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venerdì 28 gennaio 2022

Recensione Narrativa: RACCONTI MACABRI di Claude Seignolle.



Autore: Claude Seignolle.
Titolo Originale: Contes Macabres.
Anno: 1966.
Genere: Horror / Thriller.
Editore: Agenzia Alcatraz, 2021.
Pagine: 230.
Prezzo: 14.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 
Facciamo oggi la scoperta di Claude Seignolle, una delle più ispirate penne del fantastico francese della seconda metà del novecento. Inserito nella guida della Edipem Maestri della Letteratura Fantastica (1983), dove non sarebbe certo potuto mancare vista l'origine francese del progetto, è stato scandalosamente ignorato in Italia; fino al 2021, si contavano due sole pubblicazioni. La prima di queste è stata data alle stampe nel 1973, per conto della Casa Editrice La Tribuna (un solo racconto), mentre la seconda nel 2001 per l'Aracne Editore (l'antologia La Notte di Halles). Non deve pertanto sorprendere se nella Guida alla Letteratura Horror (2014), curata dal recentemente scomparso Gian Filippo Pizzo per i tipi dell'Odoya, gli vengano dedicate appena tre righe, rendendo per il resto totalmente sconosciuta la sua figura. È davvero un peccato perché,a fronte di una costante involuzione del genere ormai sempre più involgarito e allontanato dalla sua dimensione occulta (si veda l'emergere dell'hardcore horror), Seignolle è uno scrittore legato alla vecchia scuola del fantastico di matrice folkloristica e popolare, ossia quello di derivazione rurale e cristiana. Il suo è un fantastico che, alle nostre latitudini, ricorda la narrativa di Eraldo Baldini.  Con lui, dunque, tornano a rivivere tematiche legate alle maledizioni, ai demoni, ai vampiri, ai licantropi e alle streghe, ma anche a fatture, magia nera e superstizioni talvolta più letali dell'effettiva presenza del male. Le ambientazioni sono, per lo più, campestri con un contesto più prossimo al primo novecento che ai tempi moderni. Calessi, biciclette, strade sterrate, sentieri silvani, bettole, negozi di antiquariato, chiesette, cimiteri gotici sostituiscono i grandi centri urbani e fungono da habitat in cui si muovono i suoi personaggi. È dunque una narrativa del terrore legata alle tradizioni culturali e, per un certo verso, all'occultismo (più che all'esoterismo). Un'impostazione che rende derivativa la sua produzione, quantomeno quella inserita all'interno dell'antologia qui presente, ma, allo stesso tempo, fa sentire a casa il lettore interessato alla dimensione tradizionalista del terrore. Pur se macabro e con un certo gusto per il grandguignolesco e il necrofilo, in Seignolle spicca l'ironia beffarda attraverso la quale l'autore si prende gioco dei suoi personaggi (vittime soventi delle loro false impressioni o delle superstizioni che finiscono con l'alterare la realtà e dare illusorie presunzioni che conducono alla tragedia) e, sovente, opera veri e proprio ribaltamenti che rendono sempre più evanescente il confine in cui operano gli emissari del bene e quelli del male, con i primi che finiscono, senza accorgersene, per utilizzare gli strumenti e i modi del male convinti di operare per il bene eppur compiendo i disegni di chi intendono combattere.

L'Agenzia Alcatraz e le Edizioni Hypnos, che sempre nel 2021 hanno pubblicato il romanzo La Malvenue (1952), hanno colmato un vuoto che è destinato, molto probabilmente, a ridursi ulteriormente nei prossimi anni. La produzione di Seignolle, infatti, non è corposa (otto romanzi e una settantina di racconti), sviluppata dapprima nella forma del romanzo e poi in quella del racconto breve (in molti casi fulmineo). 

Pur se elegante e caratterizzato da un stile colorito da aggettivi e da descrizioni che non disdegnano il ricorso alle metafore, Seignolle resta uno scrittore popolare. Non di difficile decriptazione e per questo subito apprezzato. Determinante, per il successo, l'editore belga Marabout che, tra il 1965 e il 1969, ha pubblicato cinque antologie del terrore che hanno portato l'autore a conquistare una larga schiera di qualifcati ammiratori. Tra questi, oltre Jacques Bergier, vi è il collega Jean Ray che non perse tempo nel definirlo “avventuriero dell'insolito”, aggiungendo che “Seignolle installa l'inferno nella nostra vita.” Improvvisamente nel 1974, quando non aveva ancora sessant'anni ed era ancora lontano più di quarant'anni dalla morte, Seignolle decise di smettere di scrivere, chiudendosi in un mutismo narrativo da cui non avrebbe più fatto ritorno.

Uomo ultracentenario, scomparso meno di quattro anni fa, grande cultore delle tradizioni popolari francesi, di leggende e occultismo, ma anche di ambienti isolati, rovine, caverne, sotterranei e luoghi fatiscenti. Ancora ragazzino, in compagnia del fratello, macina chilometri su chilometri nella campagna francese in sella a una bicicletta, in caccia di leggende, superstizioni e racconti insoliti che appunta in diari e quaderni, tanto poi da tramutare il tutto in una serie di saggi dati alle stampe a partire dagli anni trenta. Arriverà a visitare centottantasette villaggi, motivato da un antropologo divenuto suo mentore e dal ricordo dei racconti della nonna. Il fantastico si insinua fin da subito nella mente di Seignolle da quando, come avrà modo di dire, urta, all'età di un anno, la testa su una pietra romana, venendo contaminato dal “microbo della pietra” (che lui chiama lithos). Un evento che lo porta, inizialmente, a interessarsi di archeologia, scavi e fossili, salvo poi trovare la sua dimensione nelle leggende popolari.

Di personalità ribelle, pur essendo lodato dal preside che, come lui, è uno studioso di preistoria tanto da chiamarlo “mio caro collega”, viene espulso dal liceo in quanto giudicato inadatto al tipo di studi proposti. Più grande, nell'esercito, viene punito da un colonnello che non digerisce il fatto di non esser stato salutato. Quel colonnello è Charles De Gaulle che, qualche anno dopo, diventerà Presidente della Francia. Durante la seconda guerra mondiale, Seignolle combatte sul fronte e finisce persino in un campo di prigionia controllato dai tedeschi da dove viene liberato per motivi sanitari.

Cessate le ostilità belliche, pubblica il suo primo romanzo: Le Rond des Sorciers (1945) incentrato sulla stregoneria. In seguito si dedica, sia in forma narrativa che saggistica, al diavolo e alla figura del lupo mannaro. La Malvenue viene considerato da tutti il suo capolavoro. Cesare Buttaboni specifica che, in Seignolle, “il diavolo non si incarna mai fisicamente, ma si manifesta attraverso intermediari come stregoni, ipnotizzatori o tramite un oggetto.”

Interessato anche ad altri generi, quali l'erotico, il romanzo per ragazzi e l'autobiografico (di solito affrontati celato da pseudonimi), Seignolle resta legato alla tradizione folkloristica del terrore rurale e del mito francese; una dimensione che lo ha consegnato a una leggenda ancora tutta da scoprire.

 

ANALISI GENERALE

Leggere Claude Seignolle è fare un tuffo nel passato o, meglio, nella tradizione culturale agreste, in un contesto narrativo che agli occhi degli appassionati italiani potrebbe richiamare quel “gotico rurale” portato a vette eccelse da scrittori, successivi rispetto all'autore francese ma dagli italiani letti prima a causa della mancata distribuzione delle opere del transalpino, quali Eraldo Baldini e Sergio Bissoli. Non sempre Seignolle tratta la materia con convinzione occulta, anzi, sembra spesso prendersi beffa dai suoi lunghi studi sulla tematica. Sembra quasi voler dire che le superstizioni e la convinzione dell'esistenza della magia fanno molti più danni di quanto la stessa sia capace di fare. Gli operatori occulti, infatti, sono sovente cialtroni e truffatori che cadono vittima delle loro fesserie o provocano danni indiretti determinati da chi pensa di reagire a un sortilegio. Il fantastico, di fatti, solo di rado si manifesta e, sovente, in un modo ai limiti della parodia. Ci sono però delle riuscite eccezioni. Forse anche per questo Jean Ray ha detto che, sulle prime, lo stile di Seignolle potrebbe richiamare quello di Anne Radcliffe.

Contes Macabres, proposta dall'Agenzia Alcatraz nella medesima veste del tempo che fu (copertina originale realizzata dal belga Henri Lievens) e col titolo “Racconti Macabri”, è la terza antologia di Seignolle inserita nel catalogo Bibliothèque Marabout. Esce nel 1966, col numero di catalogo 244, dopo La Malvenue et Autres Récits Diaboliques (1965) e Histoires Maléfiques (1965) venendo seguita da altre due antologie: Les Chevaux de la Nuit et Autres Récits Cruels (1967) e Histoires Vénéneuses Suivi de La Brume ne se Lèvera Plus (1969). Si tratta di raccolte tascabili facenti parte di un'ampia collezione originariamente destinata ai frequentatori delle edicole franco-belghe (non a caso nel 1980 la Marabout confluirà nel gruppo Hachette). Un corposo lotto di romanzi e antologie utili a sdoganare, al fianco di maestri riconosciuti quali Edgar Allan Poe, Gustav Meyrink, Bram Stoker, Mary Shelley, Hanns H. Ewers, proposte locali quali Jean Ray, Thomas Owen, Erckmann-Chatrian, Gérard Prévot e molti altri ancora. Claude Seignolle è una delle punte di questo universo che ha esibito una lunga serie di brillanti destinati a tramutarsi in stelle sugli scaffali delle edicole d'oltralpe dall'inizio degli anni sessanta fino all'alba degli anni ottanta.

È dunque una narrativa, un po' sulla scia di quanto avveniva in Italia con la (più grezza) collezione de I Racconti di Dracula, legata a quella letteratura del terrore figlia della narrativa gotica di fine ottocento. Pertanto si tratta di racconti o romanzi destinati a un pubblico popolare, non proprio orientati a fare letteratura o filosofismi di impronta esoterica, eppur senza rinunciare alla cura nello stile e nella qualità espositiva. Da un punto di vista lessicale, infatti, le produzioni in questione hanno poco da invidiare a quelle dei Maestri del Fantastico. Racconti Macabri di Claude Seignolle è una degna testimonianza della tecnica e dello stile narrativo dell'autore ma, al contempo, paga un'evidente mancanza di originalità nei temi trattati. Non potrebbe, del resto, essere altrimenti, essendo questo tipo di narrativa legata al folklore e alla tradizione cristiano-magica con tutto il bagaglio di superstizioni e di mostri figli di una tradizione su cui precedenti autori hanno costruito la loro fortuna. Seignolle però tratta la materia con intelligenza e un sarcasmo del tutto personale, dimostrando di destreggiarsi sia con tonalità cupe che con altre dissacranti.

Ciò premesso è opportuno individuare, nei sedici racconti che compongono l'antologia oggetto di esame, alcuni tratti distintivi che permettono di definire la cornice all'interno della quale si muove Seignolle.

Una copertina straniera
che ben rappresenta la filosofia di Seignolle.

ANALISI NEL DETTAGLIO

Salvo l'ultimo racconto, le storie de Racconti Macabri sono molto brevi, otto-nove pagine in cui l'autore gioca sugli equivoci dei personaggi portando gli stessi, vuoi per erronee deduzioni vuoi per superstizione, a prendere decisioni drastiche per affrontare o evitare minacce o paure che non trovano riscontro nella realtà. La tragicità degli epiloghi viene resa più manifesta da un'ironia beffarda che irride il frettoloso ed errato atteggiamento dell'uomo, incapace di liberarsi dai preconcetti e dal pesante macigno del giudizio altrui. Rispondono a questo gruppo di storie almeno cinque racconti (quasi un terzo dell'insieme), ognuno dei quali legato a un fantastico che resta solo suggerito dalle atmosfere e dal taglio narrativo senza poi avere un effettivo riscontro. Ne Le Miroir (“Lo Specchio”) Seignolle ribalta The Outsider (“L'Estraneo”) di Howard P. Lovecraft, portando una bellissima attrice, sottoposta a un intervento di chirurgia estetica, a suicidarsi dopo aver ammirato il suo nuovo volto allo specchio. Convinta che l'operazione non sia riuscita, l'attrice preferisce abbandonarsi all'abbraccio dell'oceano piuttosto che accettarsi per ciò che è: un mostro dal volto scarnificato e purulento. Racconto già di per sé tragico, attraverso il quale Seignolle condanna l'atteggiamento di privilegiare la forma (la bellezza) alla sostanza (l'anima), assume ancor più i tratti della circostanza diabolica orchestrata da un fato avverso quando si scopre che il volto “verdastro e sfregiato, in stato di decomposizione” che la giovane ha visto allo specchio non era affatto il suo (che invece è di una bellezza divina), ma quello di una maschera collocata su un manichino posizionato dietro l'anta dell'armadio su cui la poveretta aveva pensato (erroneamente) di riflettersi. Una punizione brutale per chi non è stato capace di accettarsi e che ricorda molto da vicino la tragedia di chi fa della cura del proprio corpo una fissazione ingiustificata, finendosi per vedere come in realtà non è. Si pensi al vortice di follia in cui cadono coloro che diventano schiavi dell'anoressia.

In L'Homme qui Savait d'Avance (“L'Uomo che Sapeva in Anticipo”) la capacità di un falegname di sapere chi saranno i concittadini che moriranno, così da permettergli di realizzare in anticipo e senza sprechi di materiale le relative bare, diverrà causa della morte del figlio, ucciso proprio per via dei rimedi presi per evitare il previsto evento (la morte); Seignolle sembra dire che il destino, spesso, lo si incontra proprio sulla strada presa per evitarlo e per questo è bene non farsi influenzare né dalle previsioni né, altresì, guadagnare dalle stesse, limitandosi ad accettare quanto Dio ha deciso di riserbare per ciascuno di noi.

L'erronea percezione della realtà diviene collettiva in Celui Qui Avait Toujours Froid (“Colui che Aveva Sempre Freddo”). Qui Seignolle regala un pezzo di bravura unica, giocando sui luoghi comuni (chi muore ha freddo e veste con abiti corrotti dai vermi), sulle superstizioni popolari (mai accettare soldi da un morto) e sulla tematica del morto vivente che fuorisce dalla tomba e si muove con andatura barcollante, per costruire quella che in realtà è un'opera drammatica incentrata sull'incapacità di accettare il diverso (e che poi tale non è) così da amplificare la povertà e la solitudine di un derelitto (che tutti quanti reputano un morto) che, ogni sera, si reca in una bettola per degustare un bicchiere di cognac. L'epilogo del racconto è tra i più strazianti dell'antologia e lo rende, pur nella sua semplicità, un piccolo gioiello.

Sulla stessa falsa riga è la novella Le Matagot (“Il Famiglio”), dove la convinzione che un morto possa ritornare tra i vivi dopo la sepoltura finisce per essere l'ingrediente decisivo che sfocia in un omicidio. Qui il fantastico, o meglio l'occultismo, fa sentire, è il caso di dire, il suo fiato sul collo del lettore e del protagonista, ma non si manifesta in modo univoco. Seignolle rende costante la tensione, si muove ai confini della ghost story e dei racconti sui luoghi infestati, sembra suggerire pratiche magiche legate alla tradizione dell'omuncolo, inoltre amplifica l'apporto macabro, mostrando carcasse in putrefazione, evisceramenti di cinghiali e una componente necrofila che, come vedremo, è uno dei suoi marchi di fabbrica. Gli usi agresti, le comari pronte a curiosare, fantasticare e rivelare pettegolezzi e due sedicenti stregoni in competizione tra loro sono le premesse che condurranno a un atto di liberazione dal male che, favorito da un scherzo di cattivo gusto, si tradurrà in un omicidio in piena regola. In questa storia si manifesta un altro tratto distintivo della filosofia di Seignolle ossia quello che vede in azione un rappresentante del bene (un prete) convinto di poter sconfiggere il male senza accorgersi di utilizzare gli stessi strumenti che appartengono allo stesso (una vanga con cui spaccare la testa). Il finale, con lo scemo del villaggio convinto di essersi liberato dal ruolo allo stesso riservato dai compaesani, è un epilogo dal duplice significato, a seconda che si voglia credere a una matrice fantastica della vicenda (la vendetta del morto a danno dell'eterno rivale) oppure a una visione di maggiore presa realistica in cui il ruolo dello scemo del villaggio si estende a tutti i presenti (colpevoli di aver scherzato col fuoco e per questo di aver posto le premesse per la commissione di un delitto).

Le superstizioni contadine tornano a giocare un ruolo centrale ne Un Exorcisme (“Un Esorcismo”) in cui un morbo improvviso, non compreso dai medici, porta i famigliari del malato a rivolgersi a un santone locale. Seignolle evidenzia la credulità del popolo e l'attitudine a truffare dei sedicenti santoni, subito pronti ad approfittare del male e dell'ignoranza altrui per trarne beneficio economico (a prescindere dai risultati ottenuti). Questa volta però l'errore che porterà all'assassinio finale avrà valenza riparatoria, facendo ritorcere sul soggetto agente i presunti rimedi suggeriti.


A fianco di questi racconti, che puntano a sorprendere il lettore con colpi di coda orientati a generare il classico effetto sorpresa, vi è un altro gruppo di storie che potremmo definire “autoriali” per il loro trasmettere una sorta di filosofia di fondo che anima l'autore. Luigi Mascheroni ha scritto che la vita, e la letteratura, insegnano che il diavolo a volte non disdegna di intingere la zampa nell'acquasanta, così come la seconda può persino riflettere il volto del primo. Quando serve. E quando serve la stessa persona può essere una strega e una santa.” Questo sembra essere il pensiero anche di Seignolle, lo dimostrano alcune copertine dei suoi libri, ma soprattutto alcuni racconti. Ne è una dimostrazione il racconto “Preso tra Dio e il Diavolo” che parla di una strana possessione diabolica che tortura un uomo, una sorta di supereroe maledetto, che si trova suo malgrado ad agire per il bene, ma con le modalità del male. Un indivuduo che, sotto minaccia, si trasforma in un demone dotato di piede formato da tre artigli che gli trasmettono una forza sovrumana. Seignolle non disdegna un certo gusto per il grandguignol, con dettagli macabri descritti nei particolari. Più autoriale e simbolico (e anche romantico), invece, è Le Bout du Monde (“La Fine del Mondo”) che, per certi versi, ricorda un po' la parte iniziale de La Morte Viola di Meyrink. Un alpinista, condotto da una guida che non aspetta altro che darsela a gambe, intende raggiungere una valle da cui nessuno ha fatto più ritorno. La guida lascia intendere che a destinazione c'è il diavolo e, in effetti, il luogo presso cui giunge il pellegrino è un luogo oltre i confini del mondo, probabilmente l'eden dei racconti biblici. Seignolle è ambiguo, evanescente, gioca con i simboli e lascia al lettore il compito di interpretare quanto letto. Centrali i ruoli rappresentati dalla gazza, di cui si spiegherà il senso nel successivo e crudele Le Christ est Venge (“Il Cristo è Vendicato”), il monte, la relatività del tempo che scorre in modo diverso rispetto alla realtà dei vivi (forse, allora, il protagonista è morto?) e il fiume. “Immortalità ed eternità hanno un destino e una fine come tutte le cose comuni” si dice nel testo, scardinando il dogma più potente del cristianesimo: l'immortalità dell'anima. Il paradiso dunque è destinato a soccombere per mano del demonio, ma chi è davvero il demonio? E se davvero la pace della valle, dove il protagonista scopre l'amore e vive in tranquillità, incarna il luogo dominato dal diavolo, cosa c'è da aspettarsi dal paradiso? Dio e il diavolo sono due facce della medesima medaglia?

Nel citato Le Christ est Venge il ribaltamento tra bene e male, con identità tra i due poli, diviene palese. Seignolle tratteggia un'immagine dell'umanità diabolica, una società dove persino i bambini sono depositari di una malvagità e un sadismo ben più pericolosi di quelli che animano coloro che scelgono il percorso del male, in quanto mascherati dalla presunzione di fare del bene. L'autore propone un rituale simbolico attraverso il quale una gazza, reputata emissaria di Satana, subisce la pena che fu inflitta al Cristo sulla croce, a dimostrazione che chi dovrebbe esser propenso al perdono in realtà non è migliore di chi intenderebbe combattere. Questo è quanto di peggio possa esserci, ben oltre a chi “è colmo del diavolo”. La frase finale “O mio Dio, pregate per noi” è esaustiva e comprensiva.


Da ricordare poi i due racconti legati al mondo dell'arte, entrambi riconducibili a un fantastico di matrice occulta. Brilla in modo eccelso Le Mémoire du Bois (“La Memoria del Legno”), di gran lunga, il racconto più riuscito e pauroso del lotto. Seignolle crea un'atmosfera claustrofobica (omaggia anche il Poe di Una Sepoltura Prematura), in un sotterraneo popolato da sculture rappresentanti la disperazione umana che ricordano i dipinti del finale de L'Aldilà di Lucio Fulci. La storia vede uno giovane e promettente scultore isolarsi dalla vita di tutti i giorni, dopo aver sposato un'ambigua donna slava, caratterizzata in modo malvagio dall'autore. È lei a convincerlo a cambiare l'oggetto dei propri lavori, portandolo dalla riproduzione delle opere d'arte - da vendere a facoltosi aristocratici - alla rappresentazione della disperazione umana. Ed è sempre lei a recuperare il materiale che l'artista deve trasformare per plasmare figure umane. Si tratta di assi di legno riciclate dalle bare dei sepolti del vicino cimitero, così da scolpire il profilo dei morti che si staglia sulle stesse e manifesta ghigni ed espressione di puro terrore, come se i cadaveri si fossero risvegliati una volta interrati. Le opere vengono allestite in una sorta di sotterraneo da cui l'artista non fuoriesce più. Inizialmente convinto di controllare lo spirito dei morti, lo scultore finisce per essere ipnotizzato dagli stessi tramutandosi in un killer su commissione. La prima parte di questo racconto, che torna a evidenziare gli interessi necrofili del francese, è magnifica per l'eleganza e la capacità di suscitare disdegno e angoscia.

Sempre ambientato nel mondo dell'arte, ma più convenzionale, è L'Isabelle (“Isabelle”) che vede un restauratore, presente a un'asta di opere d'arte, abbandonare la sala dopo che qualcuno, vedendo un quadro di Tiziano, ha menzionato un collezionista da poco scomparso. L'evento è utile al protagonista per ricordare l'ultima volta in cui ha visto il collezionista in questione. Veniamo così a sapere dell'improvvisa metamorfosi fisica che ha colpito un uomo non ancora quarantenne. Un male sconosciuto che lo ha portato a subire un invecchiamento precoce. Il protagonista è anche l'unico a sapere cosa sia davvero successo. C'è infatti un mistero legato a uno strano quadro acquistato, anni prima, dal collezionista. Un'opera in apparenza non di grande valore, ricoperta da un fitto strato di grasso e di sporcizia da cui trapelava la sola faccia di una donna. Un'opera particolare, forse maledetta e realizzata con crismi non conosciuti e non specificati. Restaurato e ripulito a dovere, il quadro rilascia il magnifico corpo di una donzella di cui, in precedenza, era possibile vedere il solo volto. La donna, seducente e vogliosa di sesso, prende a camminare nel castello del nobile ma l'atteggiamento egoistico e possessivo di questo porterà alla tragedia. Seignolle condisce il tutto con viaggi su calesse nella campagna francese, tra fitti boschi e viottoli labirintici in cui è facile smarrirsi. Tra i migliori racconti dell'antologia soprattutto per il non essere integralmente definito nei dettagli (perché il quadro era così sporco? Non un caso, visto che è stato intenzionalmente spalmato di grasso).

Tra i restanti racconti spicca, per stile, atmosfera e capacità di generare angoscia, Les Gorel (“I Gorel”). Ghost story classica con il morto (probabilmente assassinato) che suggerisce il luogo in cui scavare per svelare un vecchio crimine irrisolto. Notevole per l'atmosfera e la costante inquietudine che pervade il racconto, due aspetti che superano, di gran lunga, il plot che ne sta alla base. Seignolle convince e regala veri e propri brividi pur utilizzando un soggetto ampiamente derivativo. Presenti descrizioni macabre e truci (con dovizia di particolari sulla testa di un donna su cui è caduta una pentola di sostanze a bollore), ai limiti dello splatter.

Piace il sarcastico Comme une Odeur de Loup (“Come un Sentore di Lupo”) nel quale Seignolle gioca con gli archetipi del racconto esoterico (grimori) e dell'orrore classico (licantropi). Un pastore maldestro legge inavvertitamente i passi di un grimorio (nientemeno che la Clavicola di Salomone) rinvenuto all'interno di un muretto abbattuto, ritrovandosi, d'improvviso, trasformato in lupo, tra i latrati dei cani e il belare delle pecore. Il racconto si chiude nel solito stile beffardo di Seignolle con un ragazzo che spara al mostro, ma si ritrova al suo cospetto l'uomo che intendeva salvare. Da notare le condizioni poste dal grimorio affinché l'officiante si trasformi in lupo mannaro (evenienza che, peraltro, si realizza). Condizioni, a dir poco, da film comico per quanto improbabili. Seignole si diverte a ridicolizzare persino i grimori.

Anche Deux Dents, pas Plus (“Due Denti, Non di Più”) gioca sugli archetipi. Questa volta a essere vittima di parodia è Dracula. Seignolle stravolge la dannazione in una versione dissacrante in cui la stessa si rivela una benedizione del dolce far niente. Il dannato, infatti, trova il modo per liberarsi da tutti gli affanni del vivere e dai gravami della vita civile (debiti in primis), avendo come solo impegno quello di nutrirsi di sangue umano. A differenza del Dracula di Stoker però il personaggio di Seignolle è ben conscio della necessità di tenere un profilo basso. Per questo si dice ben attento a non farsi scoprire e a colpire, di volta in volta, vittime diverse così da non dare troppo nell'occhio e non fare morti. Esilarante la premessa che porta l'uomo a diventare vampiro. Squattrinato e tirchio, si rivolge a un dentista dopo aver subito un cazzotto in bocca, così da sistemarsi la dentatura. A corto di soldi, accetta di farsi incapsulare due canini acquistati in un negozio di antiquariato. Fortuna o sventura vuole che siano i canini di un santo caduto in disgrazia che si è macchiato di atroci delitti in est Europa. Probabilmente sono i canini proprio del Conte Dracula e questo basta a farlo ritornare in vita, una volta deceduto per arresto cardiaco. Seignolle ricorda un po' da lontano il celebre Le Mani di Orlac del connazionale Renard.

Meno convincenti gli altri racconti. Non, Pas Moi! (“No, Non me”) ripropone in chiave splatter il celebre The Crowd (“La Folla”) di Ray Bradbury senza rinunciare al finale beffardo con un testimone che, vedendo tranciato il corpo di una vittima di un incidente stradale, commenta: “per fortuna, che non ha avuto il tempo di capire cosa stesse accadendo!” Peccato che il concetto del tempo che noi abbiamo è influenzato dalla nostra esperienza del comune vivere e non è un dato oggettivo. Infatti, nell'attimo di secondo che precede la morte, il povero sventurato vive una visione che lo lascia in balia, da spettatore, di esecuzioni truci e grandguignolesche con un boia che, alla fine, gli rivolge l'indice contro promettendo tutte le torture fin lì mostrate (e che trovano riscontro sul cadavere dell'incidentato). Curioso lo stile sperimentale con cui è stato sviluppato il racconto, steso senza punteggiatura in modo da dare l'idea del tempo che corre via tutto di un fiato. Infatti non appena si cambia il punto di vista, Seignolle torna a usare la punteggiatura.

Abbastanza anonimo Un'Accurata Fatalità, in cui un banale incidente si trasforma in tragedia a seguito delle pregresse ferite di cui è vittima l'ignaro passante su cui cadono i piccoli calcinacci. A Un Bel Ensorcelé (“Il Bello Stregato”) va invece il titolo di peggior racconto dell'antologia (a modesto parere di questo recensore) con un Seignolle che si diverte a prendere in giro le sue scorribande giovanili in cerca di leggende e storie del folklore locale, ma anche le favole nere e gli incantesimi frutto di fatture e malefizi magici. Protagonista del racconto, infatti, è un uomo costretto a muoversi e a vivere alla maniera di un rospo.

Racconti Macabri è dunque un'antologia che piacerà agli amanti del racconto del terrore legato alla tradizione europea e cristiana, soprattutto a coloro che prediligono le ambientazione campestri. Non sempre il fantastico è veramente presente, anzi spesso è solo suggerito dalle atmosfere. Inoltre non sempre è trattato con argomenti seriosi. Seignolle è un autore a cui piace l'ironia, talvolta beffarda e crudele, talaltra comica. Per queste ragioni si tratta di un testo che potrebbe non piacere agli estimatori dell'horror moderno, non solo gli amanti dell'hardcore horror ma anche coloro che prediligono quel terrore figlio degli insegnamenti di Matheson poi raccolti da Stephen King. L'orrore di Seignolle, pur caratterizzato da una certa presa realistica, non è traslato nella vita di tutti i giorni, appare lontano, confinato in un'epoca passata e solo di rado si libera da queste connotazioni. Il livello generale delle storie è comunque buono per l'eleganza lessicale e l'innegabile capacità di generare tensione senza dove troppo perdersi in fiumi di parole. Sicuramente da comprare per gli studiosi della narrativa del terrore. Ottimo il lavoro di Luca Fassina alla traduzione. Plauso all'Agenzia Alcatraz.

 
L'autore Claude Seignolle.
 
"Diffidava dei morti come se fossero una piaga maligna e infingarda, perché sapeva che i defunti cambiano punto di vista, diventando cattivi e gelosi in un modo che i vivi sono ben lontani dall'immaginare."