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sabato 16 marzo 2024

Recensione Narrativa: PREDATORI DALL'ABISSO di Ivo Torello.

Autore: Ivo Torello.
Anno: 2012-22.
Genere: Weird - Orrore cosmico.
Editore: Edizioni Hypnos.
Pagine: 480.
Prezzo: 16,90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.  
PROSSIMAMENTE


L'autore  
IVO TORELLO

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sabato 9 marzo 2024

Recensione Narrativa: LA STIRPE DELLA TOMBA a cura di Gerald W. Page.

Curatore: Gerald W. Page.
Titolo Originale: The Year's Best Horror Stories - Series V.
Anno: 1977.
Genere: Horror.
Editore: Siad Edizioni (1978).
Pagine: 290.
Prezzo: Fuori catalogo.

Commento a cura di Matteo Mancini.  
Prima pubblicazione in italiano di una raccolta della serie americana The Year's Best Horror Stories, una proposta editoriale che sarà ripetuta, a intervalli irregolari, dalla Newton & Compton negli anni '90 sotto titoli accattivanti che nulla avranno a che fare con quelli originali. Nella fattispecie viene proposto, sotto il titolo italiano “La Stirpe della Tomba”, il quinto volume della collezione. Si tratta di antologie collettive inizialmente curate da Richard Davis (1971-1975), quindi da Gerald W. Page (1976-1979) e infine da Karl Edward Wagner (1980-1994). Ventidue raccolte (meno di un quarto delle quali giunte in Italia) di narrativa contemporanea aventi l'intento, per ogni stagione, di proporre il meglio dei racconti “horror” (in senso ampio del termine) usciti su riviste e antologie nel corso della stagione. Un progetto importante e duraturo che ha coinvolto l'intero gotha (mancano Clive Barker, Lansdale, McCammon e Laymon) del movimento horror dei periodi di volta in volta interessati, con ospiti fissi quali Robert Bloch, Brian Lumley, Richard Matheson, Fritz Leiber, Ramsey Campbell, T.E.D. Klein, Robert Aickman, Basil Copper, Stephen King (presente in sei antologia), Joseph Payne Brennan, David Drake, Frank B. Long, Charles L. Grant, R.A. Lafferty, Tanith Lee, Lisa Tuttle, Manly W. Wellman, Dennis Etchison, Karl Edward Wagner, David Campton, David J. Schow, Thomas F. Monteleone, W. H. Pugmire, Simon Clark e molti altri.

La Stirpe della Tomba, edito nel 1978 da SIAD Edizioni, è la prima di queste antologie a comparire in Italia, sebbene sia preceduta da quattro ulteriori volumi mai giunti nelle nostre librerie. A essa, negli anni novanta, faranno seguito, secondo una scansione di uscita del tutto difforme rispetto alla cronologia americana, quattro ulteriori antologie: I Mille Volti del Terrore (VI Volume, Newton & Compton, 1994, qua la mia recensione https://giurista81.blogspot.com/2011/03/recensione-antologia-i-mille-volti-del.html), L'Orrore del Buio (XIII Volume, Newton & Compton, 1996, qua la mia recensione: https://giurista81.blogspot.com/2011/01/recensione-narrativa-lorrore-del-buio.html), Orrori e Incubi (VII Volume, Newton & Compton, 1998) Ai Confini dell'Orrore (XII Volume, Newton & Compton, 1999, qua la recensione: http://giurista81.blogspot.com/2013/07/recensione-narrativa-ai-confini.html).

Ciascuna di queste antologie si focalizzerà sui racconti usciti in un arco di tre anni. Nella fattispecie l'attenzione si concentra sulla stagione 1976, con l'eccezione di due racconti usciti nel 1975 e di tre inediti (datati 1977) pubblicati per la prima volta all'interno dell'antologia. Si tratta di storie di variabile lunghezza. Si va dalla novella a firma H.W. Munn di quarantacinque pagine alle nove pagine scarse del racconto di Jerry Sohl. Quattordici storie di qualità piuttosto omogenea e rappresentative di un fantastico molto variegato, in cui l'orrore (talvolta velato e neppure soprannaturale) è la matrice comune, miscelato al dramma esistenziale, alla fantascienza o all'heroic fantasy, ma anche al gotico, al grottesco e persino (in due casi) all'orrore lovecraftiano. Si tratta di una narrativa che persiste a essere legata agli insegnamenti del secondo dopo guerra, con un occhio a weird tales e dunque molto lontana (con una sola eccezione) alla corrente splatter-punk che una decina di anni dopo avrebbe rivoluzionato il genere, gettando le basi per la nascita dell'extreme horror. A ogni modo, ce n'è per tutti i gusti, con firme autorevoli quali Fritz Leiber, Robert Bloch, Tanith Lee, Charles L. Grant e Manly W. Wellman. Dei quattordici scrittori proposti solo tre sono misconosciuti in Italia: Glen Singer, Byron Arthur Cover e Robert Edmond Alter. Il caso vuole che proprio questi tre autori abbiano firmato tre tra i racconti più riusciti. Il livello generale è buono, con poche vette ma anche poche debacle. Tra tutti spicca il pluri antologizzato Belsen Express (qua alla prima pubblicazione in italiano) di Fritz Leiber, premiato nel 1976 al World Fantasy Award e al British Fantasy Society's August Derleth quale “migliore racconto dell'anno”. Note di merito anche per Karl E. Wagner e Robert Edmond Alter. Veniamo nel prosieguo l'analisi nel dettaglio.



RECENSIONE NEL DETTAGLIO

Impossibile non partire da Belsen Express, gioiello ultra premiato di Fritz Leiber che offre un chiaro esempio di quella narrativa che avrebbe segnato le coordinate a Richard Matheson prima e a Stephen King poi. Il suo è un horror psicologico che sconfina nel campo della paranoia e delle relative controindicazioni psico-somatiche, lasciando tuttavia aperto il campo a un fantastico latente e allusivo che richiama i precetti della legge d'attrazione. Un pendolare, letteralmente perseguitato dall'incubo dei campi di concentramento e, più in particolare, della Gestapo, cade preda delle sue stesse paure, finendo per materializzare lo spettro delle camere a gas. Pungolato da un compagno di viaggio, il protagonista si convince di essere perseguitato dai fantasmi dell'olocausto. Finirà intossicato dal monossido di carbonio rilasciato dal bus cittadino in un epilogo in cui Leiber lascia sospeso il tutto tra il dramma e il fantastico. Gran bel racconto che, come abbiamo anticipato, non necessita certo di presentazioni. Tra i vari volumi, verrà incluso nell'antologia enciclopedica Il Colore del Male.


Tra le sorprese del lotto si segnala Followers of the Dark Star (“Seguendo una Stella Nera”), secondo e ultimo racconto apparso in italiano di Robert Edmond Alter (in precedenza incluso in una delle antologie Hitchcock Presenta). La storia esce postuma, essendo l'autore già deceduto da dieci anni. Grande sense of wonder e spirito di avventura, agevolati dall'ambientazione sudanese e dal caldo torrido. Legione straniera, civiltà perdute, tesori sepolti e lande desertiche sono gli ingredienti di un'avventura dai tratti diabolici che, da una parte, richiama le storie di Robert Ervin Howard e, dall'altra, le tentazioni subite da Cristo in pieno deserto ad opera del demonio. Lo sviluppo della storia viene mutuato dai western incentrati sulla caccia a un tesoro nascosto ricercato da un gruppo di soggetti che, dopo aver cooperato, finiranno per spararsi contro per accaparrarsi l'intero bottino.


Non manca il pane per i denti anche per i fan degli orrori cosmici di matrice lovecraftiana. Lo sconosciuto Glen Singer, all'unica pubblicazione in italiano, col suo Harold's Blues (“Il Blues di Harold”) contribuisce a infoltire il ciclo apocrifo dei cosiddetti racconti sui grandi antichi. Strutturato nella forma di una finta intervista, il racconto svela i retroscena dei successi di un musicista talentuoso scomparso nel nulla all'apice del successo. Strane presenze, rituali invocati al ritmo di vocaboli alieni, improvvise sparizioni che suggeriscono il compimento di sacrifici umani e un successo inspiegabile venuto dal nulla. Singer plasma un palese tributo lovecraftiano, che omaggia Shub-Niggurath (nel testo si parla di Shubby Niggrath), in una variante del cosiddetto patto diabolico in salsa do ut des. Impossibile ritornare sulla retta via una volta compiuto il rituale iniziatico.


Orrori da Weird Tales anche per il veterano Joseph Payne Brennan, di cui si ricorda l'antologia recentemente pubblicata dalla Dagon Press “Il Custode della Polvere”. Il suo Long Hollow Swamp (“La Palude”) riprende il celebre “Slime”, da cui arrivano le ambientazioni paludose e la presenza di esseri “alieni” particolarmente voraci in grado di succhiare l'intera linfa vitale degli esseri viventi. Misterioso nella prima parte, dove sfrutta le ambientazioni paludose del New England stranamente disabitate da uccelli e altri animali, cade nel grossolano nella parte finale dove l'orrore da allusivo si palesa in tutta la sua potenza. Da qui arrivano tuttavia idee come quelle di Stephen King (grande estimatore di Brennan) per le “aramostre” che fuoriescono dalle acque in The Drawing of the Three (“La Chiamata dei Tre”).


Seguono la via delle stregonerie Tanith Lee e Manly W. Wellman. La prima, con Huzdra, ribalta gli stilemi del racconto gotico alla Dracula, da cui arriva l'idea del castello, del carro trainato dai cavalli, del sortilegio che porta i viandanti a chiedere riparo nella dimora di un conte (e della relativa moglie) e della notte di terrore susseguente a una cena sfarzosa. Un po' didascalico, con spiegazione degli antefatti e ribaltamento finale che ristabilisce giustizia ai danni dei villain, è un racconto ottimista in cui il bene trionfa sul male. Where the Woodbine Twineth (“Dove s'Arrampica il Caprifoglio”) di Manly W. Wellman miscela ghost story alla tematica della stregoneria, con un soggetto che ricorda la base su cui George A. Romero dirigerà Survival of the Dead (suo ultimo film). Due famiglie contrapposte si sfidano a colpi di pistola fin quando due loro rappresentanti decideranno di convolare a nozze. Decisiva sarà la casuale liberazione degli spiriti dei due capofamiglia, sotterrati insieme dopo essersi vicendevolmente uccisi in battaglia. Saranno proprio questi, materializzatesi al culmine di un confronto che vede al centro i due innamorati, a rivelare agli eredi di esser diventati amici nell'aldilà ordinando agli stessi di cessare le ostilità. Della pace ne farà le spese la strega del paese e il suo bizzarro cane (verosimilmente il diavolo).


Un anticipo di King, che confluirà in queste raccolte l'anno successivo con Children of the Corn (“I Figli del Grano”, 1977-78), lo offre Charles L. Grant con l'interessante When All the Children Call My Name (“Quando i Bambini Invocano il mio Nome”). Classico racconto alla Grant. Un poliziotto in pensione, di ritorno da una serie di viaggi in Europa, viene nominato custode di un parco giochi frequentato da bambini piccoli. La scelta del sindaco è dettata dall'intento di proteggere i bambini dai ragazzini più grandi che si divertano a bullizzarli. Ciò che il protagonista non sa è che, in coincidenza del suo arrivo in paese, all'interno del parco è stato ritrovato il cadavere di uno dei ragazzi più grandi. Avrà inizio una serie di morti sospette, tutte a danno dei più grandi. Sospeso tra giallo e fantastico, è un racconto che ben rappresenta Grant, con il suo piglio malinconico esaltato da un protagonista che rivanga il passato non riconoscendosi nelle nuove generazioni e nel suo nuovo ruolo di pensionato. Spicca inoltre un inquietante substrato fantastico, che non verrà pienamente svelato neppure all'epilogo. Siamo dalle parti di quei racconti alla The Midwich Cuckoos (“I Figli dell'Invasione”, 1957) di John Wyndham, con bambini che celano sotto la loro innocenza segreti diabolici inconfessabili (e non svelati).


Si orientano verso l'heroic fantasy Karl Edward Wagner e David Drake. Il primo propone, seppur sotto mentite spoglie fino all'epilogo, per la prima volta in Italia uno dei suoi personaggi principali e ritornanti: Kane. Nonostante il nome, che potrebbe rinviare a Solomon Kane, si tratta di un personaggio costruito sul Conan di Robert E. Howard. Sing a Last Song of Valdese (“La Ballata di Valdese”) è un sword and sorcery in piena regola, con tanto di spade e magia. Protagonista è “uno dei primi uomini condannati a vagabondare per l'eternità per un qualche oscuro gesto di ribellione contro il creatore dell'umanità stessa”. Ci troviamo in una taverna, immersa in una campagna attorniata da foreste che si dicono essere popolate da rapinatori e demoni. Tra gli astanti vi sono cacciatori di taglie, banditi, prelati, saggi e soggetti ognuno dei quali caratterizzato in modo opposto agli altri, oltre un taverniere che intrattiene gli ospiti, dopo cena, narrando di un omicidio avvenuto anni prima ai danni di due giovani amanti. È infatti in gioco un proposito di vendetta, sullo stile de Lo Straniero senza Nome. Wagner è piuttosto brutale nel descrivere le amputazioni e le torture riservate al ragazzo, trucidato dagli altri sei pretendenti alla mano della sposa (con tanto di evirazione). Il giovane, di ritorno da sette di anni studio presso una scuola segreta, era una sorta di mago legato a una divinità molto antica connessa al culto dei Sette Innominabili. Wagner parla di “protodei” e di una cosmogonia eretica che prevede effettiva immortalità dei corpi (anziché dell'anima), lamie e la possibilità di evocare spiriti ultraterreni. La storia dell'uccisione e l'antefatto, che vede lo strano prelato protagonista della storia aggredito da una ragazza di indicibile bellezza fungono da trampolini di lancio per la vendetta sovrannaturale che andrà in scena nelle ultime pagine della storia. Un incubo visionario, che si rivela tra i migliori elaborati dell'antologia. Non troppo dissimile, per contesto scenografico e credenze, è Children of the Forest (“Figli della Foresta”) di David Drake. Le ambientazioni divengono medievali, a dieci anni dal flagello della peste nera, ma con una caratterizzazione ben più antica. Siamo nella campagna tedesca, ai margini di foreste che si dicono infestate da demoni e troll. Effettivamente, un giorno, durante una battuta di caccia, la piccola figlia di una coppia di contadini viene rapita da una famiglia di strani ominidi che ricordano, per struttura e conformazione, lo yeti. Drake volge la storia verso un'avventura granguignolesca, cercando di ribaltare il rapporto tra buoni e cattivi. I veri mostri, come vedremo, non saranno i troll, ma gli insensibili uomini di alto lignaggio che si dilettano nella caccia e nei soprusi. Crudo nella descrizione delle scene di caccia. Piacerà sicuramente a Owl Goingback.


Una menzione particolare va infine spesa per il “folle” The Day it Rained Lizards (“Il Giorno che Piovvero Lucertole”) del misconosciuto Arthur Byron Cover. Oltre ad aver ispirato la copertina del volume, è una storia allegorica sui disagi adolescenziali che sfocia in un epilogo allucinante e allucinato, espressione di una narrativa del terrore che avrebbe preso piede solo anni dopo. Cover è dissacrante nel linguaggio (per l'epoca) e rompe gli schemi classici nella conseguenzialità della narrazione, entrando in un nonsense di matrice metaforica che sembra esser stato suggerito da un'indigestione di acidi. Protagonista è un disadattato delle scuole superiori, sebbene legga libri impegnativi e non sia certo uno stupido. Scorribande teppiste, bravate, provvedimenti disciplinari e un rapporto burrascoso con la fidanzata sono le premesse che portano all'improvvisa comparsa di una serie di lucertole richiamate da un varano che canta una melodia che provoca la discesa di un esercito di lucertole dal cielo (!?). Così come il protagonista ha compiuto danni, altrettanto faranno le lucertole, spingendo il nostro a vestire i panni dell'eroe, mentre la sua ragazza, ben prima dell'uscita della serie televisiva The Visitors, si trasformerà in un rettile antropomorfo. Folle e, a tratti, psicanalitico.


Questo, a mio avviso, il meglio dell'antologia. Le altre quattro storie hanno poco di horror. The Service (“Il Servizio”) di Jerry Sohl è un racconto drammatico dal retrogusto melò che tratta, bisogna dare atto con grandissimo anticipo sui tempi, il tema dell'eutanasia. Sohl, conosciuto in Italia soprattutto per i suoi romanzi di fantascienza (inclusi nella collana Urania), struttura il racconto nella forma di un dialogo tra due soggetti. Al centro vi è il ricordo di un amore lontano, rimpianto e sfumato per via di un incidente aereo, che riprende vigore nell'attimo della morte. Il passaggio all'aldilà diviene quindi un evento proiettato verso la felicità e l'incontro con gli amori di un tempo. Storia piuttosto classica. Anni dopo, scrittori come David Schow e Philip Fracassi pubblicheranno racconti simili (si veda l'antologia I Figli del Buio pubblicata da Independent Legions).


The Well (“Il Pozzo”) è una beffarda storia, ai limiti della farsa, in cui Henry Warner Munn propone, attraverso un narratore che si prende beffa del pubblico di ascoltatori (perpetrando durante la narrazione persino dei furti che rimandano a certi soggetti pittorici di Bosch), una tortura ai danni di un rajah scaraventato per sette anni in un pozzo di dieci metri dal fratello gemello intenzionato a prenderne il posto. Racconto lento, cadenzato dai vari tentativi del prigioniero, alimentato giornalmente dall'alto dai suoi aguzzini, di fuoriuscire dalla prigione e di ingegnarsi per costruire utensili con gli ossi degli alimenti degustati. Influenzerà Stephen King e Richard Laymon per opere quali Gerald's Game (“Il Gioco di Gerald”) e Into the Pit (“Nella Fossa”)


A Most Unusual Murder (“Un Delitto Molto Insolito”) segna il ritorno di Robert Bloch alla tematica relativa all'identità di Jack Lo Squartatore (una vera e propria ossessione per l'autore). Dopo aver già scritto il famoso Yours Truly, Jack The Ripper (1943) e in seguito il romanzo The Night of the Ripper (1984), a cavallo tra le due storie, Bloch propone questo strano miscuglio tra thriller, horror e fantascienza che ruota attorno alla misteriosa identità del più famoso serial killer dell'epoca “moderna”. Bene la prima parte, con la classica presenza del negozio d'antiquariato fantasma in cui il “nostro” recupera una valigetta medica che sospetta esser stata quella dello squartatore. Finale forzato, al punto da chiamare in causa la tematica fantascientifica dei viaggi nel tempo in modalità Ritorno al Futuro. Conclusione tanto imprevedibile quanto deludente. Di certo, non uno dei migliori Bloch.


Shatterday (“La Settimana di Novins”) di Harlan Ellison vede un uomo scoprire, a seguito di una chiamata telefonica diretta alla propria abitazione, di essersi sdoppiato in due entità. Al telefono, infatti, risponde il medesimo soggetto che ha chiamato. I due entreranno in competizione cercando di escludere l'altro dalla faccia della terra. Prevarrà la parte buona, proposta come usurpante, che avrà la meglio su quella egoista. Rivisitazione piuttosto curiosa de The Strange Case of Dr. Jekyll & Mr Hide.

 

CONCLUSIONE

Antologia gradevole e di rapida lettura, formata da un lotto qualitativamente omogeneo, seppur con pochissimi esempi di eccellenza narrativa. Da segnalare la variabilità di sfumature percepibili nella lettura orientate verso una contaminazione di generi utile a diversificare le varie soluzioni offerte.

martedì 5 marzo 2024

Recensione Narrativa: NORTON VYSE INVESTIGATORE PSICHICO.

Autore: Rose Champion De Crespigny.
Titolo Originale: Norton Vyse: Psychic.
Anno: 1919.
Genere:  Weird.
Editore: Providence Press (2023).
Pagine: 156.
Prezzo: 19.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

L'AUTORE

Inedita introduzione sul mercato editoriale italiano, mai prima di questo volume era stato possibile leggere qualcosa dell'inglese Rose Champion De Crespigny. Artista a tuttotondo classe 1859, dapprima musicista, poi pittrice e saggista e infine scrittrice popolare. La De Crespigny, cognome ereditato dal marito (un tenente della Royal Navy), è un nome soprattutto legato allo spiritismo inglese. Grande amica di Arthur Conan Doyle, membro del British College of Psychic Science e introdotta alla Teosofia, alle filosofie orientali e alla meditazione, fu conferenziera, presenza assidua alle sedute spiritiche e fu, soprattutto, una grande studiosa del mondo paranormale legato allo spiritismo. Studiò tutte le fasi dei fenomeni, compresi quelli fisici, la trance, la psicometria, la chiaroveggenza, la chiarudienza e la comunicazione in stato di trance.

Pubblicò il suo primo romanzo nel 1901 (From Behind the Arras), interessandosi progressivamente alla narrativa popolare (compresa la poliziesca) arrivando a dare alle stampe trenta volumi, inizialmente dedicati alle genealogie e alle storie locali.


RECENSIONE GENERICA

Norton Vyse è probabilmente il personaggio più famoso di Rose Champion de Crespigny, al centro di sei racconti che videro la luce nel 1919, nell'arco di due mesi e mezzo, sul periodico The Premier Magazine (sono stati raccolti per la prima volta novant'anni dopo, nel 1999). Si tratta di storie che permettono alla De Crespigny di presentare ai suoi lettori, grazie anche a una serie di metafore ed esempi, la propria filosofia esoterica. Dunque una raccolta di sei racconti brevi che hanno la vera e propria veste di un compendio saggistico sul mondo dello spiritismo. Nonostante la difficoltà e l'impalpabilità dell'argomento, l'autrice mostra una spiccata maestria delucidando la propria visione in modo chiaro e ben spiegando, muovendosi verso quel mondo che noi definiremmo l'aldilà ma che lei chiama il sovrafisico, con un piglio che vuole essere razionale e, al tempo stesso, scientifico. Non ci sono rituali, formule magiche o preghiere da conoscere e recitare. Niente di tutto questo. C'è, piuttosto, una predisposizione e una preparazione fisica. Si apre per tale via una conoscenza attraverso la quale viene data per certa la presenza sulla terra degli spiriti dei defunti, spiegando come questi possano interferire, nel rispetto di alcune regole vigenti nel mondo superiore, con i vivi. Ecco allora delucidati i ruoli dei medium e, in contemporanea, argomentati fenomeni quali la psicometria, la chiaroveggenza, la scrittura automatica, la “voce diretta” e le possessioni spiritiche. Attraverso le spiegazioni di Vyse, un uomo possente di poco superiore al metro e ottanta (sei piedi) che antepone di gran lunga l'intelletto all'azione (è infatti soprattutto un consulente di persone alle prese col paranormale e non già un personaggio prossimo al ruolo di poliziotto), la De Crespigny supera i limiti dei cinque sensi umani, la credulità della religione e, al contempo, l'arroganza della scienza del periodo muovendo una vera e propria crociata verso il cosiddetto “buon senso” sbandierato dagli ignoranti (“non si può andare lontano in nessuna direzione se ci si affida al buon senso”).

Norton Vyse Investigatore Psichico è dunque una vera e propria perla della narrativa esoterica/occulta fin troppo spesso ignorata e dimenticata anche dagli studiosi. La Providence Press, che ne ha curato una discreta edizione, ha reso da collezione il volume decidendo di pubblicarlo in serie limitatissima (appena 80 copie). Le traduzioni di Gianfranco Calvitti sono ottime e ben rappresentano lo stile veloce, semplificato e al tempo stesso colto della De Crespigny. Pur se toccando argomenti complessi, la lettura è veloce e digeribile. A differenza di altri autori legati al sottogenere degli indagatori del soprannaturale, l'obiettivo dell'autrice non è l'intrattenimento dei lettori, bensì quello di solleticare la riflessione degli stessi verso materie apparentemente sfuggevoli e legate ai fenomini spiritici. Ne esce un messaggio ottimista e di speranza, dove niente è destinato a scomparire veramente. La narrativa si presta alla saggistica. I sei racconti che compongono il volume sono degli esempi attraverso i quali veicolare un messaggio che vuole essere superiore e collocato al di là del materialismo che l'uomo medio intende riconoscere quale unica realtà, rifiutando di credere a quanto non possa essere percepito dai cinque sensi. Norton Vyse entra nel campo di quello che potremmo definire il sesto senso.


GLI INSEGNAMENTI

Norton Vyse è un investigatore londinese (che vive tenendo un pavone in giardino) esperto nell'arte della psicometria, cioè la capacità di vedere e rivivere gli eventi passati percependo le “vibrazioni” emesse dagli oggetti, poiché “ogni cosa registra automaticamente la propria storia”. È altresì definito “sensitivo, sensibile, studioso di tutte le forme di scienza occulta, con una certa familiarità con la psicologia”. In ogni racconto Vyse continua a spiegare il funzionamento della sua scienza a un palcoscenico, sempre diverso, di clienti scettici e convinti di stare nel giusto (ogni volta si ricrederanno), eppure costretti a sentire una campana diversa dalla loro perché chiamati a tale evenienza dalle circostanze straordinarie. “Tutta la materia vibra, dall'elettrone in su... la differenziazione della materia – solido, liquido, gassoso – è solo una questione di ritmi di vibrazione variabili. I nostri cinque sensi sono sintonizzati per ricevere e rispondere entro un certo limite” oltre il quale si trova uno stato di materia più sottile che sfugge ai cinque sensi e che può essere percepita dai più sensibili (i medium). Tale percezione può essere interiore (manifestazione astrale), così che si possa vedere - non attraverso gli occhi fisici - con una sorta di sesto senso (riconducibile a una qualche vita precedente), oppure può essere esteriore e dunque fisica e vedibile da tutti (manifestazione fisica). In quest'ultimo caso è necessaria la presenza di un medium, cioè di una sorta di tramite tra i "due distinti stati della materia". Il medium sarebbe dotato di una sovrabbondanza di sostanza eterica da cui la materia più sottile rispetto alla fisica attingerebbe per potersi materializzare. Nel primo caso si parla di chiaroveggenza, mentre nel secondo caso di materializzazione.

Oltre i sensi fisici, abbiamo anche i sensi più sottili che sono latenti e che appartengono ai corpi interni.” Si tratta di una sensibilità che alcune persone hanno dalla nascita, ma che tutti, attraverso l'allenamento e lo studio, possono sviluppare.

Accanto a questa tematica, la De Crespigny si dedica allo spiritismo e, più in particolare, al mistero della morte. Nella sua visione, la morte sarebbe un semplice passaggio di materia, dalla fisica a una più “sottile”, cioè uno stato che vibra appena un po' più rapidamente del fisico sfuggendo dalla percezione dei cinque sensi. “I defunti sono solo un gradino più alto sul piano evolutivo”, non ascendono verso mondi superiori, ma restano in mezzo ai vivi consapevoli della presenza di questi ultimi tanto da poter interferire, indirettamente (ovvero operando sul convincimento dei singoli viventi), con le vicende umane al verificarsi di date condizioni. “Hanno una visione più ampia, perché più ampia è la loro prospettiva”. In assenza di tali condizioni (quali a esempio la presenza di un medium), tuttavia, tra vivi e morti non possono esserci contatti. “Non sono morti, né sono angeli o fantasmi, ma sono ancora vivi come lo siamo noi e concreti e attivi sul nostro stesso piano, divisi solo da un battito di ciglia dell'etere.

Si arriva per tali vie a concludere che “la comunicazione col piano superiore – quello sovrafisico – è un altro gradino sulla scala della scoperta scientifica”.

 

I RACCONTI (con spoiler)

Sei storie, di venticinque pagine ciascuna, meramente strumentali al messaggio che l'autrice intende lasciare. Veri e propri veicoli di trasmissione di un insegnamento esoterico. La De Crespigny crede in quello che scrive, non è una mera intrattenitrice e la cosa si riflette sulle storie.

The Moving Finger (Il Dito in Movimento) è il racconto introduttivo che presenta Norton Vyse e la sua particolare dote di risolvere enigmi e casi, utilizzando il tatto quale canale di accesso per le vibrazioni rimaste intrappolate in oggetti o in luoghi rappresentativi di eventi passati. Attraverso la decriptazione delle vibrazioni, Vyse vede cosa è accaduto.

In questo primo racconto, l'investigatore viene ingaggiato da una madre poco convinta della scelta operata dalla figlia intenzionata a sposare un ragazzo proveniente dall'Argentina. Della serie: questo matrimonio non sa da fare. E, in effetti, il giovane nasconde un oscuro delitto commesso anni prima, in Argentina, ai danni dell'allora fidanzata. Per Vyse sarà sufficiente tastare l'anello che l'uomo porta al dito per venire a capo della natura crudele dell'uomo.

The Shears of Atropos (Le Cesoie di Atropo) è il racconto più efficace sul piano narrativo. Il lettore resta nell'attesa di capire quale mistero si celi nella visione da cui è ossessionato il cliente di Vyse, qua in un ruolo di semplice consulente estraneo alla vicenda. Vyse resta ai margini della storia, offrendo spunti al cliente che poi gli rivelerà quanto esser successo. Ci si interroga sulla possibilità per i defunti di interloquire con i vivi, al fine di prevenire eventi futuri. L'apparizione di una strana donna dai capelli rossi e di un filo, invisibili agli altri, che lega il cliente di Vyse all'apparizione è il fulcro del racconto. Finale d'effetto, in cui ogni cosa diventerà chiara. È il racconto più sovrannaturale del libro, probabilmente il migliore.

Simile è The Case of Mr Fitzgordon (Il Caso del Signor Fitzgordon), forse il meno organico del testo. Vyse è oggetto di visite, disgiunte tra loro, di marito e moglie, dove si parla di scrittura automatica, possessioni e rivelazioni future per intercessione di uno spirito. La De Crespigny parte da un caso e poi passa a un altro, senza risolvere il primo. Interessante l'idea della possessione spiritica che parte da un evento traumatico (la perdita di coscienza di una vittima di un incidente o di una malattia) responsabile dell'apertura della via d'accesso per uno spirito vagante bramoso di riconquistare la fisicità perduta. Il tutto si conclude con l'affermazione secondo la quale gli ospedali psichiatrici sarebbero pieni di posseduti.

The Witness in the Wood (Il Testimone nel Bosco) promette molto bene, ma si rivela incapace di decollare. Una serie di morti improvvise e di delitti si registrano in pieno bosco, attorno a uno stagno. Le vittime sembrano esser state colpite da improvvisi arresti cardiaci dopo aver visto qualcosa di terrificante. Vyse torna all'azione in prima persona e sventerà, senza strafare, un omicidio non sorretto da quella che nel codice penale si chiama "coscienza e volontà".

Grandi attese, ma niente di mostruoso si materializzerà. Nell'area, infatti, è presente una pietra utilizzata ai tempi dei rituali pagani quale altare sacrificale. Da essa si libererebbero vibrazioni capaci di alterare le percezioni dei visitatori del bosco, facendone impazzire alcuni e suggerendo atti di annientazione ad altri. Molto buona la prima parte, tende a sgonfiarsi verso l'epilogo.

The Villa on the Borderive Road (La Villa sulla Strada per Borderive) sembra una storia uscita dalla serie Carnacki di William Hope Hodgson. Vyse, ancora una volta, lavora in veste di consulente, questa volta per corrispondenza dall'Inghilterra verso la Francia. È in gioco l'eredità condizionata di una villa all'interno della quale, onde evitare di perderla, l'erede designata dovrà vivere per almeno sei mesi. Una serie di contatti fisici, prima per mezzo di una mano fantasma, e poi l'apparizione di una mano sfregiata che minaccia la cliente di Vyse rischiano di mettere in fuga la giovane a vantaggio dell'altro erede potenziale. Racconto più horror del lotto, che gioca attorno al ruolo del medium (non sempre operatore conscio del proprio ruolo e dei propri poteri) quale portale d'accesso (o meglio di materializzazione) di spiriti maligni che albergano in un'abitazione. Sarà sufficiente allontanare la donna di compagnia, suggerita alla protagonista dall'altro erede e a sua insaputa medium, per risolvere le molestie sovrannaturali.

Spiriti inviperiti al centro anche di The Voice (La Voce), questa volta sotto forma di una voce intenzionata a chiedere chiarimenti. Uno dei due testimoni dell'evento, l'altro è senza saperlo il medium che permette allo spirito di manifestarsi, è colpevole di aver pubblicato a proprio nome un libro divenuto di successo sottraendo l'onore al vero autore (lo spirito del defunto). Quest'ultimo intende far porre rimedio all'altro, ristabilendo agli occhi di tuttu chi sia lo scrittore meritevole di lodi.


CONCLUSIONE

Volume imperdibile per gli amanti della narrativa legata alle scuole iniziatiche di matrice occulta o comunque per gli appassionati di spiritismo. Le storie di Norton Vyse hanno valenza di un unicum ben diverso dalle tradizionali ghost stories o dai racconti tipici degli investigatori dell'occulto. La De Crespigny guarda a Hesselius di Le Fanu, piuttosto che a Sherlock Holmes, John Silence o Thomas Carnacki, plasmando una sorta di professore universitario di materie occulte. Vyse non ha nulla dell'uomo d'azione tanto caro alla narrativa pulp. I contenuti dei vari racconti prevalgono sui soggetti e sulla narrativa. Manca forse il sense of wonder e le atmosfere, ma si recupera il tutto sulla sostanza che, senza ombra di dubbio, è nettamente superiore alla media di questa tipologia di storie. Bene hanno fatto Calvitti e Ortolani a recuperare il testo per il mercato italiano. La serie limitata a 80 copie è un fattore aggiunto che spinge all'acquisto. Felice di averlo comprato.

 
L'autrice Rose Champion de Crespigny
 
"Sei come chi è nato cieco per coloro che possono vedere. Se non sceglie di crederci, non potranno mai dimostrare che il cielo è blu o una rosa è rossa. Egli è completamente soddisfatto dei propri limiti. Ma loro lo sanno."

mercoledì 28 febbraio 2024

Recensione Narrativa: THE BLACK LORD di Colin Hinckley.

Autore: Colin Hinckley.
Titolo Originale: The Black Lord.
Anno: 2023.
Genere:  Horror.
Editore: Independent Legions (2024).
Pagine: 152.
Prezzo: 14.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Fresca uscita della Independent Legions Publishing che, nell'occasione, guarda in modo spiccato al modern weird un po' come se fosse le Edizioni Hypnos. The Black Lord, del giovanissimo Colin Hinckley, è un racconto weird a tutti gli effetti che miscela i topoi classici, in particolar modo legati alla narrativa di Algernon Blackwood, a quella narrativa dell'orrore degli anni ottanta che ha i suoi fari guida in scrittori come Charles L. Grant (si veda The Pet – La Carezza della Paura) e, in parte, Stephen King.

Poco più di cento pagine, per una novella che potremmo definire divisa in due parti molto diverse tra loro: la prima legata a una sorta di elaborazione di un lutto in famiglia, con un bambino che cerca di metabolizzare la scomparsa del fratellino (vero e proprio eroe ed emblema di coraggio) mentre i genitori sprofondano nella disperazione più assoluta. Dunque la disgregazione prossima di una famiglia che fatica a reagire al cospetto del dramma, con un padre di famiglia che trova nell'alcool la scorciatoia per anestetizzare il dolore (approccio kinghiano). Molto diversa la seconda parte, che rimanda a idee lovecraftiane fino ad assumere una filosofia nichilista che sconfessa l'esistenza di un Dio interessato alle vicende umane.

Hinckley struttura la storia con un taglio cinematografico, modificando, di capitolo in capitolo, i punti di vista dei personaggi per riproporre le medesime scene da punti di vista diversi. Largo uso inoltre dei flashback, sempre utili per aggiungere dettagli e comporre il mosaico che delinea le carraterizzazioni psicologiche dei personaggi. Nella prima parte, l'autore sembra alludere a una qualche allucinazione del piccolo protagonista, terrorizzato, ogni notte, da un essere mostruoso che batte alla finestra della sua cameretta chiedendogli di aprirla e di farlo entrare. Hinckley rimanda all'immaginario del vampiro (non può entrare in casa se non invitato) e del licantropo (volto canino, petto peloso e fame spropositata un po' come il lupo di Rodari) ma lo fa in chiave moderna sotto la forma di una metafora delle problematiche familiari. Il riferimento va alle violenze familiari e ai conflitti passati mai superati dovuti ai contrasti col padre. Su questa prima fase si innesca la seconda, piuttosto inattesa e imprevedibile. Il fantastico subentra al realismo quotidiano e lo fa all'ennesima potenza, orientando quello che poteva sembrare un racconto stile anni ottanta in un vero e proprio tuffo nel passato di quell'orrore cosmico, con tanto di passaggio dimensionale, erede dei sogni di Lovecraft e dei maestri inglesi che ne influenzarono la narrativa. Tornano infatti a rivivere le atmosfere di cult quali The Wendigo e The Man Whom the Trees Loved (“L'Uomo che Amava gli Alberi”) di Algernon Blackwood o, in misura minore, di The Novel of the Black Seal ("La Storia del Sigillo Nero") e "The Shining Pyramid" ("La Piramide di Fuoco") di Arthur Machen. I protagonisti della vicenda, infatti, vengono letteralmente ingoiati dal bosco e dalla natura attigua alla loro abitazione, in una delirante, quanto disperata, caccia all'uomo (in realtà un'evoluzione licantropica di un orco) nella speranza di poter ritrovare in vita il piccolo scomparso (in un certo senso ritorna, sotto altra luce, anche la tematica macheniana dei folletti che rapiscono bambini in culla). Esaltazione dunque della natura, tra ruscelli oscuri che risuonano laddove non avevano mai dato traccia di se, alberi che sembrano muoversi e strane apparizioni che si palesano tra le fronde. Gli alberi sembrano esseri senzienti, esseri mobili che potrebbero sradicarsi e piombare su di lui in qualsiasi momento.”

In questa seconda fase tutto si modifica. I personaggi, ignari di quanto sta accadendo, penetrano in un mondo altro, un qualcosa di alieno che sconvolge le regole che conosciamo, a partire dal concetto del tempo. Le stelle perdono la loro consistenza, diventano altro. Il cielo assume colori indescrivibili, mentre mondo vegetale e mondo animale si sovrappongono per riscrivere i connotati del “mostro”, un uomo contaminato da un male ultraterreno che (un po' come per il vampiro e per il licantropo) lo ha trasformato in un qualcosa di nuovo e innovativo. Potente il sense of wonder, così come la tensione che raggiunge vette orrorifiche nelle ultime venti pagine del testo. Cristiano Saccoccia, pur se alle prime armi in veste di adattatore/traduttore, se la cava molto bene e a lui si deve la scelta di proporre il volume in versione italiana (ottima individuazione). Lessico chiaro, veloce e in grado di rapire l'attenzione nei momenti cardinali. Hinckley, anche in questo, modernizza la scrittura dei grandi maestri e lo fa senza banalizzare lo stile e senza perdere niente a livello di capacità evocative.

The Black Lord è dunque una “fiaba nera” molto diversa da quelle proposte dalla Independent Legions, molto più prossima alla narrativa del terrore della prima metà del novecento che alla narrativa del terrore contemporanea. Il grandguignol è quasi assente, mentre il senso di estraniamento onirico/visionario costituisce il punto di forza.

Da segnalare, all'interno del volume, un racconto omaggio che, ancora una volta, combina i disagi familiari e la rielaborazione del lutto con l'idea degli alberi animati e del bosco pressante che si piega verso l'abitazione della giovane coppia di protagonisti (idea chiaramente ripresa da Blackwood). Acquisto ultra consigliato agli appassionati della narrativa weird legata agli antesignani di Howard P. Lovecraft. Bravo Saccoccia a proporla e, prima ancora, a scoprirla. Dovrebbe infatti essere la prima pubblicazione in italiano di Hinckley.

Il giovane Colin Hinckley.

Un bambino andrebbe protetto da quell'orrida realtà sospesa tra le fiabe e una tragedia indicibile.”

martedì 27 febbraio 2024

Recensione Saggi: IL PORTIERE DI ASTRACHAN' di Romano Lupi.

Autore: Romano Lupi.
Anno: 2019.
Genere:  Saggio Sport.
Editore: Fila 37.
Pagine: 186.
Prezzo: 15.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Secondo dei tre volumi, editi dalla romana Fila 37 dedicati al calcio sovietico, acquistati dal sottoscritto in occasione del Pisa Bookfestival del 2023. Scritto dal giornalista pubblicista sanremese Romano Lupi, Il Portiere di Astrachan è la biografia di un mito sportivo degli anni '80. Miglior portiere del mondo nel 1988, miglior calciatore sovietico del 1982, miglior portiere del mondiale del 1982, sei volte miglior portiere sovietico tra il 1980 e il 1988, due volte campione dell'Urss con lo Spartak Mosca, medaglia d'argento agli Europei del 1988 e medaglia di bronzo alle olimpiadi del 1980, Rinat Dasaev è un must per chi, come il sottoscritto, si è avvicinato al calcio da bimbo negli anni ottanta. Ho avuto la fortuna di vedere giocare questo portiere, all'epoca oggetto anche di critiche (come ben ricorda Lupi nel suo testo, facendo riferimento a Gianni Brera, Walter Zenga e Minà) ma, al tempo stesso, osannato dalla critica e dai preparatori dei portieri (lo posso ben dire avendo iniziato a giocare in porta nel 1989). Lupi ne sottolinea correttamente le doti, lo stile unico e tipico che ne faceva uno sperimentatore di stili e scuole calcistiche. Discepolo per corrispondenza di Harald Schumacher - numero uno della Germania Ovest dell'epoca - erede designato di Lev Yasin, ma soprattutto primo giocatore d'attacco della sua squadra. Il suo, per l'epoca, era un approccio innovativo nell'interpretare il ruolo dell'estremo difensore. Non più un solitario chiamato a interpretare un ruolo singolo all'interno di uno sport di squadra, bensi il primo elemento all'interno di un collettivo (quello dell'URSS del “colonnello” Lobanovskij) schierato con una tattica antesignana prossima a surclassare e mandare in pensione il cosiddetto gioco a uomo in favore della zona più estrema. Uno spartito di gioco basato sull'esaltazione del collettivo a discapito dell'individualità tecnica dei singoli. Talento e individualismi sacrificati sull'altare della pragmaticità e della sostanza. Tanta corsa, verticalizzazioni e una cultura votata al bene supremo non solo della squadra ma di una nazione chiamata al canto del cigno onde evitare di cedere il passo al capitalismo.

Il Portiere di Astrachan segue passo per passo le vicende di Dasaev, soprattutto quelle conosciute in occidente, parlando delle partite internazionali della sua squadra di club (lo Spartak Mosca) e in modo assai più approfondito delle competizioni mondiali ed europee dell'Unione Sovietica. Lupi descrive le azioni, le parate e i momenti salienti delle varie partite (non ci sono cenni, se non telegrafici, ai match interni del campionato sovietico). Ecco che il volume, di maggiore presa sportiva rispetto al già recensito Spartak Mosca di Mario Alessandro Curletto (vedi http://giurista81.blogspot.com/2023/10/recensione-saggi-spartak-mosca-di-mario.html), diventa un testo sulle sorti dell'ultimo decennio della nazionale sovietica, di cui Dasaev è stato pilastro e capitano. È l'Unione Sovietica degli juventini Alenikov e Zavarov, del pallone d'oro Belanov, della punta Protasov e del futuro sampdoriano Mychailychenko, oltre che di Blochin, Rats e Demianenko. Un collettivo “operaio” giostrato dai brutali allenamenti di Lobanovskij (su cui Lupi non indaga, nell'occasione, troppo), idolo assoluto di Kiev che non risparmia critiche e non entrerà mai in grande sintonia con Dasaev (probabilmente per gli ammiccamenti dell'occidente verso il portiere) pur preferendolo al “pretoriano” Chanov (portiere della Dinamo Kiev).

Il volume parte dall'importanza del ruolo del portiere nella cultura sovietica, proseguendo con gli inevitabili rimandi al mito Lev Jasin (unico portiere a vincere un pallone d'oro) per spostare progressivamente l'attenzione su Dasaev. L'attitudine al nuoto, la fede islamica, gli esordi ad Astrachan, quindi l'approdo allo Spartak e da qui la scalata verso la conquista della nazionale e della fascia da capitano fino al declino a Siviglia tra papere, incidenti stradali e il sospetto dell'alcolismo (che Lupi sconfessa). Dasaev, negli anni ottanta, incarna il ruolo del portiere moderno: “fornisce un'interpretazione innovativa del ruolo, dimostrando di essere uno dei portieri più completi della sua generazione. La capacità di far ripartire l'azione una volta catturata la sfera, diventando così l'ispiratore dei contropiede. Con lui il portiere non è più un corpo avulso dagli altri dieci giocatori, ma è parte integrante di tutta la squadra.”

Lupi parla di tutto questo, fornendo un volume nostalgico per chi quegli anni li ha vissuti. Il Portiere di Astrachan è un libro di nicchia, indirizzato ai cultori del calcio internazionale e soprattutto est europeo. Fila 37 si conferma una casa editrice interessata alle vicende sportive del mondo sovietico e offre ai suoi lettori l'opportunità di approfondire la conoscenza su un'epoca ormai lontana, eppure affascinante e molto diversa da quella patinata e viziata che siamo abituati a conoscere.

Qualche refuso in qua e in là non inficia il valore del volume, facile da leggere e sufficientemente impreziosito da interviste ed estratti estrapolati da altri volumi, giornali e siti. Per cultori. Acquisto obbligatorio per il sottoscritto.

La nazionale sovietica a matrice ucraina (quando russi e ucraini giocavano assieme)
giunta seconda negli Europei del 1988.
Dasaev, in completo giallo, è il primo da sinistra verso destra.

"Ci sono delle regole auree per i portieri: o si rimane fermi o, se si va avanti, bisogna continuare e gettarsi sul pallone."

martedì 13 febbraio 2024

Recensione Cinema: POVERE CREATURE! di Yorgos Lanthimos.

Regia: Yorgos Lanthimos.
Anno: 2023.
Genere: Grottesco / Fantastico / Erotico.
Attori Principali: Emma Stone, Mark Ruffalo, Willem Defoe, Ramy Youssef, Christopher Abbott.
Fotografia: Robbie Ryan.
Musiche: Jerskin Fendrix. 
Durata: 141 minuti.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Undici nomination agli oscar, due Golden Globe vinti (migliore attrice e miglior film), per un film piuttosto ardito e coraggioso (presenti anche diversi momenti splatter e gore), che affonda le sue radici nei classici della narrativa fantastica e li rimodula in un'ottica moderna e artistica. Frankenstein di Mary Shelley, palesemente citato dal trucco di Willem Defoe (un personaggio assurdo il suo) e dal rimando (questa volta all'adattamento cinmatografico di James Whale) delle scariche elettriche per riportare in vita un corpo morto, L'isola del Dottor Moreau di Herbert G. Wells e ancora Il Gran Dio Pan di Arthur Machen, La Mandragora di Hans Heinz Ewers e un romanzo semisconosciuto (Anima Nera) di uno psichiatra dedito al fantastico che i fan conoscono come Frank Graegorius per i suoi testi inseriti nella collana I Racconti di Dracula. Questi gli ingredienti, a cui si aggiunge un'intelaiatura da film di formazione incentrato sul tema dell'emancipazione della donna (dal controllo dell'uomo) sulla base del libero arbitrio. Diretto con piglio sperimentale da Yorgos Lanthinos (regia eccellente), che fa un uso massiccio del grandangolo anche in scene che si svolgono in interni, guardando un po' a Barbie (le scenografie artificiose quasi fiabesche e la fotografia con gialli-arancioni sparati sono un valore aggiunto non di poco conto) e, al tempo stesso, all'età vittoriana (carrozze trainate da cavalli, vaporetti, ma anche strane funivie urbane) in un mix da steampunk. Visivamente molto bello, con tanto, tanto, sesso (alla Ivo Torello) e una protagonista apatica e non “corrotta” da quel senso etico che in realtà fa comportare i presunti civilizzati come individui che pretendono di avere per sé chi apprezzano solo per motivi sessuali asservendosi a un'ipocrita falsità di fondo (come si deve rispondere a una cena di gala). Un aspetto da una parte positivo, ma dall'altro rappresentato da una ragazza egoista (perché priva di coinvolgimento cerebrale o, se preferite, emotivo) pur se nel suo altruismo umanitario (si dispera dopo aver visto i poveri morire, sentendosi in colpa per la sua estrazione sociale). Fortissimo il rimando a Machen ed Ewers (avrebbero amato il film e con loro ne avrebbe parlato bene anche il citato Oscar Wilde), con la follia che finisce per pervadere molti degli amanti della donna (notevole Mark Ruffalo che ritorna ai tempi di In The Cut), evidentemente settati in modo malato e possessivi, con continui ribaltamenti dei ruoli (questo si era percepito anche in Barbie). E' fortissima questa componente del film e su essa si poggia tutta la parte centrale del film. Mark Ruffalo, pur essendo uno sciupafemmine, fa di tutto per far stare bene la sua donna, le dice di volerla sposare e di voler farsi una famiglia con lei, ma la ragazzina (alquanto ninfomane e schiava del sesso) non può essere ingabbiata in uno schema che non ne caratterizza lo spirito. Bella Baxter (una magistrale Emma Stone) è tutto fuorché sensuale o bella alla Margot Robbie, eppure ammalia o meglio ipnotizza (come le dice il "cornutissimo" promesso sposo, disposto a passare sopra tutto pur di sposarla). La sua ingenuità è tale da farne una sorta di ragazza ritardata o, meglio ancora, fanciulla, nonostante le esperienze di vita la portino a svilupparsi sempre più sotto un profilo culturale (ma non emotivo o spirituale) fino a trasformarsi in un medico. Molti i contenuti intrinseci per un'opera che acquisisce valenze psicanalitiche, da ricercarsi persino nella notevole passione artistica che pervade la regia (si vedano gli originali titoli di coda o l'uso delle scenografie, molte delle quali ricreate utilizzando uno sfondo green screen).

Esilaranti i dialoghi di Tony McNamara (si ride persino) con Bella che parla di qualunque cosa, anche le più riservata, come se stesse parlando del più o del meno, senza alcuna malizia o scopi ulteriori. Non manca un messaggio finale di fondo che, pur muovendosi da uno spunto pessimista e nichilista ("l'uomo è fondamentalmente cattivo"), tende, attraverso l'infantile protagonista, ad abbandonarsi al sogno di un mondo migliore da realizzare attraverso lo sviluppo di ogni singolo uomo (senza religioni, etica o ipocrisie a influenzarne la condotta) così che dal miglioramento del singolo si arrivi a quello della collettività in una concezione decisamente libertina che riconduce l'atto sessuale (evidentemente trattato con rimandi freudiani quale forza motrice del tutto) a una pura esigenza fisiologica che genera felicità se non castrata o incanalata nella monogamia (questo dice il regista). Notevole da un punto di vista tecnico e artistico, sebbene non originale quanto potrebbe sembrare allo spettatore medio, Povere Creature! frulla horror, fantastico, erotico, filosofia, grottesco e fantascienza riuscendo a potare a termine un film solido. Sorprende che i bacchettoni di Hollywood non lo abbiano penalizzato, essendo un prodotto concettualmente molto più europeo che americano. Da non perdere per gli appassionati di contaminazioni tra fantastico ed erotico. 

  L'attrice Emma Stone,
candidata all'oscar e vincitrice del Golden Globe

 "E' l'obiettivo di tutti, fare progressi.

martedì 6 febbraio 2024

Recensione Narrativa: TERRE DESOLATE di Stephen King.

Autore: Stephen King.
Titolo Originale: The Waste Lands.
Anno: 1991.
Genere:  Fantastico: III capitolo saga La Torre Nera.
Editore: Sperling & Kupfer.
Pagine: 452.
Prezzo: 14.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Terzo capitolo della saga fiume della Torre Nera. Stephen King lo scrive nel 1991, mentre sta completando Cose Preziose. È un King, probabilmente, all'apice del suo periodo migliore. The Waste Lands (“Terre Desolate”) inizia laddove, quattro anni prima, si era concluso The Drawing of the Three (“La Chiamata dei Tre”) e delinea la classica struttura da point to point che caratterizzerà la serie, in cui i protagonisti marciano lungo scenari variabili (spiaggia, foresta, ambiente urbano, deserto) verso la destinazione finale rappresentata dalla fantomatica Torre Nera. È proprio da questo romanzo che il ka-tet (un gruppo di persone legate insieme dal destino) rappresentato dal pistolero (Roland), Eddie (l'ex tossico) e la colored disabile Susannah (che viaggia su sedia a rotelle), a cui si aggiungeranno Jake e un animaletto (cosiddetto bimbolo) simile a un cane parlante, prende la marcia in direzione della Torre Nera al fine di ristabilire l'ordine atto a invertire il processo di distruzione (e di espansione) che sta portando al collasso il mondo di Roland.

King offre frammenti del passato del "Tutto Mondo", la dimensione parallela in cui vivevano “i Grandi Antichi”, esseri umani con una conoscenza pari a quella degli dei, e in cui ha sede la Torre Nera. La Torre Nera è il portale che governa tutti i mondi e che si trova al centro di un cerchio rappresentato da altri dodici portali interconnessi ai vari mondi (compreso il nostro). È proprio in tale dimensione “fantastica” che ha luogo la marcia di Roland e dei suoi amici. Il plotoncino vaga per le lande desolate di un mondo post-atomico, in cui al fantasy e al western si miscela la fantascienza cibernetica. Tolkien, Lovecraft, James Cameron, Philip K. Dick e Robert Zemeckis (riferimento a Ritorno al Futuro con tanto di omaggio agli ZZ Top) si incontrano in un mix altamente visionario (specie nella seconda parte del romanzo). Troviamo animali androidi (sono i guardiani dei portali), creature extraterrestri, demoni stupratori, guerrieri deformi dal retrogusto punk, mutanti, città che ricordano Prypjat e un treno supersonico condotto da un computer che rimanda all'intelligenza artificiale stile Skynet di Terminator, al punto da controllare a proprio piacimento le sorti di una città fatiscente destinata alla distruzione.

Rispetto a La Chiamata dei Tre, rallenta il ritmo e c'è un minore rimando (comunque presente) alle vicende del “nostro” mondo, da cui viene recuperato Jake. Quest'ultimo è il ragazzino che il pistolero aveva lasciato morire ne L'Ultimo Cavaliere, ma che non è morto nella nostra realtà in quanto, ne La Chiamata dei Tre, Roland ha modificato la catena degli eventi che lo avrebbero condotto alla morte e dunque al primo passaggio nel Tutto Mondo, permettendone così un secondo passaggio. Ecco che si delinea una sorta di duplicazione di personaggi e di vicende in un vero e proprio gioco, tra futuro e passato, che ricorda molto Ritorno al Futuro Parte 2 di Zemeckis (omaggiato anche con i cartelloni di Clint Eastwood nei quali Jake riconosce il volto di Roland).

Notevole la parte finale (dove si ha una prima traccia della civiltà del mondo di Roland), con un epilogo proiettato verso il quarto capitolo, in cui King offre il meglio della propria visionarietà, aprendo uno squarcio su un mondo malato flagellato da radiazioni e dalla desolazione più assoluta, in cui si muovono pterodattili, serpenti giganti e creature umanoidi che hanno smarrito i tratti umani. Decisamente più fantascientifico che fantasy o horror. Da affrontare solo dopo aver letto i primi due capitoli.


Un buon romanzo è spesso come una serie di indovinelli in altri indovinelli.