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sabato 16 settembre 2023

Recensione Narrativa: STAGIONE DIVERSE di Stephen King.

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: Different Seasons.
Anno: 1982.
Genere:  Drammatico / Antologia.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 588.
Prezzo: 16.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Opera simbolo nell'ambito della produzione di Stephen King che conferma qua di sapersi misurare anche con storie non calate nel soprannaturale (che fa comunque capolino nell'ultima storia). Le quattro novelle che compongono il volume, infatti, toccano tematiche più vicine a romanzi come Ossessione (“Rage”) che alle tradizionali storie dell'autore. Qui è l'orrore del quotidiano a venire in ballo, una follia calata nel sociale, tra stupri, omicidi, incidenti, ingiustizie e pestaggi su cui si fanno largo la perdita della libertà personale per effetto di una condanna ingiusta, la corruzione della mente giostrata dal fascino del male, i riti di passaggio dall'infanzia all'adolescenza e, infine, la determinazione di una futura ragazza madre per nulla intimorita dal parto. Sebbene il fantastico resti ai margini, la vena oscura di King si palesa in tutte le storie che si tingono di contenuti macabri e di violenza.

Scritte in periodi diversi, tra il 1975 e il 1980, le novelle vedono la luce nel 1982, raccolte nella prima raccolta di novelle dell'autore che, a cadenza periodica, ne sfornerà altre tre (oltre a quelle dei racconti brevi).

Più che il rimando alle stagioni, le quattro avventure, tre delle quali riscuoteranno grossa fortuna anche al cinema, sono storie legate al ricordo. È il passato a riemergere, ora nostalgico e ora affascinato. King prepara il terreno per importanti classici della sua successiva produzione, quali Il Miglio Verde, It e L'acchiappasogni che pescheranno qua parte della loro magia.

In parte osteggiata dall'editore dello scrittore, che avrebbe preferito un romanzo sugli archetipi “classici” dell'orrore, Stagioni Diverse ha conquistato un posto di privilegio nelle graduatorie di molti dei lettori del Maestro, soprattutto per il suo allontanarsi da quelle sfumature da terrore "adolescenziale". Spesso indicata quale la migliore antologia di King, ha spinto l'autore a proseguire verso un'evoluzione orientata verso orrori di valenza sociale disancorati da giustificazioni paranormali come avverrà, tra gli altri, con i successivi Misery (1987), Il Gioco di Gerald (1992) e Dolores Clairborne (1992). Da qui è anche partita la mia lettura di King, di cui in Italia già si faceva un gran parlare a metà anni ottanta (quando andavo alle elementari). Stagioni Diverse è stato infatti il mio primo libro acquistato tra quegli dell'autore. Lo comprai, credo nel 1999, all'Ipercoop, in coincidenza dell'uscita del film L'Allievo, il cui titolo, infatti, spicca in rilievo in copertina. Ne rimasi (a quell'epoca) in parte deluso (perché mi aspettavo storie soprannaturali) pur apprezzando fin da subito la novella Un Ragazzo Sveglio che resta uno degli apici nella produzione dell'autore. Nel corso degli anni e con la maturazione dovuta a un'eta' non piu' giovanile ho rivalutato il tutto. Ecco qui di seguito il mio pensiero.

 
RECENSIONE NEL DETTAGLIO

Rita Hayworth e la Redenzione di Shawshank (Rita Hayworth and Shawshank Redemption) apre la raccolta, mostrando fin da subito la natura drammatica del volume. Non particolarmente lungo, appena centodieci pagine, si sviluppa quasi tutto in flashback, con l'artificio di un narratore che racconta, da testimone oculare, l'esperienza carceraria del protagonista, un bancario ingiustamente incarcerato nella prigione di massima sicurezza di Shawshank con l'accusa di omicidio. Classico men in prison con un King che ricorre a tutti gli stereotipi del genere per intavolare un discorso sulla speranza e sul creare tutti i presupposti affinché questa possa potenzialmente concretizzarsi.

A parte l'ingiusta incarcerazione di un condannato per un omicidio che non ha commesso, abbiamo direttori carcerari che non concedono chance di redenzione ai detenuti, guardie che abusano del loro ruolo correttivo, detenuti molestatori (presente una dura scena di stupro omosessuale), attività ricreative e, immancabile, la spettacolare evasione che lascia tutti basiti (narrativamente interessante la scena nelle fogne). Molto viene concesso alla sospensione dell'incredulità. Come si può infatti prendere sul serio la presenza di un vero e proprio tunnel che parte dalla cella di un detenuto e si dirama nei sotterranei senza che nessuno, in trent'anni, si accorga della lenta e costante attività di erosione giostrata dal prigioniero (il foro è coperto da un poster)? Lo stesso discorso, inoltre, è da farsi per lo stratagemma (un particolare pezzo di vetro conficcato nel terreno in un campo utilizzato a mo' di segnalaratore!?) attraverso il quale l'evaso rinviene la chiave, sotterrata anni prima, di una cassetta di sicurezza dove è custodita un'ingente somma di denaro. Lo stesso King pare non credere alle soluzioni prospettate, tanto che evidenzia le basse percentuali di riuscita di un similare piano. Ecco che Rita Hayworth e la Redenzione di Shawshank, che poi verrà trasposto da Frank Darabont al cinema sotto il titolo Le Ali della Libertà (1994), piuttosto che una storia realistica (per lunghi tratti lo è, con un'eccezionale riproduzione del mondo carcerario), diviene soprattutto un'allegoria sulla speranza. Del resto lo stesso sottotitolo “L'Eterna Primavera della Speranza” non nasconde le intenzioni dell'autore.

Fulcro di tutto è la spiegazione che il protagonista da al compagno di cella: “Quando arrivano i pasticci ci sono due tipi di uomini al mondo. Uno dei due tipi di uomo si limita a sperare per il meglio. L'altro prevede il peggio. Questo secondo tipo sa che non c'è niente di male a sperare per il meglio finché sei preparato al peggio.” Questo è quello che fa Andy Dufresne, un uomo che spera nell'impossibile ma che, nel contempo, lavora sulle soluzioni alternative, qualora dovesse concretizzarsi quel peggio che la prima categoria di soggetti ha deciso di ignorare col rischio di farsi trovare impreparata all'appuntamento. Dufresne lavora da lontano sul suo futuro, facendo il tutto da stratega, così sognatore da sfiorare la lucida follia. Le abilità contabili e finanziarie gli consentono di conseguire, a breve tempo, vantaggi e trattamenti di favore, dando dritte e consulenze a guardie e direttori che allenano nei suoi confronti le maglie dei controlli. Diviene protetto e intoccabile, uno status dietro il quale, all'insaputa di tutti, lavora per la grande fuga dopo aver toccato con mano che lo stato di carcerario lo ha involuto, agli occhi delle presunte "persone perbene" (non lo sono), al rango di subumano. Gli andrà tutto bene, come si intuisce dal melodrammatico epilogo, dove King si concede una vena poetica in onore di un'amicizia che va al di là dallo stato di colpevole e innocente. La libertà tuttavia, dopo tanti anni di reclusione, si sgretola in un qualcosa di inutile, un vantaggio di cui non si può godere, poiché quando si sta in cattività per tanto tempo si finisce per percepire la realtà di un mondo altro, con regole altre, in cui, tutto sommato e nella pochezza della situazione, si finisce per recitare un ruolo mentre là fuori si è guardati con sospetto e si è dei soggetti da evitare, incapaci di sostenere quella vastità infinita che è la libertà. Una sorta di agorafobia che porta a rimpiangere lo stato di detenzione, un'esistenza scandita da regole, procedure e regolamenti che cadenzano le fasi di un tempo che ha svestito la natura convenzionale dell'ordinario vivere per divenire indefinito e costantemente uguale (a parte per il deperimento del corpo). "O fai di tutto per vivere o fai di tutto per morire" questo il quesito finale di fronte al quale si troverà a scegliere il narratore, la scelta da demandare al volteggiare aereo di un'ideale monetina a cui affidare le sorti del proprio futuro: gioco o non gioco la partita?

 

Un Ragazzo Sveglio (Art Pupil) è un vero e proprio romanzo breve, lungo duecentoventi pagine, tante quante La Lunga Marcia e qualcosa in più de L'Uomo in Fuga. King lo colloca come seconda storia della raccolta che, pertanto, prosegue la via del genere drammatico senza toccare il soprannaturale. Ciò detto, il senso dell'orrore raggiunge i livelli apicali dell'intera produzione di King. Cattivo, brutale, senza freni inibitori e con rimandi espliciti al sesso (si veda l'incubo in cui il protagonista stupra con un vibratore d'acciaio un'ebrea), tanto da costringere i produttori della trasposizione cinematografica (intitolata "L'Allievo"), diretta sedici anni dopo da Bryan Singer (“I Soliti Sospetti”, “X-Men” e “Bohemian Rhapsody”), a edulcorare e modificare il soggetto (con tanto di finale addolcito) per renderlo presentabile alle grandi masse. Il male, nella storia, trionfa e contamina un ragazzo sveglio e talentuoso, quasi a voler sottolineare il pericolo di certe idee capaci di insinuarsi persino nei cervelli più raziocinanti e svegli.

Art Pupil è la storia di un rapporto perverso e sadico tra un giovane ragazzino di tredici anni e un vecchio settantenne che vive, sotto falso nome, nella tranquilla provincia americana cercando di dimenticare il passato. L'uomo, infatti, è un gerarca nazista, responsabile di una lunga scia di morte ai tempi della seconda guerra mondiale. Un tempo comandante del campo di concentramento di Patin, Dussander, che ora si fa chiamare Denker, si è macchiato di atroci delitti tanto da esser ricordato come “Il Sanguinario di Patin”. Un giovane adolescente con la passione per le storie legate ai massacri nazisti, Todd Bowden, lo riconosce e, sotto la minaccia di denunciarlo alle autorità, lo costringe giorno per giorno a rivelargli i particolari più macabri legati alle mattanze naziste, arrivando a obbligarlo a indossare una divisa delle SS. Ha così inizio un vortice di follia che finirà per travolgere la psiche di entrambi i soggetti. Spalmato su un periodo di quattro anni, il soggetto viene sviluppato per effetto di una lunga serie di incontri tra i protagonisti. Todd si reca a trovare il vecchio, apparentemente per leggergli dei romanzi, col solo intento di estorcergli informazioni. Il rivangare sul passato risveglia l'istinto omicida di Dussander che trova pace solo uccidendo animali (un gatto viene bruciato vivo in un forno) e poi barboni. Al tempo stesso le storie truci degli stupri, degli esperimenti genetici e delle uccisioni barbariche stimolano la fantasia del giovane Todd che, a poco a poco, alimenta una fantasia malata che lo condurrà nel vortice del male distorcendogli anche la sfera sessuale. Ecco dunque trovare giustificazione il sottotitolo “L'Estate della Corruzione”. Art Pupil propone una vera e propria corruzione dei valori. Alla maniera di un virus, la follia e la malvagità nazista attecchisce nel subconscio del giovane protagonista, facendo dello stesso un mostro (serial killer).

King lavora molto attentamente sulle psicologie dei due personaggi principali, proponendo sviluppi che portano gli stessi a modificare i relativi rapporti di subordinazione fino a giungere a una reciproca collaborazione e immedesimazione. “Lui e il ragazzo erano esseri spregevoli che si nutrivano a vicenda...”

Epilogo quadrato e verosimile per quella che è, a tutti gli effetti, una delle migliori opere in assoluto di King, peraltro la prima che io abbia letto molti anni fa.

Da sottolineare come la storia sia uno spin-off di Rita Hayworth e la Redenzione di Shawshank, visti i rimandi al banchiere Dufresne che avrebbe fatto acquistare a Dussander una serie di azioni prima di venire arrestato per uxoricidio.


Il Corpo (The Body) avventura di formazione dai contenuti autobiografici che King ambienta nell'immaginifica e ritornante Castle Rock (ci sono rinvii anche al precedente romanzo Cujo). Fatto salvo un paio di racconti a sè stati inseriti nel testo (il protagonista è uno scrittore in erba che si diverte  a intrattenere gli amici con le sue storie) nonché l'epilogo in cui il narratore rivela ai lettori cosa sia poi successo nel futuro ai vari personaggi, i fatti si svolgono in tre giorni. Quattro ragazzini partono a piedi, lungo i binari della nascente ferrovia, verso un viaggio boschivo che li porterà a imbattersi nel cadavere di un loro coetaneo. È uno dei quattro a rivelare agli altri di aver sentito il fratello più grande parlare della presenza nel bosco di un corpo privo di vita non ancora scoperto dalle autorità.

King plasma qua il substrato da cui nasceranno i vari It, L'Acchiappasogni e La Bambina che Amava Tom Gordon. Si parla di un gruppo di ragazzini perdenti, che se la dovranno vedere con i bulli più grandi e con vere e proprie prove iniziatiche (un cane su cui circolano voci leggendarie, un ponte su cui sfreccia un treno in corsa da precedere nella traversata e un bagno in un ruscello infestato da sanguisughe). L'orrore lascia spazio all'amicizia infantile, nell'epoca in cui l'adolescenza bussa alle porte rimodulando i rapporti e le amicizie, ma anche gettando le basi per il futuro. Il volgere a termine dell'estate segna il momento in cui i sogni e le speranze si infrangono con la cruda realtà di un paese di campagna che non concede vie di sviluppo. La fuga e l'abbandono delle vecchie conoscenze divengono l'unica strada percorribile per provare ad ambire a quel successo che possa consentire di evitare le sabbie mobili del fallimento sociale. Strutturato tutto in flashback, è una novella di discreta lunghezza (quasi duecento pagine) incentrata sul ricordo e focalizzata su quello che è, in tutta probabilità, il periodo più felice per ogni essere umano. “C'erano i film da andare a vedere al Gem, che da tempo è stato abbattuto... C'erano le partite e i pasti mandati giù di fretta, prati da falciare, posti dove correre, muri da tirarci contro le monetine, gente che ti dava le pacche sulla spalla. E ora sto qui seduto e cerco di guardare attraverso la tastiera di un IBM e di vederci quel tempo, cerco di ricordarmi il meglio e il peggio di quell'estate verde e bruna, e riesco quasi a sentire quel ragazzino smilzo e pieno di croste ancora sepolto in questo corpo che avanza, a sentire quei suoni.

Rob Reiner, che poi dirigerà anche la trasposizione cinematografica di Misery, trarrà dalla novella il fortunato Stand By Me (1986), primo film incentrato su una delle novelle della raccolta. La sceneggiatura strapperà una nomination agli oscar quale migliore sceneggiatura non originale, mentre il film riceverà due nomination ai golden globe come "miglior film" e "migliore regia".

Il Metodo di Respirazione (The Breathing Method) è un'opera che ho rivalutato nel corso degli anni, soprattutto per le confermate abilità di King di calarsi nella psicologia femminile. Con le sue settanta pagine, è la storia più breve della tetralogia. King plasma il tutto costruendo un vero e proprio racconto nel racconto. Protagonista è un sessantenne, dipendente di uno studio legale, che ricorda la sua esperienza in uno strano club dove viene ammesso dal suo superiore. Invitato a prendere parte alle riunioni, l'uomo parla di un ambiente ricreativo quasi fuori dal mondo (sebbene l'ingresso sia da un portone di un palazzo di New York), gestito da uno strano maggiordomo, dove annualmente gli ospiti si intrattengono raccontando storie davanti al focolare. La natura e le atmosfere del club sono sovrannaturali e misteriose. All'interno dei locali si trovano libri, juke-box, biliardi che non hanno riscontri nella realtà. Il nome degli scrittori che figurano nella biblioteca del club sono del tutto sconosciuti presso le librerie, così come le casi editrici dei loro libri non sono indicate nei cataloghi. Allo stesso modo le marche dei biliardi o degli altri oggetti presenti nei labirintici locali del club sono del tutto aliene sul mercato. In tale contesto, il protagonista è destinatario di una serie di avventure raccontate dagli altri soci. Proprio una di queste è quella che da il titolo alla storia. Si tratta di una drammatica avventura, verificatasi negli anni '30, che vede quale protagonista una ragazza madre impegnata nei preparativi pre-parto. Abbandonata dal fidanzato e costretta a sostenere gli appuntamenti presso il medico senza alcun accompagnamento, la giovane deve far fronte anche all'atteggiamento bigotto della società. Una volta emerso lo stato di gravidanza, infatti, viene cacciata dal posto di lavoro e dall'abitazione presso la quale è in affitto, in quanto non essendo maritata viene reputata una sgualdrina. Si troverà dunque costretta ad acquistare una fede in un banco dei pegni, così da spargere in giro la notizia di essere rimasta vedova. Solo attraverso tale soluzione riuscirà ad avere il rispetto dei nuovi vicini. Attraverso il narratore, King propone una severa critica alla società americana di inizio secolo scorso, evidenziando il netto contrasto tra i pregiudizi e l'effettivo carattere combattivo della poveretta. L'epilogo è crudele e grandguignolesco, a voler suggerire un destino segnato da cui non è possibile sottrarsi. La forza di volontà della giovane, tuttavia, è tale da sovvertire i disegni del fato. Grazie allo sperimentale metodo di respirazione suggeritogli dal ginecologo di fiducia, in modo da ottimizzare le fasi del parto, la giovane confeziona un vero e proprio miracolo che le consente di vincere la morte. Coinvolta in uno spaventoso incidente stradale, riesce infatti a sopravvivere alcuni minuti pur rimanendo decapitata, così da consentire al medico, giunto in soccorso, di farla partorire e salvare il piccolo che porta in grembo.

Un po' come per Rita Hayworth e la Redenzione di Shawshank siamo dalle parti della metafora: la forza di volontà vince sulle avversità. King non vuole essere verosimile, proponendo un momento così surreale da stravolgere l'impianto realistico della vicenda. Quest'ultimo, peraltro, viene bypassato anche dalle allusioni finali che virano decisamente verso il fantastico distorcendo i contorni della realtà. King suggerisce l'esistenza di una quarta dimensione, all'interno della quale si troverebbero i locali del misterioso club, anticipando sviluppi che saranno al centro della successiva raccolta di novelle Quattro dopo Mezzanotte. Chiari gli omaggi a Stevenson e al suo celebre Il Club dei Suicidi. Forse citato volontariamente da T.E.D. Klein e da Dario Argento (si ricorda la testa decapitata parlante nel film Trauma), Il Metodo della Respirazione è l'unica delle quattro storie a non essere stata trasposta al cinema, sebbene qualche anno fa vi sia stato un interessamento (per la regia di Scott Derrickson) poi non tramutato in effettivo progetto. Inferiore alle precedenti storie, vanta comunque un certo fascino. Memorabile la scena dell'incidente stradale e il relativo sviluppo successivo.


In conclusione Stagioni Diverse è un riuscito tentativo operato dall'autore di svincolarsi dalle storie horror, pur continuando a mantenerne le sfumature e il registro linguistico. La cifra stilistica di King è evidente, così come la sua dote di curare lo sviluppo dei personaggi, ma velocizzata a causa del format ridotto delle storie. I contenuti sono più maturi e, probabilmente, di maggiore presa in quel mondo della critica editoriale che negli anni ottanta era assai refrattario all'arte di King. Non è certo uno dei volumi da cui partire (come invece ho fatto io) nell'affrontare la produzione dell'autore, ma è di certo uno dei suoi migliori volumi, sebbene meno spassoso di altri. Non è infatti il divertimento che King ricerca in queste storie, essendo ognuna di esse, a diverso grado, un dramma sociale che sfocia sovente nella tragedia e nel fallimento umano.

martedì 12 settembre 2023

Recensione Narrativa: L'OCCHIO DEL MALE di Stephen King.

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: Thinner.
Anno: 1984.
Genere:  Horror.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 302.
Prezzo: 9.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Romanzo della rivelazione circa il mistero legato all'effettiva identità mascherata dal nome Richard Bachman. Dopo La Lunga Marcia (1979), Uscita per l'Inferno (1981) e L'Uomo in Fuga (1982), Bachman è infatti pronto a rivelare la sua reale identità che, non a caso, sarà di dominio pubblico poco dopo l'uscita del romanzo facendo lievitare le vendite da 28.000 copie a 280.000. King sembra volere gridare al mondo che dietro al romanzo si cela la sua firma, tanto da ambientare il finale a Bangor (città dove il vero autore vive e lavora) e fare addirittura una serie di giochi di parole dove suggerisce che, per la follia dei fatti narrati, la storia sembra proprio una di quelle scritte da Stephen King.

Insomma, non occorreva un provetto indagatore per venire a capo del mistero, ma sarebbe bastato prendere sul serio quanto scritto nel testo. L'Occhio del Male infatti, più dei tre precedenti romanzi, è un testo palesemente kinghiano. Mantiene la struttura compatta (senza farsi prendere la mano dalle descrizioni) e il ritmo sollecito tipico dei Bachman, ma sposta i contenuti dalla fantascienza distopica verso i poteri parapsicologici tipici dei primi lavori di King. Nella fattispecie si parla di un “Gran Maestro Magiaro” ultracentenario capace, col tocco delle mani, di scagliare maledizioni che provocano effetti sul fisico delle persone sfiorate. Ecco che si torna a pensare a qualcosa non poi troppo distante, per ispirazione, a La Zona Morta (1979) dove, con la pressione di una mano, si poteva intravedere il futuro della persona di volta in volta toccata. Incuriosisce, piuttosto, il lavoro sui personaggi. Ne L'Occhio del Male non ci sono personaggi positivi. L'antagonista, padre di una vittima di un incidente stradale, diviene addirittura un soggetto le cui azioni maligne sono giustificate dall'ingiustizia, mentre il protagonista (un avvocato sovrappeso che perde progressivamente sempre più chili per effetto della maledizione) diviene un viscido soggetto capace di chiudere accordi con mafiosi e di vendere la salute della moglie a beneficio della propria.

Tra le tematiche secondarie spicca l'incapacità della scienza (medica) di accettare l'imponderabile e l'irrazionale, dovendo sempre cercare una ragione per tutto. In questo King ricorda certi racconti brevi di Gustav Meyrink, penso a Il Soldato Bollente (contenuto nell'antologia La Morte Viola), arrivando a cercare di trovare una giustificazione ai fatti piuttosto che analizzarli in maniera deduttiva ammettendo l'ignoranza e la fallacità della scienza.

Altra tematica, non poi così marginale e peraltro ancora di moda, è il clima di sospetto e di rigetto sociale verso gli zingari, cacciati di città in città anche quando, in fin dei conti, non hanno fatto niente di illecito.

Non mancano alcune scene forti, tra fiondate che aprono orifizi nelle mani delle vittime, depezzamenti ed eruzioni cutanee che trasformano in campi di battaglia i volti delle vittime (c'è persino chi sviluppa squame su tutto il corpo). Degni di nota gli incubi apocalittici dell'avvocato, tra avvoltoi e cittadini ridotti in stato scheletrico che caracollano prossimi a sputare l'anima dai denti. Da notare la componente action, con alcuni momenti degni di un romanzo di guerra. Un personaggio italiano, infatti, si rende artefice di un blitz armato di kalashnikov, con tanto di volto dipinto di nero per mimetizzarsi nella notte, attraverso il quale cerca di convincere l'antagonista, instaurando un clima di paura, a ritirare la maledizione scagliata sul suo cliente.

In conclusione, L'Occhio del Male è un romanzo dalla giusta lunghezza e dal ritmo abbastanza sollecito. Sicuramente, sarà un cult amatissimo tra gli zingari, sia perché attribuisce ai nomadi poteri sovrannaturali sia perché non li caratterizza in modo peggiore al presunto “uomo civilizzato della città” che, d'altro canto, appare come corrotto, privo di scrupoli, egoista e clientelare. Finale restauratore decisamente beffardo che vanifica tutti gli sforzi del protagonista.

Distribuito in Italia dal 1986 con un titolo diverso rispetto all'originale. Esce infatti negli States col più appropriato Thinner ovvero "più magro". Dal romanzo è stato tratto nel 1996 un B-Movie diretto da Tom Holland, già regista de I Langolieri e soprattutto de La Bambola Assassina.

 
Scena dal film del 1996.

La maggior parte della gente non crede a quel che vede, a meno che non vada d'accordo con quel che già credevano...la mia definizione di idiota è precisamente questa: un tizio che non crede a quel che vede.”

lunedì 11 settembre 2023

Recensione Narrativa: IL PALIO DELLE CONTRADE MORTE di Fruttero & Lucentini

Autore: Carlo Fruttero e Franco Lucentini.
Anno: 1983.
Genere:  Giallo / Ghost Story / Folcloristico.
Editore: Oscar Mondadori.
Pagine: 155.
Prezzo: 7.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Quarta collaborazione del duo Carlo Fruttero e Franco Lucentini, indiscussi maestri del fantastico di metà novecento, basti solo rammentare la loro lunga permanenza alla direzione della collana di fantascienza della Mondadori Urania.

Dopo alcuni gialli convenzionali legati alle indagini del commissario Santamaria, i due scrittori provano qualcosa di diverso e di originale. Il Palio delle Contrade Morte ha tutta l'impressione di essere uno sperimentalismo teso a fondere diversi registri e generi popolari per rimodularli in qualcosa di autoriale. L'operazione può dirsi abbastanza riuscita, sebbene il finale affondi in un delirio metafisico che finisce probabilmente per sfuggire dalle sapienti mani del duo di creatori.

La storia, spalmata su tre giorni (dal 13 al 16 agosto), è costruita su un doppio binario destinato a uniformarsi verso l'epilogo in un'unica dimensione narrativa. La narrazione procede a rimbalzo: ora si concentra sugli antefatti e ora torna al presente narrativo, con i protagonisti affacciati dai balconi dei palazzi di Piazza del Campo in attesa che volga al termine il corteo storico del Palio di agosto e prenda il via la “corsa” (a Siena si direbbe la “carriera”). Solo verso la fine i due binari si incontrano per prendere un'impostazione che sfugge dai canoni, cambiando sempre forma e pelle, fino a mettere in dubbio la realtà mostrata piegata da un qualcos'altro che si cela sotto la medesima. Il Palio delle Contrade Morte, infatti, sembra proprio interrogarsi su cosa sia davvero reale e cosa invece sia solo un'apparenza superficiale. Eppure tutto ha inizio all'insegna del consueto, verrebbe da dire della logica tipica dei romanzi popolari italiani che, a inizio anni ottanta, popolavano le edicole.

Una coppia di milanesi, in viaggio nella campagna toscana verso la fattoria di un parente, si perde alle porte di Siena sotto un'inaspettata grandine estiva. La tormenta disorienta i coniugi che riparano in una villa gestita da strani personaggi, l'uno in rapporto di parentela con l'altro (evidente l'atteggiamento di parodia verso certe storie gotiche). Il plot propone il classico cliché degli horror gotici della serie I Racconti di Dracula, perché all'interno della magione i due nuovi arrivati diventano bersaglio di seduzioni amorose oltre che testimoni di uno strano assassinio che porta all'intervento dei carabinieri e all'impossibilità per tutti i presenti di lasciare il luogo. Fruttero e Lucentini partono da qui, in un rimbalzo tra presente narrativo e antefatto giallo. Un'impostazione popolare (intrisa anche di contenuti erotici) che, a poco a poco, evolve in altro. Emerge lo splendore di Siena e delle sue tradizioni, tratteggiate in modo impeccabile. Gli autori curano nel dettaglio gli aspetti della “giostra” paliesca, forniscono aneddoti e spiegano intrighi, “partiti”, accordi più o meno occulti per far vincere quella contrada o far perdere l'altra, tra fantini bugiardi e altri venduti. In tale atmosfera prettamente realistica prende spazio dapprima l'allucinazione, quindi il soprannaturale e infine addirittura il metafisico. La percezione dei fatti dei protagonisti sembra influenzata dall'assunzione di sostanze psicotrope. Questi infatti modificano i propri comportamenti, specie nella sfera sessuale, diventano lascivi e vengono storditi da quanto capita loro intorno. Il loro modo di percepire il mondo cambia, si deforma portandoli a estraniarsi dalla quotidianità per esser proiettati in qualcosa di altro. E' come se fossero stati stregati dal posto e dall'atmosfera paliesca. Ecco allora che dietro l'apparente realtà si celano ulteriori visioni, in un mix che frulla storia, folclore, giallo, ghost story, critica sociale, consumismo e chi più ne ha più ne metta. Pur se elegantissimo nella costruzione dei periodi e nella scelta delle parole, Il Palio delle Contrade Morte è un romanzo che lascia perplesso il lettore, destinato a perdersi in una conclusione che tale non vuole essere e che soprattutto suona per arrendevole e irriversibile (il protagonista finisce per indossare il fazzoletto di una contrada morta). Sorge il sospetto addirittura che Fruttero e Lucentini intendano “supercazzolare” il lettore e con lui il protagonista, che incarna proprio l'italiano medio. Fantasmi e viventi, in una sorta di lontano passato e quotidianità, si confrontano in una corsa impossibile dove tornano a calcare il tufo persino le contrade morte. Sono proprio queste, con i loro improbabili capitani (forse loro stessi fantasmi), a rivelarsi le grandi manovratrici occulte del palio raccontato dai due scrittori, mentre il protagonista, sempre più perso dallo spettacolo, ha la sensazione di essere vittima di un continuo zapping televisivo che lo vede dall'altra parte del monitor, ovvero personaggio di quanto scorre sulla televisione.Quanto basta per fare del romanzo un prodotto diverso dal solito e forse, proprio per questo, meritevole di lettura.

Se l'epilogo lascia un po' perplessi, sono di straordinario livello le descrizioni delle corsa paliesca, tra nerbate, cadute e mosse estenuanti. Sicuramente amatissimo a Siena, è stato oggetto di molteplici edizioni e lo potete trovare anche in formato ebook.

venerdì 8 settembre 2023

Recensione Narrativa: PARLA COI MORTI di Bruno Vacchino.

Autore: Bruno Vacchino.
Anno: 2018.
Genere:  Horror/Fantastico Rurale.
Editore: Novilunio Stampe Amatoriali.
Pagine: 146.
Prezzo: 11.30 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Nel nostro peregrinare narrativo torniamo a incrociare sulla strada i progetti dei “tipi” del Novilunio Stampe Amatoriali che di “amatoriale” hanno giusto il nome. Al posto di Daniele Vacchino o di Davide Rosso, facciamo la conoscenza di Bruno Vacchino (1939), ideale vertice superiore di un triangolo narrativo ancora tutto da scoprire (e purtroppo ignorato dalla quasi totalità dei lettori appassionati al genere).

Padre del talentuoso (quanto outsider di un sistema editoriale dallo stesso rigettato) giallista Daniele Vacchino, Bruno è un cultore di narrativa e scrittore che ha riscoperto, nella maturità, il gusto per la creazione letteraria. Pubblicato nel 1981 dalla Rebellato Editore, sulla spinta della passione e dell'entusiasmo del figlio (e del “socio” Davide Rosso) è tornato a dar sfogo alla propria fantasia. Cacciata via la ruggine con il libro di poesie La Solitudine del Rito (2018), si è di nuovo misurato con la prosa col noir Robert Prima del Colpo.

Il volume che ci troviamo oggi ad analizzare, Parla coi Morti (2018), è un'inusuale (per struttura) antologia mascherata da romanzo. Costruito su un dialogo dinamico tra padre e figlio, il volume propone una serie di avventure innescate dalle foto, di volta in volta, ammirate sulle tombe del cimitero di Saluggia all'interno del quale si muovono i due personaggi della storia. Il padre del narratore, infatti, trova ispirazione per rivelare al figlio avventure personali che ruotano attorno ai personaggi i cui nomi affiorano sulle tombe visitate. Ne viene fuori una sorta di gotico rurale di matrice testamentaria (una sorta di volontà di salvare ricordi che, altrimenti, andrebbero perduti), dove il fantastico di fondo folcloristico e agreste traspare da diversi racconti. Un parlare di fantasmi, strane apparizioni e dialoghi ultraterreni che, in apparenza (salvo poi subirlo con una sorta di rimando Nietzschiano che suggerisce un'adesione agli insegnamenti sofisti), cerca di svelare il gran mistero della vita. Cosa ci attende oltre la morte? Bruno indaga, ci offre uno sguardo, ma poi ci ammonisce dal procedere oltre, poiché scrutare negli abissi porta, inevitabilmente, a subirne un richiamo verosimilmente illusorio dettato da erronee valutazioni su quanto si pensa di aver compreso.

L'occasione è propizia per affrontare la questione con un atteggiamento alquanto beffardo e disincantato. “Non voglio andare in Paradiso. Dalle poche informazioni che si son potute raccogliere, almeno per quel che valgono, perché gli uni non sanno e gli altri inventano, non è un posto pieno di divertimenti. E, poi, lo sanno tutti che le donne più belle sono finite di sotto. Almeno li hai da fare in modo piacevole e nessuno ti fa la predica e di sicuro incontri gente che la vita l'ha saputa vivere... Il Paradiso è un posto per palati fini.”

Bruno Vacchino lascia intendere, regala suggestioni e crea atmosfere misteriche che, tuttavia, vengono quasi del tutto esorcizzate da un piglio fatalista (la condanna all'inferno o la promozione al paradiso sono viste come predestinate questioni di appartenenza sociale, in cui i poveri, abituati a interessarsi ai fabbisogni esistenziali, sono condannati anche nell'altrove per i loro approcci materialisti) dove l'ironia e l'invito a vivere la vita (anziché interrogarsi su cosa sarà) finiscono per smontare quella che potrebbe sembrare un'impostazione trascendente.

Le avventure che si susseguono (nonostante la postilla finale) suggeriscono episodi di natura autobiografica e permettono di riportare in vita soggetti trapassati da tempo, con i loro vezzi e le loro stranezze. Non tutti i racconti sono fantastici. Si parla di individui dal grande fascino, capaci di far innamorare donne e, al tempo stesso, di mettere in fuga male intenzionati, così come si parla delle avventure domenicali a bordo di un carro trainato da buoi in compagnia del nonno in una campagna di metà novecento che si veste di contorni fiabeschi con i suoi picchi, i cuculi e i misteriosi uccelli dal piumaggio ocra; ma ci sono anche gialli, incidenti mortali scanditi da disattenzioni o sogni premonitori, suicidi che suggeriscono la commissione di omicidi mascherati, chiese sbarrate che intrappolano spiriti diabolici, spiriti inquieti che si celano tra le tombe, animali psicopompi e campanari depositari di saperi arcani. Bruno Vacchino allude, lascia intendere, suggerisce, ma non rivela mai pur lasciando pensare di possedere curiose doti medianiche. Il suo è un fantastico volutamente sfuggevole, supposto e come tale interpretabile, poiché è compito dell'uomo penetrare nel significato più profondo delle cose senza accontentarsi della superficie su cui invece si soffermano la maggior parte delle persone.

Com'era anche chiamato il dio, tra i tanti nomi? L'ambiguo. E perché i suoi oracoli si potevano interpretare in due modi opposti? Perché la divinità si nasconde ai nostri occhi, sempre. È questa la sua caratteristica. Oggi si mostra con un voltoe tu credi di averla vista e domani, invece, ti appare con un aspetto completamente diverso.”

Fortissima appare dalla lettura la nostalgia per un tempo ormai lontano, più incline al sogno e più basato sui legami personali, sebbene semplici e senza particolari pretese. Un'epoca in cui per sognare bastava davvero poco e in cui si rinnovano le gesta di personaggi degni di un romanzo ormai vivi solo nel ricordo personale di chi è sopravvissuto al incedere del tempo.

Che uno non faccia mai più ritorno e che di lui si perda ogni traccia... è questo che rende terribile la morte” scrive Bruno. Ecco che Parla coi Morti si carica di una componente melanconica preponderante su tutto il resto, sebbene mitigata dal filosofare decisamente pragmatico del padre del narratore e dalla sua verve che sfiora spesso una farsa degna di Così Parlò Bellavista (1984) di Luciano De Crescenzo e, al tempo stesso, dell'oscuro argomentare per enigmi di Eraclito.

Non c'è un passato e un presente, ma un presente del passato, perché tu guardi il tuo passato da quale punto? Dal presente d'oggi e, poi, lo guarderai dal presente di domani. Ma è sempre un presente. Un presente, per giunta, ambiguo, sfuggente, perché in continuo divenire.”

Elegante nel lessico, leggero nella costruzione dei periodi, il testo scorre rapido e regala diversi interessanti aforismi e spunti di riflessione sulla vita e i suoi misteri, elevandosi dalla mera lettura di intrattenimento per penetrare in una dimensione autoriale.

I punti di ispirazione dichiarati sono l'iperbolico Gogol, Leskov e Turgenev, tuttavia traspaiono anche rimandi a scrittori nostrani come Libero Samale / Frank Graegorius (si vedano le nebulose descrizioni dell'aldilà, con i trapassati che si muovono sperduti, sulle rive di misteriosi fiumi, baciati da una flebile luce destinata ad assopirsi) o a una serie di scrittori franco-belgi di recente riproposti dall'Agenzia Alcatraz (penso a Thomas Owen e Gérard Prévot).

Merita una nota particolare il racconto che chiude il volume, Il Custode, che è un piccolo gioiellino, sospeso tra fantastico e indagine gialla; un'opera,  con le sue cinquanta pagine, in grado di rappresentare oltre un terzo dell'intero volume. In questo racconto, a mio avviso, si cela il senso del volume di Bruno Vacchino, una vera e propria decostruzione di un approccio ascetico che parte da una base di supporto contraria (“acquisire informazioni sull'aldilà per prepararsi a quel viaggio così da non farsi prendere alla sprovvista quando verrà il momento”) basata sull'idea di un'esistenza ultraterrena in qualche modo influenzata dalla precedente vita terrena. “Qui tutto è inganno... Da tempo giro per questi posti desolati e non incontro nessuno che mi dia notizie di mia figlia...”

Parla coi Morti è dunque un volume molto interessante, curato sia su un piano formale che contenutistico e assai elegante nell'esposizione, figlio di una narrativa che purtroppo non c'è più. Il fantastico torna a cercare di indagare sul mistero della vita pur contaminandosi con un'ironia dissacrante e una filosofia legata al carpe diem di Orazio, poiché niente è certo e chiaro nella vita, figurarsi ciò che non è a misura di uomo e che ci attende oltre la sfera dello scibile.

 
"Qui, nel cimitero, non tutto è morto e qualcosa sopravvive alla mano eversiva del tempo."

sabato 2 settembre 2023

Recensione Narrativa: MR MERCEDES di Stephen King.

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: Mr Mercedes.
Anno: 2014.
Genere:  Crime Story / Poliziesco.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 470.
Prezzo: 11.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Escursione nel poliziesco (non direi, come suggerito dallo stesso autore, nell'hard boiled) alla Thomas Harris (più che alla Raymond Chandler, giusto per chiamare in causa l'omaggiato Marlowe) da parte di Stephen King non poi così nuovo a operazioni del genere, basti pensare a romanzi come Colorado Kid (2005) o ad alcuni racconti brevi inseriti in Incubi e Deliri e nel successivo Il Bazar dei Brutti Sogni (2015). Manca del tutto la componente gialla e, al tempo stesso, non vi è traccia di quelle atmosfere lugubri tipiche dell'hard boiled con pupe, gangster e sparatorie. E' un King decisamente cinematografico e moderno, che sviluppa la storia su un duplice binario: da una parte ci parla del delinquente, della sua infanzia e dei suoi propositi futuri, sull'altro versante vediamo all'opera un gruppo di improvvisati che si prodigano per anticipare il folle così da sventarne i piani.

Sebbene il romanzo sia tutt'altro che originale, è stato percepito come un qualcosa di nuovo generato dal prolifico maestro del Maine, al punto da essere stato insignito con un Edgar Award. Un riscontro di critica e di incassi tale da spingere King a plasmare una trilogia (dell'indagatore Hodges), basata sui medesimi personaggi, completata da un quarto episodio uscito proprio in questa settimana col titolo Holly (2023). Dunque un apprezzamento generalizzato, esaltato persino dalle ottime valutazioni rilasciate dai lettori sul portale goodreads.

Tutto bene, dunque...? A mio avviso, no. Se è vero che King dimostra per l'ennesima volta le sue innate capacità di creatore di personaggi, i problemi vengono fuori quando si va a valutare l'intreccio e il senso del ritmo. King, pur se generoso nell'intrecciare le relazioni (anche troppo), semplifica e limita all'essenziale i fatti a beneficio dei personaggi. Alla lunga, si ha la sensazione di leggere una novella allungata per esser tramutata in un romanzo. Il contenuto della vicenda è figlio dei tempi. King si guarda attorno e metabolizza, assorbendo quanto avviene nella società (non solo americana) contemporanea. Prende la recessione economica che comprime il mercato del lavoro generando disoccupati e la combina con la fobia degli attentati terroristici siano essi dinamitardi o col ricorso di auto rubate lanciate in velocità sui passanti, una pratica che un paio di anni dopo, con la strage di Nizza, prenderà sempre più piede. Su tale canovaccio, tipicamente post 11 settembre, inserisce la figura stereotipata del poliziotto in pensione che non riesce a resistere al richiamo di un vecchio caso rimasto insoluto, prendendo a indagare per conto proprio senza nulla comunicare ai colleghi di un tempo, e la cuce a quella di un delinquente seriale (più un mass murder che un serial killer) che sulla scia dello Zodiac si diletta a sfidare apertamente chi gli da la caccia facendo reperire messaggi e minacce. La tecnologia del nuovo secolo funge da corredo, con chat, computer con comandi vocali e dispositivi elettronici utilizzati per interferire sulla cadenza luminosa dei segnali semaforici o per decriptare le onde elettromagnetiche rilasciate dai telecomandi delle auto, così da rubarne i codici e poter aprire le portiere.

Le premesse sono buone, tuttavia sembrano fungere unicamente da telaio su cui costruire la psicologia dei vari personaggi. King, come suo solito, spende molto in tal senso, tanto da essere più interessato ai personaggi che agli sviluppi del caso. Mr Mercedes è soprattutto un romanzo concentrato sulle sfaccettature psicologiche degli immancabili sfigati (tra cui la svitata quarantenne Holly) che diventano eroi e del perversissimo villain che trova nell'infanzia traumatica e nel rapporto incestuoso con la madre la ragione del suo malessere. Siamo comunque al cospetto di un romanzo giostrato sui perdenti, con un King che offre una duplice prospettiva: da una parte quella della progressiva discesa verso l'inferno (via scelta dall'antagonista) e dall'altra quella della redenzione e del riscatto sociale (Holly). Convince poco la scelta del manigoldo di tramutarsi da serial killer di massa inafferrabile a kamikaze vero e proprio, in quanto poco in linea con l'atteggiamento manipolatorio e narcisistico di sfida aperta verso le forze dell'ordine.

Tante le autocitazioni, da Christine a It (l'assassino si manifesta con una maschera da pagliaccio), ma anche da Psyco (rapporto con la madre del killer) a Ispettore Callaghan: il Caso Scorpio è Tuo (si fa riferimento a un film con un killer che ha preso in ostaggio una scolaresca a bordo di un bus), a sua volta ispirato sui crimini dello Zodiac (ispirazione non dichiarata anche per King).

Non mancano un paio di momenti da antologia kinghiana degli orrori. Il più crudele è l'assassinio, mascherato da disgrazia, del piccolo fratellino dell'antagonista. Non vi aggiungo dettagli per non rovinarvi la lettura, ma vi assicuro che è un vero e proprio calcio nelle parti basse. Tremendo anche il prologo, con una Mercedes SL 500 condotta da un pazzo che piomba su un gruppo di ragazzi in fila per sperare di ottenere un posto di lavoro al McDonald's. Il killer uccide otto innocenti e si da alla fuga con l'auto che, a chiara dimostrazione della "solidità tedesca" (!?), viene addirittura recuperata e successivamente riproposta su strada (anche questa è una concessione poco realistica presa da King).

In definitiva, Mr Mercedes è un romanzo altamente drammatico e dai contorni polizieschi che si assesta (a mio avviso) tra le opere di seconda fascia di King. Approfondita la dimensione psicologica dei personaggi, paga uno scarso sviluppo nell'intreccio della trama. Si parte da un attentato compiuto attraverso un auto rubata lanciata su una folla di giovani, quindi si prosegue con una serie di messaggi inviati dal killer al vecchio poliziotto che conduceva le indagini con il proposito di confezionare un attentato prima a un cane (impresa fallita) e poi al poliziotto stesso; mentre il vecchio cerca di risalire all'identità del manigoldo, affidandosi a collaboratori improvvisati, quest'ultimo pianifica la grande uscita di scena finale all'interno di un teatro in cui è programmato un concerto musicale che attira ragazzine da ogni parte dello stato. Tutto qua. Non certo insufficiente, ma neppure così qualitativo come si è voluto far passare. Gli faranno seguito Chi Perde Paga e Fine Turno. Ha dato inoltre il via, nel 2017, a una serie televisiva giunta nel 2019 alla terza stagione per un totale di 30 episodi e una nomination ai Saturn Awards.

 

 Dal romanzo è stata tratta una fortunata serie tv. 
Brendan Gleeson è il detective in pensione Bill Hodges.

"Anche nel giorno più buio, la fortuna trova chi baciare in fronte.