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mercoledì 29 maggio 2013

Recensione Cortometraggio HAPPY EASTER (Regia Simone Chiesa e Roberto Albanesi


Produzione: New old story film di Casalpusterlengo, 2013
Regia: Simone Chiesa & Roberto Albanesi.
Genere: Thriller/Horror.
Sceneggiatura: Davide Cazzulani.
Fotografia: Davide Cazzulani.
Colonna sonora: Armando Marchetti.
Interpreti Principali: William Angiuli,Davide Cazzulani,Ornella Vogel,Giulia Del Prete,Luigi Bassi,Marco Battaglia,Andrea Fedeli
Durata: 20 minuti circa.

Commento di Matteo Mancini

Terzo prodotto della New Old Story Film di Casalpusterlengo che dopo il corto di debutto Happy Birthday del 2011 e il successivo Diesis recensito su questo blog dal sottoscritto compie, dal punto di vista tecnico, un deciso passo in avanti virando più marcatamente verso l'horror.

Il corto si apre come una sorta di Hostel ovvero, per i più fissati, come The Torturer di Lamberto Bava da cui mutua anche il taglio di fotografia baviano (davvero eccezionale il lavoro di Cazzulani in tal senso). Si assiste così a quello che potrebbe sembrare un mero esercizio stilistico dei due registi, qua decisamente migliorati nel dirigere immagini e attori (nell'occasione più orientati al made in Italy come dimostrano certe inquadrature argentiane e come dimostra il gioco con il ricorso a immagini carpite da specchi ovvero il trucco del rumore del vento inserito in sottofondo), con torture di ogni sorta ben messe in scena con una sapiente combinazione di montaggio (di Simone Chiesa) e make up. Le scene, non certamente originali e che rievocano pellicole echeggianti gli snuff movie (sono quelle tipiche dei c.d. torture movie), sono impreziosite da un oltranzismo piuttosto disturbante (vengono cavati denti, strappati lembi di pelle e così via). Ciò che salta all'occhio, però, è l'ottimo e certosino lavoro fatto da Cazzulani con la fotografia. Le sequenze sembrano essere ambientate in una grotta (in realtà è una stanza di una casa) con un grande dispendio di faretti muniti di filtri colorati (blu, rossi, verdi e gialli) che donano un'atmosfera molto anni '60 anche grazie alla combinazione delle varie tonalità di colore ottenuta con l'inclinazione contrapposta delle luci di scena.

Dal punto di vista contenutistico, per fortuna, a circa due terzi del corto si assiste a un improvviso mutamento di rotta ed entrano in scena le tipiche tematiche care allo sceneggiatore che, come in Diesis, è Davide Cazzulani. Quest'ultimo torna ancora una volta a interrogarsi sul senso della vita, seppur in modo più velato del precedente lavoro. Ecco che viene fuori una storia perversa in cui le figure di carnefice e di vittima si confondono tra loro per ribaltare addirittura i ruoli e la tipologia di violenza (da fisica a psicologica) in una storia in cui la tortura e la violenza risuonano come volontari tributi da versare sull'altare dell'espiazione necessaria per poter riconquistare quell'innocenza perduta con il trascorrere degli anni. Ecco quindi la ragione del titolo Happy Easter ovvero Buona Pasqua da interpretare come risurrezione metaforica dall'Ade del peccato. "La purezza è sempre quello che ho sempre voluto nella vita" dice il protagonista al fratello, "ma tu mi hai fatto capire che ne ho sempre cercato la distruzione". Ed è anche in questa parte che gli attori (precedentemente limitati dall'assenza dei dialoghi) offrono il meglio di loro con recitazioni sufficienti e ottime dizioni.
Dunque si assiste alla redenzione di un voyeurista colpito dai sensi di colpa, una sorta di ex cliente che commissiona torture da riprendere con videocamera per soddisfare un desiderio morboso generato probabilmente dalla noia e della perdita dei veri valori, almeno questo è ciò che gli autori sembrano suggerire allo spettatore.

Gustosa chiusura, sui titoli di coda, con una serie di foto di scena in bianco e nero scattate con una professionalità degna di ben altri palcosceni.

Happy Easter è dunque un corto con una sceneggiatura non troppo originale, ma che evidenzia i decisi miglioramenti dell'entourage della New Old Story Film che da ora in avanti dovrà cercare di compiere quel salto in avanti anche negli script per cercare di affermarsi tra i migliori nel panorama underground italiano e non solo. Molto buono per quel che riguarda il versante tecnico. Eccelsa la fotografia, specie nella prima parte.

Il corto lo potete vedere gratuitamente al seguenti link: https://www.youtube.com/watch?v=1kD10hVwHVs

martedì 28 maggio 2013

Imola 1994: il Gran Premio maledetto nella stagione maledetta (Articolo di Matteo Mancini)



Riporto qui di seguito l'incipit di un mio ampio articolo dedicato al tragico gran premio di formula 1 corso nella stagione 1994 sull'autodromo di Imola (GP San Marino).
L'articolo, che ha avuto vari apprezzamenti, mi è stato commissionato dai gestori dello storico sito latelanera.com dove ho mosso i miei primi passi da "narratore" nell'ambito, ovviamente, della scrittura creativa.
Il testo riporta tutti gli aneddoti e le migliorie in seguito apportate per effetto degli eventi catastrofici che si verificarono in pista (morirono, lo ricordo, il grande AYRTON SENNA e il debuttante ROLAND RATZENBERGER e vi furono altresì moltissimi feriti in quello che sembra essere un vero e proprio bollettino di guerra).

Articolo di MATTEO MANCINI

Se la Formula 1 fosse un libro sarebbe uno di quei vecchi volumi, fatto di pergamene ingiallite, nascosto in una biblioteca polverosa. Pagine su pagine scritte sull'artificio della memoria per rievocare imprese sfumate nel ricordo dei saggi, ma cristallizzate nella poesia della parola.

Manovre impossibili, vittorie commoventi e successi capaci di entusiasmare interi paesi facendo del pilota una metafora, un simbolo che sconfina oltre le competizioni, un eroe dalla valenza filosofica, una leggenda. Emozioni forti, figlie inconsapevoli dell'altra faccia della medaglia di uno sport duro e pericoloso.

Una faccia cupa, triste, rappresentata da pagine che imbrigliano la gioia sotto il mantello del dramma, della tragedia, autentiche divoratrici dei sorrisi aperti sui volti sognanti dei tifosi. Eventi tanto irreparabili da tramutare il coraggio, la perseveranza e la dedizione di questi uomini in qualcosa di unico, inimitabile e al contempo didattico.

Quanti piloti hanno pagato il tributo più caro di tutti per rincorrere il sogno della loro vita. Emblematica l'intervista rilasciata da Juan Manuel Fangio in ricordo del Gran Premio di Monza del '68: "Gran bella gara. Non è morto nessuno."

Perché accettare simili rischi allora, specie se si considera la vita agiata di molti piloti? L'automobilismo (ma anche la vita) è forse uno sport che richiede degli attori pazzi o degli esaltati inconsapevoli?
No, niente di tutto questo.

Non si tratta di pazzia o di superficialità, ma di passione.
Un pilota, come pochi altri atleti, è una creatura pura, cristallina, libera da ipocrisie e falsità, poiché la velocità è un'attività che non ammette compromessi e impone un miglioramento continuo, questione di decimi. Il rischio è il compagno di avventura più costante di una vita vissuta al massimo ed è inevitabile che sia così.

I sogni, per definizione, esistono proprio perché sono resi tali dagli ostacoli disseminati lungo il percorso. Se tutto fosse piano e dovuto come si potrebbe parlare di sogni? Non esistono sogni che si possano concretizzare senza accettazione di un qualche rischio.

E così, a volte, il sogno diviene fantastica realtà mentre altre, purtroppo, evapora in chimera contro una pila di gomme o contro un muro o ancora contro gli scarichi di un avversario. O si accetta questo o si resta a casa. Il campione di rally Alen diceva: "Non è importante fare il 99% ma il 110%. Se un pilota fai il 99% arriva decimo o undicesimo, e non vince mai. Se attacca al massimo invece vince oppure fa un incidente. Questo è il modo giusto di leggere questo sport per un giovane alle prime gare. Oggi è difficile farlo, perché la macchina costa molto e tutti dicono di andare piano, ma se un pilota accetta questo è meglio che non faccia le gare internazionali: o si tira o si resta a casa".

Dunque non esistono mezze misure, non si può gareggiare senza puntare al massimo delle possibilità. Correre (vivere) significa inseguire un sogno e i sogni non accettano compromessi, fuggono più veloci dei pensieri e richiedono prontezza, dedizione e buona dose di fortuna.

Ayrton Senna era solito dire: "Se una persona non ha più sogni non ha più alcuna ragione di vivere. Sognare è necessario, anche se nel sogno va intravista la realtà, per me è uno dei principi della vita."

Ed ecco che gli incidenti assumono un valore diverso da quello che un comune mortale potrebbe immaginare. Non sono demoni da esorcizzare rifiutando la lotta, né freni con cui strozzare l'ardimento, ma imprevisti da cui imparare a migliorare e da studiare alla stregua di lezioni finalizzate a migliorare la sicurezza in pista senza rinunciare alla competitività.

Al riguardo mi piace riportare il link relativo al trailer dell'imminente film RUSH (regia Ron Howard) che uscirà a settembre e che ha un testo che mi trova perfettamente in linea (sebbene io abbia scritto quanto sopra prima che lo stesso fosse realizzato): http://www.youtube.com/watch?v=VdiF8naM7aE


Il resto del testo lo potrete leggere gratuitamente al seguente link:
http://www.latelanera.com/grandi-disastri-tragedie/evento-drammatico.asp?id=266

SE MI MANDI IN TRIBUNA, GODO (Ezio Vendrame)




Autore: Ezio Vendrame.
Anno: 2002.
Genere: Biografia sportiva.
Edizioni: Edizioni Biblioteca dell'Immagine.
Pagine: 150.
Prezzo: 12,00 euro.
Commento Matteo Mancini
Best seller giunto alla settima ristampa dopo esser uscito nell'ormai lontano 2002. Si tratta di uno dei libri di maggior successo dell'ex calciatore anni '70 Ezio Vendrame che qua propone uno squarcio della sua vita fatto più di aneddoti che di un percorso raccontato nei minimi dettagli.

Definito da Boniperti il Kempes italiano, Vendrame ha per certi versi sciupato il proprio talento a beneficio del divertimento e delle continue fughe amorose con donne o ragazze incontrate nei bar o per caso per strada.
Tra i grandi del calcio poteva essere "Il Grande" campeggia in quarta di copertina. Tuttavia il nostro ha sempre anteposto agli impegni sportivi quelli goliardici e ludici. Esemplificativa è fin da subito al prefazione: Il suo talento era una beffa della natura. Bestemmiato e cestinato. Da calciatore era un disadattato. Scoprì in fretta che l'essenziale era altrove. Nell'amore e nella perdizione, nelle donne e negli amici. Se mi mandi in tribuna, godo è un sincero distillato della filosofia di vita di Vendrame, il quale ammette candidamente i propri vizi e ne fa un vezzo per non dire un pregio. Lo stesso titolo dato al libro è riconducibile a un episodio maturato ai tempi in cui il nostro giocava nel Napoli; mandato in tribuna in una trasferta a Cagliari, Vendrame, senza farsi tanti problemi, ne approfittò per andare con una modella conosciuta nel viaggio di andata e presente in tribuna (da qui il godimento, consumato in modo poco romantico nei bagni dello stadio)!?
Clamoroso anche un suo discorso ai tifosi del Vicenza, quando invitato a parlare al cospetto di una folla che lo acclamava se ne venne fuori con un monologo imprevedibile che lasciò tutti sbigottiti e increduli: "Vi rigrazio per l'affetto che mi dimostrate, ma mi sembrate un po' fuori di testa. Io so soltanto tirare calci a un pallone! Chissà quante cose voi sapete fare meglio di me. Non sono un chirurgo che salva vite umane e nemmeno un operaio che si deve fare un culo così! Sono un fortunato ed è per questo che non vi capisco. Che cosa saranno mai queste partite di calcio! Inventatevi delle alternative domenicali. Andate a vedervi un bel film, leggetevi un libro, oppure restata a casa e fatevi una bella scopata! Non possiamo vivere di solo calcio!"

Il lettore può così immergersi in una lettura veloce e scorrevole fatta di imprese sportive (non molte), follie e notte brave spese tra le braccia di donne spesso libidinose o comunque di facili costumi, ma anche di gustosi aneddoti di personaggi più o meno famosi raccontati dalla lente di Vendrame. E' proprio su quest'ultimo aspetto a cui l'autore dedica le pagine più emozionanti del volume, quasi a testimoniare, forse a ragione, che le amicizie sono la cosa più importante di tutto il resto. Così a fianco di personaggi locali conosciuti da Vendrame e pochi altri, troviamo capitoletti, a volte commoventi, dedicati a grandi personaggi come il cantautore tutto genio e sregolatezza Piero Ciampi (a cui Nada, non a caso, dedicò la canzone Lui è folle), il grande capitano della nazionale campione del mondo del 1982 Dino Zoff (ricordato a inizio carriera quando stampa e tifosi lo osteggiavano), l'indimenticabile capitano giallo-rosso Agostino Di Bartolomei (di cui Vendrame ricorda l'amore morboso per le pistole, ma soprattutto per il suo caratteristico sguardo: Ci sono due occhi che non dimenticherò mai: quelli del mio amico Agostino Di Bartolomei. Ago spiccava tra tutti gli altri per quel suo sguardo cupo, introverso e sofferente), l'idolo di Verona Gianfranco Zigoni (al quale Vendrame dedicherà in seguito la biografia Dio Zigo Pensaci Tu) e ancora molti altri tra i quali Zaccheroni, il giornalista Giancarlo Dotto (che peraltro introduce il libro con una splendida prefazione), Ferlaino e via dicendo.

Le parti migliori del libro sono senza dubbio quelle dedicate alle imprese sportive, purtroppo però Vendrame le limita ai minimi termini essendo più preso dalle sue gesta spese fuori dal campo. La ragione di questa scelta è riconducibile a quanto sottolineato, in prefazione, da Dotto: Il calcio di Vendrame era godimento dell'anima ma anche del corpo. Nel corpo di Vendrame, nella sua animalesca mania di sesso e stupore, l'equazione allo stato puro tra gol e orgasmo, dribbling e libidine. La libidine dell'impresa calcistica in campo, dirompente, sfacciata, eccessiva, si combina con quella boccaccesca fuori campo.

Restano tuttavia indimenticabili, scolpiti nella memoria del lettore, gli episodi riconducibili agli ultimi anni di carriera di un Vendrame ormai sceso in C1 dopo gli anni di gloria vissuti in A con Vicenza (con il quale si permise di fare magie a San Siro con Inter e Milan, in questo caso si esibì anche con un irridente tunnell a Rivera) e Napoli (anno del secondo posto con Vinicio in panchina). L'autore ci racconta di quando pagato per perdere contro un Udinese ormai lanciata verso la promozione, decise di realizzare una doppietta (un gol addirittura direttamente da calcio d'angolo con dichiarazione gestuale prima del tiro) perchè fischiato dal pubblico avversario. Straordinario anche l'episodio in cui, per vivacizzare una partita in cui le squadre si erano accordate per il pareggio, prese palla nella metà campo avversaria e iniziò a dribblare tutti i propri compagni di squadra fino a scartare il proprio portiere e poi riprendere l'azione dalla difesa. In quest'ultima occasione un tifoso morì di infarto e Vendrame, avvicinato da un giornalista, disse: "Ci deve essere una ragione se un malato di cuore viene a vedere proprio me... Forse aveva deciso di suicidarsi!" Bello anche l'aneddoto riguardante l'ascesa del Pordenone dai dilettanti alla serie C con Vendrame, un po' in stile Marangoni protagonista del film Il Diavolo e l'Acquasanta interpretato da Tomas Milian (identico a lui nel look), pregato dai dirigenti per giocare e convinto solo quasi alla fine del campionato in quanto preso da una crisi esistenziale dovuta alla fine di un ennesimo amore (Mi accorsi che per una vita intera avevo amato solo fantasmi. Ovunque fossi mi sentivo un incomodo, soprattutto a casa mia).

Lo stile con cui l'autore sviluppa il volume è piuttosto spartano e predilige l'immediatezza degli aneddoti alla costruzione artistico/stilistica. Ne esce fuori un un volume non articolato, ma composto da tanti aneddoti ciascuno riportato in modo svincolato dagli altri in capitoli dalla lunghezza variabile da una a tre pagine.

Come già detto, Vendrame presta molta più attenzione alle conquiste femminili e alla sua fama di sesso (clamoroso un episodio in cui riuscì a farsi praticare del sesso orale all'interno di un bar aperto!! con battuta cinica del barista il quale si rivolse alla signora dicendole: Sono mille lire per il cappuccino, il cornetto alla crema invece lo offre la casa!), piuttosto che alle imprese sportive. E' pero proprio la folle (in senso positivo) narrazione soprattutto di queste ultime che salva il volume dall'insufficienza e dal cattivo gusto.

Quanto sopra però non deve far pensare a un personaggio privo di etica o di valori. Vendrame, pur essendo libertino oltre ogni limite, dimostra un innegabile attaccamento ai valori come l'amicizia e il rispetto dei meritevoli. Dotato inoltre di un estro fuori dal normale e di una sincerità che sconfina quasi nell'insolenza (bellissimo il capitolo in cui invitato da Minà alla Domenica sportiva spara a zero sui giornalisti e su Aldo Biscardi), merita un grande plauso per le sue lotte contro l'ipocrisia becera di certi ambienti.

Al riguardo riporto due passaggi significativi che ne sottolineano le doti umane.

"Quando qualcuno si espone nel sociale rimettendoci pure di tasca propria, deve difendersi quotidianamente da certe merde che non muoiono mai e che, con le loro invidie e i loro premi Nobel alla stupidità, ti remano contro sperando sempre e comunque che le cose ti vadano male".

"La parola mister è un muro di difesa costruito dagli adulti che hanno paura di confrontarsi e che io ho abolito da sempre. Pretendo che i miei ragazzi giochino con ENTUSIASMO, che aiutino i compagni, che liberino la FANTASIA rispettando ogni decisione arbitrale e, a volte, anche la stupidità degli avversari".

Nel complesso quindi siamo alle prese con una lettura spensierata che regala qualche sorriso, ma che sconcerterà i lettori puritani per l'eccesso di zelo e di sincerità dissacrante tipica del suo autore.

Ps che rende eloquente la filosofia di Vendrame: "Ho sempre detestato la Juventus, l'immagine dell'arroganza truccata da perbenismo. Per me vincere era un incidente di percorso, per loro una condanna. Basta indossare una maglia a strisce bianco-nera per non riuscire a capire la struggente bellezza della sconfitta."