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domenica 29 dicembre 2013

Recensione Narrativa: LA STORIA DI RED HANRAHAN (William B. Yeats)

Autore: William Butler Yeats.
Editore: Galaad Edizioni.
Pag.: 102
Prezzo: 7 euro.

Commento Matteo Mancini.
Poeta premiato col Nobel alla letteratura, William B. Yeats è conosciuto come uno dei migliori artisti irlandesi vissuti a cavallo tra la fine dell'ottocento e i primi del novecento.
Grande appassionato di occultismo nonché del folklore celtico, Yeats ha da sempre cercato di rappresentare e divulgare la cultura del suo popolo interessandosi in modo particolare alla poesia e alla raccolta di fiabe irlandesi.

L'antologia/romanzo La Storia di Red Hanrahan è una di via di mezzo tra le due passioni dell'autore. Yeats propone le vicessitudini del dotto poeta e paroliere Hanrahan, articolandole in sei brevi capitoli (alcuni dei quali persino superflui) non sempre ben collegati tra loro. L'artista, un tempo maestro e cantautore d'eccezione, si trova costretto a vivere da nomade, trasferendosi di continuo per i boschi e le campagne d'Irlanda. Sull'uomo grava infatti una maledizione subita la vigilia della notte di Samhain, per mano di un misterioso vecchio, proveniente dalla Francia, dotato di poteri paranormali (belle le descrizioni con quest'ultimo che ipnotizza, manovrando delle carte da gioco, gli avventori di un'osteria). A seguito del maleficio, Hanrahan, sul punto di sposare la sua amata (che non vedrà mai più), si trova a inseguire nella foresta una lepre braccata da una muta di cani (generati dal sortilegio del vecchio), perdendo un anno della propria vita volato via in un battibaleno (si respira forte aria di stregoniera, peraltro con la presenza di quattro vecchie poste a presidio di una ragazza di rara bellezza, ma schiava di un sonno perenne). Yeats cita vagamente Carroll (Alice nel Paese delle Meraviglie, Alice entra nel mondo fatato inseguendo un coniglio) trasferendo il suo personaggio in una dimensione distorta che lo allontana dalla vita per un periodo che ad Hanrahan sembra di una notte, ma che in realtà corrisponde a dodici mesi.

Sul poeta, da principio smemorato, iniziano così a circolare strane voci: si mormora che su di lui gravi una maledizione e che la sua presenza sia indice di sventure; intanto la sua amata si è sposata con un altro uomo e la cosa non viene accettata dal poeta. Ferito nell'animo, Hanrahan si trova a dover emigrare di continuo di paese in paese, trovando la consolazione al pianto solo nel decantare canzoni ai quattro venti o a gruppi di giovani a cui si manifesta in vesti di maestro. I concittadini, pur riconoscendogli l'immenso talento, non vogliono avere troppo a che fare con lui (accettano di sentirlo cantare ma nulla più), c'è persino che escogita stratagemmi per sbatterlo fuori di casa, e di questo il povero Hanrahan se ne duole senza mai infierire nonostante di lui si dica che "quando la gente della terra d'Irlanda gli faccia male, lui conosca il modo di darle male per male".

Yeats condisce la storia (dai chiari contorni fiabeschi), con spruzzate oniriche (poche, per la verità) e soprattutto con una massiccia dose di malinconia (Hanrahan incarna l'archetipo del poeta romantico ma maledetto, destinato alla sofferenza perenne). Non mancano stralci di poesia (con musicalità delle parole penalizzata dalla traduzione), campo di elezione dell'autore, ma alla fine, eccetto l'ottimo capitolo iniziale, la noia discende presto a farla da padrona.

Epilogo tragico, con un Hanrahan, ormai vecchio, destinato ad aver vita felice solo nell'aldilà, dove dominano gli spiriti del Popolo Eterno.

Il volume è assai breve, anche in considerazione del formato tascabile (15.50 cm * 10,50 cm), e si legge in poco meno di due ore. Nel complesso si rivela piuttosto deludente, vista la firma apposta sul progetto, anche se molto elegante nella prosa.

Tra i passaggi criptici il fulcro della vicenda (nonchè del maleficio) ruota attorno ai semi delle carte manovrate dal vecchio a inizio racconto: "Picche e Quadri, Coraggio e Potere; Fiori e Cuori, Conoscenza e Piacere"; nonché alle frasi, dal vago sapore di una sentenza di condanna, mormorate dalle quattro streghe - rappresentanti dei semi delle carte - ignorate da Hanrahan nel suo viaggio all'inseguimento della lepre: "Non ha alcun desiderio di noi; E' debole, è debole; Ha paura; Ha perso il senno. Echtge, la figlia di Mano d'Argento, dovrà dormire ancora. E' un peccato, un gran peccato!"


giovedì 26 dicembre 2013

Recensione Narrativa: INCUBI & DELIRI (Stephen King)

Autore: Stephen King.
Genere: Antologia racconti fantastici/noir.
Anno: 1993.
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 826.

Commento Matteo Mancini.
Dopo A Volte Ritornano e Scheletri, Stephen King da alle stampe nel 1993 la sua terza antologia optando quasi per una via sperimentale. Il maestro del Maine piazza ventiquattro testi assai eterogenei, affiancando ai racconti tradizionali (un po' di tutti i generi), parabole religiose e filosofiche, articoli sportivi e persino una sceneggiatura.

Il livello complessivo dei racconti è probabilmente inferiore rispetto alle due precedenti antologie, sebbene King proponga soggetti più elaborati e con personaggi maggiormente caratterizzati. Proprio in quest'ultimo aspetto sta forse la nota di demerito, poiché l'autore presta più cura nel tracciare le peculiarità dei vari personaggi (aspetto marginale in un racconto e più idoneo a un romanzo) piuttosto che studiare gli intrecci o i contenuti delle storie. Oltre a questo ci sono troppi racconti dalle tematiche o dagli sviluppi ripetitivi (ci sono ben tre racconti incentrati sull'odissea di due sposini in viaggio su strade che li portano a smarrirsi in città maledette), per non parlare di alcuni testi privi di sostanza che culminano nel trash demenziale.

King anticipa il tutto con un'interessante introduzione, intitolata Mito, credenza, fede e l'Incredibile ma vero di Ripley, che ogni amante del fantastico non potrà che sottoscrivere. Dalla voce del "Re" in persona: "Già allora sapevo che c'erano persone nel mondo, troppe per la verità, le cui facoltà immaginative erano intorpidite, se non del tutto annichilite, che vivevano cioè in uno stato mentale analogo all'acromatopsia, vale a dire in bianco e nero. Ho sempre provato compassione per loro, mai sognando che molti di questi individui privi di fantasia, provano nei miei confronti pietà o addirittura disprezzo, non solo perché ero vittima di un numero indefinito di paure irrazionali, ma soprattutto per la mia profonda e incondizionata credulità... Si tratta ancora di vedere l'impossibile e poi raccontarlo per farti credere ciò che credo io."

L'autore trasmette al lettore la sua promessa iniziale, soprattutto in virtù di almeno tre perle e di una mezza dozzina di racconti spassosi, per il resto si perde tra racconti sufficienti e almeno una decina di racconti bruttini e talvolta fuori tema (l'articolo sportivo sulla partita di baseball, su tutti).

L'apice lo raggiunge probabilmente con La Gente delle Dieci. In essa King torna sul tema delle sigarette e sulla volontà di porre fine al vizio del fumo. Lo aveva già
affrontato nel discreto Quitters Inc. (racconto inserito nell'antologia A Volte Ritornano). Questa volta, però, King sposta il tiro dal noir al pulp, con un delirio onirico sospeso tra l'horror e una storia griffata William Burroughs.
Abbiamo un'anonima fumatori che si riunisce nell'interrato di una libreria, allo scopo di organizzare un piano per opporsi a delle creature umane dalle sembianze di pipistrello. Non si tratta di mostri di natura fantastica, ma di banchieri e personaggi influenti di Boston che per motivi non ben chiari vengono visti da questi associati come uomini pipistrello. A permettere ai fumatori di riconoscerli è una combinazione chimica dovuta all'uso della nicotina. “È un po' come il tuo primo orgasmo. Una volta che ti sintonizzi, diventa parte della tua vita. Viene il giorno in cui le sostanze chimiche che hai nel cervello trovano il giusto equilibrio ed ecco che ne vedi uno. Sai, mi sono chiesto quanti sono morti fulminati dallo spavento in quel momento. Scommetto che non sono pochi. ”.
Come al solito l'opera parte in modo blando, con una serie di incubi a occhi aperti vissuti dal protagonista: un uomo che ha riconosciuto per la prima volta un uomo pipistrello e per questo è stato contattato dall'Anonima Fumatori, giunta a salvarlo per annetterlo in essa. King oscilla di continuo tra realtà e delirio collettivo agevolato dalla dipendenza dal fumo.
La fonte da cui King attinge è senza dubbio Essi Vivono di Carpenter (a sua volta debitore, tra gli altri, del racconto I Grigi, inserito nell'antologia collettiva La Società di Lucifero, recensita dal sottoscritto qui nel blog), ma si tratta di un mero spunto di partenza. Il "Re" sviluppa lo spunto in modo originale e gustoso, proponendo una sorta di omaggio in negativo a Batman. Gli uomini pipistrello qui sono gli antagonisti o almeno così sembrerebbe. Ecco che arrivano una serie di tributi collegati alla figura degli uomini pipistrello (ma anche al Chupacabra, seppur con una fisionomia marcatamente umanoide), con King che si conferma abile conoscitore di tradizioni e aneddoti (alcuni tributi sono infatti celati e individuabili solo da certi lettori).
La componente ironica è preponderante rispetto a quella orrorifica (comunque presente soprattutto sul versante psicologico) ed è fortissima, al punto da rendere il testo satirico. King gioca a mettere in ridicolo certe figure di rilievo pubblico (addirittura il vice presidente della Repubblica americana) e certe organizzazioni più o meno segrete di stampo para-mafioso (“Vuole che sua moglie e sua figlia leggano sul giornale che i poliziotti hanno ripescato papà con la gola tagliata? Fanno sempre in modo che sembri il delitto di qualche drogato e funziona sempre, perché sono in gamba e hanno amici altolocati”).
Data la natura ironica e satirica del racconto, a schierarsi contro i mostri di turno non può che esserci un improbabile gruppo di reietti (c.d. "Combattenti della Resistenza"), fatto di individui refrattari alle regole e indisciplinati. Il gruppo cercherà di scoprire, in gran segreto, il bunker dei rivali e di perseverare in un'invisibile guerra contro gli stessi; non sanno però di esser spiati proprio dai pipistrelli in un gioco folle dove tutti controllano tutti. “È come una riunione dell'Anonima Alcolisti in una corsia di ospedale psichiatrico... rigorosamente riservata a psicopatici nonché da essa condotta” scherza King.
Il finale sarà una girandola di colpi a sorpresa e di ribaltamenti situazionali che avranno il loro epilogo, guarda caso, nel seminterrato di una libreria (“Se non hai mai letto niente scritto da loro, ti conviene farlo. Non è mai un male mettere le spalle al sicuro” scrive King riferendosi a certi scrittori).

Come già anticipato l'elemento cardine della storia sono le sigarette: “Gli Stati Uniti sono l'unica nazione al mondo dove gli uomini pipistrello possono esser visti da più di un pugno di persone, perché è l'unica nazione che ha la fissa per le sigarette...
Dunque un racconto visionario a dir poco pazzesco, dove il divertimento è assicurato.
Non mancano i bei passaggi, alcuni dei quali degni di menzione speciale come il modo in cui King anticipa la descrizione delle creature mostruose: “Era solo quando arrivavi alla testa che ti accorgevi che o ti aveva dato di volta il cervello, o avevi davanti a te qualcosa per cui non esisteva una voce nella World Book Encyclopedia.”

Tra i contenuti celati tra le righe del testo, traspare un interrogativo esistenziale dell'autore che si pone domande sul senso dell'esistenza e sui misteri che vi ruotano attorno. “Questi cosi sono entrati nella mia vita praticamente nel momento in cui arrivavo alla conclusione che il paradiso è una favola per ingenui e l'inferno è il tuo prossimo. Ora sono di nuovo nella confusione totale.

Bella anche la descrizione degli uomini pipistrello, creature dotate di forza irresistibile e capaci di scomparire nel nulla come ninja. Così King descrive alcune peculiarità degli uomini pipistrello: “Diventano trasparenti, si trasformano in fumo e scompaiono. So che sembra pazzesco, ma niente potrei dire per farti capire quanto pazzesco è stato trovarsi fisicamente presenti e vederlo accadere. All'inizio pensi che non sia vero anche se sta succedendo davanti a te, pensi che debba essere un sogno, o che magari sei finito chissà come in un film, uno di quelli pieno di effetti speciali straordinari come quella vecchia trilogia di Guerre Stellari.”

La parte finale è una perla da racconto pulp, un vero e proprio delirio (poliziotti pipistrello, guerriglieri della resistenza che invocano l'amnistia e via dicendo) con folle regolamento di conti e con personaggi che non capiscono più dove si trovano e cosa stia succedendo, anche perché si ribaltano tutte le situazioni iniziali. Inevitabile il senso di smarrimento dei personaggi della storia e dei lettori, con fantasia e realtà che si sovrappongono e si confondono tra loro. Attingendo direttamente dal testo: “Hai mai visto un uomo pipistrello che fa il portinaio?” io, francamente, direi di no.

Il tema della realtà che si mescola con la fantasia e viceversa ritorna prepotente con un altra gemma del volume: L'Ultimo caso di Umney.
Qua abbiamo un detective privato degli anni '30 alle prese con un cliente bizzarro che ha la sua stessa faccia e la sua stessa voce, ma che proviene dagli anni '90 (con tutti gli strumenti del caso)!? Più che dal futuro, lo sconosciuto arriva da un'altra dimensione: quella reale! Il detective, suo malgrado, scoprirà invece di aver da sempre vissuto in un mondo fittizio, tanto che lui stesso è una creazione proprio dell'uomo che si trova seduto nel suo studio. Quest'ultimo altro non è che uno scrittore, mentre il detective è il personaggio delle sue storie. Lo scrittore è riuscito a trovare il modo, con la fantasia, di entrare nel mondo immaginario e conta di rubare l'identità al suo personaggio per spedirlo, al suo posto, negli anni '90.
Anche questo è un ottimo racconto, a metà strada tra il noir (caratterizzazioni e location sono quelle) e il grottesco.
King propone il suo caro tema del doppio e vi aggiunge interessanti spunti che vanno dal rapporto Uomo-Dio (“quando nel tuo ufficio si presenta Dio a dirti che ha deciso che preferisce la tua vita alla sua, come puoi credere di avere vie di uscita?”) a critiche di carattere generale ovvero di rilievo psicologico.

Da applausi, per il coraggio, alcuni passaggi in cui King attacca – a ragione – l'aridità delle persone medie e in particolare di quelle burocratiche. Si legge: “Sono gli idioti di questo mondo, soprattutto politici e avvocati, a deridere la fantasia e a credere che una cosa non sia vera se non la possono fumare o accarezzare o tastare o scopare. Pensano così perché sono loro stessi sprovvisti di fantasia e non ne sospettano il potere.”

Non manca poi un altro tema caro all'autore del Maine ovvero la salute mentale di certi artisti. È lo scrittore protagonista della storia a delineare il pensiero di King. “Molto raramente gli scrittori si lanciano nei mondi di loro invenzione e quando lo fanno si limitano a trasferirsi con la testa, mentre il loro corpo vegeta in qualche ospedale psichiatrico. La maggior parte di noi si accontenta di fare il turista nei territori della nostra fantasia”; il protagonista di King invece vuole andare oltre, pretende di vivere nella fantasia perché è stanco del suo mondo che tanti dispiaceri gli ha riservato e riesce a farlo proprio a discapito del suo personaggio.

Il testo, di per sé molto affascinante (con una prima parte blanda ma funzionale a delineare l'atteggiamento nevrotico del detective), è impreziosito da una serie di tributi (per una volta non scopiazzature) a Raymond Chandler, con nomi e località utilizzate proprio per omaggiare l'opera del grande autore. Indubbiamente un bel racconto, anche qua con elementi di scena che compaiono e spariscono come in un numero di magia.

Se con il racconto sopramenzionato King torna sul rapporto sfuggevole tra la realtà e la fantasia, con Il Volatore Notturno tornano in azione gli uomini pipistrello. Questa volta però siamo alle prese con un tesissimo thriller che si trasforma in horror solo nella bellissima ultima parte.
Protagonista è Richard Dees, cinico reporter di una rivista dedita all’occulto, che si è messo sulle tracce di un serial killer che vola - a bordo di un Cessna Skymaster - di aeroporto in aeroporto, mietendo vittime. Il killer ha il vezzo di omaggiare personaggi e attori legati alla trasposizione cinematografica del Dracula di Bram Stoker, chiamandosi col nome di Dwight Ranfield; Come se ciò non bastasse, firma tutti gli omicidi con due fori impressi nel collo delle vittime grandi quanto le punture di una zanna. La cosa curiosa ricade sul fatto che le vittime sembrano esser state ipnotizzate.
Dotato di un fiuto da cacciatore, il reporter riesce a imbattersi nel killer proprio mentre lo stesso sta consumando l'ennesima mattanza, in una notte tempestosa. Ciò che il giornalista non sa è che l'assassino è una creatura diabolica, un mostro che non si riflette negli specchi, che va in giro in smoking, cravatta di seta e mantello nero foderato di rosso… Per salvarsi, Dees dovrà cancellare tutte le prove raccolte, pena la pazzia.
Di sicuro è il racconto più sinistro della storia, con punte in cui serpeggia la paura. Il ritmo è sempre alto, per una volta, ma non quanto il film (The Night Flier) che ne verrà tratto, peraltro con partecipazione di produttori italiani, per la regia dello sconosciuto e debuttante Mark Pavia (non dirigerà altri film).
Tutto ruota attorno a Richard Dees, fotoreporter senza scrupoli sempre a caccia dell'articolo a effetto. La caratterizzazione di questo personaggio non è sviluppata allo stesso modo di quanto sarà fatto nel film (in esso, a differenza del racconto, lo vedremo lucrare come un avvoltoio sulla morte altrui e addirittura scattare foto, senza rispetto, ad automobilisti rimasti vittima di incidenti mortali), tra l'altro viene quasi del tutto meno l'atteggiamento ossessivo e competitivo (comunque presente) che avrà Dees nel film, per la concomitante indagine di una giovane reporter alle prime armi. Cambia anche il finale, dal momento che Pavia renderà persino più delirante e scatenato l'epilogo.

Belli alcuni passaggi, ancora una volta incentrati sugli effetti che il mondo del paranormale può praticare nelle menti dei bambocci; un classico per questa tipologia di narrativa. “Sapeva quanto fosse alto nel suo mestiere il tasso di cortocircuiti. Sembrava che esistessero limiti oggettivi al tempo che si poteva dedicare a scrivere di dischi volanti che si portavano via interi villaggi brasiliani... Poi un giorno, all'improvviso, i circuiti andavano in corto”. Per sfuggire a tali inconvenienti il protagonista ha elaborato una sua filosofia: “Non credere mai a ciò che pubblichi e non pubblicare mai a ciò a cui credi. Era un principio che lo aveva aiutato a mantenere il proprio equilibrio mentale mentre intorno a lui gli altri perdevano l'orientamento della ragione.

Non manca poi qualche frecciata di ironia diretta ai consumatori voyeuristici di certe riviste: “Inside View non era letterario... I due elementi che ne avevano decretato il successo erano sangue a secchiate e viscere a manciate”.

Quelli di cui sopra sono i tre migliori elaborati del lotto, anche se almeno altri quattro racconti si distinguono dalla massa per tensione e gusto citazionista dell'autore.

King omaggia in modo esplicito H.P. Lovecraft e Sherlock Holmes di C.A. Doyle, rispettivamente con Crouch End e Il Caso del Dottore. Nel primo racconto abbiamo la solita coppia di sposini che si perde in un quartiere di Londra (dove abitava il collega nonché collaboratore di King, Peter Straub). La zona è famosa per tutta una serie di scomparse e pare esser maledetta da un'influenza negativa che vi apre una dimensione ultraterrena dominata da esseri mostruosi legati a divinità di lovecraftiana memoria.
Nell'omaggio a Conan Doyle, ritroviamo in azione Sherlock Holmes e il suo assistente Watson, impegnati a risolvere un caso che mette in crisi la polizia. Sarà Watson a sbrogliare la matassa legata all'assassinio di un vecchio e all'eredità dallo stesso lasciata ai figli. Si tratta di un gradevole omaggio a Conan Doyle, con l'introduzione di qualche gustoso diversivo (Watson che anticipa il suo maestro nella soluzione del caso) e molte conferme che saranno apprezzate dagli amanti della serie (odio di Holmes per i gatti, vezzo per il violino e la coca). Il limite del testo sta nel non dare al lettore la facoltà di immaginare chi sia l'assassino, ma di concentrare il tutto sulla ricostruzione del modus operandi dei killer e sul loro movente, con Watson che capisce ogni cosa non appena entra sulla scena del delitto.

Particolarmente teso è La Cadillac di Dolan, un revenge movie on the road con un maestro delle elementari che confeziona una buca in pieno deserto in cui far cadere la Cadillac di un mafioso, con l'intento di seppellircelo vivo. Si passa invece all'horror dalle venature fantascientifiche con l'apocalittico Parto in Casa.
Abbiamo la canonica epidemia che falcidia la popolazione e che porta i morti di tutto il mondo a rianimarsi e ad attaccare i vivi. La sorgente del fenomeno è uno strano oggetto in orbita sopra il Polo Sud. Uno space shuttle, sotto il controllo cinese e americano, visita il luogo, e scopre il disastro. Un solo membro della ciurma sopravviverà a lungo per descrivere l'oggetto alieno: una sfera gigante composta da vermi che finiranno col attaccare e aprire lo shuttle.
Tutti i tentativi di distruggere la sfera saranno vani, mentre gli zombi aumenteranno di numero portando al collasso la civiltà. Tutto questo è testimoniato da Maddie e dagli altri abitanti di Jenny che decideranno di prepararsi all'attacco degli zombie in un epilogo di romeriana memoria.

I sette testi sopra descritti possono a tutti gli effetti essere inseriti tra i trenta migliori racconti brevi del maestro del Maine, purtroppo gli altri diciasette elaborati non raggiungono questo livello. Ci sono racconti con delle buone idee ma non ben sviluppate, come La Fine del Gran Casino (sci-fi apocalittico in cui uno studioso diffonde, spargendolo su tutta la popolazione, un composto chimico capace di ridurre l'aggressività dell'uomo, avente però la spiacevole controindicazione di favorire l'insorgere dell'Alzheimer), il mezzo erotico nonché folle Dedica (donna costretta da una maga a ingoiare lo sperma di uno scrittore, in modo da trasferire al figlio che porta in grembo il talento dell'uomo), il nostalgico E Hanno una Band dell'altro Mondo (coppia di sposini che finiscono in un villaggio dove rivivono le star del rock americano) e il noir Il Quinto Quarto, ma ci sono anche testi demenziali (Il Dito, Denti Chiacchierini) o comunque scopiazzati (La Stagione delle Piogge - brutta copia de Gli Uccelli di Hitchcock - Spiacente, è il numero giusto, Bambinate, La Casa di Maple Street che ricorda un po' Bad Taste di Peter Jackson) o ancora noiosi (Scarpe da Tennis, Ti Prende a poco a poco), per non parlare dei testi completamente fuori tema.

Per concludere si tratta di un'opera piacevole da leggere, ma un po' fracassona che da l'impressione di un King propenso a buttare di tutto nel calderone tanto per allungare la minestra. Con qualche taglio e con l'aggiunta di un pugno di racconti di ben altro calibro sarebbe potuta essere sul livello delle prime due antologie dell'autore.


lunedì 23 dicembre 2013

Recensione de MAESTRI DELLA LETTERATURA FANTASTICA (Les Maitres de l'Etrange) (AA.VV. Ediz. Edipem / Atlas)



Titolo originale: Les Maìtres de l'Etrange, Ediz. ATLAS.
Autori: Edena-Paris, Edy Minguzzi e Fernanda Tosco.
Genere: Mini enciclopedia.
Anno: 1981
Editore: Edipem.
Pagine: 243.

Commento Matteo Mancini.
Sorta di mini enciclopedia, dedicata ai (principali) "maestri della narrativa fantastica", edita in Italia dalle Edizioni Edipem, nel 1983, ma uscita due anni prima in Francia per conto delle Editions Atlas di Parigi, col titolo Les Maitres de l'Etrange.

Il volume prende le mosse con un'ottima presentazione sottoscritta da Edy Minguzzi e prosegue dedicando due pagine illustrate per ogni autore (come mostro nella foto di cui sopra, abbandonandomi al proverbiale sense of wonder) per un totale di circa centoventi scrittori. Il lettore entra dunque subito nel vivo, senza dover passare da introduzioni incentrate sulla nascita del genere fantastico ovvero senza dover esser guidato da una panoramica propedeutica all'esame dei singoli autori.

Il libro è senza dubbio un qualcosa di fantasmagorico per un appassionato del genere e anche per chi cerchi una bussola orientativa che lo porti a conoscere nuovi autori nell'ambito della narrativa di riferimento. Per il sottoscritto è stato come entrare in una sala ludica e divertirsi nel provare tutte le attrazioni: un vero spasso.

Si assiste così a una lunga rassegna, che parte da Dante Alighieri e termina con Tanith Lee, corredata dalle foto di tutti gli scrittori presentati e dalle raffigurazioni di copertine e disegni a loro connessi. Purtroppo il formato adottato impedisce un esame approfondito, tuttavia gli autori affrontano con piglio esperto e non meramente superficiale i vari "maestri" cercando sempre di leggere tra le righe dei loro testi. Ne deriva una rassegna benedetta da una luce che filtra in profondità negli abissi della narrativa fantastica e cerca di illuminare laddove i lettori poco attenti non sono soliti spingersi. Questo approccio è da subito evidente. E' lo stesso Minguzzi a farlo capire nell'introduzione dell'opera.

"Il fantastico apre l'accesso a dimensioni terribili e proibite dell'essere" spiega Minguzzi. "Dimensioni riscoperte dalla psicanalisi che le ha accomunate nell'unica definizione di subconscio, ma che l'antichità divideva in due sfere: il mondo soprarazionale e il mondo infero. Il fantastico apre uno spiraglio verso l'uno o verso l'altro di questi due universi proibiti alla ragione."
Se quanto sopra potrebbe ritenersi piuttosto comune nell'analisi del genere, la particolarità de "I Maestri della Letteratura Fantastica" è da individuare, per buona parte degli scrittori proposti, nello sforzo di interpretare e comprendere i riferimenti esoterici/iniziatici celati nei loro romanzi, al fine di dare una lettura tesa a decriptare i simbolismi e le metafore utilizzate dai vari maestri per rendere elitario il significato delle loro opere.

Minguzzi è bravo a citare, nella sua introduzione, l'immenso Jorge L. Borges il quale parlava "di uno sconcertante punto Alfa dal quale si poteva cogliere la totalità dell'esperienza al di là del tempo, dello spazio, della materia e della causalità così come sono percepite dalla ragione". Accedere a questo "Punto Alfa", secondo il maestro argentino, significa "identificarsi col cosmo in un processo che nell'ambito religioso si avvicina all'esperienza dei mistici, mentre nel solco dell'esoterismo si accosta al procedimento alchemico dell'integrazione dell'uomo nel cosmo in una corrispondenza armonica del TUTTO NEL TUTTO."
Già da queste premesse, si intuisce che avremo a che fare con un approccio di studio non scolastico ma orientato in un'ottica da veri specialisti. Ecco quindi che Minguzzi arriva a scrivere che chi giunge al Punto Alfa è in grado di "sciogliere i corpi e condensare gli spiriti secondo il motto dell'Alchimia solve et coagula, o di indiarsi, come fa Dante, perché in una dimensione che travalica spazio, tempo, materia e causalità nulla preclude il passaggio dalla materia allo spirito."
Delineato il contesto e la chiave interpretativa con cui affrontare un certo tipo di letteratura, arriva puntuale l'ammonimento per i bambocci o gli irrispettosi di turno. Spiega Minguzzi: "l'accesso a questa sfera non è per tutti. Occorrono un'iniziazione, una preparazione adeguata e un graduale accostamento attuato seguendo il solco di una religione rivelata o di un itinerario ieratico e rituale consacrato da millenni di tradizione. Solo chi segue questa prassi può sviluppare facoltà sottili che gli consentono di superare le barriere della ragione, e infine intuire la Legge Cosmica invisibile che motiva gli eventi terrestri; solo gli eletti possono vedere le cause superiori che occultamente determinano gli accadimenti dall'uomo attribuiti al caso. Chi non è chiamato a tanto è destinato alla follia, così come chi viola le frontiere del soprannaturale senza adeguata preparazione si apre alla psicosi e alla schizofrenia."

Quanto in pillole anticipato da Minguzzi emerge in modo dirompente nelle sfaccettature dei vari scrittori analizzati. Accanto ai capisaldi del genere come la scuola anglo-irlandese legata al gruppo capitanato da Yeats e Conan Doyle ovvero il corposo gruppo weird tales con i tre moschettieri Lovecraft, C.A. Smith e R.E. Howard in prima linea, abbiamo i grandi classici reinterpretati secondo l'ottica già menzionata (Dante, Ariosto, Tasso, Rebelais, Cyrano di Bergerac, Jonathan Swift, Goethe, Dumas etc...) e i precursori del romanzo del terrore come Sheridan Le Fanu, Mary Shelley, E.A. Poe.
Viene inoltre dato spazio ai maestri delle fiabe (Perrault, Andersen, Carroll, Collodi, mancano invece i Grimm), agli anticipatori del romanzo sci-fi (Verne, Wells), agli occasionali (per il genere) Gabriele D'Annunzio (notevole rilettura esoterica), Gogol, Tolstoj e Kafka, alla scuola di lingua tedesca rappresentata da maestri monumentali come Meyrink e Hoffmann (analizzati anche Kubin, Ewers, Herzl etc), per non parlare dei precursori del fantasy come Lord Dunsany e Tolkien. Corposa schiera infine di autori di lingua francese, molti dei quali neppure tradotti in Italia, da cui però manca in modo inspiegabile Gaston Leroux (autore del famoso Il Fantasma dell'Opera).
Nella seconda parte del volume irrompono gli autori sci-fi con Orwell, Simak, Van Vogt, Dick, Asimov, Scheckley, Bradbury, Matheson etc. Spazio, tra gli altri, anche per i superlativi Borges, Cortàzar e Marquez.

Come anticipato, e come era inevitabile, ci sono delle esclusioni illustri alcune delle quali gravi, seppure molti di questi scrittori finiscono con l'essere citati nel testo. Così, oltre ai già citati, non sono analizzati i "creatori" del romanzo gotico Horace Walpole (autore de Il Castello di Otranto), Ann Radcliffe (conosciuta per L'Italiano) e Matthew G. Lewis ("Il Monaco"), gli irlandesi Oscar Wilde ("Il Ritratto di Dorian Gray") e Maturin ("Melmoth"), gli slavi Bulgakov ("Il Maestro e Margherita") e Lem ("Solaris") e poi ancora Seabury Quinn (autore col maggior numero di pubblicazioni sulla rivista Weird Tales), gli specialisti delle ghost stories Benson, Oliver Onions e De la Mere, i fantascientifici atipici Ballard e Zelazny e i nostri Pirandello, Calvino e Capuana (c'è invece Dino Buzzati). Il fatto che poi il volume sia del 1981 motiva l'esculsione dei vari King, Barker, Straub, Campbell, Wagner e compagnia.

Al di là delle esclusioni, che comunque hanno permesso l'inclusione di autori come De Nerval, Peladan, Danrit (personaggio interessante che mi piacerebbe vedere pubblicato anche in Italia), Sax Rohmer (famoso per Fu Manchu, ma di cui in Italia non si trovano i racconti fantastici), Fèval, Huysmans, Rosny Ainé e molti altri ancora, solitamente ignorati in volumi del genere, si tratta di un'opera notevole e utile a capire il giusto approccio alla lettura di un tipo di narrativa giudicata, in modo stolto, di serie B o da ragazzi da una superficiale e arrogante scuola di pensiero.

In conclusione, visto il periodo, si tratta di un volume perfetto per un grande regalo di Natale da fare a chi legge una certa tipologia di libri. L'aspetto negativo sta nella difficile reperibilità, trattandosi di un volume fuori catalogo e spesso associato a un'enciclopedia chiamata "DIMENSIONE X".

Vale l'acquisto.