dentro di me… anche troppo. Vedremo se avrò il coraggio di rischiare, per ora ho una paura fottuta.

  1. Diamo uno sguardo altrove, anche alla c.d. “concorrenza”. Chi meglio di uno specialista come te potrebbe risponderci,a questa domanda. Quali cortometraggi o mediometraggi di filmaker italiani dell'underground ti hanno colpito in questi ultimi anni e perchè? Pensi che il livello generale si alto oppure c'è ancora molto da fare e su che versante, a tuo avviso, si deve lavorare per migliorare il settore?

Non mi permetto di giudicare i “colleghi” perché le poche volte che l’ho fatto sono stato quasi impiccato in pubblica piazza. Posso dire che ognuno è libero di realizzare quello che la mente gli suggerisce, parlo non solo di cinema ma anche di musica, disegno, pittura, scultura ecc Io a esempio faccio il mio e non mi ritengo parte di alcuna corrente artistica.

  1. Lo scorso anno chiudemmo con un invito rivolto agli aspiranti registi o sceneggiatori, quest'anno direi di concludere con un suggerimento circa i canali di distribuzione da seguire per promuovere delle opere più o meno amatoriali. Quanto è importante presentare un corto o un mediometraggio a un festival e quali sono le corde da pizzicare per farsi conoscere nel panorama underground? Relativamente ai festival, per un prodotto di genere, quali ti sentiresti di consigliare quale tappa imprescindibile?

I festival sono utili per “sentirsi grandi”, ossia avere la possibilità di far vedere il proprio lavoro e la propria fatica a un gruppo (si spera sempre nutrito) di persone e di addetti ai lavori.
I film a cui ho partecipato e che hanno avuto una distribuzione ufficiale (THE PYRAMID all’estero e CATACOMBA in tutta Italia con la 30 HOLDING) sono passati per vari festival in cui sono stati prima adocchiati e poi distribuiti. Ci vuole qualità e tanto culo.
Quindi il mio consiglio a tutti i creativi la fuori è.” FATE LE VOSTRE COSE CON IMPEGNO E DIVERTENDOVI; POI, SE LE COSE DOVRANNO GIRAR BENE, ALLORA GIRERANNO BENE, ALTRIMENTI AVRETE COMUNQUE LA VOSTRA OPERA IN MANO E NE SARETE SEMPRE E COMUNQUE ORGOGLIOSI”. In ogni caso, non preoccupatevi troppo, visto come stanno andando le cose nel Mondo, divertitevi per quello che vi rimane e fate in modo di sorridere quando il cielo si oscurerà.
Grazie Matteo e che Dio (BRUCE SPRINGSTEEN) ti benedica.


Grazie come sempre a Roberto Albanesi e appuntamento, ormai fisso per noi, per l'uscita del suo prossimo film; per tutti gli altri, invece, tappa obbligatoria la visione di Non Nuotate in Quel Fiume 2 o, ancora meglio, presenza agli appuntamenti pubblici di distribuzione del film, magari con introduzione e spiegazione del suo regista e del cast sia tecnico che artistico.

Pronti a schiacciare il tasto PLAY.

giovedì 2 marzo 2017

Recensioni Narrativa: SUPERBESTIA di David Gerrold.



Autore: David Gerrold.
Titolo Originale: Deathbeast.
Anno: 1978.
Genere: Fantascienza Viaggi nel Tempo.
Editore: Mondadori, collana Urania (n.813).
Pagine: 170.

Commento a cura di Matteo Mancini.
A quasi un anno dalla pubblicazione sulla collana Urania del romanzo Mastodonia di Clifford D. Simak, la Mondadori propone, sempre per la medesima collana, un romanzo che porta ancora una volta l'uomo al cospetto delle creature della preistoria. È il turno di Deathbeast, romanzo minore del pluri-premiato David Gerrold (meglio noto per la saga catastrofica dei Chtorr), da noi pubblicato, con l'orrendo titolo di Superbestia, il nove dicembre del 1979 (numero 813, Urania), ma scritto l'anno prima proprio come Mastodonia.
Gerrold, da leggersi così come si scrive essendo lo pseudonimo di Jerrold David Friedman, è un autore particolarmente blasonato nel panorama sci-fi statunitense, spesso legato alle produzioni televisive. Da sempre fan accanito della saga Star Trek, di cui ha scritto anche qualche episodio unitamente a quelli destinati al serial Ai Confini della Realtà, è stato finalista al Premio Nebula nel 1973 con La Macchina di D.I.O. e nel 1974 con ...Per Proteggere l'Uomo dal Male, e ha poi vinto il Premio Hugo, per il miglior racconto lungo, nel 1995 con Il Bambino Marziano. Il romanzo che ci apprestiamo ad analizzare in queste poche righe è un'opera minore, lo potremmo definire un divertissiment. Gerrold parte dalla tematica tracciata da Ray Bradbury nel 1952, col suo storico Sound of Thunder – Rombo di Tuono (più volte citato, come espressione, nel testo, non so se per volontà dell'autore o della traduttrice Beata Della Frattina), per riproporre l'idea del safari da praticarsi nell'epoca del cretaceo per effetto di macchinari capaci di far viaggiare l'uomo nel tempo. Dunque idea di partenza identica a quella di Bradbury, ripresa anche da Simak (seppur in modo più vicino al fantasy, con intervento persino di alieni capaci di aprire portali dimensionali), ma sviluppo completamente orientato all'azione e all'avventura. Pur caratterizzato da uno stile a tratti poetico, l'opera di Gerrold è contenutisticamente parlando grezza, votata al mero e unico intrattenimento senza offrire particolari spunti di riflessione al lettore. Se Bradbury utilizzava l'elemento del safari nel cretaceo per dare il via a un discorso legato al c.d. effetto farfalla, ovvero la possibilità di alterare completamente il futuro modificando (anche involontariamente) il passato, in Gerrold scompare ogni remora e preoccupazione. Anzi, c'è di più... Gerrold dice che non si può modificare il futuro semplicemente incidendo in minima parte nel passato, come a dire che non si può inquinare il mare determinando uno stravolgimento dell'ecosistema versando una bottiglia di un litro di petrolio sulla superficie marina. Chiarito questo passaggio, utile a tracciare la specie umana come la peggiore mai vissuta al mondo a causa del suo spiccato egoismo, i personaggi del romanzo (odiosi oltre ogni limite e, verrebbe da dire, frustrati persino sotto il profilo sessuale al punto da ricercare le emozioni forti sfidando la morte rappresentata dal T-REX, perché altrimenti privi di scopi nella vita) non hanno alcun accorgimento e rispetto per l'ambiente in cui vengono sparati, attraverso una tecnica similare al teletrasporto. Il romanzo parte subito nel cretaceo, con un fascio di luce e una sorta di astronave che viene vomitata in una vallata attorniata dai dinosauri. Appena arrivati, i nostri, che avranno a disposizione circa tre giorni prima di ritornare a bordo e far ritorno al loro tempo, andranno in giro a sparare a ogni tipologia di dinosauro (uccidono persino un brontosauro) e lo fanno così, per il gusto di uccidere o per riprendere sequenze particolarmente spettacolari da rivendere poi in futuro. Non hanno nessun rispetto né per le prede né per i loro simili. L'egoismo regna sovrano.

La copertina dell'edizione americana.

Gerrold lavora sulle caratterizzazioni dei personaggi, piuttosto stereotipati sul modello cinematografico, in verità. C'è il super macho (che vive per l'azione e il pericolo continuo, visto alla stregua di una droga che provoca astinenza), c'è la spalla fedele che sembra legata al primo da un rapporto di omosessualità repressa di natura narcisista (sono entrambi due valenti combattenti e per questo si attraggano), c'è poi la gatta morta che si innamora del più coraggioso per sopperire al bisogno di protezione, c'è la ritardata e ci sono le due guide incaricate di tenere sotto controllo, per contratto, la spedizione ma che verranno, puntualmente, scalzate dal loro ruolo di comando. Non c'è invece spazio per altre considerazioni, se non quelle legate alle motivazioni psicologiche che spingono delle persone a scegliere di intraprendere un viaggio nel tempo per sfidare il più feroce predatore che sia vissuto sulla terra dall'alba dei tempi: il T-REX. 
Ne deriva una sorta de Il Mondo Perduto, mi riferisco a quello di Crichton, ante litteram con i personaggi che vagano, liberi, in mezzo al bosco (non ci sono le pedane sterilizzate di Bradbury) muniti di fucili laser, balestre con dardi incendiari, sonde che permettono di intercettare fonti di calore, visori notturni e caschi, a sfidare le insidie proprie di un mondo che si è estinto da milioni di anni. Tutto resta confinato nel Cretaceo, persino il finale, e tutto ruota sul conflitto tra questi uomini e un T-Rex, cosa che rende piuttosto ripetitiva la narrazione, martoriato dall'inizio alla fine con bruciature e ferite continue. La bestia viene infatti affrontata in più occasioni e sempre allo stesso modo. Fucilate laser e via... col mostro che, invece di scappare, si incaponisce nel voler annientare gli ospiti che hanno osato invadere il suo regno. Belle le parti in cui li fissa con l'unico occhio rimasto sano (viene in mente la famosa scena con l'occhio del T-Rex che, in Jurassic Park, sbircia dentro la macchina dei bambini). Ma non c'è solo il T-Rex, compaiono anche il già citato Brontosauro, un pterodonte, un allosauro e c'è persino un corpo a corpo tra un cacciatore e un dinosauro della stessa famiglia dei Velociraptor (momento alquanto cruento e sanguinario).

Molto belle le descrizioni dei dinosauri, sia per la conformazione fisica sia per la loro caratterizzazione comportamentale. In particolare si parla di odore di morte, di olezzo di carne marcia, di terra che trema a ogni passo. Crichton, probabilmente, ha letto il romanzo e, in questo, si è ispirato per il suo Jurassic Park. A parte ciò, però, vi è poc'altro che lo rende unico e degno di particolare menzione. Non manca il ritmo e una certa dose di coraggio nel proporre momenti sanguinolenti rispetto, a esempio a Mastodonia, ma, a differenza anche di quest'ultimo, mancano gli spunti di riflessione atti a rendere autoriale il testo e non una semplice cronaca di una spedizione di caccia. Gerrold ricerca l'avventura e il brivido piuttosto che veicolare il soggetto al fine di far luce sulle implicazioni relative alla possibilità di alterare il futuro operando sul passato (cosa analizzata nel testo di Bradbury) o su quelle di natura religiosa (come fatto da Simak). Alla fine allora cosa resta? Semplice, una lettura veloce indicata ai fanatici (me compreso) dei dinosauri e null'altro.

Il racconto lungo di BRADBURY
che funge da ispirazione per questo romanzo
di Gerrold.
Si nota la pedana sterilizzata che isola gli umani dall'ambiente esterno,
accorgimento assente in SUPERBESTIA.


"Ethab sfidava tutto ciò che odiava e temeva di più, perché solo così poteva dimostrare di essere superiore. E quella mattina aveva lanciato la sfida estrema. Aveva sfidato la morte. Doveva sconfiggere il tiranno, abbatterlo, perché solo così sarebbe stato un vero uomo, completo... Ma quello che non sapeva è che non avrebbe mai potuto realizzare la sua aspirazione di compiutezza, perché per una sfida affrontata e vinta, mille altre ne restavano."