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mercoledì 4 maggio 2011

recensione narrativa: ""RACCONTI AGGHIACCIANTI" Gustav Meyrink




RACCONTI AGGHIACCIANTI


Autore: Gustav MEYRINK

Anno di uscita: 1993

Casa editrice: Newton

Collana: 100 pagine, 1000 lire

Pagine: 100


Commento di Matteo Mancini

Collage di perle nato dal genio criptico/esoterico di Meyrink proposto dalla Newton nell'indimenticabile collana “100 pagine, 1000 lire” vero e proprio Olimpo per gli amanti della narrativa con la N maiuscola (ricordo testi di genere di scrittori del calibro di Kipling, Hawthorne, Stevenson, tanto per citarne alcuni). Questa, in estrema sintesi, è la presentazione che il sottoscritto Matteo Mancini ritiene di fare di “Racconti agghiaccianti”, il cui unico difetto risiede forse in un titolo piuttosto banale.

L'accoppiata Gianni Pilo – Sebastiano Fusco opta per undici racconti dello scrittore nato a Vienna nel lontano 1868, pescando dalla sua produzione gotica, dall'orrore cosmico e dalla fantascienza satirica spesso finalizzata alla derisione dell'esercito tedesco. Così ci imbattiamo in undici racconti variegati, ma uniti da un tratto comune che può esser facilmente compreso analizzando la risposta che Meyrink soleva dare a chi gli chiedeva il senso della sua narrativa: “la mia narrativa non è destinata tanto a raccontare quanto, piuttosto, a rivelare in forma allegorica e romanzata le vie e i mezzi per raggiungere uno stato e una conoscenza d'ordine superiore. Una via di risveglio che permetta all'adepto/lettore di superare, in vita, la condizione umana e riaccendere la scintilla divina presente all'interno di ogni uomo”.

Grande studioso di Kabbalah e filosofia, con alle spalle un passato burrascoso che lo portò sull'orlo del suicidio, Meyrink proietta i suoi studi nei racconti e lo fa con un taglio visionario e un gusto dell'orrore che trascina il lettore amante del bizzarro in un gorgo di emozioni che ha molto del misterioso e tutto dell'affascinante e che richiede una lettura attenta e scrupolosa per poterne carpire i segreti più importanti. Dunque un autore non di pronta soluzione e con un talento che è assai raro incontrare nella narrativa di genere.

Famoso soprattutto per aver dato alle stampe nel 1915 il romanzo “Il golem”, Meyrink offre il meglio di sé nella narrativa breve e il libro in questione né è, seppur in minima parte, una testimonianza tangibile.Abbiamo infatti autentiche gemme della narrativa horror, con vette degne di esser catalogate tra i più bei racconti mai confezionati in questo genere (e non solo).

Tra i racconti più meritevoli non si può non citare “Il gabinetto delle figure di cera”, un autentico orrore claustrofobico in cui Meyrink – come si intuisce dal titolo - parla di un museo apparentemente di statue di cera e di creature umane vittime di scherzi della natura (abbiamo una sorta di essere composto da due bambini di otto anni uniti tra loro da un cordone invisibile che li rende inseparabili). La particolarità dell'attrazione, tuttavia, sta nel fatto che il titolare - una sorta di stregone egizio capace di influenzare gli altri con la forza della mente - utilizza cavie per eseguire esperimenti esoterici tesi a scomporre l'uomo in tanti elementi mantenendo in vita ciascuno di essi staccato dal corpo originario. Un trio di coraggiosi cercherà di arrestare il depravato mago, svelando al pubblico ignorante (da tradurre come la massa del popolo) la vera natura del teatrino grandguignolesco.

Favoloso poi è “L'anello di Saturno”, in cui è ancora l'esoterismo a farla da padrone. Qui abbiamo un gruppo di adepti riuniti in un osservatorio astronomico pronti ad assistere al tentativo del loro maestro di imprigionare all'interno di una sfera di vetro l’anima di una beghina dispersa nell'universo. L’uomo inizia così un esorcismo, ma ottiene un risultato imprevisto poiché le ombre degli abitanti dell’abisso si staccano dai muri perimetrali dell'osservatorio, mentre dei ragni precipitano silenziosamente dalla soffitta aggredendo i presenti. In preda alla follia, il maestro si suicida con un coltello, mentre gli adepti intervengono in suo soccorso impedendo alle forze del male, che si dissolvono nel nulla, di sottrargli l’anima e di far imputridire l’intero laboratorio. Un racconto dunque incredibile capace di evocare un'angoscia che solo i più grandi artisti hanno il pregio di trasmettere.

Eccezionale è anche il gotico “L'urna di S. Gingolph”. Nell'occasione Meyrink opta per un taglio più semplice e realizza un racconto alla Frederick Benson per intenderci. Protagonista è un viandante in cerca di riposo in un panorama che ha molto dell'Irlanda. L'uomo si reca in una verde vallata costellata di macerie, restando sorpreso dalla presenza di un’urna intatta. Addormentatosi di fronte all'oggetto e ai cipressi che lo proteggono dalle intemperie, l’uomo rivive in sogno i fatti che hanno portato alla distruzione del castello che torreggiava in quei luoghi e scopre che all’interno dell’urna è conservato il corpicino di un bimbo che vi fu rinchiuso vivo. Racconto dunque molto bello, ma meno criptico e forse, per questo, più gradito ai più.

Sulla falsa riga di questo racconto, seppur qualitativamente inferiori, sono “La maschera di gesso” e “Il segreto del castello di Hathaway”. Il primo testo (un po' ironico) parla, ancora una volta, di un gruppo di adepti di una setta riuniti per festeggiare il centenario della morte del loro maestro. A tenere banco è una profezia secondo la quale la setta sarebbe sul punto di scomparire per la stupidità di un loro adepto (da notare la critica metaforica di Meyrink per la superficialità che caratterizza alcuni uomini). Più classico il secondo racconto, forse il peggiore della raccolta. Meyrink nara del solito castello, infestato da fantasmi, in cui pare gravare una maledizione che colpisce tutti i primogeniti della famiglia una volta raggiunti i 21 anni (ovvero la maggiore età), mandandoli in disgrazia. L'autore impreziosisce il testo con una grande componente sarcastica rappresentata dalla figura del fantasma (un bachiere che rivela i conti di famiglia); trovata che salva il racconto dall'insufficienza e che getta un forte velo di polemica nei riguardi delle famiglie nobiliari.

Costituiscono invece un viaggio nell'onirico e nel bizzarro più estremo “Le piante orribili” e “Danza macabra”. In entrambi i casi, si assiste a storie dove le descrizioni scenografiche raggiungono apici visionari ragguardevoli (nel secondo caso giustificati dal fatto che i protagonisti hanno ingerito dei funghi allucinogeni). Non si tratta però di esercizi di stile peraltro garantito da un lessico sempre ricercato, ma di un quid messo al servizio di un esoterismo più o meno marcato (nel primo caso abbiamo un egittologo alle prese con una statua di un demone che pare evocare strane forze, nel secondo testo, invece, entra in scena una confraternita composta da uomini perennemente in catalessi).

Particolare e gustosissimo è il racconto “Il bramino” dove due ricercatori restano infatuati da una scultura immersa nella palude. L'opera, per un maleficio, li trasforma in insetti destinati a fungere da cibo per una salamandra millenaria che esce dal bosco pronta ad avvilupparli con la linga.

Sono infine satirici e grotteschi i restanti due testi, entrambi con elementi fantascientifici e col fine ultimo di mettere in ridicolo i graduati dell'esercito (visti come scimmie stupide). I racconti si intitolano “I cervelli” e “Castroglobina”. Nel primo caso, come si evince dal titolo, si parla di uno scienziato che riesce a ricreare cervelli umani e ambisce a generare un uomo in laboratorio non riuscendo però a farlo ragionare, ma attirando comunque l'interesse dei militari che si interessano alle doti fisiche piuttosto che all'intelligenza degli uomini. Nel secondo, invece, abbiamo un altro scienziato questa volta alle prese con un virus capace di aumentare il senso patriottico dei soldati, ma con la controindicazione di istupidire le cavie all'aumentare del patriottismo.

Dunque un raccolta brevissima caratterizzata da un stile ricercato, elegante e calibrato di cui è consigliatissima la lettura, specie per chi è alla ricerca di opere capaci di distaccarsi dall'appiattimento generale tipico della narrativa commerciale spesso finalizzata all'esclusivo ed effimero intrattenimento. Ad avviso del recensore sono questi gli autori da approfondire se si vuol scrivere una narrativa di genere qualitativa, non certo altri che scimmiottano logiche cinematografiche e che vengono definiti, a torto, i "re dell'orrore". Eccelso. Voto: 8,5