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giovedì 26 agosto 2021

Recensione Narrativa: JACK LO SQUARTATORE di Robert Bloch.

Autore: Robert Bloch.
Titolo Originale: The Night of The Ripper.
Anno: 1984.
Genere:  Thriller/Horror.
Editore: Bompiani, 2002.
Pagine: 236.
Prezzo: 10,00 euro (Edizione Bompiani).

Commento a cura di Matteo Mancini.  

Ideale terzo romanzo del ciclo di Robert Bloch legato ai serial killer davvero esistiti. Dopo Psycho (1959) e American Gothic (1974), lo scrittore di Chicago tenta di nuovo l'esperimento con The Night of The Ripper (1984), da noi presentato col più commerciale titolo Jack Lo Squartatore. Nell'occasione Bloch cita in modo ancor più fedele gli accadimenti, riportando le lettere del killer e parte dei risultati delle indagini. Se in Psycho i collegamenti alla realtà erano marginali e strumentali a concepire una storia originale, e se in American Gothic erano stati rimodulati per intessere le trame di un romanzo lineare piuttosto fedele al caso del Dottor H.H Holmes ma pur sempre di una fantasia alternativa alla reale, qua si crea una fusione tra un romanzo di fantasia (per le storie parallele) e un vero e proprio dossier sul caso, con un'attenzione particolare alle indagini che restano ancorate alla realtà. Chi conosce il caso di Jack lo Squartatore può infatti ben rendersi conto quanto di effettivo ci sia nel romanzo, a partire dalle descrizioni degli omicidi che non vengono mai mostrati nella loro fase esecutiva, ma solo attraverso la descrizione delle scene dei delitti. Ma chi era Jack lo squartatore? Robert Bloch, con un epilogo all'insegna dei colpi di scena a effetto, ce lo dice, ma è una sua opinabile ricostruzione.


LA FONTE DI ISPIRAZIONE

Jack lo Squartatore è il più famoso assassino seriale passato indenne, secondo le fonti di cui siamo in possesso, dalle indagini della polizia. Il suo reale nome resta un mistero insolubile, un rompicapo che nessuno è riuscito a sbrogliare nonostante il ricorso a tutte le più moderne tecniche di indagini in voga nell'epoca, molte delle quali sperimentali (come il tentativo di ricercarne il voto fotografando la retina di una delle vittime). Un coinvolgimento generale che ha portato molti criminologi a definire Jack lo Squartatore “il padre dei serial killer moderni”. A spingere in questo senso hanno contribuito l'efferatezza dei crimini e il continuo giocare da parte del killer con la polizia. Un modus operandi che, se vogliamo, ne ha esaltato la figura fino a farne un “mito del male” o, se preferite, un triste personaggio della realtà debordato all'artistico rango di mito della letteratura alla stregua di un Mister Hyde o di un Dorian Gray. Purtroppo però qua si parla di un uomo (secondo alcuni addirittura di una donna) che ha tinto di rosso le proprie mani per cinque volte, con una catena omicidiaria concentrata in un brevissimo arco temporale.

È il 31 agosto del 1888 quando la lama del mostro squarcia le carni della prima vittima, una prostituta, così come saranno le successive quattro, incontrata di notte nei vicoli bui del malfamato quartiere di Whitechapel, il cuore dell'East End di Londra. Seguono due mesi di orrore, in un caos generale in cui tutti dicono la sua e in cui tutti vedono ovunque l'assassino, fino al culmine finale, quando, il 9 novembre 1888, Jack lo Squartatore penetra addirittura all'interno dell'abitazione della quinta vittima e compie uno scempio. A questo punto nessuna prostituta può dirsi tranquilla e nessun luogo è sicuro.

I giornali parlano di gole tagliate in profondità, teste quasi decapitate, organi interni asportati, in particolare quelli sessuali, svisceramento dei corpi con budella messe sarcasticamente in posa per dileggiare i cadaveri. E poi le lettere alla polizia, vergate in inchiostro rosso solo perché l'assassino dice che il sangue è troppo simile a colla per essere utilizzato. Lettere e parole che enfatizzano gli omicidi, addirittura li anticipano in modo da dimostrare l'attendibilità della fonte, confermata anche dall'invio di parti di organi asportati. "Provate a prendermi, se ci riuscite" scrive il killer. Non si è mai visto niente del genere, tanto che possiamo tranquillamente dire che c'è un pre e un post Jack lo Squartatore. Il caso fa notizia, arriva a scuotere l'imperturbabilità della casa reale, anche perché si muovono sospetti contro il medico della regina e persino il candidato al trono d'Inghilterra (avrebbe contratto la sifilide da una prostituta e questo avrebbe scatenato il suo odio verso le stesse). Ognuno può essere Jack, specie se è un qualcuno che frequenta bordelli o è abile nell'utilizzo dei coltelli.

Ma chi è Jack lo Squartatore? Se lo chiedono tutti e continueranno a farlo per secoli, ognuno con la sua tesi e le sue argomentazioni a supporto. Finiscono sotto indagine dozzine di uomini, alcuni vengono incarcerati e poi rilasciati per insufficienza di prove. Qualcuno muore misteriosamente, qualcun altro si suicida o così viene archiviato il relativo fascicolo. Fatto sta che i crimini, d'improvviso, cessano.

Il caso diviene fonte inesauribile di ispirazioni, non solo di scrittori, criminologi e registi, ma anche per gli stessi criminali; A San Francisco, a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, un serial killer (inizialmente di coppiette) emula il vezzo di mandare lettere alla polizia (convalidandole con una stoffa intrisa del sangue di una vittima); si firma Zodiac e getta nel panico una città intera. Un altro, tristemente noto alle nostre latitudini, tra gli anni settanta e ottanta, uccide coppiette asportando seni e vagine e mostra il proprio atteggiamento di superiorità verso la polizia spedendo un lembo di pelle di una vittima al procuratore. Comune ai tre casi? L'inafferrabilità dell'assassino e il narcisismo di fondo che ne caratterizza la personalità, una sfrontatezza tale da portare lo stesso a sfidare la polizia. Non a caso, entrambi i casi, finiranno per stuzzicare la fantasia di altri scrittori, uno su tutti: Thomas Harris, l'ideatore del personaggio Hannibal Lecter. La leggenda di Jack lo Squartatore, allora, non è mai morta e rivive per mano di altri folli adepti del male.

 
Cinque delitti irrisolti per una sola firma
JACK THE RIPPER
IL ROMANZO DI BLOCH

The Night of The Ripper è un romanzo che Robert Bloch ha tenuto in incubazione per anni, da quando scrisse Yours Truly, Jack The Ripper (“Sinceramente Vostro, Jack Lo Squartatore”, 1943). Bloch si trasforma in un regista della carta stampata che mette in scena un copione scritto da altri. Gli spunti vengono dai resoconti della polizia e dalle descrizioni della cronaca dell'epoca, così come dalla convinzione iniziale che l'assassino fosse un dottore o un macellaio, tesi poi surclassata dal timore di un coinvolgimento del nipote della regina Vittoria e di altri elementi della casa reale.

Bloch si “limita” così a rilevare l'infinito materiale del caso e a cucirlo per mezzo di una storia parallela di totale invenzione necessaria a muovere i personaggi, così da intessere un filo conduttore che tenga uniti i resoconti delle indagini in forma narrativa. Se in American Gothic veniva compiuta una sorta di riscrittura della realtà, qua l'autore cerca di tenersi sul piano della realtà e di dare una giustificazione circa l'improvvisa uscita di scena dell'assassino. Il punto di vista non è né quello del killer, né quello delle vittime o della polizia, bensì quello di un dottore americano giunto per motivi di studio a Londra. Lo vediamo vagare per le vie, dapprima in compagnia di un collega più anziano e poi correndo dietro a una giovane ragazza dai capelli rossi di cui si innamora fin dalle prime pagine.

Un po' come American Gothic, che viene citato sia nell'infuocato finale sia in un riferimento esplicito e ironico a Herman W. Mudgett (il personaggio a cui era ispirato il Gordon Gregg del romanzo), con The Night of The Ripper rivive un'epoca perduta, quella della Londra vittoriana di fine secolo, e lo fa con tutti i suoi personaggi caratteristici che ne hanno popolato le vie e i salotti. Non solo. The Night of The Ripper è un romanzo in cui le metodologie di indagini si liberano dei retaggi passati, ma lo fanno ancora alla ricerca delle giuste coordinate, in un'incertezza che tende a mettere su uno stesso piano la scienza, lo spiritualismo e gli spunti positivisti (che si riveleranno beceri). Ogni via viene battuta, niente è escluso a priori. Lo sperimentalismo è ben accetto. Così ecco parlare di grafologia, psicologia, impronte digitali, impiego di cani segugi, spiritualismo e chi più ne ha più ne metta. Conan Doyle, Oscar Wilde, il futuro premio Nobel George Bernard Shaw, persino l'uomo elefante John Merrick, Richard Mansfield (l'attore che personificò così bene Dr Jekyll e Mr Hyde al punto da destare sospetti che potesse essere lui Jack lo Squartatore), il medico della regina William Gull e il medium Robert James Lees compaiono nel romanzo, ognuno con la sua caratterizzazione specifica e ognuno, attraverso le sue intuizioni, le sue testimonianze o le sue visioni premonitrici, utile a indirizzare in un verso o nell'altro le indagini. Bloch, per tale via, confeziona un'opera altamente citazionista, una soluzione che permette di rendere più divertente e spassosa la lettura.

Il romanzo è piuttosto corale, anche se i protagonisti tenderanno a essere il capo della polizia Abberline e un dottore di invenzione letteraria, e crea un clima di costante sospetto che ricade su tutti i soggetti coinvolti (protagonisti compresi). Bloch gioca con i suoi personaggi di invenzione, tra cui un'altra donna (come già in American Gothic) che lotta per l'emancipazione femminile da perfetta new woman di fine epoca vittoriana, e con una serie di soggetti reali finiti davvero tra i sospettati della polizia (praticamente tutti i sospettati menzionati sono finiti davvero nell'occhio del ciclone). Se American Gothic assumeva valenza poliziesco/drammatica con una certa edulcorazione della brutalità degli omicidi, The The Night of The Ripper vira di nuovo al giallo e non risparmia dettagli raccapriccianti, tendendo a enfatizzarli con spiccatissimo gusto per l'horror (si veda l'entrata in scena dell'uomo elefante o la descrizione del sogno del protagonista in cui vede tre dottori in camice squartare vacche appese per le zampe e con la testa di donna).

Le descrizioni ambientali sono notevoli. La nebbia e le luci tremolanti che vomitano una flebile luce gialla per i vicoli del quartiere sono oppressive. Il lettore viene effettivamente trasportato nei vicoli, nei corridoi degli ospedali o negli uffici della polizia. La lettura scorre veloce e si ha la sensazione di essere alle prese con uno dei film/libri più ispirati sul personaggio di riferimento.

Bloch si fa forse prendere troppo la mano verso il finale. La sua volontà di offrire una soluzione al mistero gli giostra un po' contro. Lo spinge difatti a un epilogo sensazionalistico, alla ricerca forzata del colpo di scena (si noti in questa parte l'omaggio a H.P. Lovecraft, con l'indicazione di una Providence Street di totale invenzione). Non voglio aggiungere altro per non rovinare l'eventuale lettura a chi fosse intenzionato a recuperare il libro (di cui consiglio la lettura), posso solo dire che c'è una scena, a metà romanzo, all'interno di una sorta di museo delle cere, in cui qualcuno, forse, ha realmente capito l'identità dell'assassino, ma Bloch, alla Dario Argento prima maniera, scommette sui preconcetti del pubblico e lascia a questo il compito di trarre le (erronee) conclusioni. La genialità di quella scena, che oserei dire centrale nel testo, pur se all'apparenza insignificante, sta nel fatto che Bloch non vi ritorna all'epilogo e rende ancor più misteriosa l'uscita di scena del soggetto in questione.

Sebbene la soluzione finale possa risultare un po' forzata, The Night of The Ripper è un buon romanzo, superiore per qualità al già valido American Gothic, imperdibile per gli amanti del periodo vittoriano. Per gli amanti dell'ironia di Bloch, posso dire che, nella tragedia, il "nostro" non perde la sua verve ironica, che scivola nel comico nella scena in cui vengono testati i segugi, coprendo di ridicolo il capo della polizia (mister Warren).

Evidente, infine, il tentativo di indagine mentale che Bloch cerca di fare attraverso il suo personaggio, un'indagine nei più reconditi abissi della mente umana, in cui si conferma (grazie a una serie di riferimenti iniziali a ogni capitolo) la brutalità dell'uomo in ogni epoca e a ogni latitudine.

A voler trovare qualche neo, faccio notare il totale disinteresse dell'autore per la pista esoterica. Il 1888 fu infatti l'anno di fondazione dell'ordine esoterico della Golden Dawn. Non mancarono supposizioni che legarono gli omicidi a un movente di natura rituale. In particolare attirò non poche attenzioni un tale Montague John Druitt, un avvocato, che veniva da una famiglia di chirurghi, morto suicida nel Dicembre del 1888. Druitt faceva parte di una società segreta denominata "Gli Apostoli", che era collegata alla più ben famosa Golden Dawn. Alcune correnti della Golden Dawn erano famose per praticare rituali sadico-sessuali. Druitt fu trovato morto "suicida" nel Tamigi. Il suo cadavere, con le tasche piene di pietre, fu rinvenuto vicino a Osiers, una dimora privata di Cheswick che veniva utilizzata per le riunioni della setta degli Apostoli. Un epilogo che rimanda alla memoria la fine di un tale Dottor Narducci.

Un altro nome interessato fu quello di un chirurgo militare esperto di occultismo, Robert Downstone Stevenson, che a fine 800 terrorizzò Londra con i suoi riti satanici. Secondo i sostenitori di questa ipotesi, gli organi sottratti alle vittime sarebbero quelli che si utilizzano nei rituali di magia nera, inoltre collegando su una piantina i luoghi dei cinque delitti si creerebbero dei simboli esoterici.

La giallista Patricia Cornwell, ideatrice del medico legale Kay Scarpetta al centro di numerosi intrecci giallo/polizieschi, ha dato nel suo Portrait of a Killer: Jack The Ripper – Case Closed, 2002) un nuovo volto all'assassino, indicando nel pittore Walter Richard Sickert, che secondo la scrittrice descriveva i particolari dei suoi omicidi nei quadri che dipingeva.

 
Il Maestro Robert Bloch

lunedì 23 agosto 2021

Recensione Narrativa: GOTICO AMERICANO di Robert Bloch.

Autore: Robert Bloch.
Titolo Originale: American Gothic.
Anno: 1974.
Genere:  Drammatico/Thriller.
Editore: Fabbri Editore, 1993.
Pagine: 184.
Prezzo: 9,00 euro (Edizione Bompiani).

Commento a cura di Matteo Mancini.  
 
L'AUTORE

Incontriamo oggi, per la prima volta del blog, uno dei quattro maestri assoluti della narrativa del terrore che si pongono da trait d'union tra i maestri del weird di inizio novecento e la new horror degli anni settanta incarnata da scrittori come Stephen King (1947), che da Bloch ha preso l'idea di romanzi come Firestarter (L'Incendiaria), chiaramente ispirato a Firebug (“Il Gusto del Fuoco”, 1961) . Se a inizio novecento scrittori come Howard P. Lovecraft (1890-1937), Robert E. Howard (1906-1936) e Clark A. Smith (1893-1961) furono battezzati i tre moschettieri di Weird Tales, Richard Matheson (1926-2013), Fritz Leiber (1910-1992), Ray Bradbury (1920-2012) e il qui presente Robert Bloch (1917-1994) sono i quattro moschettieri venti anni dopo. Passati tutti e quattro dalle pagine di weird tales, prima da lettori e poi da scrittori, hanno tratto linfa dai loro predecessori, in particolare da Lovecraft, dapprima imitandoli per stile e tematiche, poi rimodulandoli e alla fine assimilandoli in un'ottica che ha portato a un ammodernamento della narrativa del terrore (che non significa, per forza di cose, un miglioramento), volgendo le tematiche dall'orrore esoterico, esistenziale (in chiave trascendente) o alieno/soprannaturale verso un'impronta sociale o comunque ancorata e canalizzata su oggetti della vita di tutti i giorni. Un'evoluzione benedetta e agevolata non solo dalle graphic novel e dai pulp magazine, ma anche e soprattutto dal nascente cinema americano che di questi autori ne ha fatto degli attivi collaboratori. A differenza dei loro maestri, questi “nuovi” scrittori hanno così conosciuto in vita un successo pressoché immediato, esaltati da registi e spesso coinvolti nel mondo della produzione cinematografica. Soddisfazioni e lucrose gratifiche economiche sono presto arrivate e non è forse un caso notare la loro eccezionale longevità, soprattutto se parametrata a quella dei colleghi.

Dei quattro, assieme a Richard Matheson (il suo I Am Legend, a esempio, ha rivoluzionato nel 1954 la figura del vampiro e, allo stesso tempo, ha indicato a George A. Romero la via per il non ancora nato sottogenere dello zombie movie), Robert Bloch è indubbiamente il nome più importante nell'ambito della narrativa del terrore. Non che non lo sia stato anche Ray Bradbury, autore tuttavia molto più incisivo nella fantascienza.

Robert Bloch nasce a Chicago nel 1917, da una famiglia emigrata dalla Germania e di origine ebraica, ma cresce a Milwaukee, dove si trasferisce a dieci anni con la famiglia. Si interessa fin da subito alla pittura e alle produzioni del terrore. Da ragazzino resta infatuato dalla proiezione di The Phantom of The Opera (1925) di Rupert Julian, un film muto prodotto dalla Universal dopo che il presidente della stessa lesse il romanzo di riferimento donatogli da Gaston Leroux in persona. Appassionato al genere, Bloch cerca sulla carta stampata quelle storie che riescono a destarlo dall'apatia quotidiana. Inizia a leggere, con una certa avidità, i volumetti della rivista Weird Tales che viene fondata proprio nell'anno d'uscita del film di Julian. Qui Bloch scopre, tra gli altri, Howard P. Lovecraft e, alla maniera di San Paolo sulla via di Damasco, ne viene folgorato. Nel 1932, a quindici anni, un po' come farà in Italia Sergio Bissoli con Libero Samale (scrittore di punta della serie da edicole I Racconti di Dracula), decide di mandare una lettera a Lovecraft, suo scrittore preferito, per fargli i complimenti e chiedergli dove poter trovare i numeri di Weird Tales di cui non è ancora in possesso. Convinto di non ricevere attenzione, il piccolo Bloch si vede arrivare la risposta di Lovecraft. È il terzo passaggio fondamentale nella costruzione del futuro scrittore. I due, data la passione smodata di Lovecfrat per le comunicazioni epistolari (pensate cosa avrebbe fatto ora con facebook), iniziano a scambiarsi una lunga serie di missive. Bloch rivela a Lovecraft la propria passione, riferisce che gli piacerebbe scrivere un racconto. Il Solitario di Providence, come già fatto con molteplici altri aspiranti scrittori o dilettanti ancora acerbi, sostiene il collega e lo esorta a provare. Due anni dopo Bloch debutta su Weird Tales e nel 1935 omaggia il suo mentore scrivendo The Shambler from The Stars (“L'Orrore dalle Stelle”), un racconto pubblicato su Weird Tales in cui inventa un grimorio (De Vermis Mysteriis) e inserisce un personaggio che ricorda, in tutto e per tutto, Lovecraft, facendolo morire annientato da un'entità dello spazio esterno. Lovecraft, divertito e suggeritore di alcuni passaggi del racconto, ricambia la cortesia scrivendo il racconto The Haunter of the Dark (“L'Abitatore del Buio”, 1936) con un protagonista, non a caso, che si chiama Robert Blake e che farà la medesima fine del personaggio ideato da Bloch.

Autore eccezionalmente prolifico, si parla di circa cinquecento racconti, Bloch per i primi dieci anni di carriera è un emulo di Lovecraft, non un emulo qualunque, ma il più qualitativo del cosiddetto circolo lovecraftiano. Diventa amico di August Derleth, Donald Wandrei, Henry Kuttner e Catherine Moore. Scrive copiosamente, piazza racconti a riviste come Fantastic Adventures, Unknown Worlds, Amazing, The Magazine of Fantasy and Science Fiction. Una sua prima raccolta viene pubblicata nel 1945, dall'Arkham House, in un'edizione da 2.000 copie intitolata The Opener of the Way. Tanto impegno, ma pochi frutti. Non riesce ancora a ritagliarsi una vita da vero e proprio professionista. Nel 1940 si sposa e diviene padre di famiglia, aspetto che lo rende bisognoso di soldi. Per undici anni anni, dal 1942 al 1953, lavora all'interno di una piccola agenzia di pubblicità.

Sono anni importanti. Negli Stati Uniti arrivano i resoconti della seconda guerra mondiale e degli orrori dei campi di concentramento. È in questo periodo che nasce in Bloch l'interesse per le personalità alienate. Racconterà, anni dopo a Douglas E. Winter, di essersi reso conto che “il vero orrore non è nell'ombra, ma in quel piccolo mondo contorto che è nei nostri crani.”Scatta qui la quarta e ultima fase dello scrittore, quella in cui il thrilling inizia a incunearsi e a debellare il soprannaturale. Bloch diviene l'Edgar Allan Poe del ventesimo secolo. Prende a interessarsi di criminologia, delitti efferati, psicanalisi e assassini seriali. È Jack Lo Squartatore, lo sfuggente assassino che scioccò la Londra vittoriana insanguinando il quartiere di Whitechapel nel 1888 e mandando in paranoia Scotland Yard, a ispirarlo. Weird Tales nel 1943 gli pubblica Yours Truly, Jack The Ripper (Sinceramente Vostro, Jack Lo Squartatore) che trova spazio sulle radio con un adeguato adattamento radiofonico. Bloch conquista così anche le radio e ripete l'esperienza per altri trentanove racconti, da quindici minuti, che monopolizzeranno nel 1944 il programma Stay Tuned for The Terror. L'ombra di Jack Lo Squartatore non viene però esorcizzata dalla fantasia dello scrittore, che tornerà sulla questione più e più volte, scrivendo anche un romanzo (The Night of the Ripper, 1984) che prossimamente recensiremo.

Sul finire degli anni quaranta prende piede la seconda fase dell'autore che scrive e pubblica una serie di thriller macabri incentrati sulla figura di serial killer, tra cui The Scarf (“La Sciarpa”, 1947), suo primo romanzo pubblicato in copertina rigida, e The Real Bad Friend, in cui inizia a interessarsi della sindrome da sdoppiamento di personalità. La consacrazione arriva nel 1959 quando Bloch legge sul giornale un caso di cronaca nera avvenuto a pochi chilometri dalla sua abitazione. A Planfield, sul finire del 1957, viene arrestato un uomo accusato di una serie di omicidi: è Edward Theodore Gein o, più semplicemente, Ed Gein. Profanatore di tombe di donne che somigliano alla madre (ne violò diciotto), necrofilo, squartatore, scuoiatore e forse anche cannibale, a cui piaceva vestirsi con la pelle scarnificata dal corpo delle vittime femminili o dai cadaveri trafugati per personificare la madre defunta (cosa questa che ispirerà Thomas Harris per l'ideazione del Buffalo Bill de The Silence of the Lamb). La polizia, quando fa irruzione nella sua abitazione, trova parti di cadaveri mummificati, arredi realizzati con ossa e pelle umana, teste decapitate utilizzate come soprammobili, maschere di pelle umana (da qui l'ispirazione di Leatherface del film Non Aprite quella PortaThe Texas Chainsaw Massacre) e altri orrori del genere. L'uomo, evidentemente squilibrato, viene trovato incapace di intendere e di volere e, per questo, internato in manicomio criminale.

Bloch è rapito. La realtà supera la fantasia e quanto si leggeva esser successo nel secolo precedente torna a ripetersi nell'evoluta società moderna, seppur in paesi di campagna (ancora non sa che nella sua Milwaukee sta per nascere un certo Jeffrey Dahmer, qualcuno che, anni dopo, si farà ricordare per delitti ancora più atroci finendo per essere ribattezzato come “Il Mostro”). Prede così piede il soggetto di Psycho, il romanzo che cambierà la vita dello scrittore. Scritto nel 1959, è un immediato successo commerciale. Viene definito “uno dei primi esempi dell'uso dell'orrore urbano moderno che si basa sugli orrori della psicologia interiore piuttosto che sul soprannaturale”. Il mago del brivido Alfred Hitchcock ne compra i diritti per la trasposizione cinematografica che affida alla sceneggiatura di Joseph Stefano. L'esito del film, diretto dallo stesso Hitchcock nel 1960 (anno della nscita di Dahmer), fa parte della storia del cinema. Nasce, oltre il più noto serial killer di Milwaukee, il thriller e l'horror moderno, l'antesignano degli slasher movie, il film da cui muoveranno i loro passi più importanti registi del calibro di Dario Argento, Mario Bava, Lucio Fulci, Tobe Hooper e Brian De Palma. Bloch diviene leggenda. Si trasferisce a Hollywood, dove inizia a lavorare come sceneggiatore per il circuito televisivo e cinematografico, specializzato in mystery, suspence e horror. Collabora soprattutto con i registi William Castle (celebre a fine anni sessanta per aver acquistato da Levin i diritti cinematografici di Rosemary's Baby, che si vedrà poi costretto a lasciare alla direzione di Roman Polanski) e il due volte premio oscar alla fotografia Freddie Francis. Non si contano i suoi episodi per l'Alfred Hitchcock Presenta.

Prosegue anche l'intensa e prolifica carriera di narratore. Si segnalano, in questo periodo, i romanzi a sfondo psicopatico e poliziesco Night World (“Cittadini della Notte” o “Regno della Notte”, 1971) e American Gothic (“Gotico Americano”, 1974). Al thriller e alla narrativa del terrore si affianca l'interesse (meno qualitativo) per la fantascienza, che lo porta a scrivere tre sceneggiature per la serie Star Trek, oltre alcuni romanzi e una serie di racconti. La gavetta è terminata e le soddisfazioni irradiate dalla potente luce dei riflettori dell'industria cinematografica. Arrivano i primi riconoscimenti. Nel 1959 gli viene tributato il Premio Hugo per il miglior racconto dell'anno (That Hell-Bound Train - “Quel Treno per L'inferno”), a cui faranno seguito dozzine di altri premi (di cui cinque in un anno, tra il 1959 e il 1960).

Sottoscrive un accordo con la casa produttrice inglese Amicus Productions, per la trasposizione di cinque suoi romanzi per il cinema, alcuni dei quali da lui stesso adattati. Le pellicole escono tra il 1966 e il 1972.

La produzione di Bloch è inarrestabile. Thriller, horror, crime novel, fantascienza si alternano tra loro, tra romanzi e antologie. C'è anche un eccelso ritorno a Lovecraft quando, nel 1978, pubblica Strange Eons (“L'Ira di Cthulhu”), un romanzo fantastico e poliziesco in cui offre un'interpretazione demoniaca del mito di Cthulhu.

Negli anni ottanta, per sopperire a un lieve calo di vendite, cerca di ripetere i successi marcati da Psycho, facendo uscire due sequel (nel 1982 Psycho II e nel 1990 Psycho House) intervallati dal romanzo su Jack lo Squartatore. Muore nel 1994, da autentica leggenda, a Los Angeles.

 
L'autore ROBERT BLOCH col 
libro che lo ha consegnato alla leggenda.
 

PREMESSA

Scritto nel 1974, American Gothic è spesso menzionato tra le opere di punta di Robert Bloch. In realtà è un romanzo, pur se eccezionalmente caratterizzato sia sul versante dei personaggi che su quello ambientale, fortemente derivativo. Bloch cerca di ripetere la fortunata formula di quindici anni prima, quella che aveva portato all'uscita di Psycho. Lo fa con maggiore attinenza alla realtà, trasportando la stessa nella finzione narrativa. Se il romanzo che aveva interessato Alfred Hitchcock era vagamente ispirato all'assassino seriale Ed Gein, American Gothic guarda in modo dichiarato ed esplicito ai delitti perpetrati nel 1893 a Chicago, durante l'Esposizione Colombiana che fu ospitata per mesi nella città attirando qualcosa come 27 milioni di persone, da un tale che si faceva chiamare Dottor Henry Howard Holmes.


LA FONTE DI ISPIRAZIONE

Il Dott. Holmes, che in realtà si chiamava Herbert Webster Mudgett, era un truffatore di circa trent'anni che esercitava in modo abusivo la professione di medico e di farmacista a Chicago, spacciando titoli accademici che non possedeva. Questo non deve però lasciar pensare che fosse uno sprovveduto. Aveva infatti seguito i corsi di medicina all'università ed era un abile conoscitore di sostanze e intrugli medicinali. Dotato dei rudimenti di medicina, era stato espulso dalla University of Michigan Medical School dopo esser rimasto coinvolto in una serie di frodi assicurative. In pratica aveva rubato i cadaveri dal laboratorio dell'Università, per sfigurarli e spacciarli per parenti morti in incidenti al fine di intascare i soldi della loro assicurazione sulla vita. Denunciato ma non arrestato, era stato costretto a porre fine alla carriera di studente per rifugiarsi a Chicago. Qui aveva iniziato una nuova vita, avviata con la decisione di cambiare il proprio nome. Abile oratore, gentile nei modi e aiutato da una bella ed elegante presenza, era riuscito a farsi assumere come medico presso una farmacia di una signora anziana, riuscendo persino a rilevare l'attività e senza pagare un soldo. Divenuto proprietario della farmacia, ideò la realizzazione di un castello su tre piani da completare prima dell'arrivo della Fiera mondiale e da destinare ad albergo. I licenziamenti degli operai e dei collaboratori erano all'ordine del giorno, così come le scomparse delle persone. La struttura era un complesso di stanze e passaggi segrete, scale che non portavano da nessuna parte, corridoi occulti, stanze isolate acusticamente, occhi magici sparsi ovunque, pareti scorrevoli, e persino camere a gas che Holmes controllava dalla sua camera da letto. Molte delle stanze avevano inoltre soffitti bassi e trappole nei pavimenti, alcune erano allestite da vere e proprie camere da tortura, dotate di attrezzatura chirurgica attraverso la quale fare a pezzi le vittime, scarnificarle e talvolta fare esperimenti per puro diletto. All'interno di tale stanze vi erano delle botole segrete attraverso cui far scivolare i cadaveri in una cantina segreta dove una fossa piena d'acido avrebbe aiutato a cancellarne le tracce.

Uomo di gran classe, millantatore, amante della bella vita e delle donne. Gestiva contemporaneamente più di una fidanzata, addirittura commise il reato di poligamia, avanzava promesse di matrimonio con intento di accaparrarsi le proprietà altrui o fare frodi assicurative. Un Barbablù di fine ottocento, all'occorenza ladro. Derubava i clienti a cui affittava le stanze del proprio castello per poi eliminarli così da evitare accuse. Turisti, soprattutto donne, clienti della farmacia e persino suoi dipendenti erano le vittime dei crimini che perpetrava. Talvolta rivendeva i cadaveri alle scuole mediche oppure, nella sua tavola di dissezione, eliminava dai corpi le carni e cedeva gli scheletri all'Università di medica per l'esposizione.

Criminale incallito, ma anche deviato sessualmente. Aveva l'abitudine di masturbarsi fuori dalla porta della stanza blindata in cui imprigionava la vittima, lasciandola all'azione dei gas mortali. Alla fine fu arrestato, grazie a una soffiata a seguito dell'ennesima truffa assicurativa. Fu condannato all'impiccagione per ventisette omicidi, pur se sospettato di almeno duecento morti. Il suo castello, andato in parte distrutto dalle fiamme dopo la sua fuga per non pagare i tanti creditori che aveva sulle sue tracce, perquisito dopo l'arresto vomitò, è il caso di dire, numerosi scheletri interi e una gran quantità di ossa semi carbonizzate.

Questa la storia del Dottor Holmes che Bloch, da perfetto regista della carta stampata, non fa altro che traslare in romanzo.

 
Herman W. Mudgett, noto come
H. H. Holmes.
 
IL ROMANZO DI BLOCH

American Gothic è un romanzo che ricorda operazioni come il film Bastardi senza Gloria di Quentin Tarantino. Parte infatti dalla realtà storica, ne mutua i personaggi (anche se Bloch modifica i nomi) e ne propone altri di totale invenzione necessari a inserire una storia parallela all'originale che porta al cambiamento degli eventi finali.

Bloch prende la storia del serial killer H. H. Holmes, che diviene G. G. Gregg o, semplicemente, GGG (sigla che ricorda anche la trinità diabolica), e la collega a quella di un'intraprendente giovane giornalista di cronaca che non vuole sottostare al fatto che la donna abbia nella società un ruolo subordinato a quello dell'uomo. Bloch delinea per tale via, attraverso la sua Crystal (per gli amici Crissie), una sottotraccia che evidenzia la figura della cosiddetta new woman del romanzo vittoriano inglese di fine ottocento. La ragazza, l'unica ad aver capito che sotto l'aura del rispettabile uomo d'affari di Gregg si cela qualcosa di misterioso, è un personaggio che sembra uscito da uno dei romanzi di Bram Stoker. Si pensi, a esempio, alla protagonista del romanzo The Mystery of the Sea (“Il Mistero del Mare”, 1902). È Crystal a muovere tutti i fili della storia, a suggerire le mosse al fidanzato, un assicuratore alquanto ingenuo che viene licenziato per aver suggerito al datore di lavoro che Gregg sia un truffatore, e al suo caporedattore mister Hogan, che teme di disturbare la rispettabilità degli uomini facoltosi e preferisce censurare gli scoop della sua giornalista.

La giovane, coraggiosa e non intimidita dai poteri forti, lotta con i denti. Grazie a lei American Gothic è anche un romanzo sull'emancipazione femminile. È lei a coinvolgere la polizia, suggerendo che lo sfarzoso castello del Dottor Gregg sia una sorta di castello degli orrori, con finte stanze che si aprono su scale occultate nel cuore della struttura. La giovane, che nel frattempo si infiltra nella struttura spacciandosi a Gregg come la nipote della moglie recentemente defunta facendosi così assumere come segretaria, sospetta che l'uomo sia, oltre che un truffatore, un assassino. Gregg però è un volpone e quando subisce, sotto mentite spoglie, il sopralluogo della polizia fa in modo di depistare le indagini, grazie a una serie di intervenute modifiche.

Bloch non sceglie la via del giallo, ma del poliziesco d'indagine. In American Gothic il mistero legato ai crimini è tale solo per i personaggi, non per il lettore.Gregg è fin da subito presentato come un assassino. Sappiamo fin dai primi capitoli che ha ucciso la moglie e ne ha inscenato la morte accidentale, lasciando bruciare il corpo in un'abitazione dopo aver versato sulle coperte del whisky e aver appicato il fuoco. Gregg dice che la moglie era diventata alcolizzata, simula di essere distrutto, pieno di sensi di colpa e, per tale via, convince gli assicuratori a versagli la polizza vita. Lo vediamo poi eliminare tutti coloro che si frappongono ai suoi scopi, ovvero fare quattrini a discapito altrui. Non paga i collaboratori, promette di saldare debiti, ma avvelena al momento opportuno chi deve esser pagato dopo averlo illuso di aver riscosso il dovuto. Adesca in continuazione donne, promette loro amore eterno, chiede di avere la possibilità di poterle sposare, fa regali all'apparenza sfarzosi e poi induce a chiudere polizze sulla vita o a versare soldi su libretti cointestati. Una volta fatta cadere la vittima in trappola la uccide e va in giro a dire che, per un motivo o l'altro, è dovuta andare via.

Bloch, rispetto alla realtà, stempera la violenza del killer e carica lo stesso di un fascino che ricorda molto da vicino le pagine che sette anni dopo compariranno nel volume The Phantom Prince (1981), volume in cui Elizabeth Kendall racconterà le promesse e le attenzioni a lei riservate dal serial killer Robert Theodore Bundy.

Gregg suona l'organo, canta, intona versi romantici, regala diamanti sfarzosi (che poi si scoprono essere dei falsi). È colto, intraprendente. Pretende di dialogare solo con l'elite, perché un uomo di successo deve sempre guardare in alto. Sa trattare le donne, le ammalia. Le tocca al punto giusto, usa parole e movenze ipnotiche (non a caso sa ipnotizzare). Parla di un futuro con un cane e una casetta in cui passare la vecchiaia. Promette di acquistare carrozze con i cavalli, di fare viaggi in giro per gli Stati Uniti e oltre. È alto, slanciato, con due baffi costantemente incerati. Tutta Chicago lo conosce, lo saluta in pubblico, perché oltre che titolare di una farmacia è anche uno stimato dottore (il suo ufficio è pieno zeppo di titoli accademici). Il suo castello, pacchianissimo e a immagine e somiglianza di quello costruito da H. H. Holmes, è una fonte di richiamo per i turisti, a cui lui affitta le camere. La sua presenza diviene così irresistibile per le donne che cadono nella sua trappola come mosche invischiate nella tela del ragno. Le crollano tutte ai piedi, compreso Crystal, che pure sa di avere a che fare con un delinquente. La giovane, così come farà la Kendall pensando al fascino con cui Ted Bundy conquistava le donne (che pure, al processo, sapevano di avere a che fare con un killer), si chiede come sia possibile che un uomo come lui sia riuscito ad abbindolare così tante donne. Arriva alla conclusione che Gregg incarni il prototipo dell'eroe signorile di una serie di libracci scarabocchiati per le domestiche e questo è sufficiente a dargli l'immagine dell'uomo dei sogni. In realtà è solo un manipolatore, un ingannatore che gioca sulle speranze e i sogni altrui.

Ha infatti un'altra anima, che lascia trapelare la sua vera identità. Basta solo aprire gli occhi e grattare sotto la superficie delle cose per vedere la sua reale natura. Va in giro a sostenere di aver ideato degli elisir capaci di rigenerare i clienti, liquidi a base di acqua elettrica che altro non è che acqua di fonte. È un giocatore incallito di cavalli; un frequentatore di bordelli; un insolvente che non paga i debiti; un uomo che si circonda di collaboratori legati a un passato delinquenziale; è ossessionato dall'organizzazione, è vanitoso, arrogante, sempre attento a misurare quello che dice con una sagace punta di ironia che beffeggia l'interlocutore. Un complesso che ricorda molto la figura del truffatore e del manipolatore. Bloch è abile a delineare tutto questo. Il suo stile è immediato, i dialoghi mirati e calibrati, la struttura del romanzo articolata in trentatré veloci capitoli. La padronanza della materia di Bloch è evidente, sarà resa manifesta dai successivi resoconti sulla vita di svariati serial killer, tra cui il citato Bundy. Il ritmo è alto, il fascino costante, anche se il soggetto propone pochi guizzi capaci di spiazzare veramente il lettore.

American Gothic però non è solo una crime novel, ma è anche un romanzo sulla Chicago di fine novecento. La città rivive nelle pagine dell'autore, che lì nascerà qualche anno dopo. La presenza della fiera mondiale dell'esposizione Colombiana è l'evento che determina l'ascesa e la crescita demografica di Chicago. Bloch delinea gli stand, le costruzioni scenografiche di strutture che ricordano i più importanti monumenti mondiali. E poi ci sono i bordelli in cui insospettabili altolocati soddisfano i loro desideri più inconfessabili, c'è l'itinerante spettacolo del Wild West di Buffalo Bill e l'ippodromo di Chicago dove Gregg perde i suoi dollari. Un'intera epoca rivive alla stregua dei romanzi vittoriani di fine ottocento, con il castello di Gregg che sovrasta il tutto dall'alto, alla maniera della casa di Norman Bates ma anche dei castelli gotici del tempo che fu.

La parte finale è intrisa di azione e porta allo smascheramento degli orrori di Gregg. Bloch accenna alle pratiche di Holmes, ma stempera le mostruosità. Il castello viene definito nei dettagli, con i suoi corridoi labirintici, gli scantinati e i doppi muri. L'ideale macchina da presa di Bloch si sofferma sui trofei in formaldeide (i cuori delle donne uccise dal killer), sulla camera delle torture, suggerisce i depezzamenti dei cadaveri e la presenza della camera a gas. Gregg si dimostra abile ipnotizzatore, colpisce con un tubo Hogan in testa, dopo che questo è andato a curiosare negli scantinati, e si prepara a farla franca ancora una volta. L'incendio però, scoppiato a seguito di una colluttazione, cancella tutto; un esplodere di fuoco che ricorda l'epilogo di Inferno (1980) di Dario Argento e su cui si aprono i fuochi artificiali che chiudono la fiera mondiale.

Bloch attinge così dall'incredibile caso di Holmes, ne modifica il finale e corregge qualcosa in qua e in là per rendere meno truce il tutto. La componente ironica non manca, così come è da sottolineare la mano leggera dell'autore che evita di cadere nella tentazione (in cui cadrebbero gli scrittori dell'attuale hardcore horror) di mostrare le truculenze, preferendo la componente psicologica allo splatter. Ecco prendere forma una serie di personaggi di un certo spicco, senza fini ulteriori che vadano oltre la mera narrazione. Per intenderci, non ci sono secondi fini di lettura o messaggi politici/sociali celati tra le righe. American Gothic è quello che Gianni Pilo ha definito "un romanzo in cui sono mescolati alcune caratteristiche tipiche del romanzo gotico, altre del romanzo d'appendice ottocentesco nonché tratti del giallo metropolitano."

Dieci anni dopo, il nome di Herman Mudgett verrà di nuovo menzionato da Bloch, attraverso uno dei personaggi del romanzo The Night of the Ripper o, più semplicemente, Jack lo Squartatore, che lo ricorderà come un suo compagno di studi in Michigan particolarmente abile e freddo col bisturi in mano.

 

 
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sabato 21 agosto 2021

Recensione Narrativa: IL GRANDE CERCHIO di Henry S. Whitehead.

Autore: Henry S. Whitehead.
Titolo Originale: The Great Circle.
Anno: 1932.
Genere: Giallo macabro con risvolti esoterici.
Editore: Edizioni Arcoiris, 2020.
Collana: La Biblioteca di Lovecraft.
Pagine: 162.
Prezzo: 13,00 euro.

A cura di Matteo Mancini

Quinta uscita per la neonata La Biblioteca di Lovecraft, collana che si poggia sulle Edizioni Arcoiris di Salerno per proporre, in forma libera e indipendente, romanzi e raccolte legate al weird e al fantastico italiano dell'ottocento.

Jacopo Corazza e Gianluca Venditti presentano per l'occasione un romanzo inedito in italiano di Henry S. Whitehead, autore già proposto da Fratini Editore, La Ponga Edizioni, Mondadori e Newton. The Great Circle è un'uscita attesa, stranamente ignorata in Italia fino al 2020, nonostante Howard P. Lovecraft, che di Whitehead fu collaboratore e revisionista, non perse tempo per definirla tra i lavori “eccellenti” dell'autore.

Abbiamo già introdotto Whitehead in occasione della recensione dell'antologia Terrore Nero, di cui La Biblioteca di Lovecraft ripropone (salvo qualche ritocco in qua e in là) la prefazione - a firma Walter Catalano - che ne apriva le pagine. Arcidiacono nelle Isole Vergini di amministrazione statunitense, Whitehead è un nome associato alla tradizione weird (pubblicò venticinque racconti su Weird Tales, oltre che su Strange Tales) interessata da contaminazioni col folklore caraibico. Celebri i suoi racconti sugli zombi e sul voodoo. Whitehead è stato definito il primo scrittore a mettere in scena gli zombi (junbee secondo la terminologia inglese) ed è proprio nei suoi testi che compare il fino ad allora mai utilizzato termine (francese) zonbi (con la “n” al posto della “m”).

In The Great Circle, uscito nel 1932 sulle pagine di Strange Tales e rimasto inedito in italiano per via di una lunghezza superiore alla dimensione del racconto, ritroviamo due dei personaggi seriali dell'autore. Il primo di questi è il protagonista, Gerald Canevin, un indagatore dell'occulto che talvolta racconta esperienze di altri personaggi e talaltra parla delle storie vissute in prima persona, come nel caso di The Great Circle. Dimenticate però personaggi quali il Carnacki, il John Silence o uomini d'azione di derivazione sherlockiana. Canevin è uno studioso e un ricercatore, interessato di medicina e letteratura, spesso accompagnato da personaggi che si riveleranno decisivi per i misteri in cui si troverà coinvolto. Un profilo che viene rispettato nel romanzo oggetto di analisi, dove tuttavia il personaggio si carica di un'inedita spinta sanguinaria e guerriera (“Godevo quando sentivo la spada affondare sicura nei loro corpi”). Ad aiutarlo c'è l'amico Dottor Pelletier. Whitehead cambia leggermente la consueta cornice in cui si è soliti trovare Canevin. L'ambientazione si sposta dalle Isole Vergini a una giungla impenetrabile tra il Belize e la Jamaica. La narrazione è moderna, veloce, senza troppi fronzoli, anche se maniacale nella cura delle descrizioni (architettoniche e geografiche).

Un aereo, su cui viaggiano Canevin, Pelletier e il loro pilota, atterra in un enorme cerchio che inspiegabilmente si apre in mezzo alla giungla. Al centro svetta un grande frassino millenario, unica pianta nel cerchio. L'erba è così bassa da dare l'idea di essere nel green di un campo da golf e la cosa è alquanto strana, dato che nessuno può averla tagliata. Dentro il cerchio non vi è traccia di animali o di insetti, inoltre un gruppo di indios, improvvisamente apparsi ai margini della giungla, dimostra un timore reverenziale che impedisce a ognuno di loro di penetrare nella zona.

I “nostri”, in giro alla ricerca di sculture Maya, non prenderanno troppo sul serio la questione, finché una forte raffica di vento non li farà sobbalzare durante uno spuntino. Uno di loro, il pilota, non trovando più il proprio giubbotto, deciderà di arrampicarsi sulla pianta, salendo sempre più verso l'alto fino a scomparire nel nulla. Dopo quasi un'ora di assenza, Canevin deciderà di seguirne le mosse. Qui il romanzo abbandona il taglio realistico e sconfina in un dark fantasy ai limiti della fiaba, non sempre ben gestito (si veda il discutibile finale). Whitehead sembra vestire i panni di un Jules Verne di turno, strizzando l'occhiolino al gigantismo di Jonathan Swift. Lancia strali contro la scienza, tenta di operare una rivalutazione dell'astrologia a danno dell'”improduttiva” astronomia e muove una critica abbastanza curiosa, data la sua estrazione, sia al pragmatismo moderno sia, in modo criptico, alla religione.

The Great Circle, in forma assai onirica e altamente densa di quel sense of wonder che dovrebbe sempre dettare le coordinate alla narrativa fantastica, si rivela essere un romanzo, alquanto originale, sugli “elementali”. Di solito collegati a sedute spiritiche sfuggite di mano ai medium o comunque legati ai sortilegi orditi da un mago (si veda The Nemesis of Fire di Algernon Blackwood), l'elementale di Whitehead acquisisce una portata indipendente e non controllabile dall'uomo, aliena a ogni interazione dello stesso e, addirittura, preesistente. C'è qualche eco dello splendido racconto The Willows (“I Salici”, 1907) di Algernon Blackwood, sebbene l'esaltazione della natura sia meno marcata e il “male”, o sarebbe il caso di dire il soprannaturale, definito e non più evanescente. Comuni i gong che precedono la tensione. Whitehead però semplifica molto la tematica, definisce gli elementali “cose dotate di intelligenza, una specie di esseri simili a un Dio”. E in tale modo caratterizza l'elementale con cui si trovano a misurarsi i protagonisti. Una creatura ciclopica, che mimetizza il proprio volto con la superficie del pianeta Terra, che rappresenta l'aria e che vive in una quarta dimensione (o forse è la Terra nel suo complesso), di cui il frassino millenario diviene stargate, tenendo in uno stato di immortalità sonnambula la popolazione scomparsa dei Maya (bella la descrizione con migliaia di uomini che dormono, avvolti dalla polvere, in file che si moltiplicano a perdita d'occhio). Questi ultimi, alla stregua dei componenti di un sistema immunitario (Whitehead li definisce comunque “morti viventi”), si muovono alla caccia degli intrusi, risvegliati dall'elementale sul cui corpo immaginifico e comunque umanoide camminano i due protagonisti. È dunque un Whitehead piuttosto atipico quello che ci troviamo a leggere, addirittura accostato da alcuni critici a Robert Ervin Howard e al genere sword and sorcery. Canevin si esibisce infatti in una lotta all'ultimo sangue, all'interno di una ciclopica cattedrale eretta in favore del Dio dell'aria. I fedeli di quest'ultimo (alla maniera dei Templari) combattono con ardore, non preoccupati delle ferite che lacerano i loro corpi e con un atteggiamento che li rende mentalmente scollegati da quanto succeda intorno, simili ad automi. Si noti quanto il testo, per un autore come Whitehead, si carichi di una certa blasfemia. Canevin e Pelletier lottano contro il Dio (dell'aria) e arrivano a ferirlo in modo importante, spodestandolo dal suo trono. Il loro modo di procedere è tale addirittura da esser loro stessi identificati, dagli indios, come esseri divini. Il dio dell'aria viene rappresentato dall'immagine zodiacale dell'acquario, ossia un possente uomo che svuota un contenitore, facendo uscire l'acqua per far entrare l'aria e dunque modificandone il contenuto (gli insegnamenti da venerare). I nostri ribalteranno, nel segno del fuoco, la scultura, dando l'idea di aver, a loro volta, svuotato l'aria per far entrare il fuoco (e dunque cambiato ancora i contenuti da seguire e venerare). Soluzione, quest'ultima, preceduta da un'autentica mattanza consumata all'interno di un luogo religioso. Si veda la bravura di Whitehead nel descrivere la scena, con una polvere figlia di millenni di pace alzata dalle migliaia di piedi in lotta che si libra in volo alla maniera della nebbia. L'idea della blasfemia di fondo viene confermata dall'atteggiamento degli indios. Invece di chiedere indulgenza e salvezza, il più coraggioso di loro, che si propone di aiutare Pelletier dopo che questo ha mostrato di aver liberato il grande cerchio spacciandosi di essere il Dio del Fuoco (mi viene da pensare a Satana), chiede come contropartita al suo apporto “il dominio sui suoi simili” (un po' come promesso da Satana a Gesù in cambio di una sua “redenzione”). La richiesta viene esaudita e la battaglia sul Dio dell'aria vinta. Si noti la superficialità degli indios, ma verrebbe da dire degli uomini antichi (quelli che hanno plasmato le religioni), nell'individuare i profeti di un nuovo Dio.

Ecco che The Great Circle, da romanzo altamente onirico e generoso di momenti suscettibili di condurre il lettore in un mondo superiore dominato dalla meraviglia, si trasforma in un'opera simbolica colma di metafore. Whitehead, definito a più riprese da Lovecraft come un atipico uomo di Chiesa, dimostra la sua eccezionale ampiezza di vedute e lascia ai lettori un messaggio criptico sotto il quale potrebbe nascondersi una verità inconfessabile.

L'edizione de La Biblioteca di Lovecraft è piuttosto buona, non priva però di qualche refuso (niente di significativo). Il testo è impreziosito dalle raffigurazioni sull'esempio del precedente Il Vampiro di Franco Mistrali. La copertina e il formato sono eleganti e il tutto presenta il non sottovalutabile vantaggio del prezzo: solo 13 euro. Inutile sbuffare dalla bocca... il Dio dell'aria è stato spodestato!


Il reverendo Henry S. Whitehead, 
amico e collaboratore di Lovecraft.

"Questo posto è il teatro di un Male antichissimo, e noi lo abbiamo violato."