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lunedì 17 settembre 2018

Recensione Narrativa: CHERUDEK di Valerio Evangelisti.



Autore: Valerio Evangelisti.
Anno: 1997.
Genere: Fantastico/Storico.
Editore: Mondadori.
Pagine: 490.
Prezzo: 10,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Volume pubblicato nel 1997 dalla Mondadori quale quinto episodio della saga Eymerich avviata nel 1994 da Nicolas Eymerich Inquisitore, ma comunque leggibile a prescindere dalla precedente ed eventuale lettura degli altri episodi. Da molti considerato il capolavoro di Valerio Evangelisti, da un punto di vista personale è il quinto libro che mi capita di leggere di questo autore, il terzo (in ordine sparso) della saga Eymerich. Senz'altro il più complesso fin qui affrontato, addirittura tale da rendere necessarie almeno due letture. Lo scrittore bolognese conferma la grande passione per la storia, rafforzata da un'innegabile cultura di fondo, per intessere una delle sue trame caratteristiche snodate su tre distinti livelli temporali. A differenza di altri lavori compare un Evangelisti orientato su metafisica, filosofia, simbologia (si noti il ricorrere continuo del numero tre) e analisi religiosa trascendente oltre che psicanalitica. Sulla classica storia dell'inquistiore Nicolas Eymerich si innescano altre due storie, in cui ritroviamo gli stessi personaggi (o buona parte di essi) della storia principale, sospese in una dimensione che è avulsa dal tempo come noi lo conosciamo. In una di queste storie, ambientata in una località del Nord Italia (in cui le vie si snodano in modo da formare una croce al cui centro svetta una Chiesa che contiene la reliquia di San Malvasio, che altro non è che Eymerich) costantemente avvolta dalla nebbia e invasa da insetti che perdono sangue (e al cui interno sono intrappolate le anime degli uomini costretti a riparare nel purgatorio per purificarsi), i personaggi vivono in stretta relazione con i fatti dell'epoca di Eymerich. Risultano, in altri termini, un prodotto della mente dello stesso inquisitore, una sorta di sogno di consistenza materiale, indotto dalla somministrazione di una sostanza di derivazione alchemica, che permette all'inquisistore di scrutare dentro di sé, in un'anima a metà strada tra il sacro e il diabolico, e plasmare la sua visione di purgatorio (il Cherudek, ovviamente strutturato su tre livelli e di cui la città è quello superficiale). Un mondo che prende forma proprio da un episodio connesso con la storia ambientata nel 1360 e vive in parallelo con la stessa, pur essendo influenzato da aspetti propri del futuro. Una dimensione da cui cercano di fuggire coloro che hanno preso coscienza del loro stato (sono dei morti che vivono in una realtà altra, se mi permettete l'espressione, e che vorrebbero porre fine al loro stato), finendo però per discendere sempre più in basso in una sorta di anticamera dell'inferno in cui Eymerich, in persona, prosegue la sua attività di inquisitore (descrizioni dantesche di alto livello). La terza storia è una sorta di sguardo sull'aldilà e viene concepita alla stregua di un monologo di un uomo del trecento, ormai smaterializzatosi e divenuto puro spirito, che è intrappolato in un involucro di metallo (per causa dello stesso Eymerich) e, nonostante questo, vive ed è a conoscenza di quanto avviene nel mondo (ivi compressi le evoluzioni scientifiche e le tesi di Einstein), captando le grida delle altre anime e vivendo nei sogni delle altre persone. Un intreccio molto complesso, con i tre livelli della storia che interagiscono tra loro determinando influenze l'uno sull'altro. Non di pronta soluzione, si tratta di un romanzo che, per esser appreso appieno, richiede una certa flessibilità d'approccio e anche una certa passione per la filoosfia.

Delle tre storie è senz'altro più agevole l'avventura centrale che vede Eymerich alle prese, nel territorio francese di metà 1300, con un moto rivoluzionario (l'Ecclesia spiritualis), nato in seno alla Chiesa cattolica, che intende sovvertire le gerarchie ecclesiastiche per ristabilire il valore della povertà e della penitenza (nonché affermare la libera interpretazione della sacre scritture) come faro guida, in luogo della ricchezza e degli agi, oltre che impedire l'accordo di Bretigny che porrebbe fine alla guerra dei cento anni tra Francia e Inghilterra.
"I francescani si crogiolano nella ricchezza, i domenicani coltivano il potere e si fanno persecutori dei cristiani veri!" tuona uno dei rappresentanti dell'ecclesia spiritualis al cospetto di un Eymerich, travestito da mendicante, costretto a ingoiare bocconi amari pur di venire a capo di un mistero che vede all'opera persino una guarnigione di soldati zombie (Evangelisti sembra omaggiare la trilogia di De Ossorio dei Resuscitati Ciechi). Un esercito di uomini mal ridotti, qualcuno non più capace di parlare, che poi si scopriranno essere dei soldati gravemente feriti, in parte ristabiliti grazie alla somministrazione di una sostanza allucinogena di derivazione alchemica, che attaccano, alla stregua di automi, al grido "A la mort Gog, a la mort Magog!" Un avventura che diviene sempre più macabra, tanto da addentrarsi in atmofere horror che poi verranno debellate all'epilogo con spiegazioni più o meno terrene. Così vediamo Eymerich, accompagnato nel suo procedere da Avignone (sede papale in cui riceve l'incarico) a Figeac (ultimo baluardo in mano francese prima del fronte inglese) da un altro inquisitore, imbattersi in schiere di soldati morti, in piena campagna, crocefissi su croci capovolte al suolo. Un procedere continuo nel pericolo, tra gruppi di mercenari che, inevitabilmente, finiscono col catturare il religioso, malattie pestilenziali che portano alla caduta degli arti, e battaglie che vedono discendere dal cielo una sorta di angelo gigante (da molti identificato nel diavolo), in sella a un cavallo più grande di un palazzo, per rubare una campana (che poi si scoprirà essere un calice rovesciato al cui interno il leader dell'eccelsia spiritualis preparerà la sostanza alchemica) condotta in territorio francese dalla Svezia da una santa alquanto atipica. Un lungo viaggio all'insegna dell'avventura e della morte in vista dello scontro finale con i vertici dell'Ecclesia Spiritualis, che altro non sono che modesti uomini, a loro modo di fede, che ricorrono ad arti, più o meno, condannate dall'inquisizione per far emergere la Chiesa dei poveri in luogo di quella despota dei ricchi. Ragione quest'ultima che porta a identificare il leader del movimento, sospettato da Eymerich di essere un falso e un truffatore, quale l'anticristo in persona indicato dalle scritture di San Giovanni.

Un romanzo visionario, onirico, ma anche allucinato e allucinante in cui il lettore finisce con l'identificarsi con i personaggi (dannati?) della parte ambientata nella città italiana soffocata dalla nebbia e caratterizzata da continui rimandi. Un contesto dove avvengono fatti inspiegabili che spiazzano i vari personaggi che, loro malgrado e incosapevolmente, sono pedine determinanti all'interno di un complotto al cui centro c'è Eymerich o, meglio ancora, c'è la mente e la psicologia labirintica (quanto rigida) dell'inquisitore. Non ha torto l'ispettore di finanza Dentice che, alquanto paranoico in partenza, vede complotti ovunque. Più verosimilmente, però, tutti questi personaggi sono mere pedine plasmate dalla fantasia corrotta (dall'elemento alchemico) di Eymerich, soggetti che non possono perseguire alcun fine poiché le loro speranze sono già condannate all'origine. Vite dalla consistenza di sogno o, meglio ancora, di incubo senza fine, in cui non è possibile morire e in cui la sofferenza si rinnova di continuo (come le ferite che subisce Dentice che guariscono d'un colpo per ripresentarsi peggio di prima) proprio perché condannata alla non liberazione offerta dalla morte. Uno status che sembra però avvolgere anche Eymerich e il suo rivale, il c.d. anticristo del testo (che è poi il protagonista della terza parte, l'uomo del trecento che parla intrappolato in un contenitore da cui non può uscire), in un'ottica alquanto pessimistica e beffarda in cui tutti coloro che cercano di agire per il bene collettivo finiscono per crollare nel male e nella perdizione individuale.

Inutile ribadire, perché ormai è sotto gli occhi di tutti, che Valerio Evangelisti è l'apice della narrativa fantastica italiana contemporanea e non solo di questa anche se, dall'espressione della foto che vedete qui sotto, qualcuno potrebbe pensare, legittimamente, di vederla in altro modo.

VALERIO EVANGELISTI

"In questo luogo esistono due realtà sovrapposte. Queste realtà si toccano in alcuni punti. I piani inclinati sono quelli da cui è possibile gettare un sguardo sul mondo parallelo... Le porte girevoli sono quei punti di contatto in cui può avvenire il passaggio da una realtà all'altra... Solo una porta, che noi dobbiamo scoprire, permette di entrare nel mondo di Eymerich."

mercoledì 5 settembre 2018

Recensione Narrativa: TERRORE PROFONDO di AA.VV



Autori: Nicola Lombardi, Antonio Tentori, Luigi Cozzi, Igor Scanner e Massimo Brando.
Anno: 1997.
Genere: Horror.
Editore: Newton.
Pagine: 474.
Prezzo: Trattativa Privata (Fuori Catalogo.

A cura di Matteo Mancini
Trovata commerciale del Gruppo Newton che, a distanza di un anno dall'uscita di Profondo Thrilling (1994), tenta di sfruttare il successo cinematografico degli horror di Dario Argento riconvertendoli nella forma del racconto. Per compiere il proposito la casa editrice commissiona a cinque autori il compito di trasformare in chiave letteraria l'estro onirico e visionario di Dario Argento, nel massimo rispetto delle sceneggiature originali. Così troviamo autori conosciuti quali Luigi Cozzi, Nicola Lombardi, Antonio Tentori e altri, forse meno noti, quali Massimo Brando e Igor Scanner impegnati a modificare l'arte del descrivere con immagini, propria del cinema, con quella di descrivere con le lettere. Compito apparentemente semplice, ma assai arduo quando si è alle prese con prodotti di culto quali Suspiria, Inferno o Phenomena.
Il risultato finale centra sicuramente l'obiettivo di partenza e costituisce un valido esempio, specie per gli aspiranti scrittori, per comprendere la diversità di registro tra lo scrivere per il cinema e lo scrivere per i lettori. Non tutti gli autori riescono bene in questo. A esempio, si rivelano assai bravi Nicola Lombardi e Igor Scanner che, pur mantenendo l'impianto originale del film lo veicolano nella diversa forma del racconto. Antonio Tentori, invece, opta per un taglio che resta fin troppo legato a quello della sceneggiatura, non riuscendo a fluidificare in adeguato modo il passaggio dalla visione dell'occhio alla descrizione sottesa a stimolare l'immaginazione di ogni lettore, così che si abbia quella partecipazione attiva che solo la letteratura può offrire. Non si può infatti negare che mentre un lettore è impegnato a dirigere mentalmente la storia che gli viene raccontata, uno spettatore è un soggetto passivo, costretto a sorbirsi quanto gli viene mostrato senza possibilità di personalizzazione. In questo sono interessanti i racconti/film Opera e Demoni. Nel primo, ottimamente tradotto in racconto da Igor Scanner (bravo e immediato), abbiamo il colpo di genio (oltre a quello del volo dei corvi come arma per scovare l'assassino, facendo leva sulle capacità mnemoniche di questi uccelli) degli aghi applicati sotto gli occhi di una vittima costretta a guardare gli omicidi del pazzo che la perseguita. Omicidi, a sfondo libidinoso, che il killer pratica sotto gli occhi della giovane sperando di eccitarla, così come faceva con la madre della stessa, che si concedeva solo dopo la mattanza. E' evidente il legame che si instaura con lo spettatore (forse affetto da un sadismo latente, come si è soliti dire per certi medici legali), con un Dario Argento desideroso di costringere il suo pubblico più impressionabile a non staccare gli occhi nei momenti topici dei vari assassinii proposti. Quei famosi istanti in cui la vostra ragazza, un po' come succede a una delle coppie accomodate sulle poltroncine del cinema in Demoni, vi stringe la mano e abbassa la testa sussurrandovi: "dimmi quando tutto questo è finito" e voi, per sadismo, la fate rialzare mentre le forbici del killer squarciano la gola della Tassoni di turno, dicendo alla vostra giovane compagna che sapevate quanto lei fosse una grande estimatrice dei braccialetti d'oro e che non potevate perdermettervi di farle perdere la visione di un simile gioiello.
Un sadismo che permea tutto il film per un soggetto che risente degli echi del Fantasma dell'Opera di Gaston Leroux (idea della giovane che si ritrova lanciata al debutto in un'opera teatrale per l'intervento di un sadico che pone le condizioni che portano all'infortunio della titolare) e che diviene background per un sadismo che Argento cercherà di riproporre nel successivo La Sindrome di Stendhal. Opera quest'ultima dove si compirà quel passaggio da vittima a carnefice esorcizzato con forza all'epilogo di Opera ("Non è vero che somiglio a mia madre: sono molto diversa, diversissima, io non sono una sadica come lei!"). Il legame con gli spettatori diviene più marcato ed esplicito in Demoni. Film prodotto da Dario Argento per Lamberto Bava, qua riscritto da Massimo Brando. Si tratta di un soggetto metacinematografico, sospeso tra il fantastico d'atmosfera (caratterizzato dalla parte che si vede scorrere dalla sala di un cinema) e quello urbano alla George A. Romero (il riferimento va a Zombi). Massimo Brando assolve piuttosto bene al compito a cui è chiamato per quella che è la trasformazione narrativa di un film che forza la mano sullo splatter e sulle metamorfosi da umani a demoni (caratterizzati alla stregua di zombi capaci di correre), puttosto che lavorare sul contenuto di fondo (come invece fa Suspiria o, in chiave criptica, Inferno). Ne esce una storia che ha nell'azione la propria arma di forza, ma che non sfrutta appieno le buone premesse iniziali (con tanto di riferimento alle profezie di Nostradamus). Il momento centrale del film è il passaggio in cui la fantasia cinematografica si trasforma in pazzesca realtà, con la tipa che, ferita dall'amica contaminata da un male di cui non si riesce a capire né la giustificazione né la fonte (se non il taglio subito da una scheggia inserita all'interno di una maschera esposta nel cinema), squarcia dal retro il telone su cui vengono proiettati le immagini di un film che anticipa la deriva e il morbo che irromperà nella realtà. Un modo come un altro per dire che quello che si vede al cinema, spesso e volentieri, viene superato dalla realtà così da forgiare il vecchio adagio secondo il quale "la realtà supera la fantasia". Una conclusione apocalittica di cui, tuttavia, non vengono fornite spiegazioni, così da lasciare spiazzati i lettori.

I due pezzi forti del volume, insieme al giallo orrorifico Phenomena (100 pagine firmate Cozzi), restano comunque Suspiria e il suo sequel Inferno. Nicola Lombardi riesce nell'impresa di confezionare un elaborato che, se non fosse la traduzione di un film di Dario Argento, sarebbe da definirsi un grande gioiellino di cui andare fieri. Una prova a dir poco sontuosa, seppur dilatata in alcuni momenti topici (penso all'assassinio di Sarah). Spettacolose, da un punto di vista tecnico, le ultime quattro pagine che culminano in una conclusione trascendente in cui la protagonista scopre, come nel più classico dei racconti fantastici dei grandi maestri del primo novecento, che la realtà è celata da un velo dietro il quale si nascondono gli orrori di coloro che dominano il mondo. Un passaggio che viene ben reso nella sequenza in cui la protagonista dorme, insieme alle compagne, nella palestra, sentendo un brusio affannoso che altro non è che il respiro di un donna ultracentenaria (la Regina Nera) che sottrae energie al di là di un velo (pitagorico?) da cui si intuiscono solo le forme corporee. "Nulla, nella sua vita, avrebbe più avuto importanza, ora che aveva conosciuto il buio nascosto dietro la facciata dell'esistenza... Continuò allora a ridere (era atroce pensare che spesso le verità più dolorose si manifestano alla coscienza con l'insospettabile manto della burla), e a piangere, trovando esilarante e straziante, al tempo stesso la consapevolezza che tutto, tutto quanto, non era altro che un orribile imbroglio. Ma chi ha, allora, le redini dell'universo?"
Una resa dunque avvicincente, tenebrosa e capace di regalare tensione anche a chi già conosca la storia. Testo quadrato, che si sviluppa pian pianino quasi fosse un giallo, se non fosse per la conclusione in cui sconfina definitivamente in un fantastico in cui il male è una presenza continua e incombente. Protagonista una giovane ballerina americana che giunge a Friburgo (Germania) nell'accademia di ballo dei suoi sogni, scoprendo, suo malgrado, di esser entrata a far parte di una struttura che altro non è che una sede di una congrega di streghe che vivono quali parassite, assorbendo le energie delle giovani allieve. "Lo scopo delle streghe è ottenere vantaggi personali e materiali... Fanno il male, nient'altro al di fuori di quello. Conoscono e praticano segreti occulti che danno loro il potere di agire sulla realtà, sulle persone... ma solo in senso maligno." A scatenare la catena di omicidi una ragione logica e chiara: cancellare testimoni scomodi che possano rivelare la vera natura delle maestre di ballo.
Lombardi lavora anche sulla resa "visiva" del racconto, centrando appieno lo spirito della fotografia baviana su cui tanto aveva investito Dario Argento per la resa onirica del suo film. Una cura dunque al dettaglio da parte di questo scrittore che, a mio avviso, rende il racconto il migliore dell'antologia.

Soffre invece dell'anarchia di fondo, che già si respirava nel film, Inferno. Tentori, chiamato a un compito assai più arduto di Lombardi, non tesse bene i fili della già sfilacciata sceneggiatura di Argento e ne mutua tutti i difetti. Inoltre, a differenza di Lombardi e di Scanner, sceglie un taglio più vicino alla sceneggiatura che alla narrativa. Il racconto, pur se un po' meno del film, è un grande indovinello esoterico in cui trova spazio anche uno pseudobiblia, sulla scia del Necronomicon di Lovecraft, scritto da un tale Varelli che si autodefinisce alchimista tenuto al silentium - per "non turbare le menti profane con la sapienza degli illuminati" - nonché architetto delle dimore delle tre madri "che dominano il mondo col dolore, con le lacrime e con le tenebre". Varelli prosegue nel testo fornendo indizi in chiave allegorica, nella perfetta tradizione ermetica e iniziatica che sottende a certa narrativa e a certa letteratura. Va da se che tutti coloro che entreranno in possesso del volume faranno una brutta fine con il male che si materializza quasi fosse uno spirito che possiede i corpi a piacimento, un po' come nel film Il Tocco del Male, per raggiungere più celermente i propri scopi. Non a caso Dario Argento soleva dire che Inferno costituiva la concatenazione di quaranta indovinelli intrecciati tra loro di cui non veniva fornita alcuna spiegazione, sebbene lo stesso Argento rivelava di saperne la risposta. "Ancora oggi molte persone mi chiedono il perché di certe cose che stanno nel film" spiega Dario Argento "io ho sempre risposto che quei misteri bisogna risolverli da soli attraverso la storia e la conoscenza. Solo in un caso si riescono a capire i perché di certi simboli... Quando si arriva a questo stadio vuol dire che si è trovato il punto d'inizio dell'arte alchemica".  Tematiche che Dario Argento andrà a sviluppare, insieme a Michele Soavi, ne La Chiesa.
Nel racconto si riprende l'idea delle tre madri, fonte di ispirazione di Suspiria (sulla scia del Suspiria De Profundis pubblicato da Thomas De Quincey nel 1845), per spostare la materia centrale del racconto dalla stregoneria all'alchimia (bella la scena, nel tradizionale spirito alchemico proprio dell'immaginario collettivo, in una biblioteca di Roma) e all'architettura occulta. "L'uomo ragionava sul segreto di quell'edificio: quella casa era un organismo autonomo, vivente, colmo di trabocchetti e di segreti. Un abominio dalle molte forme. L'architettura di quel luogo vasto e tenebroso sembrava mancare di ogni fine: corridoi senza sbocchi, alte finestre irraggiungibili, porte che si aprivano su una cella o su un pozzo, scale che finivano senza giungere in alcun luogo, come se tutte le parti dei sotterranei si ripetessero concentricamente."
Ecco che ne esce fuori una storia labirintica sia nella sua struttura (ci si sposta da un continente all'altra con una marea di personaggi, tanto che si stenta a capire chi sia il protagonista) sia nel suo contenuto (ispirato dal volume Le Cattedrali Segrete pubblicato da Fulcanelli nel 1929) con un epilogo all'interno di un edificio, dove risiede la madre delle tenebre, dalla forma labirintica in cui si consumano delitti commessi, più che da un assassinio in carne e ossa, dal male fattosi materia. Inquietante la frase su cui ruota l'intero racconto ovvero che "l'unico grande mistero della vita è che essa è governata unicamente da gente morta." Finale dal grande effetto scenico.

Inserito nel volume, come intermezzo giustificabile solo per allungare il numero di pagine, compare un racconto di Luigi Cozzi intitolato La Porta sul Buio.
Intermezzo che nulla ha che fare con la produzione diretta di Dario Argento pur essendo ispirato da un episodio che lo stesso ricorderà, nell'autobiografia Paura edita da Einaudi nel 2014, quale il giorno più bello della propria vita (una serata passata in una casa nuova con la piccola Fiore, vedendo un film su una televisione a batteria e senza avere ancora allacciato la luce). Scritto dal fedelissimo Luigi Cozzi, si tratta di uno degli episodi dell'omonima saga prodotta dal regista romano per il circuito televisivo. Cozzi parte dall'idea di una famiglia di freschi sposini che si trasferiscono in un villino dove non è ancora stata allacciata la luce. Soli, nel buio, senza un letto e senza candele, i due giovani si trovano costretti a passare la nottata all'interno dello stabile perché la loro auto è rimasta incagliata nella sabbia. Muniti di un televisore a batteria i due notano, durante la visione di un giallo, una profonda macchia di umidità sulla parete da cui inizia a scendere una fitta pioggia d'acqua. Il marito decide così di recarsi dall'inquilino del piano superiore, temendo che lo stesso abbia lasciato un rubinetto aperto. Giunti al cospetto della porta, i due scoprono che la stessa è stata lasciata aperta. Entrano all'interno e trovano conferma dei loro sospetti, spegnendo un rubinetto. Solo che c'è un altro problema: nella vasca c'è il cadavere di una donna...
Racconto thriller classico, scritto in modo fluido ma con delle forzature necessarie a portare avanti il racconto (perché l'assassino avrebbe dovuto lasciare il rubinetto aperto?). A suo modo profetico, si pensi, a esempio, a come gli investigatori avrebbero potuto risolvere il caso relativo al rapimento Moro - i rapitori lasciarono inavvertitamente (!?) un rubinetto aperto nell'appartamento che costituiva il covo della banda – si caratterizza per una struttura classica, giocata soprattutto sui dialoghi. Evidente omaggio finale ai racconti di Edgar Allan Poe (tra l'altro c'è una sepoltura di una persona viva, incubo ricorrente nelle storie di Poe) dove ogni piano dell'assassino viene scardinato da un imprevisto dallo stesso non considerato, così da richiamare alla mente le soluzioni già ammirate ne Il Gatto Nero e ne Il Cuore Rivelatore. Nella fattispecie è il pianto di un bambino a incastrare il killer.

Un cenno finale va fatto al racconto originale, ambientato all'interno del negozio Profondo Rosso del duo Cozzi-Argento, che lega le cinque storie proposte, cinque come le punte di una stella diabolica che vortica nelle mani di un esorcista invertito rispetto alla sua tradizionale funzione e che finisce con l'ipnotizzare il viaggiatore ideale (vuoi proprio ogni singolo lettore) del mondo ideato da Dario Argento. L'autore, peraltro non dichiarato, immagina di dar vita ai cinque racconti/film di Dario Argento come se gli stessi fossero l'incubo vissuto da un cliente che si è avventurato nel museo sotterraneo che si snoda sotto il negozio. Una sorta di lento e graduale rapimento emotivo dettato dalle scenografie, dai costumi e dagli effetti speciali della produzione del maestro del brivido italiano che sfilano durante il cammino nei sotterranei romani. Si scoprirà così che al mondo esistono sette porte per accedere all'inferno e che una di esse, nientemeno che la porta primaria, è celata nelle viscere di Roma, "città santa e maledetta". Indovinate un po' dove si trova questa porta...? Ebbene se Howard Philips Lovecraft diceva di trarre ispirazione per i propri racconti direttamente dai propri sogni/incubi, così da non reputarsi autore delle proprie opere, Dario Argento, a quanto sembra, nella sua veste di osservatore privilegiato di una realtà che è altrove, al di là della piattezza della vita di tutti i giorni, attinge direttamente dall'inferno la linfa delle proprie storie.

A corredo della parte narrativa, a fine lettura, vengono proposte le schede tecniche dei film di Dario e soprattutto una serie di interessanti saggi sulla sua produzione cinematografica. Una ghiottoneria che assume la forma di una ciliegina applicata sul manto di panna disteso sulla torta che completa una cena a base di sugo di pomodoro e frattaglie varie di macelleria scelta e prelibata.

Lettura consigliata ai fan scatenati del regista, con valenza da collezione. Niente di nuovo al fronte, invece, per chi sia a caccia di opere nuove o di diverse interpretazioni originate da una medesima idea o spunto di partenza. I racconti che vi troverete tra le mani sono la perfetta riproposizione in chiave narrativa di quanto già ammirato al cinema o alla televisione.

LUIGI COZZI e DARIO ARGENTO
le due anime del negozio
PROFONDO ROSSO
a Roma.
Sopra Cozzi la diabolica cifra
TRE SEI.

"Scendi il primo dei cinque gradini che prepareranno la tua anima al Grande Segreto! Lasciati andare. Le streghe ti stanno aspettando... La stella rovesciata, osceno simbolo di Satana, si fece enorme e incandescente, nel mio cervello. Una delle cinque gocce scarlatte mandò un bagliore intenso, gonfiandosi, esplodendo, e fu allora che sprofondai in un abisso color sangue."

sabato 1 settembre 2018

Recensione Narrativa: IL PRESAGIO di David Seltzer.



Autore: David Seltzer.
Titolo Originale: The Omen.
Anno: 1975.
Genere: Horror.
Editore: Sonzogno.
Pagine: 192.
Prezzo: Trattativa Privata (Fuori Catalogo).

A cura di Matteo Mancini
"Come mi sarebbe piaciuto chiamarmi Damien" rivela Padre Merrin, il religioso chiamato a sconfiggere il demonio ne L'Esorcista (1971) di William P. Blatty. Ed ecco che quattro anni dopo, in modo assai beffardo, David Seltzer, più noto come regista di documentari e sceneggiatore, veste i panni dello scrittore per confezionare il secondo romanzo satanico più importante del new horror e lo fa introducendo la figura dell'anticristo incarnato in un bambino nato nel 1971, anno di uscita del romanzo di Blatty, chiamato proprio col nome Damien. Un modo come un altro per evidenziare l'ironia del male. Un male che non ammette libero arbitrio, ma è connaturato nella semplice natura del soggetto. Pur non capace di comprendere, il piccolo Damien rifugge dalla Chiesa, grida e si dimena pur di non varcare il portale del luogo sacro, cadendo vittima di convulsioni che inducono i genitori a rinunciare a ogni proposito di battezzarlo.
Il romanzo nasce di pari passo con una sceneggiatura, pressoché identica e sempre scritta da David Seltzer, destinata al cinema e prodotta da Harvery Bernhard per la regia di Richard Donner e l'interpretazione di Gregory Peck. I due progetti avanzano senza intoppi ed escono quasi in contemporanea. Il romanzo, edito col titolo originale di The Omen, esce appena due settimane prima dell'uscita del film.
Forte dell'eccezionale successo ottenuto da L'Esorcista, già capace di aver determinato una lunga serie di epigoni, il film riscuote subito un bel riscontro al botteghino, strappando svariate nomination e persino un Premio Oscar (per la miglior colonna sonora). Un traino che permette all'opera di conquistare nel corso degli anni, un po' come il "cugino" L'Esorcista, lo status di cult assoluto nonché di opera di riferimento sulla tematica anticristo, cui faranno seguito due sequel ufficiali, un apocrifo, un remake (intelligentemente fatto uscire il 06.06.06) e svariati epigoni con Holocaust 2000 (1977) di Alberto De Martino e Un'Ombra nell'Ombra (1979) di Pier Carpi ad aprirne la serie, fino ai più recenti La Mossa del Diavolo (2000), The Calling (2000) e Lost Souls (2000). Un lungo elenco di prodotti neppure vagamente avvicinabili al capostipite che resta, a tutti gli effetti, un classico insuperabile sull'argomento.
Il trentacinquenne David Seltzer, fin lì tutt'altro che famoso, confeziona così quello che sarà considerato il suo masterpiece, capendo fin da subito le potenzialità del soggetto. Opta infatti per una storia dal finale aperto che si presta, assai bene, per una lunga sequela di episodi, non a caso nel 2016 uscirà per il circuito televisivo il serial di dieci episodi intitolato Damien. Una deriva, del resto, già anticipata, narrativamente parlando, da qualcosa come quattro sequel (purtroppo non tradotti in italiano) ognuno dei quali concentrato sulla crescita di Damien Thorn ovvero il figlio di Satana. Ecco così che nel 1978 Joseph Howard darà alle stampe la trasposizione narrativa de La Maledizione di Damien, imitato da Gordon McGill (scrittore conosciuto soprattutto per Piccolo Buddha, da cui il film di Bernardo Bertolucci) che pubblicherà nel 1980 Conflitto Finale, seguito da altri due romanzi non tradotti in film ovvero Armageddon 2000 (1983) e The Abomination (1985).
Si comprende anche da questo l'importanza del lavoro di David Seltzer, essendo alle prese con un personaggio che entrerà nella storia dell'horror garantendo soldi e incassi a svariati scrittori e produttori. Un successo che l'autore americano, proveniente dall'Illinois ma di origine ebraica, non riuscirà più a emulare pur tornando a conquistare spazio col romanzo Profezia (1979), col quale cercherà di ripercorrere la via del più famoso lavoro predisponendo una novelization dell'omonimo film dallo stesso scritto.

Veniamo ora al contenuto del romanzo. Un po' come avvenuto con L'Esorcista, la lettura de Il Presagio assume una valenza di approfondimento per tutti coloro che già hanno visto il film di Richard Donner, immaginiamo la quasi totalità di coloro che entreranno in possesso del romanzo, edito nel 1976 dalla Sonzogno e non più ristampato. Il testo, di fatti, è ricalcato sulla sceneggiatura da cui non si discosta, se non in piccoli particolari di rilevanza marginale (abbiamo i Pastori Tedeschi al posto dei Rottweiler e qualche scena maggiormente truce rispetto al film, ma niente di particolarmente importante). Ne deriva la marginalità della lettura rispetto al visione del film (peraltro ben rappresentato da Richard Donner), così da farne, nel 2018, un romanzo che può interessare unicamente a due categorie di lettori: coloro che vogliono imparare a confrontare due distinte forme di linguaggio (il cinematografico e il narrativo) e coloro che sono alla ricerca di approfondimenti. Se per il primo gruppo di lettori la lettura è sicuramente interessante, per i secondi i riscontri positivi sono di minor presa. Seltzer non approfondisce, più di quanto sarebbe stato lecito attendersi, i temi della pellicola e questo è davvero un peccato. In particolare non spiega come venga concepito Damien, nato dal parto di uno sciacallo. Ci si limita  a far pensare che il figlio del demonio rientri nella categoria dei c.d. homunculus, ma la cosa resta sfumatissima. Damien non è figlio di una donna, bensì dello stupro di uno sciacallo. Dietro a tutto ci sarebbe la mano di una congrega di parroci e suore corrotte al male che, dall'interno della Chiesa, tramano per il successo del demonio. Non a caso i tre fautori della nascita dell'anticristo sono tre personaggi legati alla Chiesa di Roma ovvero Padre Tassone (un pederasta che si farà prendere dai sensi di colpa), Padre Spilletto e una balia che ama truccarsi da volgare prostituta. "Roma, sede suprema del cattolicesimo, era diventata anche il centro dei fedeli di Satana di tutto il mondo."
Seltzer interpreta, a suo modo, l'Apocalisse di San Giovanni, in una chiave moderna e semplificata. Lega i segni delle profezie ad accadimenti realmente riscontrabili, quali il ritorno degli ebrei nella terra santa, l'improvvisa comparsa di una stella nel cielo e una serie di episodi connessi alla tetra cifra seicentosessantasei (la triade diabolica). Ne esce fuori un romanzo snello, assai scorrevole, che riesce a incollare i lettori alla pagina e indurli a proseguire nella lettura. Probabilmente più coinvolgente di un romanzo quale L'Esorcista, perde molto sul versante "genetico", se mi consentite il termine. Inoltre ha una trama non conclusiva, concentrandosi sulla vita del futuro rivale di Gesù unicamente nei suoi primi quattro anni di vita. Laddove l'opera di Blatty possedeva uno sfondo di riflessione, se vogliamo, filosofica e, al contempo, scientifica, il romanzo di Seltzer è mero ed esclusivo intrattenimento, che lavora bene sulle caratteristiche del genere. Si riscontra una riuscita atmosfera, sia nella parte ambientata nella nebbiosa periferia di Londra sia in quella italiana (bellissima sequenza nel cimitero etrusco alle porte di Cerveteri), che trasmette la percezione di un male gravoso e incombente che gravita permanentemente sui personaggi del romanzo. Il demonio, assente in prima persona, partecipa sottoforma di agenti atmosferici (bellissima la sequenza della morte di Padre Tassone, lievemente diversa rispetto a quella del film) o animali (da evidenziare la sequenza finale dell'attacco del cane che sarà poi ripresa da Stephen King per Cujo) senza dimenticare i suoi discepoli che portano tutti il marchio della bestia tutuato sul corpo. Al di là di questo, però, c'è poco altro a dare contenuto intrinseco al lavoro. Verrebbe da sottolineare l'amore dei genitori per il proprio figlio, un amore che va oltre a ogni cosa. Tematica, questa, che sembra arrivare da Rosemary's Baby (1967) di Ira Levin e che comunque, a differenza del romanzo citato, trova un limite superato il quale si deve porre rimedio con drastica soluzione. Lo dimostra in modo netto l'epilogo in cui il padre di Damien abbandona ogni remora e cerca di condurre a morte sacrificale il proprio figlio. Una conclusione, quest'ultima, che sembra non andare di pari passo con i dettami religiosi, contemplando l'omicidio quale soluzione ratificata e giustificata da chi, invece, dovrebbe invertire i processi del male con l'amore così da vincere il primo nel nome del secondo. Seltzer ignora ancora una volta, nel finale, l'importanza della scelta nella religione cattolica, vale a dire la necessità di riconoscere quel libero arbitrio che può portare sulla via del bene così come quella del male. Una scelta che deve esser concessa anche al piccolo Damien che, nel romanzo, è un essere sì maledetto, ma incolpevole degli eventi gestiti da streghe e da presenze ultraterrene.
Il tutto viene incastonato in una cornice dove cerca di attecchire l'amore tra un importante politico americano, in odore di divenire il futuro Presidente degli Stati Uniti, e una compagna che ha svariati problemi a dargli un figlio. La nascita di Damien, che in realtà non è il figlio dei due ma un trovatello nato lo stesso giorno (il sesto giorno del sesto mese alla sesta ora) della nascita del figlio della coppia (ufficialmente morto al parto), cementifica, all'inizio, il rapporto dei due, prima che una serie di episodi inquietanti, introdotti dallo spettacolare (per l'esecuzione tecnica e il contesto in cui la stessa viene eseguita) suicidio della prima balia del bimbo, portino i due ai margini della follia con l'intervento della figura dello psichiatra. Niente a che vedere, tuttavia, con i tecnicismi di Blatty, da cui viene tuttavia ripreso lo scetticismo sulla figura del diavolo. Abbiamo infatti un rabbino che afferma che il diavolo non esiste.
Dotato di maggiori sviluppi rispetto al sopracitato romanzo di Blatty - dalle anticipazioni delle morti offerte da bizzarri effetti ottici notati dalle foto scattate da un soggetto alla caccia di scoop, passando per i continui cambi di ambientazione (si va persino a Meggido, la città sotterranea nei presi di Gerusalemme dove il discendente di un antico esorcista consegnerà le armi con cui uccidere il figlio del diavolo) - Il Presagio si chiude con un epilogo che tale non può esser definito e che rimanda a un'imminente opera che non tarderà a mostrarsi.

In conclusione si tratta di un romanzo di veloce lettura, non troppo approfondito né sul tema anticristo né su contenuti intrinseci sottesi alla traccia principale, che gioca tuttavia in modo sapiente con i contesti ambientali del genere riuscendo, soprattutto, ad alludere a pratiche e situazioni che restano sfumate e non trattate, semplicemente suggerite a livello subliminale. Da questo punto di vista è centrale la signora Baylock, sia per come è solita truccarsi (quasi dovesse piacere a qualcuno di invisibile, perché infatti dovrebbe truccarsi prima di andare a letto se non per incontrare qualcuno?) sia per la sua abitudine di recarsi a fare i propri bisogni nel bosco dove è solita sparire prima dell'alba (come se dovesse incontrarsi con qualcuno o, meglio ancora, con qualcosa di non terreno). Lettura non determinante, per la presenza di un film esaustivo, ma tappa fondamentale per il new horror.

DAVID SELTZER.

"Sembra un piccolo marziano, come se fosse stato inviato sulla Terra per studiare la razza umana. "