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martedì 24 febbraio 2015

Recensioni Narrativa: L'ISOLA DEL TESORO di Robert Louis Stevenson




Autore: Robert Louis Stevenson.
Anno: 1883.
Genere: Avventura.
Pagine: 190.

Commento di Matteo Mancini.
Classico assoluto della narrativa inglese catalogata "per ragazzi" che porta la firma dell'erede artistico di Walter Scott ovvero lo scozzese Robert Louis Stevenson.
Autore classe 1850, Stevenson è un maestro del genere avventuroso e di quello fantastico, oggi ricordato soprattutto per alcune opere che, nell'immaginario collettivo, hanno dato vita a dei veri e propri archetipi, uno su tutti, sulla scia di quanto scritto da Mary Shelley, è la figura del mad doctor che compie esperimenti scientifici da cui si innescano conseguenze mostruose.
Scrittore appassionato di viaggi e con un'infanzia agiata poi evoluta in una vita dissoluta. Stevenson, come molti suoi colleghi, ha un'educazione bigotta e calvinista, cresce sui libri, anche perché ha una salute cagionevole (problema che si porterà dietro per tutta la vita), è seguito in tutto. Il padre è un ingegnere specializzato nella costruzione di fari, professione che porta lo stesso Robert a intraprendere il corso universitario di ingegneria. Il giovane però ha altro per la testa, vaga sempre con un libro in tasca e un taccuino su cui appuntare la proprie impressioni. Cambia corso, si iscrive a giurisprudenza e completa gli studi, sebbene neppure la professione legale lo convinca fino in fondo. Comincia a frequentare ambienti anticonformisti, adotta atteggiamenti da bohemien e si accompagna a personaggi ambigui che non trovano il consenso della famiglia. Minaccia di sposare dapprima una prostituta, da cui è attratto per i racconti folkloristici che la stessa gli svela, poi incontra la prima delle due Fanny della sua vita, una donna molto più anziana di lui che lo affascina per le indubbie capacità intellettive. Infine, dopo essersi trasferito in Francia, si fidanza con una donna americana, anch'essa di nome Fanny, sposata e con un figlio a carico. Per il perbenismo del padre è troppo e la conseguenza è quanto mai ovvia: Robert deve fare a meno dei contributi familiari ed è costretto a una vita ai limiti della questua. Ciò non frena il desiderio di avventura del giovane che si specializza in viaggi in canoa e si sposta di continuo di nazione in nazione. Nel 1879 emigra, in condizioni da viaggiatore clandestino, negli Stati Uniti dove sposa la fidanzata non appena questa riesce a ottenere il divorzio. Si riappacifica anche con la famiglia, colpita dalla sua determinazione e dal suo spirito intraprendente. E' questo il momento più florido della sua carriera. A trentatré anni scrive quello che è il suo primo capolavoro: Treausure Island, L'Isola del Tesoro, che realizza per divertire il figlioccio, senza alcuna pretesa ulteriore.
A causa dell'aggravarsi dello stato di salute, è affetto dalle conseguenze della tubercolosi, si sposta di continuo tra Stati Uniti, Francia e Inghilterra. Stende, a stretto giro di posta, quelli che saranno ricordati quali i suoi migliori lavori: il cult, a metà strada tra horror e sci-fi, Lo Strano Caso del Dr. Jekyll & Mr. Hide (1886), il romanzo storico La Freccia Nera (1888) e il drammatico Il Signore di Ballantrae (1889). Nel 1889, per potersi curare al meglio, si trasferisce definitivamente nelle Isole Samoa, ad Apia, dove intraprende subito una lotta politica in favore degli indigeni contro lo sfruttamento dei colonialisti. Viene chiamato da tutti con il nomignolo di Tusitala ("colui che racconta le storie") e si fa ben volere dai locali al punto che, una volta deceduto per un improvviso ictus nel dicembre nel 1890 (a soli quaranta anni), viene condotto a spalla dai samoani fino alla vetta del monte più alto dell'isola dove viene sepolto in segno di riconoscenza.
Autore quindi ribelle, votato all'avventura, soprattutto alla navigazione, tanto da riportare le proprie esperienze in cronache di viaggi e romanzi semi-autobiografici. Sintetizzò bene queste sue passioni una lettera che spedì a un amico in cui scrisse: "La storia della mia vita è, per me, più bella di qualsiasi poema."

ROBERT LOUIS STEVENSON.

Treasure Island da noi pubblicato col titolo L'Isola del Tesoro è un romanzo reputato un classico della narrativa per ragazzi, uno di quei testi che un po' tutti hanno letto e che ha avuto oltre cinquanta trasposizioni cinematografiche e televisive, la prima nel 1920. Uscito a episodi sulla rivista inglese Young Folks a cavallo tra il 1881 e il 1882 col titolo Sea Cook ("Il Cuoco di Mare"), fu pubblicato in volume nel 1883 venendo presto tradotto in più lingue e ottenendo l'approvazione del primo ministro inglese e dello scrittore Henry James.
La trama la conoscono tutti. Tutto verte su una mappa di un tesoro di 700.000 sterline sepolto su un isola caraibica da un vecchio pirata deceduto. Protagonista assoluto è Jim Hawkins, un giovane adolescente che si trasforma in uomo proprio nel corso di questa vicenda, tanto da poter definire i fatti che si troverà ad affrontare come una serie di esami iniziatici alla futura vita da adulto. Si parla, a ragione, proprio per questo di Romanzo di Formazione. E' proprio Hawkins a scovare, a inizo romanzo, la mappa strappandola dalle tasche di un rozzo pirata (Billy Bones) morto nella locanda (Ammiraglio Benbow) che gestisce insieme alla madre. Ed è sempre lui, indirettamente, a far organizzare la spedizione che da Bristol partirà alla ricerca della ricchezza perduta.
Stevenson traccia su questa base iniziale uno sviluppo che diverrà un classico di centinaia di soggetti, penso soprattutto al cinema western all'italiana. Viene cioè strutturata una storia dove gli accordi presi da tutti i soggetti coinvolti, circa una ventina di marinai, vengono stravolti per la sete del denaro. Il tesoro (di cui solo alcuni conoscono le coordinate) diviene trappola di morte che punisce gli avari, ma anche coloro che, ignari e rispettosi della parola data, pagano le conseguenze della malvagità altrui. Si innesca così una battaglia tra due fazioni che rompono l'equilibrio iniziale e che cercano di estorcersi confessioni e promesse a vicenda. Da una parte abbiamo gli inflessibili organizzatori del viaggio, tra cui Hawkins, dall'altra i rivoltosi che rispondono agli ordini di uno dei migliori personaggi del romanzo. Sto parlando di Silver Long John, il cuoco della Hispanola (questo il nome della barca sui cui viaggiono i marinai), vecchio pirata sprovvisto di una gamba, che se ne va in giro con un pappagallo sulla spalla e che si rivela un vero e proprio doppiogiochista (qualcuno vi vede un simbolo utilizzato da Stevenson per sottolineare l'ambiguità della morale umana, ricostruzione che non condivido vedendovi invece le caratteristiche di un abile manipolatore opportunista). Ruolo, quest'ultimo, da vera e propria canaglia tanto cara agli sceneggiatori nostrani degli anni '60 e '70 (diverrà lo stereotipo di certi personaggi western). Così viene descritto nel testo: "Non è un uomo qualunque... Da ragazzo ha fatto i suoi studi, e parla come un libro quando ha voglia; è bravo poi! Un leone è nulla, al paragone di Long John! Io l'ho visto alle prese con quattro, e fracassar loro la testa, una contro l'altra, lui disarmato!"

Long John Silver.

Purtroppo, a mio avviso, il romanzo paga una certa staticità dopo un'interessante prima parte. Molti capitoli sono dedicati ai movimenti dell'Hispanola, alle scene di battaglia a colpi di moschetto o a cariche all'arma bianca tutte inscenate su un'isola fantasma (in realtà vi è un superstite di un precedente viaggio) rigogliosa di vegetazione dove è nascosto il tesoro e dove sono presenti delle postazioni figlie dell'approdo dei pirati collegati al carico di monete su cui i ricercatori vorrebbero mettere le mani. In sostanza, tutto si risolve nello scontro tra due distinte fazioni inizialmente cooperanti.
Stevenson caratterizza bene i personaggi, in particolare la figura del marinaio/pirata evidenziandone gli atteggiamenti straccioni e la facile propensione all'alcool e alla vita priva di regole. "Così è per tutti i cavalieri di ventura. Essi vivono duramente e rischiano la corda, però mangiano e bevono come pascià, e quando una crociera è finita, olà, sono centinaia di sterline che gli entrano in tasca. Il guaio è che la maggior parte se ne va in rum e sciali, e tornano in mare con la camicia... I cavalieri di ventura, generalmente, si fidono poco gli uni degli altri, e hanno ragione." Infatti non perderanno occasione per mettere in piedi un piano che porterà alla morte di quasi tutto il personale, sebbene Hawkins, sempre lui, riesca a sapere fin da subito, per mero caso, del piano di Long John origliandolo mentre è nascosto in una botte piena di mele. Ed è su quest'ultima figura che Stevenson costruisce il successo dell'opera. Scrive il romanzo in modo tale da far immedesimare il giovane pubblico di lettori nel protagonista.

E' Hawkins a fare il bello e il cattivo gioco nella storia. Tutti i passaggi che portano avanti la narrazione partono da lui, dal rivenimento della mappa, alla scoperta del piano di diserzione, quindi al recupero della Hispanola finita nelle mani dei traditori, passando per i primi omicidi e le missioni eroiche di cui si rende protagonista (il taglio degli ormeggi o le escursioni che lo portano a imbattersi in Benn Gunn, l'unico ospite dell'isola). Il "fascino" dell'opera è tutto qui, non essendovi presenti sottotrame particolari (se non quella della sete del denaro che porta alla morte e al mancato rispetto degli impegni presi). Questo aspetto, che per alcuni è un pregio (tra questi Piero Dorfles che la definisce "La più travolgente storia di viaggio, di mare, di tesori, di pirati che sia mai stata scritta"), è a mio avviso un limite che ridimensiona l'importanza contenutistica del testo (non quella storica del romanzo) che offre poco che possa far riflettere un lettore adulto e che non ha sviluppi che potremmo definire geniali e caratterizzanti. Questa ovviamente è la mia modesta opinione, peraltro su un romanzo che è considerato da tutti una delle maggiori opere della letteratura inglese.

La trasposizione cinematografica italiana del 1972.
Regia di Andrea Bianchi con Orson Welles nei panni di Long John.

Mi piace concludere con un bel commento fatto dal citato Dorfles e inserito nel suo "I cento libri che rendono più ricca la nostra vita". Un commento dal sapore vagamente alchemico che, forse, getta luce sulla vera ragione che ha decretato il clamoroso successo avuto dal romanzo: "L'Isola del Tesoro è il sogno di un ragazzo che immagina avventure travolgenti in lidi lontani, lotte all'ultimo sangue con i pirati, rischi mortali, e soprattutto un ruolo da protagonista, come tutti i ragazzi sognano di avere, perché nei loro sogni proiettano l'aspettativa della vita adulta, che vogliono piena, ricca e felice." Orbene, per ricollegarmi a quanto ho detto nel testo, come sintetizzare questa bellissima interpretazione di Dorfles se non come esperienza iniziatica che funge da ponte tra l'adolescenza e la maturità?

Un ultimo cenno al leit motiv musicale che accompagna la storia e che risunonerà nelle orecchie soprattutto di chi ha visto i film tratti dall'opera di Stevenson: "Quindici uomini sulla cassa del morto, yo-ho-ho! E una bottiglia di rum! Il vino e il diavolo hanno fatto il resto, yo-ho-ho! E una bottiglia di rum!"

venerdì 6 febbraio 2015

Recensione Narrativa: CARNACKI - L'Indagatore dell'Occulto di William Hope Hodgson.


Autore: William H. Hodgson.
Anno: 1910-1912.
Genere: Narrativa del Terrore.
Editore: Manni.
Pagine: 256.
Prezzo: 17 euro.

Articolo / Commento a cura di Matteo Mancini.
Siamo alle prese con uno dei pilastri della narrativa fantastica inglese di primo inizio secolo, il riferimento corre ovviamente al secolo ormai passato, sebbene non si tratti di uno dei cavalli di battaglia dell'autore. Il volume qui oggetto di esame infatti, ispirato ai celebri indagatori dell'occulto ideati da Joseph Sheridan LeFanu (Hesselius) e soprattutto da Algernon Blackwood (John Silence) nonché suggerito dal clamoroso successo ottenuto dalla saga Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle, costituisce una delle basi di partenza per lo sviluppo di un sottofilone del genere fantastico che confluirà poi, a metà degli anni '80, in un fumetto di clamoroso successo quale Dylan Dog della Bonelli Editore. Procediamo però per ordine e andiamo a conoscere l'autore.

William Hope Hodgson è un personaggio piuttosto singolare tra i c.d. Maestri della Letteratura Fantastica con aspetti che lo accomuneranno al belga Jean Ray e al polacco Joseph Conrad. Originario dell'Essex e membro di una famiglia numerosa formata da qualcosa come dodici fratelli, mostra subito un temperamento portato all'azione e all'avventura. A differenza di molti dei suoi colleghi del ramo, Hodgson non entra a far parte di società più o meno segrete e la sua vita non sembra legata al mondo dell'esoterismo. Si imbarca giovanissimo, vive per circa otto anni lontano da casa, viaggiando in giro per il mondo in qualità di marinaio. Sviluppa l'interesse per la fotografia, tanto da curare una serie di reportage sui tifoni in mare (aspetto su cui ricamerà molte delle sue storie, sulla scia del grande letterato polacco Conrad, suo doppio collega orientato però alla drammaticità delle storie piuttosto che alla componente fantastica), e per le arti marziali e il culturismo (aspetto che lo accomuna all'altro marinaio scrittore: il focoso Jean Ray) anche per potersi difendere dai ceffi con cui è solito avere a che fare. 
Rientrato in patria, in condizioni di ristrettezza economica, pensa bene di sviluppare le proprie esperienze lavorative aprendo una palestra a Blackburn, in cui ricopre il ruolo di istruttore, ma soprattutto inizia a scrivere. A trentadue anni da alle stampe la sua prima opera Naufragio nell'Ignoto (1907), The Boats of Glen Carrig, riscuotendo un discreto successo, ma non a sufficienza per farlo risaltare quale maestro del genere. Riesce comunque ad aprirsi una strada che farà scuola nell'ambito della narrativa dell'orrore. Grazie a una serie di racconti brevi e ad alcune novelle, tra cui I Pirati Fantasma (1909), The Ghost Pirates, raccoglie l'eredità lasciata da Edgar Allan Poe (con i racconti Maelstrom e Il Messaggio nella Bottiglia) e getta le basi per il c.d. Orrore Marino di cui sarà maestro insuperabile. Dotato di un estro visionario e interessato a pitturare le sue storie (ricorre spesso alla componente visiva indicando tonalità di colore) con descrizioni puntuali ma distorte della realtà che ci circonda, tenta la via della fantascienza dapprima con La Casa sull'Abisso (1908), The House on the Borderland (la sua opera più famosa, soprattutto per la riscoperta e la divulgazione che opererà la Arkham House di August Derleth) e soprattutto con un romanzo fiume (decisamente ridondante, aspetto sottolineato persino da uno come H.P. Lovecraft) pazzesco: La Terra dell'Eterna Notte (1914), The Night Land, capolavoro assoluto con cui chiude la carriera ad appena trentanove anni e con soli sette anni di attività. Scoppia infatti la prima guerra mondiale e l'impeto di Hodgson lo porta subito ad arruolarsi come ufficiale di artiglieria nella 171° Brigata della Royal Field Artillery. Combatte con grande valore nella battaglia di Ypres (curiosamente nella patria del suo epigono Ray che, grazie alla pubblicazione a fine anni '20 delle opere dell'inglese nella rivista Revue Belge, diverrà suo accanito fan) e muore prematuramente in combattimento nel 1918.

Il profilo di William Hope Hodgson.

Carnacki - L'Indagatore dell'Occulto è un'antologia postuma che raccoglie nove racconti, tre dei quali inediti, scritti da William Hope Hogson tra il 1910 e 1913. Si tratta di racconti brevi, trenta pagine circa di media, che Hodgson scrive per ragioni quasi alimentari. E' il periodo in cui furoreggia il duo esoterico Doyle-Blackwood e le riviste inglesi richiedono testi dove il ruolo del protagonista è riservato a un detective che indaga su casi più o meno insoliti. Hodgson, pur essendo maggiormente interessato a una narrativa di stampo onirico o comunque legato ai mostri delle leggende dei mari caraibici o orientali, si inserisce nel filone e plasma il suo Psychic Doctor. Nasce così Thomas Carnacki, nome di origine polacco (nel testo non si dice nulla), forse omaggio a Conrad (chissà, di certo Jean Ray omaggerà Hodgson con il suo Harry Dickson), cacciatore razionale di fantasmi che vive a Londra, nel quartiere di Chelsea. Hodgson ce lo presenta subito ne L'Entità Invisibile, The Thing Invisible, e a differenza di Blackwood o di Arthur Machen è fin da subito evidente l'approccio dell'autore. Così si esprime il suo personaggio: "Sono assai scettico circa la realtà dei racconti dei fantasmi; solo che sono quello che si definisce uno scettico senza pregiudizi. Non credo, né mi rifiuto di credere in cose per principio, così come molti sciocchi solitamente fanno e, quel che è peggio, come fanno alcuni di loro che non si vergognano di vantarsi della loro idiozia. Vedo tutte le presunte infestazioni come non dimostrate finché non le ho esaminate a fondo, e sono costretto ad ammettere che nel 99% dei casi si rivelano sciocchezze. Ma il centesimo! Be, se non fosse per questo avrei poche storie da raccontarvi, non trovate?"
Ecco che si manifesta da subito quello che sarà il marchio di fabbrica della mini serie. Racconti che si affacciano sul mondo occulto (più che esoterico) con un approccio razionale, quanto meno in apparenza (il nostro, oltre a fare uso di pistole con cui poi non sparerà mai, un po' come Dylan Dog, macchine fotografiche, pellicole ad alto tasso di sensibilità, ricorrerà a pentacoli alquanto bizzarri e a strani rituali medievali imparati su un testo introvabile: il Sigsand). Hodgson, per tutti i racconti, rispetterà questo minimo comun denominatore tanto che la maggioranza dei casi avranno la caratteristica, un po' in stile Radcliffe, di presentarsi come casi di infestazioni spiritiche o di possessioni più o meno diaboliche che si risolveranno poi in macchinazioni ordite da qualcuno che vuol conseguire dei vantaggi patrimoniali o amorosi, sfruttando leggende o condizioni ambientali.

Una particolarià del personaggio Carnacki, rispetto a uno Sherlock Holmes, è da individuarsi nell'umiltà del protagonista. Piuttosto schivo e poco portato alla parola, se non per raccontare le sue storie al quartetto di amici che, via via, invita a cena per informarli dei nuovi mirabolanti casi (fa accenni anche a storie che non sono poi state scritte da Hodgson), Carnacki non nasconde le proprie paure e le proprie difficoltà. In tutti i racconti, eccetto uno (Il Ritrovamento) che ha a che fare con un tentativo di truffa relativa alla falsificazione di un volume (stile Il Nove Porte del romanzo Il Club Dumas di Perez-Reverte, poi portato sugli schermi da Roman Polanski), finisce in difficoltà, in balia degli eventi. Il nostro, per mezzo della voce di un narratore (uno dei suoi quattro amici che funge dal Watson della situazione), si ritrova quasi sempre racchiuso all'interno del cerchio magico di natura "pentacolare", a volte tracciato a terra altre volte di natura elettrica, braccato dagli spiriti che aleggiano all'esterno. Lo vediamo goffo, sempre sul punto di soccombere, addirittura costretto a nascondere ai clienti un terrore che non gli inibisce però il lavoro. E', lavorativamente parlando, un generoso, atteggiamento che alla fine finisce sempre per premiarlo, con l'intuizione giusta che lo porta a chiudere l'intervento con brillantezza. Si ha la sensazione di immaginarlo alla stregua del Matt Hooper interpretatato da Richard Dreyfuss in Jaws, rinchiuso in una gabbia al cospetto di mostri antichi pronti a distruggerlo. Un caso emblematico, in questo senso, è offerto da Il Varco del Mostro o da La Casa fra i Lauri che si sostanziano proprio in questa lotta. Interessante poi sottolineare che ogni indagine condotta dal protagonista, sempre chiamato da clienti disperati (proprio come Dylan Dog), prenda sempre le mosse come indagine di natura terrena. Strumento fondamentale, decisivo in più di un caso, è la macchina fotografica posizionata su un cavalletto. E' grazie a essa che Carnacki nota indizi e dettagli decisivi che lo portano a scoprire più di una macchinazione (L'Entità Invisibile, Il Cavallo dall'Invisibile, La Casa fra i Lauri e L'Inquilino dell'Ultima Casa)... Non sempre, tuttavia, tali strumenti saranno sufficienti.

Edizione straniera del volume con l'appropriata stella, costante in 
tutti i racconti.

Ci sono quattro racconti, in particolare, in cui Carnacki si trova al cospetto dell'imponderabile. Il primo è il citato Il Varco del Mostro, caso in cui un'entità ectoplasmatica dalla forma di una mano gigante ha il pieno possesso, negli orari notturni, di una stanza stritolando tutto ciò che vi si trovi all'interno. Hodgson pone l'attenzione sul varco multidimensionale che permette alle forze dell'altrove di varcare la soglia e di interagire con gli umani. Fondamentale sarà capire la natura di questo varco in modo da porvi rimedio (in un caso è un anello, in altro è qualcosa racchiuso all'interno di un muro e così via). I racconti più riusciti dell'opera sono però Il Jarvee Infestato, in cui torna l'orrore marino caratterizzato da ombre sospese nel vento che aggrediscono al crepuscolo un imbarcazione in pieno oceano, e L'Uomo che Grugniva, tradotto altrove col titolo Il Verro e pubblicato postumo. Quest'ultimo racconto, piuttosto prolisso e non sempre chiaro nello sviluppo, è il più onirico dell'intera opera. Carnacki si trova sottomesso (lo salverà una sorta di intercessione divina) a quell'orrore cosmico e claustrofobico che sarà portato ai vertici da Lovecraft. Lo vediamo alle prese, grazie all'impiego di soluzioni decisamente fantascientifiche (applica dei sensori di sua creazione al cliente che gli permettono, difatto, di vivere gli incubi altrui), con delle creature celate da una coltre nebulosa paragonabile a una sorta di sabbie mobili. Carnacki e il suo assistito, privo di coscienza e assuefatto al richiamo dei mostri, vengono assorbiti nell'orrore orchestrato da creature che sembrano uscite da La Casa sull'Abisso (ritornano gli esseri antropomorfi dalla forma di maiale). L'intenzione di questi spiriti è l'annichilimento dell'anima dell'uomo. "Sono predatori. Saccheggiano e distruggono per soddisfare fame e ingordige, esattamente come altre forme di esistenza..." Hodgson si abbandona anche a un'analisi filosofica andando a tracciare quello che per lui è l'arché che sta alla base dell'universo. "Abbiamo così la concezione di un enorme mondo spirituale, generato da quello fisico, distante da questo mondo (che contiene), eccetto per i varchi... Questo mondo spirituale produce le sue forze e intelligenze, mostruose o no, proprio come il mondo fisico produce le sue."

Bello e appropriato, al riguardo, il commento di Gabriele Scalessa il quale afferma: "Carnacki concepisce l'essere umano in termini dualistici, come dotato di un'essenza corporea e di una spirituale, al punto che può accadere in taluni casi estremi che un individuo viva alcune esperienze con il proprio corpo, mentre invece la sua anima è da tutt'altra parte. Queste due essenze posseggono ciascuna una loro "vista": se gli occhi servono per vedere il mondo materiale, la vista mentale o spirituale permette di percepire le potenze che provengono dall'altrove." In altri termini, Hodgson ha una visione della realtà, come altri suoi colleghi (Machen su tutti), relativa, basata su diversi strati dimensionali da cui le varie potenze possono entrare o uscire. L'uomo sarebbe schiavo di illusioni, poiché niente è come sembra (la percezione materiale è frutto di un'interpretazione limitata dei nostri sensi). Aspetti questi che, nel mondo del cinema, sono stati esaltati da film quali Matrix, non a caso ne L'Uomo che Grugniva la morte all'interno dell'incubo (ovvero nella realtà parallela) porta anche alla morte definitiva dell'interessato nella vita di tutti i giorni, poiché determina l'annichilimento dell'anima componente necessaria per la sopravvivenza.

Bene, abbiano parlato dei contenuti, passiamo alla forma. Hodgson sceglie la via della semplicità. Pochi leziosismi e stile scorrevole, ma lento nello sviluppo delle varie storie. I racconti, più adatti a singole pubblicazioni che a dar corpo a un'antologia, seguono sempre lo stesso schema e gli stessi rituali (ritrovo di amici, inizio di storia, indagini preliminari, soluzione del caso). Anche le tematiche tendono a ripetersi non essendoci quella variabilità che, a esempio, ritroviamo nel John Silence. Hodgson è interessato ai soli fantasmi (non a caso il volume è stato pubblicato in Italia, la prima volta - nel 1978 - con il sottotitolo Il Cacciatore di Spettri, che poi peraltro è anche il corrispondente dell'edizione inglese chiamata, appunto, The Ghost Finder) e, più in particoalare, alle infestazioni di luoghi chiusi (cappelle, cantine, stanze). E' pertanto facilmente intuibile la conseguenza che ne deriva, con storie che, alla lunga, tendono a rendere noiosa la lettura continuativa del volume. Sono almeno tre i racconti da ricordare ma, lo ripetiamo, il vero Hodgson non è da ricercare qua. A ogni buon conto, Il Carnacki resta una tappa fondamentale da percorrere per chi sia appassionato della vera Letteratura Fantastica e per chi voglia scoprire le origini di certi personaggi (Dylan Dog su tutti) che hanno fatto la fortuna al giorno d'oggi.

Una raffigurazione del personaggio creato da Hodgson.
Ispirerà DYLAN DOG.