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domenica 12 giugno 2016

Recensione Narrativa: IL GOLEM di Gustav Meyrink.




Autore: Gustav Meyrink.
Anno: 1915.
Genere: Narrativa ermetico/esoterica

Pagine: 270



Commento di Matteo Mancini.

Testo complesso che potremmo definire iniziatico o comunque ad alto contenuto esoterico, che fa perno sulla Kabbalah ebraica per dare la risposta alla domanda su cui ruotano un po' tutte le religioni: Qual'è il significato della vita dell'uomo?
Proposito dunque nobile, complesso, oserei dire di natura religiosa. Sbagliato allora elencare Il Golem nell'ambito della narrativa del terrore, anche se è innegabile una certa atmosfera terrorifica, riduttivo persino comprimerlo nell'alveo della narrativa fantastica. Che genere è allora Il Golem? Semplice, è letteratura con la L maiuscola. 

Gustav Meyrink, appassionato di esoterismo a 360° gradi da quando decise di dirottare la propria vita verso la conoscenza dell'altrove, porta il lettore nelle atmosfere cupe e claustrofobiche del ghetto di Praga dei primi del novecento. E lo fa con un romanzo dalla struttura irregolare, caratterizzato da dilatazioni temporali, ma soprattutto da continui passaggi dal sogno alla realtà che sembrano quasi suggerire quel brain-storming visto, in certi ambienti, come condizione imprescindibile per abbattere il legame al mondo materiale e spingere l'iniziato o aspirante tale alla brama ardente di infinito. Meyrink racconta tutto questo con una serie di personaggi sospesi tra la pazzia e la genialità visionaria, soggetti che rientrano nella quadri-partizione sciorinata da Arthur Machen ne Il Grande Dio Pan ovvero peccatori (spinti da una grande forza d'animo e dedizione nello studio, che ricorrono a qualunque mezzo per trascendere ed entrare nelle più alte sfere ricorrendo a mezzi proibiti col fine di conquistare la sapienza degli angeli), santi (che cercano di recuperare la felicità degli uomini prima del peccato originale senza andare oltre), persone comuni (atteggiamento passivo verso la vita oltre la morte) e i geni (via di mezzo tra il santo e il peccatore per il fine che perseguitano e dunque combattuti circa la via da intraprendere per la salvezza). È proprio su questa ripartizione che gioca Meyrink che propone quattro soggetti cardinali attorno ai quali ruota la storia. Abbiamo un protagonista che rivive per interposta persona (elemento di contatto un cappello) il cammino iniziatico di un uomo che, molto probabilmente, innescherà a sua volta il cammino iniziatico dell'altro; un rigattiere materialista a cui va tutto male perché ha basato la propria esistenza in vista di un materialismo terreno (con ricchezze che perderà finendo in eredità di altri, proprio come le anime non adeguatamente sviluppate), un rabbino che lavora in municipio e che dona il patrimonio ai bisognosi in quanto superfluo (il santo) e due assassini studiosi (i peccatori) che sperano di redimersi cancellando l'onta che li han portati a uccidere consapevoli comunque della vera natura dell'esistenza e dunque peccatori doppiamente dolosi (potrebbero incarnare quelle creature impure ma, a loro modo, superiori alla persona comune, cui Meyrink fa cenno quando parla dell'Armilos ovvero una sorta di corrispondente anticristo della tradizione cristiana che potrebbe nascere dall'unione di questi esseri con l'anima corrotta).

Ma prima di scendere nel dettaglio vediamo di capire chi era Meyrink poiché, contrariamente a quello che mi capitava di leggere spesso in certi ambienti, la vita e il background di uno scrittore/autore sono fondamentali per tentare di capirne l'opera. Meyrink, al secolo Gustav Meyer, nasce quale figlio giuridicamente non riconosciuto di un politico dello stato del Wurttemberg e di un'attrice di teatro. Vede la luce nel lontano 1868, a Vienna, ma si forma in Germania e in Repubblica Ceca (all'epoca impero austroungarico) dove decide di trasferirsi completati gli studi. Di origini ebraiche, riceve una formazione che potremmo definire, oggi, commerciale. Ha un'interessante inizio di carriera, dapprima quale impiegato in un'azienda di esportazione poi come banchiere. Fonda una banca tutta sua in quel di Praga, contrae matrimonio con la figlia del banchiere della concorrenza e pone le basi per un futuro florido. Ha una prima parte di vita come molti suoi coetanei benestanti. Ama le donne, gli scacchi e il canottaggio, poi d'improvviso muta orientamento filosofico. Il motivo principale è il proprio status: lui non è un nobile, pur avendo ricevuto tutto quelle che serve, e ciò non lo aiuta a fare il salto decisivo. Non viene accettato dall'alta società. Il matrimonio si sgretola presto, si trova costretto a sfidare a duello un rivale che però non decide di battersi con lui poiché Meyrink non è un nobile e dunque non è degno di scontrarsi con lui. È l'inizio di un male oscuro che inizia a consumare il futuro scrittore. Meyrink non da modo di farlo vederlo all'esterno, dato che la sua posizione nella società civile si accresce, ma è sull'orlo di una crisi di nervi, sta per cedere al richiamo dell'aldilà. Delusioni amorose, una felicità che non riesce a trovare e un atteggiamento di sfida verso la società borghese che non vuole accettare, un po' per via del suo antimilitarismo, del suo odio per il mondo militare (composto da persone ree di eseguire ordini senza interrogarsi sulla natura degli stessi, simili ad automi) ma anche del suo genio ribelle e non convenzionale inviso ai potenti. Appassionato di satira, pubblica nel 1901, sul giornale Simplicissimus (di cui diventerà fervente collaboratore), il racconto Il Soldato in Fiamme. Atteggiamenti che lo portano presto a essere bollato quale scrittore grottesco, umoristico, dotato di un'ironia caustica che non risparmia nessuno. Insomma qualcuno da non prendere sul serio, ma comunque scomodo e irriverente. Finisce sotto l'occhio del ciclone di politici e bulletti locali, che fanno di tutto per togliergli credibilità e rispetto. Meyrink è trasparente nel lavoro, serio, eppure viene accusato di strozzinaggio, persino di furto. Lui non si tira indietro, non ci sta a vedere infangato il proprio onore e reagisce sfidando a duello tutti gli ufficiali del reggimento di stanza a Praga. Viene comunque incarcerato, ma al processo vende cara la pelle dimostrando l'infondatezza delle accuse. Una vergogna per Praga, ma tutti fanno finta di nulla. Viene rimesso in libertà. Meyrink ormai ha ventitré anni, è ancora giovane tuttavia comincia ad accarezzare la possibilità di fuggire da un mondo che non riconosce come proprio. Una sera, che per lui diventerà fondamentale, si trova in un albergo con in mano una pistola che ha recuperato in giro per la città. Nella mente mille pensieri contrastanti, una meditazione però che sembra aver preso una piega decisa (avverrà qualcosa di simile anche per il protagonista de Il Golem). A un certo punto, proprio mentre sta immaginando di far pressione sul grilletto, nota passare sotto la porta della camera in cui alloggia un opuscolo. "Che strano" pensa. Senza quasi accorgersene posa la rivoltella, l'appoggia sul comò per liberarsi le mani. Col palmo in cui prima teneva la pistola si accarezza i capelli, un veloce passare sul cranio come l'HILLEL che guarirà la coscienza del protagonista del suo futuro Golem. "Cosa diavolo sarà?" È curioso, vuol vedere cosa gli ha riservato il fato, cosa è passato sotto la base del portale che aveva pensato di non dover più aprire... Si alza, titubante, fa qualche passo, poi si ferma... Ha la bocca impastata, la lingua che spinge sui denti serrati. Un tentativo inconscio di sputare fuori parola, ma niente... Quel "Chi sei?" non esce fuori. L'ombra di chi ha lasciato il foglio si sta allungando sotto il pertugio, il silenzio viene scacciato dal rumore di passi che si allontanano, veloci, scattanti, come lo schioccare di zoccoli che battono su un selciato di sampietrini. E' caldo, maledettamente caldo, eppure non dovrebbe esserlo, data l'altitudine e il freddo che discenderà nel romanzo Il Golem quando il protagonista sarà in preda al Bagatto, la prima carta dei tarocchi, il suo perfetto doppio. Gustav si ferma, resta in ascolto. Scende di nuovo il silenzio, l'ondata di calore si placa, si raffredda. Allora il giovane ventitreenne si piega sulle ginocchia, guarda, e cosa ti vede? Un depliant, un semplice e banale depliant di una casa editrice che tratta temi legati al mondo dell'occultismo. Le dita, avide, scorrono le poche pagine e gli occhi cadono su titoli che vertono sullo Yoga, ma anche sulla magia, lo spiritismo e la stregoneria. Argomenti che non lo avevano mai interessato, ma che gli fanno scoccare una scintilla che fa di nuovo ardere la fiamma della vita e ruotare la chiave in una serratura che mai il pragmatico Meyrink si sarebbe immaginato di far scattare. 

Il giovane GUSTAV MEYRINK.

Da quel famoso giorno Meyrink inizia a frequentare ambienti più o meno legati all'esoterismo, restandone però poco impressionato. Predilige allora la lettura, la conoscenza immortalata nella carta stampata, ma anche qua finisce con diventare preda della confusione. Comprende allora, come suggerirà il filosofo Krishnamurti, che bisogna trovare l'illuminazione dentro sé stessi, non all'esterno o in terze persone. Una visione antropocentrica. Il suo approccio all'esoterismo diventa così introspettivo, da intendersi quale metodo di sviluppo della “vista interiore” (il famoso terzo occhio, ndr) contrapposta alla menzognera vista legata al principe dei cinque sensi che ha nell'occhio il suo strumento (si badi di cosa è specialista il figlio dell'antagonista e che tipo di operazioni vada a fare ai suoi clienti, ndr). Accumulati dati e saperi esoterici, ma soprattutto elaborata una propria filosofia di stampo esoterico trascendente che lo porterà a fondare una sua loggia, loggia della stella blu, dieci anni dopo l'evento che lo aveva salvato dal gesto estremo, prende una decisione drastica: sposa la causa artistica della scrittura e si ritira dalla carriera lavorativa. Gli inizi non sono facili. Vive grazie ai proventi che gli arrivano dall'attività di traduttore. Lavora soprattutto sui testi di Dickens, dando poi alle stampe una raccolta di racconti, La Raccolta delle Figure di Cera (1913), che spara a zero sulla borghesia dell'epoca e che è il risultato della serie di pubblicazioni su Semplicissimus. Nel 1915 però spiazza tutti, facendo uscire a rate quello che oggi è ricordato come il suo principale romanzo, primo di cinque, e che è Il Golem. Il successo, piuttosto sorprendentemente data la complessità del testo, è immediato. Da allora su Meyrink s'è scritto di tutto. Chi lo considera uno scrittore illuminato (Julius Evola), chi un alto esponente di gruppi filo massonici, chi addirittura un vero mago e chi, infine, lo reputa un burlone che si è divertito a giocare con l'esoterismo. Si comprende dunque fin da qui quanto sia controversa l'opera di Meyrink, uno scrittore che non ricercava tanto il riscontro del suo pubblico ma dichiarava di voler fare un uso veicolare della narrativa, quale mezzo per rivelare, in forma allegorica e romanzata, le vie e gli strumenti per raggiungere uno stato e una conoscenza di ordine superiore. La base della narrativa di Meyrink passa tutta da questo suo passaggio: “La vita normale è sonno; ciò che noi chiamiamo agire e imparare altro non è che il frutto automatico di azioni meccaniche, che si dipanano sul piano strettamente materiale; chi limita sé stesso a condursi su questo piano, si logora e consuma come fa un meccanismo, che alla fine si rompe, e rimane materia inerte. Invece, l'uomo risvegliato grazie alla sapienza esoterica, rompe il guscio dell'animalità e fa ascendere la sua coscienza fino ai piani superiori dell'essere; sveglio durante la vita, resterà tale anche dopo la morte fisica: sua, e soltanto sua, sarà l'eternità.” Ne Il Golem Meyrink dice che è difficile parlare di queste tematiche alla gente comune, a un pubblico non preparato, non veramente motivato, perché la risposta sarebbe una sola: “Sei malato, non capisco cosa stai dicendo, cosa hai fumato?”. Queste persone, a detta dell'autore, “trascorrono come una corrente, simili a erba che a breve appassirà” sprecando la loro vita in modo passivo e improduttivo, simili a bestie che si occupano solo dei bisogni fisiologici senza sapere guardare oltre, senza interrogarsi sul loro ruolo nel complesso disegno divino (bellissimo il passaggio dove Meyrink mette in scena la figlia del rabbino, tale Miriam, che parla di sognare di sposarsi specificando però con chi o cosa).

GUSTAV MEYRINK maturo.

Dunque un'analisi e una filosofia diretta a superare il materialismo che domina la vita sociale per acquisire quelle conoscenze (esoteriche in quanto elitarie) funzionali alla conquista di quella salvezza che prende il nome di vita ultraterrena. Una via come un'altra finalizzata a rispondere alla domanda che attanaglia tutte le coscienze illuminate che cercano di trovare il segreto della vita attraverso la risoluzione di un quesito all'apparenza semplice, "qual'è il significato della mia vita?", a cui diventa alquanto difficile dare una risposta oggettiva e incontrovertibile. Ancora una volta si può dire tutto e il contrario di tutto, ma almeno in apparenza. Ed è su questi temi che ruota il romanzo Il Golem, un'opera che cela sotto la parvenza di romanzo un testo onirico che è quasi un saggio incentrato sulla Kabbalah ebraica, sul tema del doppio e sull'inconscio, a simboleggiare un cammino di risveglio che porta alla conquista dello status di Ermafrodito ovvero l'evoluzione spirituale in grado di superare il limite della morte. “Chi non va verso lo spirito con ogni atomo del suo corpo non potrà contemplare i segreti di Dio” spiega uno dei personaggi cardinali del romanzo; e lo spiega al cospetto di un individuo, un burattinaio, che personifica l'uomo comune che vorrebbe ogni cosa spiegata e di pronta soluzione, così da non dover ragionare e non metterci del proprio. Fa poi seguito una critica implicita agli approcci religiosi essoterici (quelli tipici delle religioni standard, diciamo così, in quanto rivolte alle masse): “Guarire tutti gli uomini con un unico metodo è privilegio della medicina soltanto. Colui che domanda riceve la risposta di cui ha bisogno... Ciascuno ha il dovere di trovarsi da solo le vocali segrete che gli dischiudano il senso a lui e a solo lui destinato.” Ne deriva la necessità di un lavoro attivo, come uno studente che deve proporre un suo metodo a un professore, un suo approccio personale, ragionato e calibrato, che non può copiare dalle esperienze altrui, ma che deve trovare da solo la via, nei labirinti oscuri dell'esistenza, che lo porti a imboccare quell'unico corridoio che sfocia nel sentiero della luce, vincendo paure, apatie, stasi e soprattutto facendo scelte decisive e pericolose. Illuminante, al riguardo, il percorso nei sotterranei praghesi che farà il protagonista, a rischio di morire, fino a notare una botola a forma di stella (simbolo determinante in certa narrativa), da cui filtra luce, che lo immette nella stanza del golem. Il golem di Meyrink, che tornerebbe a funestare le vie di Praga del quartiere ebraico ogni 33 anni (altra cifra simbolica molto forte), non è quello della tradizione folkloristica. Per intenderci meglio, non ha nulla a che fare con l'apatica creatura d'argilla generata da un rabbino esperto di Kabbalah come invece avviene nel successivo Il Golem di Frank Graegorius (Libero Samale, altro grosso studioso di esoterismo) recentemente proposto col titolo Sinfonia del terrore (recensito su questo portale). Assume infatti, a mio avviso, una natura metaforica. Esso non è tanto un fantasma, come suggeriscono alcune interpretazione di altri lettori, ma incarna la natura base dell'uomo “dormiente”. Non a caso dorme risvegliandosi solo al completamento dei 33 anni (quasi a simboleggiare il culmine del cammino che porta al risveglio, non credo sia casuale), tornando così in vita facendolo però in modo funesto poiché privo di anima ed essendo così costretto a ritornare sempre in vita, ciclicamente, senza possibilità alcuna di trascendere. Fino ad allora però è spento, confinato in un palazzo sacro inaccessibile, sprovvisto di porte, che può esser raggiunto solo da chi intraprendi un labirinto sotterraneo nascosto, pieno di insidie. Il golem, così caratterizzato, simboleggia lo spauracchio della condizione umana, il rischio di non trovare se stessi, di non sviluppare il proprio io celato in una dimensione apparentemente inaccessibile, con il rischio di emulare la triste sorte del golem, ovvero di tornare di nuovo in vita, perdendo così il proprio tempo in un sonno inconscio che prende la piega di un circolo vizioso da cui non c'è via di uscita se non quella della pazzia o dell'incoscienza. Bisogna comprendere come riuscire a fecondare la propria anima (da qui il libro che viene portato in casa dell'artista, proprio come quell'opuscolo trovato da Meyrink e che lo smuove creandogli una supernova di visioni, e che si dischiude sul capitolo intitolato Ibbur) e farlo nel modo adeguato, non è possibile altrimenti recuperare dagli errori. La memoria, da leggersi quale precedente esperienza di vita vissuta culminata con la morte, finisce preda della nebbia, alla stregua delle anime raccontate nella mitologia greca e costrette a bere dalle acque del fiume Lete prima di riessere messe in circolo. Niente più rimane della precedente vita (non a caso Meyrink, prima della morte, aderirà alla filosofia buddista, ndr) se non un quaclosa di atavico, sbiadito e confuso. Non a caso il protagonista della storia, un artista (soggetto maggiormente portato a staccarsi dal materialismo un po' come il religioso o il matto), non ricorda il proprio passato, vive svariati sdoppiamenti di personalità che passano dalla realtà al sogno e si sovrappongono tra loro: “Mi avevano sottoposto all'ipnosi, avevano murato la stanza che metteva in comunicazione quei compartimenti del mio cervello e fatto di me un individuo senza patria in mezzo alla vita che mi circonda.” Non è forse lo specchio della condizione del golem raccontato da Meyrink? Per vincere la morte è necessario evocare e purificare il proprio doppio, il c.d.Habal Garmin (il soffio delle ossa). Meyrink mette in scena questa figura in modo materiale, con taglio da ghost story, ma ancora una volta si tratta di un simbolo. Penso di poter dire che lo scrittore austriaco parli dell'anima, come una creatura cui dar vita, sviluppare e a cui unirsi per creare un vero corpo completo, rappresentato dalla figura dell'ermafrodito che incarna tutte le caratteristiche dell'uomo e della donna a indicare l'essere perfetto, la completa realizzazione cui è diretta la vita terrena, il vero “miracolo” dell'esistenza. Così si legge: “La meta ultima è la fusione di due esseri in quello che può essere simboleggiato dall'Ermafrodito, l'unione magica dei generi maschile e femminile in un semidio, principio di una vita nuova, eterna.” Forse non a caso quando si parla di angeli si parla di esseri asessuati, ma si potrebbe forse dire anche l'esatto contrario a indicare la completezza degli elementi. 

Il non superare l'ostacolo della vita, ovvero non comprenderne il vero senso, porta alla moltiplicazione degli Io e al sempre più continuo contrasto interno con conseguenziale stato di confusione. È esemplificativo il passaggio che il protagonista del romanzo fa, in sogno, quando si trova attorniato da una serie di persone che simboleggiano i suoi “io ereditari”, al cospetto di un essere privo di testa che lo invita a compiere una scelta con un momento che fa sorgere, al lettore moderno, la sequenza con MORPHEUS (il dio del sogno) che invita Neo a scegliere tra la pillola blu o la pillola rossa nel famoso Matrix.. Ogni persona porterebbe in sé i resti psichici dei propri progenitori. “L'anima non ha nulla di singolo, ha da diventarlo, e ciò si chiama allora immortalità, ma prima di allora è composta da molti Io in conflitto.

Testo dunque difficile, non per tutti, dove la trama, la storia, è secondaria rispetto ai contenuti intrinseci. È persino poco interessante parlare della sinossi, dal momento che si tratta di un romanzo onirico, claustrofobico, che non vuole raccontare una storia, piuttosto smuovere le coscienze dei lettori e portarli a farsi delle domande. Posso solo dire che, a livello superficiale e immediato, trapela una grande descrizione e un'ottima atmosfera della Praga del primo novecento. Il ghetto ebraico viene tratteggiato in modo claustrofobico, quale un microcosmo da cui diventa difficile liberarsi. Interessante anche la puntata di critica sull'amministrazione ceca, con un protagonista ingiustamente incarcerato per anni prima di scoprire che era innocente. Si tratta però di tematiche strumentali a portare in scena una visione trascendente che segna l'inizio di un cammino che l'autore Meyrink è riuscito a sviluppare nel corso della sua narrativa e su cui ha improntato tutta la propria esistenza. 

Il successo del romanzo ha ispirato vari film dell'espressionismo tedesco che hanno comunque utilizzato la figura del golem della tradizione ebraica, piuttosto che scegliere la via battuta da Meyrink o proporre una (difficile) trasposizione cinematografica del testo dell'autore viennese. A ogni buon conto, si tratta di un testo che deve esser presente nelle biblioteche di ogni vero appassionato di narrativa fantastica, ma che non piacerà ai lettori medi. Volume di nicchia, vero e proprio capolavoro e fonte di riflessioni e discussioni grazie alle diverse chiavi di letture con cui si può cercare di scardinarne il senso. Da quel che ho letto è da non perdere l'edizione a cura della TRE EDITORI, corredata di un'ottima prefazione e di note di margine che purtroppo non ho avuto la fortuna di leggere.

Scene de IL GOLEM COME VENNE AL MONDO
diretto nel 1920 dal duo tedesco
Carlo Boese e Paul Wegener.  

Anche questa partita a scacchi io l'ho calcolata sino all'ultima mossa... Non c'è mossa cui io non sappia rispondere, sino alla fine, e lasciando il segno. Io le dico che chi con me si lascia attirare in un gambetto d'alfiere, quello è già penzoloni in aria come una marionetta attaccata a fili invisibili, fili che sono io a tirare, e a quello non gli resta più altro da volere... A questo mondo tutto è un gioco di scacchi.

venerdì 3 giugno 2016

Recensione Narrativa: L'ORRORE CHE VIENE DALL'EST (The Inevitable Conflict) di P.H. LOVERING aka H.P.Lovecraft



Autore: Paul H. Lovering (secondo Fusco e Amazing, pseudonimo H.P. Lovecraft).
Genere: Fantascienza distopica.
Anno di pubblicazione: 1931.
Prima Edizione Italiana: 2000.
Editore: Profondo Rosso
Pagine: 176 + prefazione Fusco. 
Prezzo: 21 euro.

Commento di Matteo Mancini.
Romanzo controverso che la Profondo Rosso ha pensato bene di pubblicare nel 2000 come storia scritta da H.P. Lovecraft assicurandosi così un bottino di vendite maggiore rispetto a quello che avrebbe riscontrato se avesse pubblicato il tutto col nome con cui uscì nel 1931 sulla celebre rivista Amazing ovvero a firma Paul H. Lovering. Se la scelta è risultata commercialmente vantaggiosa, ha altresì scatenato, data la popolarità del supposto autore, un vero e proprio moto di ricerche internazionali da parte degli appassionati di Europa e Stati Uniti. Dunque una pubblicazione che ha avuto, a suo modo, impatto mondiale, ottenendo, quanto meno, un bel risultato a livello di immediato ritorno pubblicitario. Ma è stata davvero una scelta truffaldina quella della casa editrice romana facente capo al duo Cozzi-Dario Argento? Ni, perché se è vero che non ci sono fonti certe che il testo sia stato scritto da Lovecraft e pur vero che non si può dire di avere prove sicure che accertino il contrario. Lo studioso Sebastiano Fusco, nell'introduzione alla lettura, dedica ben quindici pagine per spiegare le ricerche e le varie chiavi interpretative per sciogliere l'arcano legato al fantomatico P.H. Lovering. Chi è costui? E' davvero uno pseudonimo del solitario di Providence o è un autore realmente esistito, piuttosto che il risultato dell'unione dei cognomi di due autori? 

Tutto prende le mosse da una scritta sulla rivista Amazing dell'epoca dove si precisava che Lovering altro non era che l'autore di The Colour out of Space ovvero Il colore venuto dalla Spazio, celebre romanzo di Lovecraft e unico del solitario a esser stato pubblicato proprio su Amazing. Ma perché fu scritta questa notizia? I detrattori della paternità Lovecraft paventano la possibilità che gli editor della rivista abbiano confuso per errore i due autori, non essendo praticamente uscito quasi niente a firma Lovering se non un precedente romanzo nel cui epilogo figurava una stella chiamata Providence. Fu un critico francese, tale Jacques Sadoul, a evidenziare la cosa negli anni '70, senza però dare risposte definitive e senza avere seguito nei circoli letterari, almeno fino alla scelta di Fusco di azzardare una pubblicazione a nome Lovecraft basata su meri aspetti indiziari come l'uscita di un articolo del 1914 sull'Evening News in cui Lovecraft, celato sotto uno pseudonimo corrispondente al nome del protagonista dei Viaggi di Gulliver, si prendeva gioco di un astrologo (tale Hartmann). In questo articolo il nostro sosteneva di essere un collega di Hartmann molto più bravo dello stesso, al punto da poter ipotizzare “un'invasione generale dell'Europa e dell'America da parte dei Mongoli nel 2142 da cui scatuirà uno spaventoso conflitto che terminerà con la completa sconfitta degli orientali, costretti a cedere tutte le terre conquistate“. Fusco fa notare come in questa giocosa profezia risieda, per sommi capi, il soggetto de “The Inevitable Conflict“. Fusco precisa altresì come la caratterizzazione del contesto socio-politico rispecchi i timori di Lovecraft legati all'involuzione sociale di cui lo stesso sospettava esser portatore il capitalismo, interessato solo agli interessi materiali da perseguire a qualunque costo ivi compreso il disprezzo dell'arte, del coraggio, dei valori dello spirito. Dunque un mondo dove il denaro viene anteposto all'onore, dove va benissimo anche passare per vigliacchi purché vi sia un ritorno economico. Tutti temi che in “The Inevitable Conflict“ finiscono per risultare preminenti tanto che Fusco afferma che “la tematica del romanzo è indiscutibilmente lovecraftiana“. Piuttosto convincente fin qui, se non fosse per lo stile narrativo e i personaggi del testo. Fusco stesso ammette delle diversità rispetto alla produzione lovecraftiana. “Lo stile appare abbastanza diverso da quello di Lovecraft, ricco com'è di dialoghi diretti e povero di descrizioni ambientali“ commenta lo studioso, quasi a malincuore. Diciamo così perché, in verità, lo stile è totalmente diverso da quello del “nostro“. Scorrevolissimo, privo di alcun interesse per la natura architettonica delle costruzioni, infarcito di pagine e pagine di dialoghi, povero di aggettivi e avverbi, estraneo del tutto al mito dei grandi antichi (salvo che qualcuno reputi tali i vari Washington e Lincoln) e alle sfumature orrorifiche nonché incentrato, soprattutto, sulla figura femminile sia da un versante dispotico e soffocante, sia da uno romantico (viene persino raccontata una storia d'amore osteggiata dal regime!?). Inoltre appare un profondo rispetto, quasi un'ammirazione, per il popolo Mongolo, quando invece Lovecraft, cultore della tradizione anglo-romanica, aveva un approccio quasi razzistico e vedeva nel diverso una pericolosa minaccia di contaminazione di culture che, a suo dire, avrebbero condotto alla morte dell'occidente alla maniera in cui i barbari portarano al tracollo dell'impero romano. Fusco è ben consapevole di tutto questo però non si arrende e da comunque per scontato che Lovecraft sia stato dietro al progetto: “la mia personale opinione è che qualcun altro oltre a Lovecraft abbia posto mano al testo, che potrebbe basarsi su un canovaccio da lui steso all'epoca della polemica con Hartmann“. In sostanza Fusco arriva a suggerire l'esistenza di un ghost writer che abbia sviluppato un soggetto di Lovecraft, un po' come si favoleggia di alcuni romanzi di Stephen King. Soluzione affasciantante, ma che ci pare assai improbabile dal momento che, di solito, era proprio Lovecraft a sviluppare i soggetti altrui, e non l'inverso, avendo un ruolo talmente forte, oserei dire assorbente, da far emergere il proprio stile anche nei lavori altrui. La personale opinione di Mancini è che il testo non sia stato scritto da Lovecraft e che lo stesso, da un punto di vista diretto, ne sia del tutto estraneo. Perché dico diretto? Perché il romanzo potrebbe esser stato scritto da un estimatore di Lovecraft, magari qualche lettore di Evening News informato sulla vere identità del fantomatico astrologo che osò sfidare Hartmann, al punto da trasformare in realtà romanzata quella profezia pubblicata su evening news, il tutto condito da un pizzico di filosofia politica che lo stesso Lovecraft esternava di continuo nella sua copiosa corripondenza. Penso che potrebbe essere una soluzione interessante anche questa. Eppure se cercate su wikipedia, alla voce L'Ororre che Viene dall'est, troverete un dato secondo il quale Lovering sarebbe stato uno scrittore effettivamente nato nel 1880, a Philadelphia, e deceduto nel 1943, del tutto alieno al mondo di Lovecraft ma anche a quello della letteratura. In realtà, quello che su wikipedia viene dato per certo non è altro che un'ennesima supposizione che si cerca di far passare per acquisita. Tutto si baserebbe su una ricerca messa in piedi da uno studioso americano che avrebbe provveduto a compiere una ricerca nel censimento federale degli Stati Uniti del 1930, trovando un solo Paul Henry Lovering (oltre a un bambino) che di lavoro, per giunta, faceva l'editore associato del Seattle Times e che, udite udite, era specializzato proprio in cronache di guerra. Bingo, verrebbe da dire, visto che The Inevitable Conflict è un romanzo di guerra... Un vero e proprio indizio grave, concordante e preciso contro la tesi di Fusco. Si, certo, ma c'è un però... Come si spiega il fatto che un giornalista della caratura di Lovering non abbia mai, difatto, riconoscito come proprio un testo uscito in una rivista celebre come Amazing? I fautori della paternità Lovering ci sorvolano sopra, ma per il sottoscritto si spiega male, anzi, malissimo. Lovering infatti, oltre che i giornali con cui collaborava, avrebbe beneficiato non poco a divulgare questa notizia, acquisendone prestigio e blasone offerto dall'accostamento alle penne che passavano su Amazing. Non si capisce quindi la ragione di celare una paternità del genere e, oltre tutto, di fare in modo che il direttore di Amazing imputasse il testo a Lovecraft senza fare smentite o precisazioni. Poco si comprende poi, se non come bizzarra conseguenza orchestrata da un destino in vena di scherzi da primo aprile, il fatto che l'opera precedente di Lovering, inedita in Italia e intitolata When the Earth Grew Cold, abbia un epilogo in cui i protagonisti fuggono dalla Terra per recarsi su una stella che si chiama Providence. Un caso davvero assurdo, per essere nel semplice gioco delle coincidenze involontarie, dato che Providence è la città di origine di Lovecraft e che, ironia della sorte, si trova agli antipodi rispetto alla città da dove invece scriveva Lovering. Ma chi ha scritto, allora, queste opere? C'è poco da girarci intorno, resta una domanda insoluta, un rompicapo che fa delle coincidenze la sua arma di forza e che porta editori e studiosi a sposare le più disparate tesi. Se in Italia Fusco ha sposato furbescamente l'idea che a scrivere sia stato Lovecraft, in Spagna i testi sono stati pubblicati a firma Lovering facendo riferimento proprio al giornalista trapiantato a Seattle. Le bizzarrie però non sono finite. Lovecraft e Lovering erano autori americani, benissimo questo lo sanno tutti. Come si spiega allora che in America e in Inghilterra nessuno si interessi ai romanzi firmati Lovering, proprio nessuno dall'Arkham House al resto della compagnia? Una risposta potrebbe allora sorgere, marketing...

La copertina dell'edizione italiana.

Abbiamo visto che di certo non vi è niente, se non il tentativo di cavalcare un'ipotetica paternità lovecraftiana per vendere un libro che, con altra firma, avrebbe venduto quanto un'opera di un autore dell'underground italiano. Eloquente la scelta della coperta dell'edizione italiana (a cura di Astore Aniazzi), con testo ribattezzato in modo opportuno e accattivante da Fusco come L'orrore che viene da Est in luogo del bruttino Il Conflitto Inevitabile, con una donna vestita in modo provocante e incatenata in un sotterraneo, che sta per essere aggredita dai tentacoli di un essere verosimilmente appartenente ai míti di Cthulhu. Un'immagine che evoca erotismo, sottolineato da una gonna svolazzante che mette in mostra la parte terminale delle calze, miscelato a un'orrore ancestrale di stampo lovecraftiano. Aspetti questi ultimi del tutto alieni all'opera che il lettore si appresterà a leggere una volta girata la copertina. The Inevitable Conflict è infatti un romanzo di guerra con ambientazione in un imprecisato futuro dominato da due super potenze che si contendono il dominio del mondo. Un tema che, involontariamente, anticipa gli orrori della futura Guerra Fredda, per parlare dell'involuzione degli Stati Uniti col passaggio dalla Repubblica del novecento a un matriarcato elitario che altro non è che la dittatura degli imprenditori e delle banche (in questo l'autore ci aveva visto lungo), dove a comandare sono le donne e i reparti di amazzoni che tengono sotto scacco una popolazione maschile svirilizzata e costretta a pensare unicamente a lavorare, riprodursi e mangiare. E perché si è giunti a questo estremo? “Perché nella lista delle priorità degli uomini ci sono la gloria, il desiderio di scrivere il proprio nome sulle terre conquistate, il gusto di dominare e la sete di potere; gli uomini sentono l'obbligo di combattere, rischiare la vita, persino morire perché la razza continui la sua corsa verso il progresso“ tutti aspetti immaturi, se vogliamo fanciulleschi, che cozzano con la pace, la sensazione di sicurezza e la prospettiva di una vita comoda che vanno cercando invece le donne e che costituiscono base imprescindibile per una famiglia, figurarsi per uno stato che basa tutto sul commercio e sul profitto. Si badi bene, la ricerca della pace non viene vista come condizione necessaria per poter vivere meglio e salvare vite umane, ma quale condizione necessaria per agevolare gli affari, aumentare profitti e la rete di scambi da cui poi estrapolare denaro. Dunque una pace ipocrita, da leggersi egoistica con l'illusione di essere un valore cui tendere di natura altruistica e da qui, appunto, ipocrita. Il matriarcato viene così visto come il perfetto rappresentante dei poteri forti, delle compagnie industriali e commerciali, che hanno sempre più avuto influenza sulle classi politiche della vecchia Repubblica fino a destituirla, con la promessa di una vita regolare, tasse tollerabili e assistenza sicura, ma a quale prezzo? Semplice, la schiavitù e la perdita delle libertà, prerogative a cui deve tendere ogni regime totalitario in modo da rafforzare il controllo sulle masse e dominarle.
Dall'altra parte invece, a est, vi è il pericolo giallo costituito dai Mongoli, caratterizzati in modo ammiccante da Lovering, quale mondo degno d'onore e di rispetto (“Noi Mongoli, poveri ma usi a combattere, non sacrificheremo la nostra virilità sull'altare del commercio e del profitto; Che miserabile branco di codardi nutre il vostro governo; La Mongolia non combatte con chi è senza difesa“) perché, nella loro crudeltà (della serie “Io sono duro, ma sono giusto“ come direbbe l'Hartmann di Full Metal Jacket), i mongoli sono portatori dei valori di lealtà, del coraggio, dell'audacia, della temerarietà e del desiderio di conquista, chiaramente amplificati fino alle tragiche conseguenze. L'azione e lo spirito d'avventura contrapposti alla staticità e all'apatia del Matriarcato. In mezzo a questi due blocchi si scatenerà la rivoluzione interna al matriarcato stesso, con un gruppo di reietti, comandati da un discendente delle caste bene, intenzionati a respingere con le armi l'invasione mongola, anziché tentare di comprare gli aggressori come cercherà di fare il matriarcato (“Compreremo chiunque, ma manterremo il comandoo questa nazione andrà in rovina“), e a ricostituire i vecchi valori dell'antica Repubblica, realizzando un vero e proprio colpo di stato in vista della democrazia (“Prendo il potere togliendolo dalle mani inette e ipocrite che hanno messo in pericolo la sicurezza della nazione. Governerò fino a quando il popolo non avrà eletto i propri rappresentanti“). A nulla serviranno i tentativi del Matriarcato di arrestare l'avanzata del passato, neppure il tentativo di bloccare il comandante dei reietti mettendogli dietro una donna di polso a cui viene ordinato di conquistarlo emozionalmente per poi sposarlo. Bellissimo il passaggio, direi piuttosto lovecraftiano (ne sottolinea il timore inconscio verso le donne), in cui Lovering scrive: “Un uomo del tuo livello che manifesta idee sconvenienti viene rimosso completamente dalla vita pubblica col matrimonio. Gli fanno sposare una donna della sua stessa estrazione sociale, con un carattere particolarmente forte“. Dunque una società dove le donne sono castranti, oppressive e soffocano ogni libera espressione dei maschi, costringendoli a vivere nell'ombra. Ma i tempi sono prossimi a cambiare, ritornerà a sventolare quella bandiera riposta nei cassetti, destitituita dal regime, la vecchia e gloriosa stars & stripes e con lei tornerà lo spirito militare, il patriottismo, la libertà di scelta. Decisive saranno proprio le armi del passato, a sottolineare la superiorità della tradizione sul processo tecnologico del capitalismo esasperato. I reietti escogiteranno un'arma capace di annulare l'energia atomica che regge il nuovo mondo, spegnendo così le armi evolute del nemico e ogni propulsione dei suoi aereoveicoli che, privati di spinta, precipiteranno al suolo con gran fragore. Di impatto simbolico la morte del coraggioso imperatore mongolo, fin lì trionfatore in ogni continente, che muore perché colpito da un sasso scagliatogli in fronte da una fionda. Impossibile non leggervi la parabola biblica di Davide contro Golia.

Sebastiano Fusco.

Dunque un romanzo che rientra nel campo della fantascienza distopica, incentrato sull'involuzione dell'America addebitabile al degenero proprio del capitalismo. Una società dove la sete del profitto ha annullato ogni altro aspetto della vita, sia animale (la virilità), sia romantica (il vero amore) ma soprattutto spiriturale (la cura dell'anima). L'unico modo per cercare di ristabilire i valori tradizionali è la rivoluzione, il ritorno alle armi, la riscopertà della virilità quasi a voler rispolverare la genesi degli Stati Uniti, una società plasmata sul sangue e sulla violenza. Tematiche estremizzate da Lovering, quasi a voler sottolineare che non esistono cambiamenti radicali se non figli della violenza, poiché per vincere le resistenze spesso non è sufficiente il mero consenso popolare. Eloquente questo passaggio in cui il Matriarcato così si esprime, sia in riferimento agli invasori sia in riferimento alle resistenze interne arrivando persino a contemplare l'ipotesi dell'omicidio del rivale politico: "Compreremo chiunque, ma manterremo il comando, altirmenti questa nazione andrà in rovina". Una visione all'apparenza pessimistica, ma che si è riscontrata nella realtà ovunque si sia passati da un regime a una vera democrazia popolare. “Non è con la rivolta delle caste inferiori che salveremo l'America, anzi, il cambiamento dovrà avvenire nel pieno rispetto dell'ordine e delle gerarchie, altrimenti ci ritroveremo immersi nell'anarchia!“ ammonisce il matriarcato, per cercare di dissuadere i reietti dai loro propositi rivoluzionari, ma, a suo modo, prendendo le distanze dal popolo stesso ritenuto incapace di prendere decisioni di valenza politica. Lovering sembra suggerire che la rivolta è invece l'unico mezzo per liberarsi da quei regimi che poi prenderanno piede alcuni anni dopo l'uscita del romanzo, pur lasciando trapelare una certa sfiducia nell'uomo (i Mongoli si suicideranno, di fatto, per cercare di realizzare un proposito che si rivelerà irrealizzabile) tanto da aver portato a dominare la donna, in quanto incapaci di gestire, per eccesso di foga, i risultati acquisiti nel corso della storia. Un giudizio dunque di complementarietà tra la figura maschile e femminile, dove il giusto probabilmente starebbe nel mezzo. Da una parte una virilità che altro non sembrerebbe che il prodotto di un'immaturità fanciullesca dove guerra e potere hanno sostituito, con conseguenze assai peggiori, i giochi di gioventù; non sarei infatti il primo a definire la guerra come un gioco inteso in chiave sportiva del termine; dall'altro una severità castrante, fatta di calcolo e programmazione rigida che uccide i sogni di gloria e con essi gli stimoli di prospettiva dell'uomo e che è prerogativa specifica della figura femminile. Come dice un vecchio detto, dunque, la virtù è da ricercarsi nel mezzo, ma non ci sentiremmo certo di dirlo con valenza politica. Questo è il contenuto priminente del testo, che lascia poi in secondo piano le descrizioni, assai semplicistiche e in parte datate, delle strategie e delle scene di guerra, addirittura chiamando in causa trincee e assalti alla baionetta stile guerra dell'indipendenza degli Stati Uniti (soluzione dettata dalla caduta dell'intero reparto aereo dei Mongoli). Il maggior motivo d'interesse, dunque, risiede nella struttura politico organizzativa della nuova America con la necessità assoluta di tornare ai vecchi sistemi, all'antica REPUBBLICA contrapposta a un Matriarcato che compra e baratta tutto e che incarna il governo dell'imprenditoria. Un mondo diviso in due blocchi, prima ancora che si potesse parlare di Guerra Fredda, e che giunge all'inevitabile conflitto, con una rivolta interna che porta a cadere l'ipocrita governo delle donne che soffocano libertà, dividono in rigide classi sociali, programmano unioni, uccidono sogni e ideali a beneficio di un presunto interesse economico collettivo che si rilfette negativamente sull'interesse individuale. Risolutive le armi del passato con una fionda che mette K.O. il grande imperatore della Mongolia. 

Una visione conservatrice, a suo modo sognante, che farà però leva sulla sete di distruzione e di conquista dell'uomo, non tanto per una malvagità di fondo ma per un bieco senso dell'onore da misurare nell'uso della forza e dell'astuzia ("Le vittorie sono frutto dell'intelligenza e non delle sole armi"). Dunque una parabola anche della genesi degli STATI UNITI con un popolo invasore, in quel caso europeo, emigrato nel nuovo continente per fondare una società inevitabilmente nata sul sangue dei vinti ovvero degli indiani d'america.

Piacevole, ma la struttura è da romanzo pulp pur se con qualche bel passaggio filosofico-politico. Si astengano dall'acquisto coloro che si attendono un romanzo lovecraftiano, perché ne resteranno delusi. 

William Wilson
Lovecraft Lovering
King Bachman
Le nostre vecchie metà oscure...


I governi non sono che incidenti nella vita di un popolo. La vecchia reupubblica ha fallito perché non è riuscita a imprimere nella mentalità delle masse la lezione che un'amministrazione efficace richiede la partecipazione attiva negli affari pubblici di tutti gli uomini e le donne dotati di buoni sentimenti. La miserabile autocrazia che ci ha guidati finora crollerà perché fondata soltanto sul profitto, sulla falsa premessa che l'uomo sia stato creato per produrre ricchezze, e non le ricchezze per il progresso spirituale dell'uomo