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sabato 16 settembre 2023

Recensione Narrativa: STAGIONE DIVERSE di Stephen King.

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: Different Seasons.
Anno: 1982.
Genere:  Drammatico / Antologia.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 588.
Prezzo: 16.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
PROSSIMAMENTE
 

Rita Hayworth e la Redenzione di Shawshank (Rita Hayworth and Shawshank Redemption) apre la raccolta, mostrando fin da subito la natura drammatica del volume. Non particolarmente lungo, appena centodieci pagine, si sviluppa quasi tutto in flashback, con l'artificio di un narratore che racconta, da testimone oculare, l'esperienza carceraria del protagonista, un bancario ingiustamente incarcerato nella prigione di massima sicurezza di Shawshank con l'accusa di omicidio. Classico men in prison con un King che ricorre a tutti gli stereotipi del genere per intavolare un discorso sulla speranza e sul creare tutti i presupposti affinché questa possa potenzialmente concretizzarsi.

A parte l'ingiusta incarcerazione di un condannato per un omicidio che non ha commesso, abbiamo direttori carcerari che non concedono possibilità di difesa al fine di avviare revisioni processuali, guardie che abusano del loro ruolo correttivo, detenuti molestatori (presente una dura scena di stupro omosessuale), attività ricreative e, immancabile, la spettacolare evasione che lascia tutti basiti (narrativamente interessante la scena nelle fogne). Molto viene concesso alla sospensione dell'incredulità. Come si può infatti prendere sul serio la presenza di un vero e proprio tunnel che parte dalla cella di un detenuto e si dirama nei sotterranei del carcere senza che nessuno, in trent'anni, si accorga della lenta e costante attività di erosione giostrata dal prigioniero? Lo stesso discorso, inoltre, è da farsi per lo stratagemma (un particolare pezzo di vetro conficcato nel terreno in un campo utilizzato a mo' di segnalaratore!?) attraverso il quale l'evaso rinviene una chiave sotterrata anni prima riconducibile a una cassetta di sicurezza dove è custodita un'ingente somma di denaro. King pare non credere alle soluzioni prospettate, tanto che lui stesso evidenzia le basse percentuali di riuscita di un similare piano. Ecco che Rita Hayworth e la Redenzione di Shawshank, che poi verrà trasposto da Frank Darabont al cinema sotto il titolo Le Ali della Libertà (1994), piuttosto che una storia realistica (per lunghi tratti lo è, con un'eccezionale creazione del mondo carcerario), diviene soprattutto un'allegoria sulla speranza. Del resto lo stesso sottotitolo “L'Eterna Primavera della Speranza” non nasconde le intenzioni dell'autore.

Fulcro di tutto è la spiegazione che il protagonista da al compagno di cella: “Quando arrivano i pasticci ci sono due tipi di uomini al mondo. Uno dei due tipi di uomo si limita a sperare per il meglio. L'altro prevede il peggio. Questo secondo tipo sa che non c'è niente di male a sperare per il meglio finché sei preparato al peggio.” Questo è quello che fa Andy Dufresne, un uomo che sì spera ma che, nel contempo, lavora sulle soluzioni alternative, qualora dovesse concretizzarsi quel peggio che la prima categoria di soggetti ha deciso di ignorare al rischio di farsi trovare impreparata all'appuntamento. Dufresne lavora molto da lontano sul suo futuro, facendo il tutto da stratega, così sognatore da sfiorare la lucida follia. Le abilità contabili e finanziarie gli consentono di conseguire, a breve tempo, vantaggi e trattamenti di favore, dando dritte e consulenze a guardie e direttori. Diviene protetto e intoccabile, uno status dietro il quale, all'insaputa di tutti, lavora per la grande fuga dopo aver toccato con mano che lo stato di carcerario lo ha involuto, agli occhi delle presunte "persone perbene" (non lo sono), al rango di subumano. Gli andrà tutto bene, come si intuisce dal melodrammatico epilogo, dove King si concede una vena poetica in onore di un'amicizia che va al di là dallo stato di colpevole e innocente. La libertà, tuttavia, dopo tanti anni di reclusione, si sgretola in un qualcosa di inutile, un vantaggio di cui non si può godere, poiché quando si sta in cattività per tanto tempo si finisce per percepire la realtà di un mondo altro, con regole altre, in cui, tutto sommato e nella pochezza della situazione, si finisce per recitare un ruolo mentre là fuori si è guardati con sospetto e si è dei soggetti da evitare, incapaci di sostenere quella vastità infinita che è la libertà. Una sorta di agorafobia che porta a rimpiangere lo stato di detenzione, un'esistenza scandita da regole, procedure e regolamenti che cadenzano le fasi di un tempo che ha svestito la natura convenzionale dell'ordinario vivere per divenire indefinito e costantemente uguale (a parte per il deperimento del corpo). "O fai di tutto per vivere o fai di tutto per morire" questo il quesito finale di fronte al quale si troverà a scegliere il narratore, la scelta da demandare al volteggiare aereo di un'ideale monetina a cui affidare le sorti del proprio futuro: gioco o non gioco la partita?

 

 



martedì 12 settembre 2023

Recensione Narrativa: L'OCCHIO DEL MALE di Stephen King.

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: Thinner.
Anno: 1984.
Genere:  Horror.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 302.
Prezzo: 9.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Romanzo della rivelazione circa il mistero legato all'effettiva identità mascherata dal nome Richard Bachman. Dopo La Lunga Marcia (1979), Uscita per l'Inferno (1981) e L'Uomo in Fuga (1982), Bachman è infatti pronto a rivelare la sua reale identità che, non a caso, sarà di dominio pubblico poco dopo l'uscita del romanzo facendo lievitare le vendite da 28.000 copie a 280.000. King sembra volere gridare al mondo che dietro al romanzo si cela la sua firma, tanto da ambientare il finale a Bangor (città dove il vero autore vive e lavora) e fare addirittura una serie di giochi di parole dove suggerisce che, per la follia dei fatti narrati, la storia sembra proprio una di quelle scritte da Stephen King.

Insomma, non occorreva un provetto indagatore per venire a capo del mistero, ma sarebbe bastato prendere sul serio quanto scritto nel testo. L'Occhio del Male infatti, più dei tre precedenti romanzi, è un testo palesemente kinghiano. Mantiene la struttura compatta (senza farsi prendere la mano dalle descrizioni) e il ritmo sollecito tipico dei Bachman, ma sposta i contenuti dalla fantascienza distopica verso i poteri parapsicologici tipici dei primi lavori di King. Nella fattispecie si parla di un “Gran Maestro Magiaro” ultracentenario capace, col tocco delle mani, di scagliare maledizioni che provocano effetti sul fisico delle persone sfiorate. Ecco che si torna a pensare a qualcosa non poi troppo distante, per ispirazione, a La Zona Morta (1979) dove, con la pressione di una mano, si poteva intravedere il futuro della persona di volta in volta toccata. Incuriosisce, piuttosto, il lavoro sui personaggi. Ne L'Occhio del Male non ci sono personaggi positivi. L'antagonista, padre di una vittima di un incidente stradale, diviene addirittura un soggetto le cui azioni maligne sono giustificate dall'ingiustizia, mentre il protagonista (un avvocato sovrappeso che perde progressivamente sempre più chili per effetto della maledizione) diviene un viscido soggetto capace di chiudere accordi con mafiosi e di vendere la salute della moglie a beneficio della propria.

Tra le tematiche secondarie spicca l'incapacità della scienza (medica) di accettare l'imponderabile e l'irrazionale, dovendo sempre cercare una ragione per tutto. In questo King ricorda certi racconti brevi di Gustav Meyrink, penso a Il Soldato Bollente (contenuto nell'antologia La Morte Viola), arrivando a cercare di trovare una giustificazione ai fatti piuttosto che analizzarli in maniera deduttiva ammettendo l'ignoranza e la fallacità della scienza.

Altra tematica, non poi così marginale e peraltro ancora di moda, è il clima di sospetto e di rigetto sociale verso gli zingari, cacciati di città in città anche quando, in fin dei conti, non hanno fatto niente di illecito.

Non mancano alcune scene forti, tra fiondate che aprono orifizi nelle mani delle vittime, depezzamenti ed eruzioni cutanee che trasformano in campi di battaglia i volti delle vittime (c'è persino chi sviluppa squame su tutto il corpo). Degni di nota gli incubi apocalittici dell'avvocato, tra avvoltoi e cittadini ridotti in stato scheletrico che caracollano prossimi a sputare l'anima dai denti. Da notare la componente action, con alcuni momenti degni di un romanzo di guerra. Un personaggio italiano, infatti, si rende artefice di un blitz armato di kalashnikov, con tanto di volto dipinto di nero per mimetizzarsi nella notte, attraverso il quale cerca di convincere l'antagonista, instaurando un clima di paura, a ritirare la maledizione scagliata sul suo cliente.

In conclusione, L'Occhio del Male è un romanzo dalla giusta lunghezza e dal ritmo abbastanza sollecito. Sicuramente, sarà un cult amatissimo tra gli zingari, sia perché attribuisce ai nomadi poteri sovrannaturali sia perché non li caratterizza in modo peggiore al presunto “uomo civilizzato della città” che, d'altro canto, appare come corrotto, privo di scrupoli, egoista e clientelare. Finale restauratore decisamente beffardo che vanifica tutti gli sforzi del protagonista.

Distribuito in Italia dal 1986 con un titolo diverso rispetto all'originale. Esce infatti negli States col più appropriato Thinner ovvero "più magro". Dal romanzo è stato tratto nel 1996 un B-Movie diretto da Tom Holland, già regista de I Langolieri e soprattutto de La Bambola Assassina.

 
Scena dal film del 1996.

La maggior parte della gente non crede a quel che vede, a meno che non vada d'accordo con quel che già credevano...la mia definizione di idiota è precisamente questa: un tizio che non crede a quel che vede.”

lunedì 11 settembre 2023

Recensione Narrativa: IL PALIO DELLE CONTRADE MORTE di Fruttero & Lucentini

Autore: Carlo Fruttero e Franco Lucentini.
Anno: 1983.
Genere:  Giallo / Ghost Story / Folcloristico.
Editore: Oscar Mondadori.
Pagine: 155.
Prezzo: 7.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Quarta collaborazione del duo Carlo Fruttero e Franco Lucentini, indiscussi maestri del fantastico di metà novecento, basti solo rammentare la loro lunga permanenza alla direzione della collana di fantascienza della Mondadori Urania.

Dopo alcuni gialli convenzionali legati alle indagini del commissario Santamaria, i due scrittori provano qualcosa di diverso e di originale. Il Palio delle Contrade Morte ha tutta l'impressione di essere uno sperimentalismo teso a fondere diversi registri e generi popolari per rimodularli in qualcosa di autoriale. L'operazione può dirsi abbastanza riuscita, sebbene il finale affondi in un delirio metafisico che finisce probabilmente per sfuggire dalle sapienti mani del duo di creatori.

La storia, spalmata su tre giorni (dal 13 al 16 agosto), è costruita su un doppio binario destinato a uniformarsi verso l'epilogo in un'unica dimensione narrativa. La narrazione procede a rimbalzo: ora si concentra sugli antefatti e ora torna al presente narrativo, con i protagonisti affacciati dai balconi dei palazzi di Piazza del Campo in attesa che volga al termine il corteo storico del Palio di agosto e prenda il via la “corsa” (a Siena si direbbe la “carriera”). Solo verso la fine i due binari si incontrano per prendere un'impostazione che sfugge dai canoni, cambiando sempre forma e pelle, fino a mettere in dubbio la realtà mostrata piegata da un qualcos'altro che si cela sotto la medesima. Il Palio delle Contrade Morte, infatti, sembra proprio interrogarsi su cosa sia davvero reale e cosa invece sia solo un'apparenza superficiale. Eppure tutto ha inizio all'insegna del consueto, verrebbe da dire della logica tipica dei romanzi popolari italiani che, a inizio anni ottanta, popolavano le edicole.

Una coppia di milanesi, in viaggio nella campagna toscana verso la fattoria di un parente, si perde alle porte di Siena sotto un'inaspettata grandine estiva. La tormenta disorienta i coniugi che riparano in una villa gestita da strani personaggi, l'uno in rapporto di parentela con l'altro (evidente l'atteggiamento di parodia verso certe storie gotiche). Il plot propone il classico cliché degli horror gotici della serie I Racconti di Dracula, perché all'interno della magione i due nuovi arrivati diventano bersaglio di seduzioni amorose oltre che testimoni di uno strano assassinio che porta all'intervento dei carabinieri e all'impossibilità per tutti i presenti di lasciare il luogo. Fruttero e Lucentini partono da qui, in un rimbalzo tra presente narrativo e antefatto giallo. Un'impostazione popolare (intrisa anche di contenuti erotici) che, a poco a poco, evolve in altro. Emerge lo splendore di Siena e delle sue tradizioni, tratteggiate in modo impeccabile. Gli autori curano nel dettaglio gli aspetti della “giostra” paliesca, forniscono aneddoti e spiegano intrighi, “partiti”, accordi più o meno occulti per far vincere quella contrada o far perdere l'altra, tra fantini bugiardi e altri venduti. In tale atmosfera prettamente realistica prende spazio dapprima l'allucinazione, quindi il soprannaturale e infine addirittura il metafisico. La percezione dei fatti dei protagonisti sembra influenzata dall'assunzione di sostanze psicotrope. Questi infatti modificano i propri comportamenti, specie nella sfera sessuale, diventano lascivi e vengono storditi da quanto capita loro intorno. Il loro modo di percepire il mondo cambia, si deforma portandoli a estraniarsi dalla quotidianità per esser proiettati in qualcosa di altro. E' come se fossero stati stregati dal posto e dall'atmosfera paliesca. Ecco allora che dietro l'apparente realtà si celano ulteriori visioni, in un mix che frulla storia, folclore, giallo, ghost story, critica sociale, consumismo e chi più ne ha più ne metta. Pur se elegantissimo nella costruzione dei periodi e nella scelta delle parole, Il Palio delle Contrade Morte è un romanzo che lascia perplesso il lettore, destinato a perdersi in una conclusione che tale non vuole essere e che soprattutto suona per arrendevole e irriversibile (il protagonista finisce per indossare il fazzoletto di una contrada morta). Sorge il sospetto addirittura che Fruttero e Lucentini intendano “supercazzolare” il lettore e con lui il protagonista, che incarna proprio l'italiano medio. Fantasmi e viventi, in una sorta di lontano passato e quotidianità, si confrontano in una corsa impossibile dove tornano a calcare il tufo persino le contrade morte. Sono proprio queste, con i loro improbabili capitani (forse loro stessi fantasmi), a rivelarsi le grandi manovratrici occulte del palio raccontato dai due scrittori, mentre il protagonista, sempre più perso dallo spettacolo, ha la sensazione di essere vittima di un continuo zapping televisivo che lo vede dall'altra parte del monitor, ovvero personaggio di quanto scorre sulla televisione.Quanto basta per fare del romanzo un prodotto diverso dal solito e forse, proprio per questo, meritevole di lettura.

Se l'epilogo lascia un po' perplessi, sono di straordinario livello le descrizioni delle corsa paliesca, tra nerbate, cadute e mosse estenuanti. Sicuramente amatissimo a Siena, è stato oggetto di molteplici edizioni e lo potete trovare anche in formato ebook.

venerdì 8 settembre 2023

Recensione Narrativa: PARLA COI MORTI di Bruno Vacchino.

Autore: Bruno Vacchino.
Anno: 2018.
Genere:  Horror/Fantastico Rurale.
Editore: Novilunio Stampe Amatoriali.
Pagine: 146.
Prezzo: 11.30 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Nel nostro peregrinare narrativo torniamo a incrociare sulla strada i progetti dei “tipi” del Novilunio Stampe Amatoriali che di “amatoriale” hanno giusto il nome. Al posto di Daniele Vacchino o di Davide Rosso, facciamo la conoscenza di Bruno Vacchino (1939), ideale vertice superiore di un triangolo narrativo ancora tutto da scoprire (e purtroppo ignorato dalla quasi totalità dei lettori appassionati al genere).

Padre del talentuoso (quanto outsider di un sistema editoriale dallo stesso rigettato) giallista Daniele Vacchino, Bruno è un cultore di narrativa e scrittore che ha riscoperto, nella maturità, il gusto per la creazione letteraria. Pubblicato nel 1981 dalla Rebellato Editore, sulla spinta della passione e dell'entusiasmo del figlio (e del “socio” Davide Rosso) è tornato a dar sfogo alla propria fantasia. Cacciata via la ruggine con il libro di poesie La Solitudine del Rito (2018), si è di nuovo misurato con la prosa col noir Robert Prima del Colpo.

Il volume che ci troviamo oggi ad analizzare, Parla coi Morti (2018), è un'inusuale (per struttura) antologia mascherata da romanzo. Costruito su un dialogo dinamico tra padre e figlio, il volume propone una serie di avventure innescate dalle foto, di volta in volta, ammirate sulle tombe del cimitero di Saluggia all'interno del quale si muovono i due personaggi della storia. Il padre del narratore, infatti, trova ispirazione per rivelare al figlio avventure personali che ruotano attorno ai personaggi i cui nomi affiorano sulle tombe visitate. Ne viene fuori una sorta di gotico rurale di matrice testamentaria (una sorta di volontà di salvare ricordi che, altrimenti, andrebbero perduti), dove il fantastico di fondo folcloristico e agreste traspare da diversi racconti. Un parlare di fantasmi, strane apparizioni e dialoghi ultraterreni che, in apparenza (salvo poi subirlo con una sorta di rimando Nietzschiano che suggerisce un'adesione agli insegnamenti sofisti), cerca di svelare il gran mistero della vita. Cosa ci attende oltre la morte? Bruno indaga, ci offre uno sguardo, ma poi ci ammonisce dal procedere oltre, poiché scrutare negli abissi porta, inevitabilmente, a subirne un richiamo verosimilmente illusorio dettato da erronee valutazioni su quanto si pensa di aver compreso.

L'occasione è propizia per affrontare la questione con un atteggiamento alquanto beffardo e disincantato. “Non voglio andare in Paradiso. Dalle poche informazioni che si son potute raccogliere, almeno per quel che valgono, perché gli uni non sanno e gli altri inventano, non è un posto pieno di divertimenti. E, poi, lo sanno tutti che le donne più belle sono finite di sotto. Almeno li hai da fare in modo piacevole e nessuno ti fa la predica e di sicuro incontri gente che la vita l'ha saputa vivere... Il Paradiso è un posto per palati fini.”

Bruno Vacchino lascia intendere, regala suggestioni e crea atmosfere misteriche che, tuttavia, vengono quasi del tutto esorcizzate da un piglio fatalista (la condanna all'inferno o la promozione al paradiso sono viste come predestinate questioni di appartenenza sociale, in cui i poveri, abituati a interessarsi ai fabbisogni esistenziali, sono condannati anche nell'altrove per i loro approcci materialisti) dove l'ironia e l'invito a vivere la vita (anziché interrogarsi su cosa sarà) finiscono per smontare quella che potrebbe sembrare un'impostazione trascendente.

Le avventure che si susseguono (nonostante la postilla finale) suggeriscono episodi di natura autobiografica e permettono di riportare in vita soggetti trapassati da tempo, con i loro vezzi e le loro stranezze. Non tutti i racconti sono fantastici. Si parla di individui dal grande fascino, capaci di far innamorare donne e, al tempo stesso, di mettere in fuga male intenzionati, così come si parla delle avventure domenicali a bordo di un carro trainato da buoi in compagnia del nonno in una campagna di metà novecento che si veste di contorni fiabeschi con i suoi picchi, i cuculi e i misteriosi uccelli dal piumaggio ocra; ma ci sono anche gialli, incidenti mortali scanditi da disattenzioni o sogni premonitori, suicidi che suggeriscono la commissione di omicidi mascherati, chiese sbarrate che intrappolano spiriti diabolici, spiriti inquieti che si celano tra le tombe, animali psicopompi e campanari depositari di saperi arcani. Bruno Vacchino allude, lascia intendere, suggerisce, ma non rivela mai pur lasciando pensare di possedere curiose doti medianiche. Il suo è un fantastico volutamente sfuggevole, supposto e come tale interpretabile, poiché è compito dell'uomo penetrare nel significato più profondo delle cose senza accontentarsi della superficie su cui invece si soffermano la maggior parte delle persone.

Com'era anche chiamato il dio, tra i tanti nomi? L'ambiguo. E perché i suoi oracoli si potevano interpretare in due modi opposti? Perché la divinità si nasconde ai nostri occhi, sempre. È questa la sua caratteristica. Oggi si mostra con un voltoe tu credi di averla vista e domani, invece, ti appare con un aspetto completamente diverso.”

Fortissima appare dalla lettura la nostalgia per un tempo ormai lontano, più incline al sogno e più basato sui legami personali, sebbene semplici e senza particolari pretese. Un'epoca in cui per sognare bastava davvero poco e in cui si rinnovano le gesta di personaggi degni di un romanzo ormai vivi solo nel ricordo personale di chi è sopravvissuto al incedere del tempo.

Che uno non faccia mai più ritorno e che di lui si perda ogni traccia... è questo che rende terribile la morte” scrive Bruno. Ecco che Parla coi Morti si carica di una componente melanconica preponderante su tutto il resto, sebbene mitigata dal filosofare decisamente pragmatico del padre del narratore e dalla sua verve che sfiora spesso una farsa degna di Così Parlò Bellavista (1984) di Luciano De Crescenzo e, al tempo stesso, dell'oscuro argomentare per enigmi di Eraclito.

Non c'è un passato e un presente, ma un presente del passato, perché tu guardi il tuo passato da quale punto? Dal presente d'oggi e, poi, lo guarderai dal presente di domani. Ma è sempre un presente. Un presente, per giunta, ambiguo, sfuggente, perché in continuo divenire.”

Elegante nel lessico, leggero nella costruzione dei periodi, il testo scorre rapido e regala diversi interessanti aforismi e spunti di riflessione sulla vita e i suoi misteri, elevandosi dalla mera lettura di intrattenimento per penetrare in una dimensione autoriale.

I punti di ispirazione dichiarati sono l'iperbolico Gogol, Leskov e Turgenev, tuttavia traspaiono anche rimandi a scrittori nostrani come Libero Samale / Frank Graegorius (si vedano le nebulose descrizioni dell'aldilà, con i trapassati che si muovono sperduti, sulle rive di misteriosi fiumi, baciati da una flebile luce destinata ad assopirsi) o a una serie di scrittori franco-belgi di recente riproposti dall'Agenzia Alcatraz (penso a Thomas Owen e Gérard Prévot).

Merita una nota particolare il racconto che chiude il volume, Il Custode, che è un piccolo gioiellino, sospeso tra fantastico e indagine gialla; un'opera,  con le sue cinquanta pagine, in grado di rappresentare oltre un terzo dell'intero volume. In questo racconto, a mio avviso, si cela il senso del volume di Bruno Vacchino, una vera e propria decostruzione di un approccio ascetico che parte da una base di supporto contraria (“acquisire informazioni sull'aldilà per prepararsi a quel viaggio così da non farsi prendere alla sprovvista quando verrà il momento”) basata sull'idea di un'esistenza ultraterrena in qualche modo influenzata dalla precedente vita terrena. “Qui tutto è inganno... Da tempo giro per questi posti desolati e non incontro nessuno che mi dia notizie di mia figlia...”

Parla coi Morti è dunque un volume molto interessante, curato sia su un piano formale che contenutistico e assai elegante nell'esposizione, figlio di una narrativa che purtroppo non c'è più. Il fantastico torna a cercare di indagare sul mistero della vita pur contaminandosi con un'ironia dissacrante e una filosofia legata al carpe diem di Orazio, poiché niente è certo e chiaro nella vita, figurarsi ciò che non è a misura di uomo e che ci attende oltre la sfera dello scibile.

 
"Qui, nel cimitero, non tutto è morto e qualcosa sopravvive alla mano eversiva del tempo."

sabato 2 settembre 2023

Recensione Narrativa: MR MERCEDES di Stephen King.

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: Mr Mercedes.
Anno: 2014.
Genere:  Crime Story / Poliziesco.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 470.
Prezzo: 11.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Escursione nel poliziesco (non direi, come suggerito dallo stesso autore, nell'hard boiled) alla Thomas Harris (più che alla Raymond Chandler, giusto per chiamare in causa l'omaggiato Marlowe) da parte di Stephen King non poi così nuovo a operazioni del genere, basti pensare a romanzi come Colorado Kid (2005) o ad alcuni racconti brevi inseriti in Incubi e Deliri e nel successivo Il Bazar dei Brutti Sogni (2015). Manca del tutto la componente gialla e, al tempo stesso, non vi è traccia di quelle atmosfere lugubri tipiche dell'hard boiled con pupe, gangster e sparatorie. E' un King decisamente cinematografico e moderno, che sviluppa la storia su un duplice binario: da una parte ci parla del delinquente, della sua infanzia e dei suoi propositi futuri, sull'altro versante vediamo all'opera un gruppo di improvvisati che si prodigano per anticipare il folle così da sventarne i piani.

Sebbene il romanzo sia tutt'altro che originale, è stato percepito come un qualcosa di nuovo generato dal prolifico maestro del Maine, al punto da essere stato insignito con un Edgar Award. Un riscontro di critica e di incassi tale da spingere King a plasmare una trilogia (dell'indagatore Hodges), basata sui medesimi personaggi, completata da un quarto episodio uscito proprio in questa settimana col titolo Holly (2023). Dunque un apprezzamento generalizzato, esaltato persino dalle ottime valutazioni rilasciate dai lettori sul portale goodreads.

Tutto bene, dunque...? A mio avviso, no. Se è vero che King dimostra per l'ennesima volta le sue innate capacità di creatore di personaggi, i problemi vengono fuori quando si va a valutare l'intreccio e il senso del ritmo. King, pur se generoso nell'intrecciare le relazioni (anche troppo), semplifica e limita all'essenziale i fatti a beneficio dei personaggi. Alla lunga, si ha la sensazione di leggere una novella allungata per esser tramutata in un romanzo. Il contenuto della vicenda è figlio dei tempi. King si guarda attorno e metabolizza, assorbendo quanto avviene nella società (non solo americana) contemporanea. Prende la recessione economica che comprime il mercato del lavoro generando disoccupati e la combina con la fobia degli attentati terroristici siano essi dinamitardi o col ricorso di auto rubate lanciate in velocità sui passanti, una pratica che un paio di anni dopo, con la strage di Nizza, prenderà sempre più piede. Su tale canovaccio, tipicamente post 11 settembre, inserisce la figura stereotipata del poliziotto in pensione che non riesce a resistere al richiamo di un vecchio caso rimasto insoluto, prendendo a indagare per conto proprio senza nulla comunicare ai colleghi di un tempo, e la cuce a quella di un delinquente seriale (più un mass murder che un serial killer) che sulla scia dello Zodiac si diletta a sfidare apertamente chi gli da la caccia facendo reperire messaggi e minacce. La tecnologia del nuovo secolo funge da corredo, con chat, computer con comandi vocali e dispositivi elettronici utilizzati per interferire sulla cadenza luminosa dei segnali semaforici o per decriptare le onde elettromagnetiche rilasciate dai telecomandi delle auto, così da rubarne i codici e poter aprire le portiere.

Le premesse sono buone, tuttavia sembrano fungere unicamente da telaio su cui costruire la psicologia dei vari personaggi. King, come suo solito, spende molto in tal senso, tanto da essere più interessato ai personaggi che agli sviluppi del caso. Mr Mercedes è soprattutto un romanzo concentrato sulle sfaccettature psicologiche degli immancabili sfigati (tra cui la svitata quarantenne Holly) che diventano eroi e del perversissimo villain che trova nell'infanzia traumatica e nel rapporto incestuoso con la madre la ragione del suo malessere. Siamo comunque al cospetto di un romanzo giostrato sui perdenti, con un King che offre una duplice prospettiva: da una parte quella della progressiva discesa verso l'inferno (via scelta dall'antagonista) e dall'altra quella della redenzione e del riscatto sociale (Holly). Convince poco la scelta del manigoldo di tramutarsi da serial killer di massa inafferrabile a kamikaze vero e proprio, in quanto poco in linea con l'atteggiamento manipolatorio e narcisistico di sfida aperta verso le forze dell'ordine.

Tante le autocitazioni, da Christine a It (l'assassino si manifesta con una maschera da pagliaccio), ma anche da Psyco (rapporto con la madre del killer) a Ispettore Callaghan: il Caso Scorpio è Tuo (si fa riferimento a un film con un killer che ha preso in ostaggio una scolaresca a bordo di un bus), a sua volta ispirato sui crimini dello Zodiac (ispirazione non dichiarata anche per King).

Non mancano un paio di momenti da antologia kinghiana degli orrori. Il più crudele è l'assassinio, mascherato da disgrazia, del piccolo fratellino dell'antagonista. Non vi aggiungo dettagli per non rovinarvi la lettura, ma vi assicuro che è un vero e proprio calcio nelle parti basse. Tremendo anche il prologo, con una Mercedes SL 500 condotta da un pazzo che piomba su un gruppo di ragazzi in fila per sperare di ottenere un posto di lavoro al McDonald's. Il killer uccide otto innocenti e si da alla fuga con l'auto che, a chiara dimostrazione della "solidità tedesca" (!?), viene addirittura recuperata e successivamente riproposta su strada (anche questa è una concessione poco realistica presa da King).

In definitiva, Mr Mercedes è un romanzo altamente drammatico e dai contorni polizieschi che si assesta (a mio avviso) tra le opere di seconda fascia di King. Approfondita la dimensione psicologica dei personaggi, paga uno scarso sviluppo nell'intreccio della trama. Si parte da un attentato compiuto attraverso un auto rubata lanciata su una folla di giovani, quindi si prosegue con una serie di messaggi inviati dal killer al vecchio poliziotto che conduceva le indagini con il proposito di confezionare un attentato prima a un cane (impresa fallita) e poi al poliziotto stesso; mentre il vecchio cerca di risalire all'identità del manigoldo, affidandosi a collaboratori improvvisati, quest'ultimo pianifica la grande uscita di scena finale all'interno di un teatro in cui è programmato un concerto musicale che attira ragazzine da ogni parte dello stato. Tutto qua. Non certo insufficiente, ma neppure così qualitativo come si è voluto far passare. Gli faranno seguito Chi Perde Paga e Fine Turno. Ha dato inoltre il via, nel 2017, a una serie televisiva giunta nel 2019 alla terza stagione per un totale di 30 episodi e una nomination ai Saturn Awards.

 

 Dal romanzo è stata tratta una fortunata serie tv. 
Brendan Gleeson è il detective in pensione Bill Hodges.

"Anche nel giorno più buio, la fortuna trova chi baciare in fronte.

domenica 27 agosto 2023

Recensione Narrativa: DOMENICA NERA di Claudio Paglieri.

Autore: Claudio Paglieri.
Anno: 2005.
Genere:  Giallo / Sport.
Editore: Edizioni Piemme.
Pagine: 365.
Prezzo: 10.50 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Ho acquistato questo volume in estate su una bancarella di libri usati per 2 euro, incuriosito dalla trama. Siamo infatti alle prese con un giallo ambientato nel mondo del calcio italiano, addirittura premiato nel 2005 col prestigioso Bancarella Sport.

Ottime premesse dunque, peraltro per un romanzo che ha anticipato di qualche mese lo scandalo che avrebbe condotto la Juventus in serie B e riscritto l'intera classifica del campionato di Serie A. Claudio Paglieri, giornalista del Secolo XIX di Genova, deve il proprio successo dall'aver anticipato lo scandalo che avrebbe sconquassato l'Italia sportiva. Domenica Nera infatti verte proprio sui centri di poteri oscuri che manovrano, dall'interno, il calcio, pilotando partite, risultati, designazioni arbitrali e scommesse. Ne viene fuori un testo fortemente disilluso e pessimista, dove la corruzione va oltre il contesto calcistico spingendosi fino a interessare pubblici ministeri, avvocati, carabinieri, polizia e politica. Insomma, niente di nuovo al fronte, ma virato alle più estreme conseguenze con tanto di arbitri cocainomani, puttanieri e addirittura assassini.

Non si rende conto che questo paese va avanti a forza di piccoli favori, di piccole tangenti, di piccole eccezioni alla regola, e che è inutile e ridicolo restare lì fermo come uno scoglio a cercare di fermare il mare?” afferma il Moggi di turno.

Ottimo spunto iniziale, per un giallo che prende le mosse con un misterioso suicidio di un arbitro, aspramente criticato, trovato impiccato all'interno degli spogliatoi, dopo aver concesso l'ennesimo rigore inesistente, nel corso dell'intervallo di una partita al Marassi di Genova. Il commissario Luciani, disilluso figlio di papà nonché ex promessa del calcio, si troverà a indagare, scontrandosi con un ambiente omertoso e desideroso di abbuiare il tutto in nome della felicità del popolo italiano che non può fare a meno delle partite (Paglieri legge bene anche questa situazione, basti ricordare al periodo covid).

I buoni propositi, a mio modestissimo parere (visto che il romanzo ha ricevuto molte critiche positive), finiscono qua. Pur essendo scritto in un italiano scorrevole (ci sono anche diverse citazioni colte, dalla pittura alla letteratura) e non privo di punte di ironia (gli arbitri hanno suonerie con le sigle di Lupin o La Gazza Ladra), Domenica Nera è infarcito di lunghe digressioni funzionali a caratterizzare oltremisura i personaggi. Ne è un esempio la parte (del tutto inutile) con Luciani che decide di lasciare la fidanzata o di recarsi con la stessa presso l'Ikea, per non parlare delle descrizioni delle partite di tennis che ogni settimana tiene per sviare la tensione. Lo stesso intreccio fatica a decollare e non ha sviluppi ulteriori rispetto all'evento iniziale. Si discute se si tratti di un omicidio oppure di un suicidio, posto che la scena del crimine appare con alcune discrepanze quali cellulari scomparsi, taccuini strappati, parti di penne non rivenute nella loro interezza e chiavi assenti sebbene la porta sia stata dichiarata chiusa dai testimoni. L'azione è assente, i dialoghi – dovuti alle tante escussioni testimoniali - frequenti inoltre vi è un'insistita parte erotica tendente al pornografico, tra il commissario e un'ispettrice delle assicurazioni, del tutto estranea al registro del romanzo e ai fatti di indagine.

Il protagonista, assai disturbato (persino nell'alimentazione) e in passato addirittura protagonista di un'aggressione a un arbitro (motivo questo che difficilmente lo avrebbe potuto portare a diventare commissario di polizia), ha una psicologia alquanto ipocrita: da una parte è integerrimo fino all'autolesionismo, dall'altra libidinoso, materialista e duro (si veda come liquida la propria fidanzata). Personaggio brusco, senza peli sulla lingua e privo di simpatia che costituisce la punta di un iceberg che annovera anche diversi personaggi ricalcati da altri contesti: Rebuffo, il general manager che tutto controlla e tutto dirige, è palesemente costruito su Luciano Moggi, mentre Iannece è copiato da Camilleri essendo il clone di Angelo Catarella dalla serie Montalbano.


Alla fine, viste le premesse e l'ottimo spunto iniziale, Domenica Nera delude le attese, a causa del ritmo lento e degli scarsi sviluppi della vicenda. Paglieri trasforma quello che dovrebbe essere un giallo in un qualcos'altro, una sorta di romanzo denuncia del marciume e dell'ipocrisia che pervadono la società italiana. Alla fine gli indagatori riusciranno a risalire a una verità parziale, utile a far venire a galla il tumore che pervade la società italiana e su cui tutti chiudono gli occhi pur di illudersi di credere a una realtà che tale non è. Ben si presta a introdurre la lettura il commento pubblicato su Panorama presumo nel 2006: “Lo scandalo del calcio? Per scoprirlo non ci volevano mesi di indagini e intercettazioni telefoniche. Bastava leggere Domenica Nera.”

 
L'autore Claudio Paglieri.
 
"Sono corrotti, chiaro. Non tutti, naturalmente. Ma parecchi, soprattutto tra i più famosi. E' come in molti altri mestieri: in politica, in magistratura, nel giornalismo, più sei in alto e più è facile che tu ci sia arrivato a forza di compromessi. Ogni arbitro ha il suo prezzo e non è detto che si tratti di denaro: c'è chi si accontenta di qualche bella serata al night, con hostess di lusso; chi lo fa solo per il potere e la fama e realizza i desideri del Palazzo per restare poi nell'ambiente, in qualche società, o andare in TV."

venerdì 25 agosto 2023

Recensione Narrativa: UN ASSASSINO NELLE TENEBRE a cura di Alfred Hitchcock.

Autore: AA.VV. (a cura di Alfred Hitchcock) 
Serie: Alfred Hitchcock Presenta.
Titolo Originale: Grave Business. 
Anno: 1975. 
Genere:  Antologia Giallo / Poliziesco. 
Editore: Oscar Mondadori (1977). 
Pagine: 188. 
Prezzo: Fuori catalogo


Commento a cura di Matteo Mancini.

Volume dell'interminabile serie Alfred Hitchcock Presenta che si propone di fare il verso, pur se con racconti mediamente più brevi e firmati da autori di qualità inferiore e spesso poco noti, alla serie Ellery Queen Presenta (in Italia proposta con i titoli Estate o Inverno Giallo). Hitchcock si limita a scrivere una prefazione senza ulteriori contributi. Probabilmente non si deve a lui neppure la scelta dei racconti e degli autori, tutti facenti parte della scuderia della collana dove sono stati ripetutamente inseriti. Una serie andata avanti dall'inizio degli anni sessanta alla fine degli anni ottanta.

In questo Un Assassino nelle Tenebre, traduzione in italiano dell'antologia Alfred Hitchcock Grave Business (1975), troviamo quattordici racconti compresi tra le ventisette e le cinque pagine, molti dei quali inediti ad aggiungersi a ripescaggi dalla rivista periodica Alfred Hitchcock's Mystery Magazine.

Il livello, diciamocelo chiaramente, è equilibrato ma modesto, utile a intrattenere il lettore sotto l'ombrellone o un pendolare durante gli spostamenti da casa a lavoro e viceversa. Si tratta di gangster story, brevi legal thriller, qualche storia di tensione, alcuni gialli fulminei e un po' di poliziesco. Insomma, niente di impegnativo. Siamo dalla parti delle crime story in salsa pulp spesso dagli epiloghi beffardi intrisi di venature ironiche, dove figurano avvocati privi di scrupoli, sicari al soldo della mafia, illusionisti votati al crimine, goffi banditi non avvezzi all'arte del crimine (tematica che va per la maggiore), mariti stanchi della propria moglie e ovviamente poliziotti attenti a sfruttare a proprio vantaggio gli indizi lasciati dai delinquenti di turno. Quattordici storie che difficilmente riusciranno a farsi ricordare nel lungo termine. C'è qualcosa di interessante, tuttavia manca l'originalità e la capacità sorprendere il lettore. Anche quando gli epiloghi cercano di volgere verso la sorpresa questa di rado è gestita con maestria. Da questo punto di vista, costituisce un'eccezione il divertente Tra le quattro e mezzanotte (Between 4 and 12) firmato da Jack Ritchie. Ritchie conta qualcosa come 350 pubblicazioni in antologie, di cui 50 per la collana oggetto di esame. È dunque un ospite fisso della serie Alfred Hitchcock Presenta, pur vantando inserimenti anche nella più qualitativa serie Ellery Queen. Potremmo quasi dire che è lo scrittore più conosciuto tra i quattordici oggetto di esame. Premiato nel 1982 con il Premio Edgar, più volte trasposto nella serie tv dell'Alfred Hitchcock Presenta e soprattutto riscoperto negli ultimi venticinque anni dalla Marcos y Marcos che ha tradotto in italiano, a oltre dieci anni dalla sua dipartita, otto romanzi. Uno scrittore quindi che ha avuto un certo riscontro di vendite sul mercato italiano ma che resta lontano anni luce dai grandi maestri del genere.

Tra le Quattro e Mezzanotte, a ogni modo, propone una serie di valutazioni preventive di un assassino che ha già ucciso la moglie e, dopo averne occultato il cadavere, medita di denunciarne la fuga alla polizia prefigurandosi l'interrogatorio e preconfezionandosi le risposte. Ogni tentativo di crearsi un alibi, tuttavia, è destinato a fallire in quanto, senza che l'uomo ne sia a conoscenza, il killer è monitorato da un giornalista a caccia dell'automobilista più disciplinato della settimana. È infatti in programma un concorso a premi intitolato “La settimana del guidatore prudente”. Del tutto interessato a non dare nell'occhio, il killer finisce proprio per il suo modo perfetto di guidare per calamitare l'attenzione della stampa che, convinta di fargli piacere, si appresta a pubblicare sul giornale la targa dell'autovettura su cui l'uomo sta marciando, facendo decadere l'alibi che l'assassino si appresterà a dare alla polizia. Ritchie struttura così la storia con una scansione temporale atipica, ovvero pone in anticipo le premesse che consentiranno al lettore di capire come si concluderà la vicenda.


Un altro racconto che gestisce bene l'epilogo è il fulmineo legal thriller Quell'Unico Giurato (Jury of One) di Talmage Powell, bravo a ribaltare il clima di sospetto verso un potenziale giurato in un processo per volgere tutta l'impostazione in modo diametralmente opposto, così da spiazzare il lettore a fronte di un protagonista che sembrava temere (quando invece era l'inverso) la nomina del giurato sottoposto alla valutazione del giudice. Powell gioca tutto sull'ansia dell'imputato che vede con occhio assai critico una donna di mezza età che sta per essere ammessa come giurata. Attenzione, però, niente è come sembra. Carino l'epilogo.

Prova a lavorare sull'intreccio La Ragazza d'oro (The Girl in Gold), apparso sull'Alfred Hitchcock's Mystery Magazine del settembre del 1970, non a caso tra i racconti più elaborati e lunghi dell'antologia, prossimo alle trenta pagine. Niente di particolare, sia chiaro, tuttavia verosimile. Il mestierante Jonathan Craig elabora un omicidio mascherato da suicidio dietro al quale si cela il furto di una serie di diamanti. La vittima, un affarista nel mercato dei gioielli, potrebbe esser stata uccisa da più individui. Gli indagatori, infatti, devono districarsi tra una serie di sospettati, tra cui un'amante abbandonata, un galeotto a cui la vittima ha rubato la donna e un locandiere manigoldo che ha pensato bene di sfruttare la proverbiale occasione che fa l'uomo ladro, anticipando il piano dell'ex galeotto. La polizia, facendo riferimento a una serie di incongruenze, risolverà il caso grazie all'indagatore Pete Selby, personaggio ritornante di Craig. Carino il finale e piuttosto quadrato nell'intreccio.


Giostrato sulle indagini poliziesche è anche Il Decimo Orologio (The Extra Watch), una simpatica indagine cadenzata dalla penna di Frank Sisk. Una vecchia volpe della polizia fa da nave scuola a una recluta la cui onestà sarà destinata a essere messa alla prova alla fine della vicenda. Un furto di orologi all'interno di un negozio, assaltato nella notte, è il motivo dell'intreccio. Al centro della ricostruzione il modus operandi che permette alla polizia di ipotizzare, con successo, chi si nasconda dietro il colpo e, di conseguenza, muoversi per l'arresto dello stesso. Pubblicato nell'agosto del 1967 sull'Alfred Hitchcock's Mystery Magazine. Carino


Ultimo racconto meritevole di menzione è Un Incarico Importante (An Important Kill), a cui è riservato l'onere di chiudere l'antologia. L'autore è Robert Colby che ci propone un hardboiled dalla buona l'azione e dall'interessante sviluppo dei personaggi. Un sicario della mala si infiltra all'interno di una camera d'albergo per uccidere la vittima designata. Tutto sembra procedere per il meglio, quando il killer si accorge di avere davanti un soggetto diverso da quello che gli è stato mostrato in fotografia. Deve dunque tagliare la corda e abortire il piano. Il tentativo di darsi alla fuga però viene impedito dal soggetto stesso, che scorge l'intruso e chiede spiegazioni. Ha inizio una trattativa tra aggressore e potenziale vittima, una donna attraente, per scongiurare la morte della medesima. Il sicario, impietosito, offrirà una chance di salvezza alla donna, ma lo farà con la furbizia tipica del professionista che il lettore ha imparato a vedere al cinema. Soluzione finale da film western, con una pistola scaricata dai colpi che suonerà a vuoto e il killer che prenderà la sua definitiva decisione. Non certo originale, tuttavia solido e dall'epilogo crudele.


I cinque racconti di cui sopra sono quelli che, a mio avviso, si segnalano in un lotto comunque assai debole. Non che i restanti siano nettamente peggiori, tuttavia sembrano non possedere argomenti innovativi o sufficientemente curiosi per esser segnalati. Spesso le storie sono prevedibili oppure si chiudono in modo spento, per non dire banale, quando del tutto inverosimile. Sonnellino Traditore (A Turn to the Right) di James Holding, per esempio, gioca tutto sull'improvvisa catalessi di un rapitore in fuga nel corso dell'azione delituttosa (con buona pace dell'adrenalina e dalla tensione del caso). Holding parla del fatto durante lo svolgimento del processo a carico dell'imputato, attraverso l'artificio dell'escussione dei vari testimoni, col tentativo del difensore della difesa di far passare il cliente per incapace di intendere e di volere (perché chi altro potrebbe addormentarsi in un'azione del genere!?) salvo essere sconfessato da un medico che riesce a spiegare l'evento attraverso una curiosa quanto improbabile ricostruzione medica. Il bandito, durante la fuga in auto, girava continuamente la testa a destra per tenere d'occhio la rapita, un atteggiamento che lo avrebbe portato al sonno a seguito della pressione operata dal colletto della camicia sulla vena del collo (!?). Non sono un medico, ma mi sembra una boiata come spiegazione.


Altra storia inverosimile è Una vittoria familiare (A Familiar Victory) di Elijah Ellis. Più drammatico che giallo, è un racconto che vede la polizia risalire all'identità dell'assassino di una donna trovata strangolata all'interno della propria abitazione. I sospetti cadono sul marito, che non fa nulla per essere scagionato, anzi... l'uomo ha volontariamente cancellato le prove dell'omicidio, tentando di inscenare una morte accidentale per coprire una verità a lui più scomoda del rischio di finire condannato per omicidio... L'uomo ha infatti scoperto che la moglie lo tradiva e non vuole che la cosa emerga, preferendo apparire agli occhi della società come assassino piuttosto che cornuto (!?). Pubblicato nel marzo del 1968 sull'Alfred Hitchcock's Mystery Magazine.


Fa peggio Il Fattore Comune (The Common Factor) di Richard Deming dove è in azione il serial killer più idiota della storia della criminologia. Un killer del giovedì sera (resta un mistero la scelta del giorno) sceglie in modo decisamente prevedibile le proprie vittime dall'elenco telefonico, uccidendo ogni settimana una donna il cui cognome inizia con la lettera successiva rispetto alla precedente. La cosa potrebbe non sembrare così strana, se non fosse che il “nostro” killer parte sempre in ordine alfabetico e contatta mediante l'invio di un telegramma di auguri tutte le donne indicate fino a trovare quella che gli dichiara (al momento della consegna del telegramma) di abitare da sola in casa. Acquisita tale informazione, l'assassino irrompe di notte il giovedì sera e strangola la vittima con un filo di ferro. Dopo le prime tre vittime, la polizia avrà gioco facile e troverà il cosiddetto case linkage. Interessante la gestione del ritmo, il taglio poliziesco, ma totalmente rovinato da un plot idiota. Deming è conosciuto per essere un autore di novelization tratte da episodi televisivi (tra cui Starsky e Hutch) e alcuni adattamenti per la serie televisiva Alfred Hitchcock Presenta.


Un altro racconto che lascia basiti (in senso negativo) è Un Tipo Comune (Just Above Averange), modestissimo racconto di William Brittain, apparso per la prima volta su Alfred Hitchcock's Mystery Magazine nel giugno del 1970. Tutto giostra sulla descrizione di un ladro che appare, per motivi di raffronto e dunque opinioni soggettive, in modo diverso agli occhi di coloro che lo scrutano. L'isolamento dalla società e la particolare mole del testimone, portano la vittima del furto a descrivere nel fisico l'autore come persona comune (a suo dire) sebbene abbia un fisico piuttosto voluminoso. Tutto qua, con solite frecciate a danno dell'arroganza dei poliziotti di città che mal valutano gli sceriffi della campagna dando loro dei cialtroni salvo poi fare figure barbine.


Meno insulsi gli altri cinque, ma siamo comunque sotto la sufficienza. Piove sempre sul Bagnato, ovvero The Rich Get Richer di Douglas Farr, peraltro già pubblicato nel 1961 sul periodico Alfred Hitchcock's Mystery Magazine, propone il classico tentativo di omicidio, mascherato da evento fortuito, per incamerare l'eredità di un parente. Farr, per vivacizzare il tutto, prova a introdurre la variabile del crollo della borsa di Wall Street del '29 e di una morte che viene archiviata dagli inquirenti come suicidio. L'omicidio dell'uomo infatti non porta beneficio all'assassino per il contemporaneo crollo della borsa (e dunque del patrimonio milionario della vittima), evento non conosciuto né dalla vittima né dal suo assassino. Ecco che Farr si diverte a riscrivere, attraverso gli eventi, quanto pianificato dagli uomini.


Punta sulla tensione Robert Edmond Alter con Un Assassino nelle Tenebre (A Killer in the Dark), che di giallo o poliziesco non ha niente. Un padre di famiglia cerca di portare soccorso alla figlia e un'amichetta che, ignare, stanno giocando a nascondino in una baracca dove è penetrato un serpente a sonagli. Finale imbarazzante, col protagonista che tira martellate su un serpente a sonagli (anche se mi verrebbe da pensare che fosse una biscia) che gli si attorciglia senza morderlo al braccio. Racconto del terrore per bimbi delle elementari.


Pur se caratterizzato da elementi polizieschi, gioca sulla tensione anche Richard Hardwick con Pochi ma Preziosi Centimetri (To Gain an Inch). Un babysitter aggredisce l'uomo che lo tiene in ostaggio minacciando il bimbo affidato alle sue cure con una pistola. Tutto ha inizio con una rapina andata a finire male, col rapinatore, armato di pistola automatica, che dopo aver sparato sei colpi e ucciso due uomini irrompe nell'abitazione del protagonista per cercare di trattare una via di fuga con la polizia. Il babysitter, credendo che il manigoldo abbia sparato tutti i proiettili a disposizione ed essendo spettatore di un film western, si lancia in un azzardoso corpo a corpo. Tutto qua, senza colpi di scena o contenuti di fondo per quella che è la descrizione di una sequenza trita e ritrita, peraltro con un uomo che tiene in modo incomprensibile la porta della propria casa spalancata (ma chi è che tiene la porta di casa spalancata!?).


Il Tocco del Maestro (The Master's Touch) di Helen Nielsen è ben costruito e gestito, salvo prendere una via finale telefonata che fallisce pur volendo sorprendere il lettore. In ballo c'è la preparazione e la successiva esecuzione di una rapina gestita da un ipnotizzatore convinto di sfruttare la professionalità di uno scassinatore, facendo poi dimenticare allo stesso l'azione criminale, così da tagliarlo fuori dalla distribuzione degli utili. Gli andrà male e sarà giocato in astuzia. Vaghi omaggi a La Finestra sul Cortile.


Suo Fratello Baxter (His Broter Baxter) altro telefonato racconto che omaggia William Wilson di Edgar Allan Poe. Un uomo è intenzionato a uccidere il fratello che reputa responsabile di aver messo in fuga la potenziale moglie. C'è un particolare... non esiste alcun fratello, ma un personaggio alla Tyler Durden di Fight Club. Theodore Mathieson (altre sei partecipazioni nella serie) non inventa pertanto niente, dando la sensazione di aver proposto un riempitivo senza spunti personali.

In conclusione, non siamo certo alle prese con un libro da recuperare a ogni costo. Può regalare qualche ora di svago e nulla più. Un po' deludente la confezione, tra refusi e qualità sotto le aspettative. Sorvolabile.