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venerdì 27 maggio 2016

Anteprima del cortometraggio LION per la regia di DAVIDE MELINI





Regia e Sceneggiatura: Davide Melini.
Anno di uscita: UK, 2016.
Produzione: Luca Vannella, Alexis Continente, Vincenzo Mastrantonio, Bobby Holland, Ferdinando Merolla e Roberto Paglialunga.
Fotografia: Juanma Postigo.
Musiche: Francesco Tresca.
Interpreti principali: Pedro Sanchez, Micheal Segal e Tania Mercader.
Genere: Horror.

Frase di Lancio: La paura più grande dell'uomo è pronta a tornare.

Commento Matteo Mancini
Il ruggito dell'amico Davide Melini torna a squarciare il silenzio con un'intesità mai sentita. Il cieneasta romano, dopo qualche difficoltà incontrata nonostante i buoni risultati riscossi su scala intercontinentale da La Dolce Mano della Rosa Bianca (2010), irrompe in questa stagione con una serie di novità e un doppio appuntamento da leccarsi i baffi. Dopo i grossi problemi legati alla realizzazione di Deep Shock - arrivato quasi al punto di esser accantonato per disguidi con parte del cast artistico e parte di quello tecnico e poi ripreso grazie a un cambio di produzione dell'ultima ora - Davide ha trovato le giuste motivazioni prendendo parte, in veste di assistente alla regia, alla serie americana Penny Dreadful, girata negli storici set dell'Almeria. Qui ha conosciuto nuovi artisti, coinvolti nuovi personaggi che hanno fatto scoccare quella scintilla necessaria a far vivere la giusta fiamma indispensabile per far prender fuoco alla passione. Dunque un cassetto che si apre, un copione che ne esce per il conseguenziale allestimento di una nuova troupe, peraltro enorme per quel che riguarda il cast tecnico, col trasferimento a Malaga per trasformare in realtà cinematografica un doppio progetto steso su carta. Otto giorni di lavorazione, muniti di macchina Red Epic Dragon con l'ultima evoluzione a 6 K, per girare il tribolato Deep Shock (con attori irlandesi) e altri due per il secondo prodotto, che veniamo qua a presentare, intitolato Lion. 
Così Davide ci spiega la trama di questo suo ultimo corto: "C'è uno chalet isolato in una foresta innevata, c'è un uomo accecato dall'alcool e c'è una donna incapace di ribellarsi, ma c'è anche un bambino di otto anni, con un viso cupo e due occhi oscuri. Un mix che porterà la quiete della notte a esser frustata da una serie di grida che daranno l'inizio all'incubo." Non so voi, ma a noi viene subito in mente Shining di King.

Quello che possiamo dirvi per certo è che Melini, già in evidente crescita, pare aver compiuto quel deciso miglioramento su cui confidava dai tempi di The Puzzle, ormai otto anni fa, quando su queste pagine parlammo di questo suo primo corto dopo le esperienze da assistente ne La Terza Madre (2007) di Dario Argento. Una lunga gavetta passata dalla sofferenza di lasciare l'Italia, patria che non aiuta mai i propri rampolli, spesso fa ironia e quasi sempre intralcia i lavori, e la decisione di emigrare in Spagna. Un'atmosfera più accomodante, professionisti pronti a girare cortometraggi e un deciso progresso, pur se non privo di ostacoli e di delusioni. Alla fine però eccoci qua a parlare di un progetto che vede coinvolta una produzione da urlo che ha sede in Inghilterra ma che annovera molti personaggi italiani. Vediamoli uno a uno con le loro relative esperienze. Luca Vannella, hair stylist di Hemsworth (che io ricordo nella veste di Hunt in Rush di Howard) in Thor 2 (2013), medesimo ruolo nella saga Harry Potter, presente addirittura sul set di War Horse di Spielberg; poi abbiamo il collega di Vannella, Alexis Continente che arriva dai serial televisivi di Gomorra (2014); il veterano Vincenzo Mastrantonio, makeup artist in film monumentali, è il caso di dire, del calibro di Titanic (1997), Moulin Rouge (2001), La Passione di Cristo (2004); e ancora con lo stuntman Bobby Holland Hanton che ha preso parte a pellicole quali Inception (2010), Harry Potter, I Pirati dei Caraibi, addirittura controfigura di Batman ne Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno (2012); l'esperto e blasonato hair stylist Ferdinando Merolla da oltre trentacinque anni nel mondo del cinema con partecipazioni in kolossal quali Troy (2004), Gangs of New York (2002) e Hannibal Lecter - Le Origini del Male (2007); e infine il debuttante Roberto Paglialunga. Nel ruolo della produttrice esecutiva figura invece la spagnola Fabel Aguilera da sempre fedele sostenitrice di Melini.

Il protagonista MICHEAL SEGAL

Dunque nomi da cui traspira la massima esperienza nel cinema con la "C" maiuscola e accanto ai quali Melini, già di per se bravo, non può che aver trovato la convinzione e quella giusta cattiveria per cercare di fare il salto qualitativo. Lui stesso non ci nasconde la propria soddisfazione quando ci scrive: "Abbiamo fatto le cose per bene e girato il tutto senza problemi!"

Cast artistico ridotto all'essenziale con un nome di rilievo quale Michael Segal, apparso nel lungo e bellissimo film tv Ferrari (2003) interpretato da Castellitto dove ricopre il ruolo di giornalista, ma che abbiamo visto più volte nei corti di Ivan Zuccon, tra i quali L'Altrove (2000) e Colour from the Dark (2008) quest'ultimo scritto dall'amico Ivo Gazzarrini (che cogliamo l'occasione di salutare), oltre quelli di moltissimi altri registi che vivono sotto la sottile linea dell'underground, compreso il bientinese (patria origniaria del padre del celebre John Polidori) Francesco Picone in Age of the Dead (2015). E' al secondo corto la giovane Tania Mercader, mentre debutta il bimbo Pedro Sànchez. Dunque un cast artistico agevole e poco incline alla c.d. puzza sotto il naso, che non  dovrebbe aver creato problemi a Melini, evitando le noie avute col primo Deep Shock.

Lancio poi di Francesco Tresca alla colonna sonora, pescato dalla serie tv Italian Horror Story (2016) e subito avviato verso una serie di progetti; fotografia dello spagnolo Juanma Postigo (nomination al Premio Goya per la miglior fotografia col film El Violin de Piedra diretto da Emilio Ruiz), montaggio del debuttante Daniel Salinas.

Dunque un mix di professionisti che hanno lavorato con nomi quali Steven Spielberg, Scorsese, Dario Argento, James Cameron, Christopher Nolan e altri, alla produzione, combinato a un gruppo di nuove proposte con l'esperienza di Segal messa al servizio di un Melini combattivo fin dal titolo e dalla copertina del prodotto, che immortala un Leone, il Re della Foresta. Non ci resta che attendere l'uscita di questo prodotto, annunciato per Halloween 2016, girato in lingua inglese, cui farà seguito, nel 2017, l'uscita di Deep Shock. Intanto su youtube potete già vedere un piccolo trailer. Ai prossimi aggiornamenti con un Melini sempre più lanciato su scala internazionale.


Queste le pagine utili per approfondimenti:

1. Pagina IMDB: http://www.imdb.com/title/tt5480036/?ref_=nm_ov_bio_lk5

2. Pagina web ufficiale: http://davidemelini.com/LION

3. Facebook: https://www.facebook.com/Lion-Film-982262008522129/

4. Twitter: https://twitter.com/Lion_Film2017


Il regista DAVIDE MELINI

sabato 21 maggio 2016

Recensione Narrativa: VAMPIRI! a cura si Stephen Jones.




Autore: AA.VV.
Curatore: Stephen Jones.
Anno: 1992
Editore: Grandi Tascabili Economici Newton.
Pagine: 474.
Prezzo: 7.900 lire

Commento Matteo Mancini.
Ventotto racconti più una poesia formano questa corposa raccolta messa in piedi nel 1992 dall'eccelso antologista Stephen Jones, allora quarantunenne. Stiamo parlando di un grande maestro nel campo della narrativa fantastica, conosciuto anche quale consulente e sceneggiatore, e che non ha bisogno di presentazioni. Ricordiamo qua solo i suoi numerosi successi al Fantasy World Award e al Bram Stoker Award, per non parlare delle numerose finali conquistate al British Fantasy Award e all'Hugo Award.
Nell'occasione Jones presenta il suo omaggio alla figura del vampiro, come si capisce dall'eloquente titolo Vampiri!, nell'ambito di un progetto a più ampio raggio che ha portato all'uscita anche di analoghi omaggi ai più marcati stereotipi del genere horror, quali i licantropi piuttosto che gli automi sulla scia di Frankenstein.
Il volume vede la presenza di molti autori inglesi che coprono un vasto periodo temporale, con qualche autore americano a completamento. Si va dagli immancabili classici, quali Ligeia (1838) di Edgar Allan Poe e L'ospite di Dracula (1914) di Bram Stoker ovvero La Stanza nella Torre (1912) di Benson piuttosto che Il sangue della Vita (1911) di Francis Crawford (scrittore nato in Toscana ma di nazionalità statunitense), a racconti contemporanei compresi tra gli anni '70 e il 1992. 
Il livello qualitativo dei racconti è medio, la lunghezza breve, salvo tre racconti lunghi di lunghezza compresa tra le 40 e le 60 pagine. Potremmo dividere i vari racconti in quattro grandi categorie. Da una parte i classici, cinque racconti, che si trovano un po' dovunque con scrittori come Stoker, Montague James, Poe, Crawford e Benson; quindi i racconti che introducono la figura del vampiro in un contesto storico ben definito caratterizzando una società dove i vampiri convivono con gli umani e sono inseriti nel tessuto sociale; segue poi una più corposa parte in cui la figura del vampiro viene utilizzata per trame intrise di venature erotiche incentrate sull'adescamento e la successiva aggressione della vittima (parte peggiore dell'antologia), infine una parte più libera di racconti dove gli autori tentano di dar vita a un qualcosa di più originale.

Vediamo di analizzare ciascuna di queste categorie. Per la prima siamo molto veloci, poiché si tratta di testi conosciutissimi, peraltro Jones ne sceglie qualcuno, come Un Episodio della Storia di una Cattedrale (1919) di Montague James, piuttosto debole. Nella fattispecie si assiste al racconto di un restauro di una vecchia cattedrale nelle cui fondamenta, rinchiuso in un sepolcro su cui compare la scritta Ibi Cubavit Lamia, si scoprirà esser intrappolato un essere umanoide imprecisato che fuggirà durante i lavori. Meglio la storia di Benson, forse la migliore di questo gruppo unitamente all'immortale racconto di Stoker, in cui un uomo ossessionato da un incubo vede lo stesso materializzarsi durante una notte passata all'interno di una torre.

Più interessante e qualitativo il secondo gruppo di storie del quale fa parte, probabilmente, il miglior testo dell'antologia: L'Uomo che amava la vampira (1988). Lo firma un autore minore, tale Brian Stableford, e proietta il lettore nella Londra del 1623. La scenografia e i costumi sono quelli, cambia chiaramente il rilievo storico caratterizzato quasi fosse un qualcosa di parallelo rispetto alla Londra del tempo. Dico questo perché nel racconto di Stableford vampiri e uomini convivono, con i primi che governano Londra tenendo in rapporto di subordinazione gli umani. Nell'oscurità, tuttavia, trama una fratellanza segreta che cerca di sovvertire l'ordine al fine di debellare i vampiri dalla faccia della terra. In palio c'è la libertà di pensiero e di studio. I vampiri infatti hanno dato vita a un governo ombra che ostacola il progresso, in modo da evitare ogni potenziale rischio alla loro salute. La conoscenza potrebbe di fatti esser utilizzata contro i vampiri e quindi favorire la ribellione. Protagonista della storia è un meccanico che ha ideato e perfezionato lo strumento del microscopio al fine di studiare le acque del Tamigi e più in generale i batteri che potrebbero portare le malattie. Questo almeno in apparenza, la realtà è che lo strumento viene utilizzato per studiare il sangue per individuare i punti deboli dei vampiri e attaccarli in un qualche modo. L'uomo è stato fidanzato proprio con una vampira nobile e cerca di donare il prodotto alla dinastia della stessa. L'omaggio è però solo una scusa per riavvicinare la propria fiamma e trasmetterle, con un rapporto sessuale che ruota attorno alla suzione di sangue, una malattia letale che si è diffusa in Africa e di cui i topi ne sono portatori sani. Per perseguire lo scopo, l'uomo ha bevuto il sangue di topi infetti e si è così sacrificato alla causa da perfetto kamikaze (sorta di rilettura dell'AIDS spostata indietro nel tempo). 
Dunque un racconto molto interessante, si dice prologo di un romanzo intitolato L'Impero della Paura, che mischia l'erotismo a una qualche reminiscenza di filosofia politica (i vampiri cercano di governare con la logica del terrore e dell'ignoranza e si battono per ostacolare il progresso e la conoscenza). Breve, ma molto carino, sicuramente una delle sorprese dell'antologia.

La cover della seconda edizione.

Sceglie una via molto simile il più famoso Kim Newman, il quale ricalca l'idea della società retta dai vampiri in cui vivono gli umani, spostando però il periodo storico al 1888 ovvero all'anno degli omicidi di Jack lo Squartatore. E' proprio il celebre assassino, che qua viene individuato nell'identità, a ricoprire la veste del protagonista di questo Il Regno Rosso (1992). Si tratta di un racconto piuttosto lungo, circa una cinquantina di pagine, strumentale a rendere omaggi a personaggi della vita reale (Jack lo Squartatore, vittime dell'assassino, nomi dei sospettati) e ad altri di creazione letteraria (Sherlock Holmes, Van Helsing, Carnacki, Dracula, Dottor Jekyll & Mister Hide). La Whitechapel raccontata da Newman, così come la Londra di Stableford, è un sobborgo di un mondo parallelo dove Dracula ha sconfitto Van Helsing (la testa del medico olandese è infilzata sulla sbarra di un cancello di un palazzo governativo) e si è unito alla Regina d'Inghilterra (anch'essa vampirizzata). Il Dottor Seward, disturbato dalla morte di Lucy da cui era attratto (si rinvia al Dracula di Bram Stoker), è rimasto così disturbato che se ne va in giro armato di bisturi d'argento (unico materiale capace di infliggere delle ferite inguaribili ai vampiri) a squartare le prostitute vampire che vendon il proprio corpo per denaro o schizzi di sangue. Conduce le indagini un detective di un'organizzazione segreta (Il Club Diogene), accompagnato da una vampira di cui finirà per innamorarsi. 
Racconto tipico della penna di Newman che rilegge in chiave fantastica la vicenda dello Squartatore di Whitechapel, ricostruendone il periodo storico, i veri nomi dei sospettati e il modus operandi. Cambia, chiaramente, la dimensione della storia, che potremmo definire parallela quale risultato di una compenetrazione tra la realtà e la finzione letteraria figlia delle penne di Stoker e di Stevenson. Così capiamo che Newman ha dato un finale diverso a Dracula, il principe della notte non è fuggito da Londra (finale alquanto mediocre, continuo a ribadirlo) ma ha sfidato e sconfitto Van Helsing, infilzandone la testa sul cancello di un palazzo reale (vera e propria inversione rispetto alla chiusura di Stoker). Non solo, ha anche assunto il controllo di Londra, popolandola di vampiri con ghetti riservati a cavie e a soggetti destinati ad alimentare i vampiri il tutto in perfetta legalità. E per le vie della città girano, oltre i vampiri, anche i vari Dottor Jekyll, Carnacki e Sherlock Holmes. Vampiri e umani convivono così in una società infettata dove il marciume comincia a dilagare, mentre Dracula, messo in scena con caratterizzazione luciferina, se ne sta tutto nudo a banchettare nel palazzo reale in compagnia di una regina costretta a sottostare ai suoi capricci e a quelli dei suoi discepoli. Bellissimo il finale, un vero e proprio delirio da girone dantesco, all'interno dei palazzi governativi dove sesso, assassinii e blasfemie non si contano. Un racconto senz'altro discreto, così come non è da disprezzare la via di mezzo tra questo e Io Sono Leggenda di Matheson. Sto parlando de La Messa di Mezzanotte (1990) dell'autore sci-fi Paul Wilson. Ancora una volta viene tratteggiata una società, questa volta del futuro, dove vampiri e umani convivono, anche se in questo caso i primi non sono poi così inseriti nel tessuto sociale come invece negli altri due racconti. Spicca in modo particolare lo stile pulp della storia, quanto a caratterizzazioni e dialoghi. Protagonisti sono un prete derelitto irlandese, dedito all'alcool, e un rabbino che si interroga se la relagione ebraica sia poi quella veramente eletta da Dio. I due riprendono possesso di una piccola Chiesa finita nella mani di un reverendo (originario di Napoli!?) ormai vampirizzato e dedito ad atti sacrileghi (praticamente evira le vittime all'interno della Chiesa e ha fatto scempio degli oggetti sacri della casa del Signore). Wilson si diverte a sfaccettare il protagonista quale antieroe redento, così abbiamo questo prete che dice le parolacce, beve alcolici e ritorna ad avere fede riprendendosi da una parabola discendente imboccata a causa di un'ingiusta accusa per pedofilia. A spingerlo a riprendere possesso delle proprie qualità è un rabbino che ha dovuto riconoscere la superiorità dei simboli cattolici, in primis il crocefisso (interessante sottotrama religiosa nel rapporto tra cristianesimo e ebraismo). I due, in un'Irlanda invasa dai vampiri dove di giorno non circola anima viva, lottano con fucili, acqua santa e croci per riprendere possesso della vecchia chiesetta divenuta sede degli atti sacrileghi del reverendo votato al male. Wilson, tra umani e vampiri, introduce una terza figura di soggetti che sono gli umani che hanno deciso di servire le creature della notte in cambio di protezione. A sbrogliare la matassa saranno il crocefisso, un sangue di cristo di fortuna rappresentato dalla coca-cola benedetta (!?) e il sacrificio da martire del rabbino. Testo curioso per le implicazioni religiose.

Un altro racconto di stampo metastorico è quello di Howard Waldrop intitolato Der Untergang des Abendlandesmenschen (1976), tradotto dal tedesco “Il declino della popolazione occidentale”. Si tratta di un testo sperimentale che vede due cowboy giungere in Germania per dar manforte a un gruppo di intellettuali, che poi si scopriranno essere i vertici del nazismo nascente, al fine di uccidere dei vampiri, rappresentati come il Nosferatu di Murnau, che vengono bollati come ebrei. L'epilogo vede soccombere il vampiro, crivellato con proiettili di legno e gettato in pasto ai disoccupati e ai reduci dalla prima guerra mondiale. L'ultima immagine del testo sono le sinagoghe e la città in fiamme, forse a rispolverare l'avvento del nazismo con la presa del Reichtstag. A dare l'inizio al tutto, quasi come se Dracula fosse sbarcato in Germania anziché in Inghilterra, è l'arrivo di un uomo, su una nave privata dell'intero equipaggio e col solo capitano superstite, ma legato al timone e privato di tutto il sangue. Racconto strano, da leggere forse quale metafora dell'avvento del nazismo in Germania con i vampiri, riconosciuti quali ebrei dai tedeschi, a rappresentare il capro espiatorio della crisi tedesca e più in generale ad assumere il ruolo delle banche relazionate alla figura del vampiro per aver dissanguato le casse statali. I cowboy americani invece, rappresentati come degli idioti faciloni nonché amanti delle armi, vengono usati quali complici involontari dell'avvento del nazismo per aver sottovalutato la questione. Il vampiro che arriva dal mare può esser interpretato, oltre che come omaggio a Bram Stoker, quale male decretato dai patti conclusi con gli americani a termine della prima guerra mondiale
Questo il gruppo di racconti che mischiano la figura del vampiro con la storia dell'umanità in una piacevole compenetrazione tra realtà e fantasia letteraria. A mio avviso si tratta del lotto migliore dell'opera, dato che deludono non poco i racconti che giocano sul tema dell'adescamento e della successiva vampirizzazione, vuoi romantica e dovuta a sentimenti amorevoli (Nebbia Gialla di Les Daniels, grande atmosfera ma storia debole), vuoi alimentare o puramente sessuale. Tra gli autori di questi racconti figura l'inglese Clive Barker col suo Resti Umani (1984),elaborato che propone una figura atipica e aliena di vampiro. Niente a che vedere con la figura tipicamente orientale, piuttosto una creatura capace di copiare le sembianze degli uomini e di rubarne persino l'anima trasformando la vittima in un automa ed evolvendo di qualità e perfezione grazie ai bagni di sangue. Deludono non poco, in questo gruppo, Brian Lumley (con una storia, Necros, ambientata sulla spiaggia ligure), Robert Bloch (Rapsodia Ungherese), Frances Garfield, Ramsey Campbell (La Nidiata), Etchison e Schow, tutti alle prese con storie decisamente mediocri. 

Meritano invece un accenno, per la qualità, altri quattro racconti. Per le atmosfere, tipicamente hodgsoniane, è da citare Stragella (1932) di Hugh B. Cave. Questa la sinossi: due naufraghi di un piroscafo affondato nell'oceano indiano vagano alla deriva sulle acque. Un giorno si imbattono in un'enorme nave avvolta dalla nebbia e decidono di saltare sopra per verificare la presenza di cibo. Sull'imbarcazione troveranno ossa di ogni specie animale (tigri, bertucce, leopardi) e strane piante cresciute proprio all'interno della nave che si presenta in pessime condizioni di conservazione. Sul pavimento sono presenti inoltre molti scheletri umani. Solo allo scendere dell'oscurità il duo capirà cosa è successo all'interno della nave. Tutto è collegato a tre bare al cui interno sono custoditi i cadaveri di tre serbi che altro non sono che dei vampiri. 
Racconto dalla grande atmosfera, scritto con lo stile pomposo proprio degli inizi dell'ottocento. Perde qualche punto quando entra nel vivo della vicenda, con questo trio di vampiri responsabili della moria di bordo, ma al di là di tale sviluppo telefonato resta un ottimo esempio di orrore marino, con tanto di serpenti di mare che seguono i due disperati durante il loro peregrinare sull'oceano.

Mischia la tradizione fantastica alle patologie psichiche, anche per deformazione professionale (dato che era psichiatra), il grande Karl Edward Wagner col suo Oltre Misura (1982). Siamo alle prese con un'interessante storia di trentasette pagine che cade nel dejà vù solo nella parte terminale. A ergersi protagonista è una studentessa californiana residente a Londra in compagnia di una connazionale con cui intrattiene una relazione amorosa. Funestata da strani e ricorrenti incubi, decide di sottoporsi alle sedute di ipnosi di uno psicologo, fervente sostenitore della metempsicosi, orientato a dimostrare l'esistenza dell'anima e della sua reincarnazione in altri corpi nel corso della vita degli uomini. Intanto la compagna le realizza un ritratto che viene poi acquistato da una sconosciuta dama solita organizzare feste sfarzose a base di sesso e coca. Sempre più impaurita dagli esiti delle sedute, la ragazza cerca di interrompere i suoi appuntamenti con lo psicologo che le sta facendo ricordare una vita passata, risalente agli inizi del novecento, incentrata su una storia di sepoltura prematura e di successiva morte apparente. Un omicidio arriva però a sconvolgere i piani. La compagna della protagonista viene infatti ritrovata dissanguata nel bagno con due fori al collo, e alcuni tagli sulla giugulare e sui polsi. Scotland Yard inizia a indagare, mentre la giovane si trova al cospetto di una donna che ha il suo stesso corpo... Si tratta della nobil donna che ha comprato il quadro e che altro non è che il vampiro che ha rubato l'anima all'antenata della protagonista della storia. “Un vampiro perde la propria anima quando diviene un non morto, ma l'anima è immortale; continua a vivere, anche quando la sua incarnazione precedente è diventata un demone senza spirito.” Questa la base centrale su cui ruota la storia, un racconto horror pluripremiato impreziosito dalle venature erotiche di tendenza saffica, ma anche dalle decise sottotrame poliziesche, con cui Wagner da sfogo alle sue passioni lavorative e a quelle ludiche. Omaggi alla psicanalisi, all'occultismo (si cita spesso Crowley), ma soprattutto alla narrativa di Poe (William Wilson su tutti, ma anche La Sepoltura Prematura) e al cinema con strizzatine d'occhio da Hitchcock (Psyco) al Rocky Horror Picture Show

Un altro racconto che omaggia la grande narrativa, nella fattispecie Il ritratto di Dorian Gray, è Il Laird di Dunain (1992) dell'autore splatter Masterton. Si passa allo splatterpunk miscelato al racconto gotico di stampo classico. Una pittrice è chiamata a realizzare un ritratto a un laird scozzese, ovvero un proprietario terriero, da cui si sente attratta. La donna ce la mette tutta, ma non riesce a trovare il colore giusto per pitturare il carnato dell'uomo. Un giorno, per caso, si ferisce a una mano e col sangue che schizza sui colori nota di aver trovato il giusto impasto per dare colore all'opera. Per motivi però assurdi il quadro, trascorse alcune ore, assorbe i colori e torna a essere cinereo, mutando inoltre la propria espressione. La donna, all'insaputa del nobile che pare divertito dalla cosa, inizia a ferirsi per miscelare il sangue alla tela, finché non scopre di non aver più sangue in corpo sventrandosi e tirandosi fuori le interiora. Il nobile, divertito, apprende la notizia della morte alcune ore dopo, ma andrà anche lui incontro a una morte orribile. Una collega della pittrice infatti, presa dalla gelosia, stralcerà il quadro provocando il simultaneo smembramento dell'uomo. Dunque una sorta de Il Ritratto di Dorian Gray in chiave splatter, miscelato a qualche tocco di erotismo. 

L'ideale palma del racconto più originale la conquista, per noi, Ronald Chetwynd-Hayes e il suo onirico Il Labirinto (1974). La storia prende piede in modo convenzionale, si potrebbe quasi dire fiabesco, con una coppia di sposini che si perde nella brughiera inglese e chiede rifugio a una vecchietta intenta a bere del the all'interno di una magione gigantesca. I due scopriranno che la donna abita in tale costruzione assieme a un sordomuto dalla mole statuaria che le fa da maggiordomo. La vecchia sulle prime è gentile e premurosa, ma ciò che le interessa è convincere i due a pernottare nella magione. I due, costretti ad accettare per l'incombere della notte, scopriranno a loro spese di esser finiti in un'abitazione che è un vero e proprio organismo vivente, nato quale prodotto del sotterramento del marito della donna, un vampiro ucciso nel corpo (per un paletto infilato nel cuore), ma non nella mente. Costretti a vagare per i labirintici corridoi della costruzione dovranno vedersela con zombie sdentati, cani rabbiosi e infine col volto gigante del vecchio vampiro che controlla la casa dalle fondamenta in cui è imprigionato. Testo surreale piuttosto originale, con una specie di castello vivente formato da pareti assimilabili a tessuti muscolari in cui si troveranno ingoiati i due protagonisti alla disperata ricerca di una via d'uscita.

Poco altro da aggiungere sugli altri testi, deludono Basil Copper (che si affida a un testo con doppio colpo di scena finale), Richard Cristian Matheson (figlio di Richard Matheson) che opta per un testo sperimentale (semi-illeggibile), Peter Tremayne (testo claustrofobico ma nulla più) e altri minori. Chiusura con una poesia malinconica di Neil Gaiman.

In definitiva un'antologia che diverte, offrendo almeno una dozzina di buoni racconti pur senza disporre di masterpiece, e che offre una carrellata di ventinove autori funzionale a fungere da vetrina per la scoperta di scrittori magari non conosciuti a chi legge sebbene molti di essi siano dei maestri del settore. Volume indicato per un regalo a un amante di racconti horror, magari qualche giovane Stephen King dipendente e che poi ignora tutto il resto. Lettura semplice e veloce, con qualche racconto da bollino rosso.

Il curatore Stephen Jones.

martedì 3 maggio 2016

Speciale: Angelo Di Noia film-maker amatoriale



IL REGISTA ITALIANO DELLE BAMBOLE: DA MANCINI A GORDON, UNA PASSIONE CHE RISALE ALL'INFANZIA


A Cura di Matteo Mancini.


Torniamo a interessarci di underground cinematografico con un regista lucano che ci ha contattato per indicarci la sua produzione video. Stiamo parlando di Angelo Di Noia, trentaduenne con la passione per le bambole. Si, avete capito bene, un vero e proprio collezionista che non perde occasione per incentrare i suoi cortometraggi, circa una trentina tra gli studio e gli effettivi, attorno a bambolotti, bambole e giocattoli ovviamente tutti votati al male. Sono lontani i tempi dei vari Chucky, quando Don Mancini, niente a che fare con il sottoscritto, scrisse il soggetto de La Bambola Assassina (1988) poi portato sul grande schermo da Tom Holland, cosceneggiato dal mestierante Lafia, e in seguito giunto a sei episodi gli ultimi due dei quali diretti proprio da Mancini. Un successo preceduto dal più qualitativo ma meno conosciuto film prodotto da Brian Yuzna e diretto da Stuart Gordon, intitolato Dolls (1987). Siamo lontani sì, ma per niente appagati, evidentemente, da questo sottofilone che trova le sue radici più profonde nei racconti di Stephen King e soprattutto di Richard Matheson e che ha coinvolto le più grandi produzioni in occasione delle uscite dello spielberghiano Small Soldiers (1998) di Joe Dante o del sinistro Dead Silence (2007) di James Wan. E' in questo sottogenere che si inserisce Di Noia raccogliendo, nel mondo dell'underground italiano, l'eredità di Fabrizio Spurio forse il primo a parlare, nei suoi deliranti corti, di giocattoli assassini, nella fattispecie i Masters, della saga trash Toys Killer.

Invogliato dai concorsi organizzati da Alex Visani, Di Noia ha preso parte a varie edizioni del Reign of Horror Short Movie debuttandovi nel 2013 con The Evil Doll, dallo stesso scritto e diretto, con l'aiuto di Vito Fullone al montaggio. I corti di Di Noia vertono tutti su bambolotti malvagi che, per ragioni varie, risultano posseduti da spiriti infernali che inducono a commettere omicidi o li commettano senza aiuto umano. Lo stesso Di Noia confessa di credere alla possibilità che siano esistite o che esistano delle vere bambole possedute. La cosa lo affascina e riverlare questa sua credenza non gli crea alcuna vergogna. Nel suo primo corto la protagonista, una brava Incoronata Rinelli (non perfetta la pulizia audio), si vede recapitare a casa una scatola contenente un sinistro bambolotto. Il pacco porta la firma del vecchio fidanzato che risulta morto da due anni. Fin qui Di Noia gira piuttosto bene, evita problemi di fotografia optando per un bianco nero sgranato, dal master volontariamente rovinato a emulare un prodotto degli anni dell'espressionismo (anche se non vengono utilizzate a dovere le luci, in modo da allungare all'inverosimile le ombre). La soluzione è una carta vincente (compreso la scelta di applicare dei filtri che riducono la visuale), poiché dal punto visivo il corto, poco meno di otto minuti, regge molto bene. Purtroppo ci sono buchi narrativi e una certa incertezza sugli atteggiamenti della protagonista, prima spaventata poi sessualmente attratta infine sull'orlo della pazzia. Di Noia inserisce infatti delle vaghe venature erotiche, difficili da registrare in questi prodotti, che invece ci stanno come il cacio sui maccheroni. A mio avviso avrebbe dovuto abbondare su questo versante invece il corto sconfina in un epilogo che sa di dejà vù. La sceneggiatura è povera di idee, strumentale solo a portare in scena una bambola killer. Si cade nell'omicidio perpetrato, non si capisce bene se dalla bambola o se dalla progagonista, ai danni della coinquilina di quest'ultima. La messa in scena dell'assassinio è fredda, poco inventiva. Di Noia fa muovere la bambola con delle semisogettive, riuscendo nel tentativo di rendere credibile il personaggio di plastica, ma non va oltre. Buona l'atmosfera, ma resta un mero esercizio di stile, peraltro scomposto nella parte terminale. Comunque un debutto interessante.

La saga trash di Fabrizio Spurio.

Il regista si ripete un anno dopo con 666 (2014), corto dal titolo piuttosto brutto e banale. Una volta si diceva che il titolo era il 50% di un film, qua si parte subito male. Si tratta di un repeat sulla tematica bambole assassine. Questa volta la protagonista riceve un bambolotto su cui uno stregone ha compiuto un maleficio facendovi entrare uno spirito demoniaco (delirante, ma di effetto, l'inquadratura fissa dove vediamo un essere con una maschera sul volto agitare mani e testa per richiamare gli spiriti dei morti). Bella e ben girata la sequenza che vede animarsi il bambolotto (bel gioco di luci con le ombre giuste), azionato manualmente in modo da non mostrare le dita umane intente a dar moto al bambolotto. Lo vediamo camminare per la casa, aprire un mobile e afferrare un coltello. La seconda parte del corto, anche questo di otto minuti, piega sul versante L'Esorcista, con un prete, lo stesso Di Noia, intento a compiere un esorcismo (poco incisivo) e a invocare di esser posseduto al posto del bambolotto (!?). Poco comprensibile, se non con intento citazionista, la comparsa della scritta "Help Me" sul vestito del bambolotto. Sequenze dilatate, deriva molto più trash del primo prodotto, che aveva intelligenti soluzioni atte a sopperire la scarsità di mezzi a disposizione. Brutta la scena del suicidio del prete che si recide con un coltello la gola. Di Noia piazza un primo piano, poi cambia inquadratura mostrando un lavandino dove spruzza sangue finto. Soluzione ultra amatoriale e poco inventiva. Nel complesso un lieve passo indietro.
In entrambi i corti brutti i titoli di testa, sarebbe bastato poco per renderli più incisivi e dar un tono più professionale ai lavori.

Questi sono i due prodotti più conosciuti, nell'ambito underground di Di Noia, apprezzato dal regista Albanesi che lo ha voluto per un cammeo nel suo primo lungometraggio ufficiale intitolato Non Nuotate in quel Fiume (2016). Per quel che ci riguarda possiamo dire che si tratta di un regista grammaticalmente chiaro nella messa in scena e nella direzione degli attori, ma che deve lavorare sulle sceneggiature (appena abbozzate) e sulla messa in scena degli omicidi (freddissimi e impersonali). Latita infatti il make up e anche quella visione onirica determinante per far compiere un deciso balzo in avanti a un prodotto, distinguendolo dalla media. 
Molto il materiale che potete trovare su internet, youtube compreso, con Di Noia che parla di un suo lavoro sperimentale, Freak Show, in cui ha montato scene da lui stesse girate ad altre di repertorio reperite in giro, una via di mezzo tra un corto e uno spettacolo di marionette. Per la realizzazione di questo prodotto, Di Noia parla di aver acquistato un lotto di burattini da un venditore su internet che li definiva suoi figli. Influenzato da tutto questo, e suggestionato forse dai temi dei propri corti, Di Noia ha rivelato di aver udito il rumore di sedie intente a muoversi, il cigolare di porte e ha riscontrato inspiegabili difficoltà di messa a fuoco della telecamera nell'atto di inquadrare le marionette. Atmosfere alla poltergeist dunque, che potrebbero far pensare a un film maledetto e magari fungere da ispirazione per un nuovo corto con un sottofondo musicale che fa: "tu mi fai girar... tu mi fai girar... come se fossi una B... No, ragazzo, no... tu non mi metterai tra le dieci Bambole che non ti piaccion più" e via col massacro ai danni del regista, attaccato dalle bambole impazzite che gli si lanciano contro disubbidendo ai dettami della sceneggiatura.