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martedì 26 ottobre 2010

"Anteprima demo" da inserire nell'eventuale saggio sullo "Spaghetti western" che conto di pubblicare probabilmente per le edizioni "Il Foglio"

UNA PISTOLA PER CENTO BARE

Un film di Umberto Lenzi.
Con Piero Lulli, Peter Lee Lawrence, John Ireland, Franco Pesce, Andrea Scotti, José Jaspe, Raf Baldassarre, Calisto Calisti, Consalvo Dell’arti
Durata 95 min.
Italia 1968.
Jim Slade (Lee Lawrence), soldato pacifista sudista, dopo aver scontato una condanna ai lavori forzati per essersi rifiutato di combattere sul fronte, scopre che la sua famiglia è stata sterminata da un gruppo di quattro delinquenti. Il ragazzo, del tutto inabile nel maneggio delle pistole a causa della sua fede religiosa (è testimone di Geova) che lo porta a ricusare armi e alcol, decide di imparare a sparare e di mettersi sulle tracce dei quattro. Nel giro di poco tempo, trova e uccide tre dei quattro elementi, mentre del quarto sa solo che si chiama Corbett (Piero Lulli). Determinato a uccidere anche l’ultimo uomo, Slade vaga di paese in paese per consultare le foto segnaletiche mostrate dagli sceriffi. Nessuno però sembra conoscere Corbett, finché un giorno, casualmente, mentre si trova a bere un bicchiere d’acqua in un saloon, il ricercato appare alla guida di una banda intenzionata a rapinare la banca del paese. Il proposito criminale non va in porto, perché il bottino (200.000 dollari) che Corbett pensava di poter rubare non è stato ancora depositato presso la banca. Il delinquente decide così di rinviare il colpo, non prima però di aver ucciso lo sceriffo locale. Slade, intenzionato a completare la sua vendetta, coglie al volo l’occasione. Si fa assoldare dal sindaco per proteggere la banca e, aiutato da un predicatore forestiero (John Ireland) e da un vecchio becchino (Franco Pesce), si prepara per la resa dei conti finale. Le sorprese per Slade però sembrano non finire, perché in realtà a sterminare la sua famiglia sono stati cinque uomini e il quinto è qualcuno di cui il giovane si fida ciecamente…
Presentato con un titolo poco appropriato (può erroneamente lasciar pensare che il protagonista debba uccidere cento persone), “Una pistola per cento bare” è una pellicola che analizzata superficialmente sembrerebbe non aggiungere niente a quanto già offerto dal panorama western.Sceneggiata da XXX, la storia propone un’idea di base piuttosto classica (tema della vendetta) e inserisce personaggi e scene già viste soprattutto nei film di Sergio Leone, ma anche in “Django” (epilogo in un cimitero in mezzo alle croci) e “I giorni dell’ira” (il protagonista è un giovane inabile alle armi, ma che vuol imparare a usarle e alla fine diventa un abile pistolero paladino della giustizia).Più in particolare viene citato “Per un pugno di dollari” (verso l’epilogo, il protagonista si mette a fare il doppio gioco; in più abbiamo la simpatica figura del vecchio becchino del paese che gioisce a ogni morte, perché potrà così lavorare), “Per qualche dollaro in più” (protagonista pestato dalla banda dei criminali che ridono come forsennati, finché il loro capo non sospende il pestaggio; il bottino della banca viene sottratto dalla sua cassa all’insaputa dei criminali e nascosto dal protagonista all’interno di una tomba) e “Il buono, il brutto e il cattivo” (delinquente salvato dall’impiccagione con la corda tagliata da colpi di pistola).Nonostante quanto detto, il film acquisisce una valenza degna di nota, pur non segnalandosi tra i masterpiece del genere. Prima di tutto vede dietro alla macchina da presa uno dei maggiori registi di azione (e non solo) del cinema italiano di genere, cioè Umberto Lenzi. Classe 1931, Lenzi era reduce da film (prevalentemente “spy story”) non di grande successo e valore artistico, a parte il film di guerra “Attentato ai tre grandi”, ed è proprio dopo aver diretto i suoi due unici western (l’altro è il fiacco “Tutto per tutto” con John Ireland), entrambi prodotti nel 1968, che il regista grossetano dette inizio a una serie di film che lo avrebbero fatto decretare maestro prima del “thriller borghese”, quindi del cinema di guerra e infine del “poliziottesco”.In seconda battuta, vengono introdotte alcune idee che potremmo definire embrionali, per non essere state sfruttate a dovere. Infatti, forse introdotte per un mero scopo dilatatorio e senz’altro poco coordinate al tema principale, vengono proposte una serie di scene che vedono protagonisti un gruppo di matti rinchiusi in un carcere/manicomio. Il gruppo, nel corso della storia, riuscirà anche a evadere dalla cella e a mettere a ferro e fuoco il paese, con momenti che rievocano atmosfere horror (con atti incendiari e uccisioni provocate da colpi di accetta). Da questo punto di vista, è interessante il finale dove si assiste a una sorta di resurrezione del leader dei pazzi (il bravo Eduardo Fajardo) che si avvinghierà al collo di uno dei due protagonisti (scena che da “Halloween” di John Carpenter in poi diverrà un classico del cinema slasher movie, ma che qui era già stata introdotta seppure in forma confusa e poco calibrata).Al di là di quanto ricordato e di una girandola di colpi di scena finali, resta poco altro da segnalare se non le bizzarre caratterizzazioni del protagonista e del co-protagonista. Il primo è un testimone di Geova che lotta contro i suoi ideali per vendicare la famiglia, fino a stravolgere la sua stessa personalità (amara la battuta finale, quando Slade dirà: “Ormai non posso più bere acqua”). Davvero bizzarri i momenti in cui al saloon, anziché ordinare whisky come tutti i pistoleri degni di rispetto, beve bicchieri di acqua. Il secondo è un falso predicatore che va in giro a leggere passi della bibbia, per poi uccidere senza tanti ripensamenti (soggetto precursore, anch’esso in forma molto embrionale, del Jules Winnfield interpretato da Samuel L. Jackson in “Pulp Fiction” di Quentin Tarantino).Da un punto di vista tecnico, Lenzi gira con mano sicura pur non evitando una certa frammentazione nella prima parte (troppe scene di raccordo) e qualche inverosimiglianza verso l'epilogo attribuibile a un difetto di sceneggiatura (il modo in cui il protagonista finge di passare dalla parte dei banditi è, per come è stato messo in scena, del tutto inverosimile).Qualitativo il cast artistico con un trio di attori (Lulli, Ireland e Lee Lawrence) non di primissimo piano, ma abili caratteristi del genere. Colonna sonora non tra le migliori, fotografia non eccelsa ma neppure mediocre. Nel complesso un western poco originale, ma con idee embrionali che saranno sviluppate in altri contesti fino a diventare dei veri e propri tormentoni (il pazzo che, una volta creduto morto, riappare con tutta la sua violenza in un estremo tentativo di averla vinta nei confronti del protagonista).
Per gli amanti delle citazioni, segnalo la seguente battuta:
Che significa “una pistola”? Si dice Colt, Smith & Wesson, Derringer. Chiedere “una pistola” è come chiedere “un quadrupede”: può essere un cane, un gatto, un cavallo…

mercoledì 20 ottobre 2010

Recensione narrativa: HSF(M.Milani)




Autore: Marco Milani
Anno di uscita: 2005
Casa editrice: Prospettiva Editrice
Pagine: 168
Prezzo: 8.00
Commento Matteo Mancini
Antologia prevalentemente di genere horror che porta la firma di Marco Milani. Nato nel 1964 in quel di Como, ma residente nella provincia di Rovigo, Milani dimostra con questo testo di possedere un indubbio talento nel descrivere situazioni oniriche al limite del grottesco. Alcuni racconti propongono degli squarci visionari davvero eccezionali descritti con cura nella scelta delle parole.Se questo è l’aspetto positivo che emerge dalla lettura, non mancano, tuttavia, alcuni punti dove – ad avviso di questo recensore – si dovrebbe intervenire per migliorare l’opera.In prima battuta, dei tredici racconti proposti solo sette o otto hanno un’impronta tale da renderli omogenei per esser inseriti in un’antologia comune, i restanti, invece, sono delle sorte di freddure o delle fulminee riflessioni mascherate da racconto.In secondo luogo, salvo alcune eccezioni, molti racconti hanno delle prime parti notevoli in cui ci si aspetta chissà che cosa e poi evaporano via via che si giunge all’epilogo.Dopo queste premesse di carattere generale, passiamo ai singoli racconti.L’antologia si apre con quello che ritengo il miglior racconto del lotto: “In Nomine Patris”. Si tratta di un’opera che rievoca le atmosfere dell’Eymerich evangelistiano (conquistadores spagnoli portano il cattolicesimo nel Messico degli indio), ma lo fa con un'impronta personale da cui trapela una sfumatura dissacrante nei confronti della Chiesa cattolica. Tale sfumatura tocca il suo apice nell’ottimo finale in cui si assiste a un ribaltamento dei ruoli grazie all’intervento di un archetipo del genere prettamente fantastico. Un testo davvero ben congegnato e articolato, con un Milani generoso di scene altamente crudeli(terribile quella del soldato che uccide un neonato) mirate a sortire un effetto ben centrato (che non è meramente quello di scioccare il lettore, ma di farlo riflettere su certe incongruenze perpetrate nella storia da chi professava con fanatismo un certo credo).Si prosegue con il racconto più lungo della serie, quasi cinquanta pagine, cioè “Chi ha paura del gatto nero?”. Qui Milani offre delle visioni intrise di una poetica onirica unica, con un gatto nero che si siede sulla luna e poi, via via, la fa a fette con ripercussioni negative sul protagonista della storia. L’idea è a dir poco geniale, ma messa disposizione di un soggetto poco originale (siamo alle prese con il classico patto diabolico con un protagonista che si è arricchito grazie a esso e si trova costretto a offrire la preziosa contropartita tanto cara agli dei degli inferi). Quest’ultima riflessione penalizza un testo che ha dei margini per evolvere in un qualcosa di notevole.Seguono due racconti che non mi sono piaciuti molto e che hanno in comune una prima parte molto bella che poi evapora in un epilogo non all’altezza delle premesse.Primo dei due racconti è l’onirico “Tanti auguri”, in cui un uomo di ritorno da una festa si ritrova catapultato in un contesto che sembra appartenere a un’altra dimensione. La prima parte del testo tiene incollati nella lettura, con descrizioni dal grande impatto visivo. Nel secondo frangente si scivola nel grottesco più assurdo con ripercussioni anche sullo stile che diventa sporco e poco seducente.Discorso simile vale per “Ho visto una nuvola che somigliava a un’ala di un angelo”, anche se in questo testo emerge una certa ironia (potrebbe pure sembrare una critica al vetriolo) sul modo in cui gli scrittori di genere sviluppano le loro idee, ciò nonostante l’epilogo non è paragonabile all’affascinante inizio.L’antologia si risolleva con i due successivi lavori, in modo particolare con il folle (in senso positivo) “Il tema di Pierino”. In esso si assiste agli effetti provocati da un meteorite caduto su Stienta, con bizzarre mutazioni comportamentali nei cittadini. Più classico, invece, “La casa vicino a Firenze” che omaggia esplicitamente Lovecraft e il Necronomicon. Piccolo neo di quest’ultimo testo, comunque più che godibile, sta in un epilogo in cui serpeggia un velo di confusione.Seguono tre mini racconti che paiono scritti di getto e non hanno molto da offrire, se non riflessioni travestite in forma narrativa.Si giunge poi all’ottimo “Il canto della sirena” che ripropone quel Milani tanto bravo nel dipingere l’onirismo poetico. Testo che ricorda vagamente un racconto di Conan Doyle (mi pare che il titolo fosse “La stella polare”), si tratta di un testo fantastico che chiama in causa la figura della sirena e si chiude in modo eccezionale avendo come scenario i mari del nord. Davvero un ottimo racconto.Meno qualitativo, ma comunque con buone descrizioni è “Notte chiara”; anche in questo caso l’intera costruzione onirica tende a non sbocciare in un qualcosa di unico causa un escamotage finale già stato letto e riproposto con piglio poco personale.Gli altri due racconti sono uno una specie di breve gioco di parole, l’altro affronta il tema del suicidio.In definitiva una raccolta che svela un interessante talento dell’autore nel districarsi col genere fantastico, con due o tre perle, diversi testi di completamento e altri promettenti ma ancora acerbi (in genere a causa di finali deludenti). Voto: 6+

domenica 10 ottobre 2010

Recensione narrativa: La reliquia (J.Herbert)




Autore: James Herbert
Anno di uscita: 1978
Casa editrice: Urania/Mondadori
Pagine: 222
Commento di Matteo Mancini
Romanzo scritto nel 1978 dal prolifico autore inglese James Herbert - conosciuto per thriller dalle atmosfere orrorifiche (“Nebbia”, “Il Superstite”) – e pubblicato in Italia nel 1980 sulle pagine della collana Urania (n.862).Nonostante sia stato inserito nella collana sci-fi della Mondadori, il romanzo non può dirsi fantascientifico, difatti siamo alle prese con una spy story strutturata come giallo e impreziosita con venature horror (si parla di magia, di resurrezione dei cadaveri con un certo gusto per il macabro).Protagonista del libro è un detective privato, con trascorsi nei servizi segreti israeliani, impegnato nel gettare luce sulla scomparsa di un agente segreto del Mossad e sui misteri che gravitano attorno alla figura di un fabbricante di armi da guerra.Il detective resterà così coinvolto in una serie di omicidi che vedono come mandanti i membri di un’organizzazione segreta, retta da personaggi influenti, avente come finalità la ricostituzione del reich nazista. Ma i fatti non si limitano a questo, perché tale organizzazione, votata alla magia nera e alla filosofia della razza superiore, è in possesso dell’antica lancia che trafisse il costato di Gesù e questa avrebbe permesso al cadavere di Himmler di risorgere attingendo l’energia vitale dai corpi di uomini rapiti.Come si evince dalla breve sinossi, si tratta di una storia con una scheletratura forte (per intenderci, l’autore non scrive di getto ma segue uno schema ben chiaro) che anticipa di qualche decennio i romanzi di Dan Brown. Interessanti alcuni personaggi con l’introduzione, persino, di un transessuale.Ciò che è però chiaro fin dai primi capitoli, e costituisce limite del libro, è che Herbert punta a vendere il maggior numero di copie e lo fa sacrificando lo stile. Ne deriva un testo essenziale e poco virtuoso che, tuttavia, non riesce a evitare qualche battuta a vuoto. Herbert, infatti, propone alcuni capitoli in cui eccede con le descrizioni degli scontri fisici che coinvolgono i vari personaggi (capitoli dilatati in pagine su pagine di descrizioni). Non manca qualche colpo a sorpresa, ma, alla “fine della fiera”, tutto si sviluppa come sarebbe stato lecito attendersi.Ne deriva un romanzo di mero intrattenimento che segue una via ben tracciata, ma lo fa senza cuore. Sufficiente. Voto: 6

giovedì 7 ottobre 2010

Pubblicazioni di ottobre di Matteo Mancini

L'APPETITO VIEN MANGIANDO







Il mese è appena iniziato, ma cominciano ad arrivare le buone notizie sul fronte della narrativa. In breve, a oggi, è successo questo:


1. "Bunker 15" racconto fantascientifico ambientato nei lager nazisti è finalista alla seconda edizione del concorso Fantastic Zen indetto dalla Edizione Diversa Sintonia (Rovigo);


2. La mia antologia "Sulle Rive del crepuscolo" ha subito l'ultimo editing e dovrebbe esser prossima all'uscita per la GDS Edizioni (Milano).


3. La mia intervista a Sergio Martino, con relativa recensione al film "Tutti i colori del buio" è prossima a uscire sulla rivista telematica "Braviautori - Il Foglio letterario".


4. Il mio racconto iper blasfemo intitolato "I Signori del grande Inganno" è stato selezionato per l'antologia "Orrori Sepolti" edita da Il Foglio Letterario (Piombino). L'opera sarà presentata al Pisa Book Festival. Nella foto la copertina dell'amico e bravo Jean Louis Foddai.


5. Il racconto "Miraggio Tropicale", giunto tra i finalisti del concorso "Streghe e Vampiri" è stato selezionato per l'antologia "La Notte di Valpurga" che sarà presentata dalle edizioni Giovane Holden (Viareggio) al prossimo Pisa Book Festival.


6. Il racconto "Terribili Lucertole" è finalista del concorso "Il Signore delle Isole" indetto da Del Bucchia Editore e sarà inserito nell'omonima antologia che forse sarà anch'essa presente al Pisa Book Festival.
7. Il racconto "Omicidio senza assassino" è stato selezionato per la votazione finale per decretare il vincitore del concorso "La sindrome di Stoccolma".


Sono sempre in attesa dell'esito di altri concorsi...