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martedì 30 settembre 2014

Recensione Narrativa: ANIME NERE RELOADED di Autori Vari a cura di Alan D. Altieri.


Autore: Vari.
Curatore: Alan D. Altieri.
Anno: 2008.
Genere: Noir.
Editore: Mondadori.
Pagine: 500.
Prezzo: 10,40 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Secondo capitolo del progetto curato dallo scrittore e sceneggiatore Alan D. Aliteri che, strizzando l'occhiolino a Matrix nella scelta del titolo, schiera ventidue autori, scelti tra coloro che vengono reputati i migliori nella scuderia Mondadori, in aggiunta ai diciotto già presentati in occasione del primo volume: Anime Nere (2008). Ne esce fuori, nel complesso, un progetto che propone quaranta scrittori contemporanei, tutti italiani, dediti alla scrittura noir e horror e considerati da molti come i migliori nel genere. Ci sono delle defezioni importanti, forse attribuibili a problematiche contrattuali figlie delle esclusive concesse ad altri editori. Così non vengono selezionati autori del calibro di Carlo Lucarelli, Faletti, Barbara Baraldi, Antonio Tentori, Andrea G. Pinketts, De Pascalis e altri che non avrebbero di certo sfigurato in questa compagnia. Tra i più conosciuti del secondo volume abbiamo invece Cristiana Astori, l'accoppiata Novelli & Zarini, Cinzia Tani, Alda Teodorani, Franco Forte, Giuseppe Lippi e Andrea C. Cappi. Dunque un volume molto appetibile che promette assai bene a un appassionato di gialli italiani.

Purtroppo le premesse positive si fermano quasi qui. Anime Nere Reloaded è persino inferiore al primo capitolo che già non entuasiasmava più di tanto, dei ventidue testi proposti poco meno di una decina sono degni di esser ricordati per la loro capacità di sollevarsi dalla media delle tematiche e dei soggetti che si è soliti leggere in giro. Molti racconti si fanno addirittura concorrenza tra loro sviluppando trame simili e inserendo sviluppi o aspetti identici. Così abbiamo un campionario fatto di sesso volgare con passaggi degni della letteratura porno (se mi passate il termine, immaginando un'ipotetica trasposizione cinematografica) che si innesta spesso in situazioni da snuff movie motivate, nella maggior parte dei casi, da scommesse fatte dai protagonisti per vincere la noia. Questo è il profilo che si evince dalla sintesi di tutti i testi; certo ci sono anche delle eccezioni, ma quanto detto mi fa pensare a un Alan D. Altieri che, anziché selezionare un forte lotto di racconti, ingaggia i vari autori senza preoccuparsi poi dei contenuti dei testi dagli stessi avanzati. Atteggiamento questo che porta all'interno di un'antologia troppi racconti simili tra loro, caratteristica che di certo non impreziosisce il risultato finale.

Altro limite dell'antologia, a mio avviso (qualcuno potrebbe trovarlo un pregio), è l'eccessiva crudeltà e il gusto, spesso gratuito, per la violenza che diviene la costante di tutti i racconti con alcuni di questi che vanno oltre i limiti della sopportabilità (e lo dice uno che ha certi gusti cinematografici). Il massimo, da questo punto di vista, lo tocca Giuseppe Genna con una parte centrale del suo Habeas Corpus che farà interrompere la lettura ai più sensibili. Da quanto detto si deduce l'intenzione di scioccare il lettore piuttosto che di spaventarlo o di farlo riflettere con trovate intelligenti e studiate ad arte (ce ne sono poche). Ed ecco che il legame sesso-violenza diviene la chiave per aprire  lo scrigno delle coscienze dei ben pensanti. Un po' poco per i miei gusti...

Lo stile degli elaborati è impersonale, fanno eccezione Giuseppe Genna ed Ettore Maggi che cercano la via degli sperimentalismi - il primo giocando sulla componente onirica, il secondo su quella poetica - ma scorrevole e veloce. La lettura non è quasi mai pesante, così come i testi non sono quasi mai "cervellotici" o particolarmente complessi. Da tale situazione si ricava un aspetto positivo, cioè la facilità e la velocità di lettura, ma anche uno negativo ovvero la "leggerezza" (sotto il profilo dell'anima e della ragione motivazionale che sta alla base del testo) dei racconti che troppo spesso si rivelano dei meri esercizi di stile. Peccano di quest'ultima caratteristica, tra gli altri, i racconti di Andrea C. Cappi (A Milano non c'è il Mare) e di Alda Teodorani (Una Questione di Genere) i quali, bravi altrove, si limitano a descrivere azioni delittuose senza curarsi troppo delle caratterizzazioni e della base del soggetto (da leggersi come idea che sottende alla narrazione), ma puntando tutto sul gore e sulla truculenza (banalissimo il racconto della Teodorani che sembra scritto, non me ne voglia la buon Alda, in fretta e furia tanto per mandare qualcosa ad Altieri).

Il racconto più riuscito, di gran lunga, è quello di Diana Lama. La napoletana, medico-chirurgo nella vita di tutti i giorni, propone un testo satirico (Come un Angelo) inscenato proprio nel luogo in cui la stessa presta il proprio servizio giornaliero: l'ospedale. Il merito della Lama, però, sta nel non cadere nei soliti cliché, magari proponendo in chiave artistica i problemi stereotipati tipici della cattiva sanità, e nell'andare a stendere una storia che lascia pensare e nella sua ironia nera lascia una bocca assai più amara di quanto non facciano le storie truci e sanguinolente presentate dai colleghi di penna. Protagonista è una malata terminale convinta dai parenti e dai dottori a lasciare, al momento della morte, i propri organi a chi ne abbia bisogno. La giovane però chiede e ottiene di poter diventare la protagonista di un reality show dove i concorrenti si contenderanno gli organi in questione, con scelta finale, nel decretare i vari vincitore, lasciata proprio alla malata terminale. Finale beffardissimo e cattivissimo. Ottimo testo.

Un gradino sotto alla Lama troviamo il duo Novelli & Zarini, i qualli propongono la storia più elaborata dell'antologia: American Istanbul. La loro è una spy story internazionale legata a un traffico di documenti necessari a costruire una bomba di rara potenza. La particolarità sta nel fatto che queste istruzioni sono contenute in dei chip presenti negli stomaci di una serie di cavie (umane), che finiranno preda di un assassino che le sventra per recuperare i dati. Pratagonista della storia è un poliziotto caratterizzato in modo forte, che cerca di indagare per risolvere il caso e arginare l'intrigo che minaccia l'intera collettività. Pur essendo penalizzato da alcune ingenuità (la gita delle cavie, le cavie che ignorano e non si preoccupano della sorte dei loro compagni scomparsi nel nulla, gli organizzatori del traffico dei dati che si espongono a dei rischi assurdi quando avrebbero potuto sterminare le cavie in un sol colpo), tiene bene alla distanza (ottime le descrizioni degli ambienti e delle atmosfere turche) e coinvolge lo spettatore dalla prima all'ultima pagina. Divertente.

Un altro testo a beneficiare del mio plauso è Asfalto di Andrea G. Colombo, bravo anche lui a incollare il lettore al libro con un ritmo coinvolgente e ottime caratterizzazioni. La storia ricorda molto alla lontana La Cadillac di Dolan di Stephen King. Infatti abbiamo una macchina che viene fatta sparire, insieme al suo occupante, all'interno di una buca scavata da una macchina operatrice nel bel mezzo di un'autostrada. Motivo del delitto è una scommessa fatta tra i vari operai chiamati a rifare l'asfalto di un tratto autostradale.
Anche qua non mancano le ingenuità di fondo. Per gli indagatori non sarebbe certo un mistero capire che l'auto della defunta (peraltro una vittima che in criminologia si definirebbe a bassissimo rischio) non è mai uscita dall'autostrada come testimonierebbe il mancato equlibrio tra i ticket emessi in entrata e le relative uscite. Da ciò sarebbe piuttosto intuitivo indirizzare le indagini proprio nei tratti autostradali coperti dall'auto della scomparsa e interessati dai lavori e da qui a fare "Bingo" il risultato non sarebbe certo difficile.

Tra i migliori si segnala poi Cristiana Astori, anche lei perfetta nel coinvolgere il lettore. L'idea base è quella con cui si apre la stessa antologia, col racconto di Cinzia Tani (La Scommessa), ovvero la scommessa con ribaltamento dei ruoli finale. La Astori, di cui consiglio gli ottimi romanzi Tutto quel Nero e Tutto quel Rosso editi entrambi da Mondadori, caratterizza bene i personaggi (forse non quanto faccia la Tani) e, a differenza della più esperta collega, sviluppa in modo più accattivante la vicenda, inserendo la tematica dei vampiri (pare che in origine il testo avesse natura soprannaturale) e l'altro tormentone dell'antologia: le telecamere che riprendono i delitti. A un certo punto, poi, compaiono esclamazioni come "Il bicchiere della staffa", chiaro omaggio a Stephen King, più precisamente all'omonimo racconto inserito in A Volte Ritornano (vista la tematica dei vampiri, mai titolo potrebbe essere tanto sinistro), ovvero "Tutto quel sangue" frase quest'ultima dal sapore profetico visto che la successiva trilogia dell'autrice si intitolerà proprio "Tutto quel..."

E' buono poi il testo di Mauro Marcialis che con Io, il Dolore propone la medesima storia rappresentandola dai punti di vista dei vari personaggi coinvolti, cambiano le ricostruzioni (soprattutto sulla vittima) mentre l'unica costante resta l'egoismo e la voglia di apparire di tutti coloro che, per una ragione o l'altra, hanno a che fare con la giovane ragazza rapita da un aguzzino che agisce per vendetta.

La versione uscita nella collana SuperGiallo

Si scende via via nel limbo che porta ad affacciarsi alle porte dell'inferno con gli altri testi. Raggiungono la sufficienza l'antologista espertissimo del genere fantastico Giuseppe Lippi, il quale (con Tira il Grilletto, Malaparte) lavora molto bene sulla psicologia e sulla triste sciatteria di un sicario alla prese con quello che sarà il suo ultimo incarico, perché tradito proprio dal mandante. Il soggetto è simile a quello di Cappi (insufficiente), ma a differenza del collega milanese, Lippi sviluppa la caratterizzazione del personaggio, mentre l'altro si interessa a descrivere l'assurda mattanza messa in atto da una famiglia di insospettabili e inverosimili degenerati.

Bravo a lavorare sulle caratterizzazioni è anche Matteo Curtoni, con il suo road movie, in salsa statunitense, Lucas & Toole. Palesi, direi dichiarati, i riferimenti alla terribile coppia omicida costituita da Henry Lee Lucas e Ottis Toole che negli anni '70-'80 si rese protagonista di una scia interminabile di assassinii perpetrati con modalità diverse in giro per molteplici stati degli USA. Curtoni li rappresenta assai bene, ma poi modifica la storia a suo piacimento (spettacolosa l'idea del bambino ritardato che poi diviene un vero bastardo, per giunta vestito da super eroe del trash). E' il testo più pulp dell'opera. Più che sufficiente.

Carino, soprattutto per la particolare ambientazione (all'interno delle Torri Gemelle di New York, nel giorno dell'attentato dell'undici settembre) Zac! di Fabio Lombardi. Il soggetto, in sé e per sé, è mediocre, ma la parte nel grattacielo vale da sola la lettura. Sufficienza piena. Tra l'altro, sul tema delle Torri Gemelle si esprime (evocativo già il titolo 12/9) in modo assai meno accattivante, vertente sulla poesia nera, Paolo Grugni che perde tuttavia il confronto con Lombardi.

Piuttosto grezzo e non originale, per quel che riguarda l'idea che sta alla base del soggetto, ma ben raccontato è Patto di Sangue di Guancarlo Narciso. Il tema è quello della legge, vista dalla parte di colui che ritiene di essere stato ingiustamente penalizzato dai giudici. Inevitabile mattanza ai danni di tutti coloro che, agli occhi del giudicato, sono stati determinanti per la sentenza finale. Tutto, peraltro, ruota attorno alla decisione del Tribunale di togliere un bimbo a suo papà, con conseguente fuga e morte del bimbo stesso. Cattivisssimo il finale.  

Non raggiungono la sufficienza, a mio parere, i restanti quattordici racconti. Di alcuni ho già parlato, su altri sorvolo, mentre spendo due parole su Habeas Corpus di Genna, per la sua originalità vicina alla mitologia greca (il riferimento va alle anime intente a bere dal fiume Lete prima di essere messe di nuovo nel circolo della vita), tanto da sembrare fuori luogo in questa antologia se non fosse per l'eccessiva crudeltà che lo penalizza di gran lunga con torture gratuite e di cattivo gusto (le sofferenze cui viene assoggetto il cucciolo di gatto sono insopportabili). Truculentissimo Non ne Uscirete Vivi di Alfredo Colitto (tema snuff movie), volgare e assurdo Smetti di Guardare di Franco Forte, che predispone un racconto la cui trasposizione cinematografica sarebbe un porno sadomaso con elementi onirici, grottesco e con qualche pregio Tagliata per la Grande Città di Giacomo Cacciatore. Fungono da mero completamento Bulbi di Désirèe Coata (forse il più erotico dell'antologia ma con un soggetto anonimo), Male al Cuore di Andrea Cotti, Mutilato di Matteo Bortolotti (altro che, in questa occasione, delude forte), Due di Ettore Maggi  e Caduta Libera di Marco Vallarino (parabola discendente di una teenager che viene costretta a prostituirsi, in quella che è una storia letta centinaia di volte compreso nella cronaca nera).

In conclusione un'antologia formata da racconti noir molto simili tra loro legati dal forte rapporto Sesso-Morte (scene erotiche narrate in modo spinto ed esplicito). Buone le caratterizzazioni, soprattutto sotto il profilo psicologico, degli assassini (non a caso figurano autori del calibro di Cinzia Tani, la quale certi aspetti li conosce assai bene), ma i soggetti, a mio avviso, sono mediamente telefonati con sviluppi prevedibili e poco personali. Potremmo quasi dire che la maggior parte dei racconti sono stralci di vita di personaggi dediti alla delinquenza (o perché poliziotti o perché banditi) senza che vi sia un lavoro intenzionato ad andare oltre alla mera narrazione (fa eccezione Diana Lama). Alto livello della violenza, troppo spesso compiaciuta. Sconsigliato ai bambini e a un pubblico dall'animo sensibile o comunque poco propenso ad accettare la violenza in un'opera creativa.

lunedì 29 settembre 2014

Recensione Narrativa: UN BROCCO PER VINCERE di Renzo Castelli.


Autore: Renzo Castelli.
Prefazione: Alberto Giubilo (telecronista numero 1 dell'ippica di tutti i tempi)
Anno: 1978.
Genere: Narrativa sportiva.
Pagine: 150.
Editore: Malipiero.
Prezzo: 7 euro (acquistato in trattativa privata).

Commento Matteo Mancini.
Volume non facilissimo da reperire dato alle stampe nel lontano 1978 dal giornalista pisano Renzo Castelli e finito fuori catalogo (non è menzionato neppure su anobi), meritevole tuttavia di esser rispolverato dall'oblio e magari ripubblicato per esser reintrodotto sul mercato.
Autore molto prolifico, interessato soprattutto all'ippica e alla storia pisana, Renzo Castelli, per una volta, abbandona i panni di storico/giornalista per (ri)scoprirsi narratore. E' notorio l'amore di Castelli per lo sport in generale, ricordo il suo volume dedicato a Romeo Anconetani - indimenticabile presidente del Pisa Calcio - e più in particolare per i cavalli. Passione quest'ultima seminata in gioventù, quando l'adolescente Castelli frequentava il Prato degli Escoli da spettatore, sbocciata in una tesi di laurea in scienze politiche intitolata "Il Ruolo del Cavallo nell'Economia" e fiorita con articoli su giornali di caratura nazionale, conduzione di trasmissioni locali a tema, interviste e volumi specifici, tra i quali ricordo Ribot, Cavallo del Secolo e Le Cento Corse, Uomini e Cavalli in un Secolo di Storia Pisana: due opere immancabili per gli amanti del settore, specie se pisani. 

Un Brocco per Vincere è un libro diverso dai soliti di Castelli. Non siamo alle prese con un saggio né con una cronaca o un resoconto di accadimenti storici, anche se la maggiore predilezione dell'autore verso questi formati si sente e viene assorbita dal lavoro finale. Questa volta il buon Renzo vuole qualcosa di diverso, probabilmente perché cerca di superare la cortina di puristi e addetti ai lavori allo scopo (nobile) di avvicinare al mondo delle corse persone che non hanno neppure idea di cosa sia il mondo equestre. Sono emblematici, a tal riguardo, due passaggi. Il più evidente è quello costituito dall'atteggiamento assunto dal professore della ragazza che poi diverrà la fidanzata del protagonista. Quest'ultimo, pur essendo una persona colta, ignora totalmente l'ambiente al punto da credere che le uniche corse ippiche esistenti siano quelle al trotto. Il secondo riferimento, anch'esso palese, viene evidenziato dalla presenza di innumerevoli note a pie' di pagina inserite per spiegare termini gergali e altri tecnici piuttosto elementari, ma che potrebbero suonare come neologismi ai non appassionati. Dunque il nostro sceglie la via della narrativa, affidandosi a un romanzo breve ambientato nel mondo dell'ippica italiana (settore galoppo) degli anni '70, con un occhio di riguardo a Barbaricina (località posta tra Pisa e San Rossore, un vero tempio storico dell'ippica patria natale di fantini eccellenti come Regoli, Camici e Parravani) e agli storici fantini inglesi (un nome su tutti: Thomas Rook) che, di fatto, l'hanno fondata a fine '800 come dimostrano i nomi delle vie oggi a loro dedicate e i continui omaggi sparpagliati da Castelli nel testo e sintetizzati dall'origine dell'allenatore co-protagonista della storia, una sorta di Federico Tesio dei tempi moderni, ma di origine anglo-pisana.

Matteo Mancini con tre dei volumi più importanti
in ambito ippico firmati da Renzo Castelli.

Il soggetto è molto semplice, ma portato avanti con gusto e ritmo sollecito. Qualcuno, con la puzza sotto il naso, potrebbe avanzare la critica di non trovare un elemento forte che funga da catalizzatore dei fatti narrati. Difatti il filo conduttore, comunque presente, è un po' debole, sfilacciato dal cospicuo arco temporale che copre l'intera vicenda e che Castelli dilata a piacimento ricorrendo al filtro del ricordo del protagonista, come dimostra il prologo in cui si innesca il flashback del fantino intento a volare sopra l'oceano per andare a montare in una classica americana e, al contempo, a meditare sulla propria vita. Tale critica sarebbe ingiusta e soprattutto errata, in quanto dimostrerebbe che il lettore ha capito ben poco dello spirito di fondo. Quello che l'autore sembra proporsi non è tanto il raccontare una storia di fantasia, bensì utilizzare l'espediente narrativo per spiegare le mille facce del mondo dell'ippica. Ecco che sotto questa nuova luce emerge la sostanza dell'opera, un romanzo in cui i ruoli dei protagonisti vengono ad assumere una veste secondaria, fagocitati dall'intero sistema. E' il mondo ippico il vero protagonista della storia, un mondo fatto di cavalli che vanno e vengono, così come i loro fantini e gli artieri di una scuderia importante, la quale viene presentata alla stregua di un porto di mare. E allora diventano importanti le caratterizzazioni dell'elevato numero di personaggi che vanno a intrecciare le loro sorti, compito che Castelli assolve con grande maestria tracciando i profili più ricorrenti delle figure che popolano l'ambiente in questione. Così ecco che abbiamo i veri professionisti divisi in tre categorie: i romantici che rispettano l'animale e che instaurano con questo un rapporto di simbiosi psico-fisica (il protagonista ci parla addirittura); gli asettici che rispettano il cavallo senza però dimenticarsi che il fine ultimo è far vincere una scuderia nel lungo periodo, da qui la massima ben resa dall'allenatore presso il quale lavora il protagonista: "I cavalli bisogna amarli, ma guai a innamorarsi di loro. Sembra un gioco di parole, ma non è così: si tratta di due sentimenti ben distinti. Se Campione se ne va, arriveranno altri cavalli; una scuderia è come la vita: una ruota che gira e ogni giorno cambia faccia"; infine i machiavellici pronti a qualunque scorrettezza nei confronti degli avversari e a usare maniere forti nei confronti dei cavalli più problematici. Accanto a questi personaggi abbiamo poi banditi dediti alle scommesse clandestine o comunque coinvolti in un giro di usura e di estorsioni che li tiene impiccati alle decisioni altrui con tutto quello che ne deriva (sabotaggi, corse volontariamente perse, attentati mascherati da incidenti).
Molto belle poi le varie catalogazioni dei cavalli tipo, esemplificate grazie all'alto numero di soggetti che si succedono nel corso degli anni nella scuderia del duo protagonista. Non sto qui a spiegare i vari tipi di cavallo, dico solo che Castelli non delude le attese e regala passaggi da grande competente tecnico con citazioni a cavalli e personaggi realmente esistiti. Su tutti segnalo il mitico Chivas Regal, cavallo di proprietari pisani (Harry Bracci Torsi, nipote di Rook nonché Presidente dell'Ente Autonomo Tirrenia dal 1948 al 1950) trionfatore nel Gran Premio Merano del 1974, che qua è lo stallone da cui il protagonista ricava uno dei due cavalli di fantasia simbolo dell'opera (Campione, l'altro invece è Ragazzo Selvaggio) e a cui Castelli destina una sorte simile a quella che avrà, di lì a poco, il grande fuoriclasse irlandese Shergar. Esito quest'ultimo che da ulteriore valore al romanzo, il quale anticipa, a suo modo (il cavallo del romanzo si da alla fuga nel corso di un incendio doloso e scompare nel nulla per vari anni), la misteriosa scomparsa del cavallo irlandese che verrà rapito nel 1983 da un gruppo armato a seguito di un blitz in una scuderia di Dublino.


Bello poi l'aneddoto legato alle possibili attitudini di un cavallo, finito nelle grinfie dell'allenatore presso il quale lavora Silvio Carlini (questo il nome del protagonista che porta un cognome legato a un personaggio storico più volte vincitore del Gran Premio Pisa e anche del Merano, che sia un caso?), figlio dello stallone Zeddaan definito nel testo "uno stallone poco noto in Italia". In realtà mi piace sottolineare come questo stallone fosse tra i miei preferiti da bambino, quando spulciavo le pagine della rivista Il Purosangue in Italia, all'interno della quale c'erano spesso le foto e la storia di questo bellissimo esemplare grigio (mantello completamente bianco e struttura aristocratica) che sembrava essere un Purosangue Arabo. Questi sono solo alcuni degli innumerevoli tributi che valorizzano un romanzo nato senza troppe pretese, ma che nella sua semplicità è un piccolo gioiellino. Castelli, pur usando un lessico che non tradisce la sua provenienza giornalistica, riesce a miscelare assai bene quel romanticismo (struggenti i ricordi di infanzia di Carlini, specie quelli legati alla vecchia cavalla da tiro che lui vedeva come un Purosangue) e quel dramma che costituiscono, purtroppo o per fortuna, il sale della vita. Vengono snocciolati successi incredibili, ma anche terribili momenti in cui verrebbe voglia di lasciare tutto. Cavalli di belle speranze che floppano, altri che vengono dati per brocchi a causa di una disarmonica morfologia e che poi volano in pista, altri ancora che guariscono da zoppie o da coliche all'apparenza letali ovvero si infortunano in modo permanente. E poi ci sono i pianti disperati: muiono persone più o meno care, ma anche cavalli, sia abbattuti in corsa sia assassinati da sconosciuti. Certo, Castelli si abbandona a tutte le concessioni tipiche della licenza creativa con qualche forzatura in qua e in là. Per dirla in termini televisivi si respira un po' quell'aria in stile La Signora in Giallo, nel senso che nella scuderia protagonista succede tutto quel campionario di eventi che potrebbero verificarsi nell'intero ambiente nel giro di una cinquantina di anni. Così abbiamo omicidi, gravi attentati delittuosi, corse truccate, soffiate che non si concretizzano e fanno perdere una fortuna agli scommettitori, un fantino che diviene il Lanfranco Dettori dell'epoca (tra l'altro Castelli anticipa anche questo, spiegando la formazione professionale di un futuro jockey di valore internazionale che compie i suoi primi passi a San Rossore), cadute che mettono a rischio la carriera, un cavallo in stile Red Arrow che nasce in campagna da una fattrice senza pretese (tanto che l'allevatore le destina come monta successiva un cavallo di un'altra razza)  e che poi vince corse di Gruppo, mentre della fattrice si perdono le tracce.

L'autore Renzo Castelli.

Lo stile è asciutto, senza virtuosismi e senza esercizi stilistici. Castelli è essenziale, più che alla forma e alla storia è interessato a caratterizzare l'ambiente. E' sempre alla ricerca del dettaglio tecnico, dell'aneddoto storico, della citazione di professionisti del settore, dei trucchi di allenamento o di monta piuttosto che delle soluzioni veterinarie che mostrino la qualifica dell'autore e allo stesso tempo non facciano scadere nell'inverosimile quanto raccontato, dando al tutto una solida e certificata base su cui cucire la parte di fantasia. Le premesse più ardite, sotto questo profilo, sono quelle legate alla psicologia dei cavalli. L'autore cura molto questo aspetto (li tretteggia come creature dotate di grandissima memoria) sia per bocca dei suoi personaggi sia per come si comportano: "Quando credi di aver capito qualcosa di un cavallo, lui ha già capito tutto di te! Lo sai che per un lavoro così sarebbero molto più adatte le donne?" spiega l'allenatore, nella parte iniziale del volume, al suo allievo. Questo aspetto è un vero cruccio di Castelli, lo testimonia anche la nota biografica dove si legge: "Fra le tante piccole manie, l'autore ne ha una più accesa: all'ippodromo, mentre i cavalli passeggiano al tondino, si diverte a cercare di capire la psicologia di ognuno di loro. E sembra ci riesca all'87 per cento!"

A chi, giunto a questo punto, dovesse chiedermi qualcosa sulla trama, ribadisco come questa sia secondaria e fuorviante per comprendere la bontà del testo. La trama infatti è incentrata sulla vita di un giovane fantino che passa dalla vita di studente svogliato a quella di ragazzo di scuderia, poi di allievo quindi, facendosi le ossa nelle corse di provincia, a quella di fantino di fama internazionale. Il tutto viene portato avanti grazie al rapporto tra il giovane e la vecchia volpe che lo tiene sotto la propria ala protettiva (un vincente allenatore di sessanta anni, che arriva a desiderarlo come quel figlio che non ha mai avuto per essersi dedicato, come Tesio, al mondo delle corse), con i periodici spostamenti della scuderia (fatta di cavalli sempre diversi, con le loro problematiche e i loro pregi) dalle Capannelle a Barbaricina, luogo dove è nato il giovane. In mezzo a tutto questo si vengono a plasmare le vicende, secondarie, del cavallino allevato dal giovane che diviene, contro ogni pronostico, un campione (di nome e di fatto) e quella dell'amore tra il giovane e una ragazza conosciuta al tondino e che lui vuol tenere lontana dall'ippodromo perché la presenza sugli spalti lo distrae psicologicamente e lo fa perdere. Un romanzo quindi riuscito, più che buono, se si considera lo spirito di fondo e l'incredibile vuoto editoriale che ruota attorno al mondo dell'ippica. Adatto a ogni tipo di pubblico soprattutto, direi, a coloro che non hanno idea di cosa sia l'ippica anche se, dalla lettura, potrebbero averne un quadro a tinte assai più fosche di quanto lo sia in realtà. Un grande plauso a Renzo Castelli per essere uno dei pochi che abbia pubblicato sull'argomento, peraltro con qualità. Resta il solo rammarico che il testo sia finito fuori catalogo e che sia di difficile reperibilità. A ogni modo resto perplesso nel constatare come in Italia si sottovaluti un movimento (quello ippico) che un tempo coinvolgeva figure come Luchino Visconti o grandi nobili e politici della storia italiana e che adesso viene trattato alla stregua di un passatempo amatoriale. Provate a cercare testi divulgativi sull'ippica italiana che non siano di Castelli o di Tesio o comunque dedicati alla Razza Dormello Olgiata... Troverete poco o nulla! Eppure l'ippica è uno sport magnifico, fatto di contenuti tecnici, di storie di uomini e cavalli e che ha (o dovrebbe avere) ben poco a che fare con l'immagine fatta di scommesse, doping e corse combinate che gli legono attorno coloro che vogliono male al settore o coloro che, sospinti da un'ignoranza che non ammettono, sparano sproloqui senza avere alcuna cognizione di causa come a dire che, in fondo, tutti possono darsi all'ippica senza aver studiato... (mai massima è stata menzoniera!).

Chiudo con un passo che è alla base di questo sport fatto di tanta passione e di tanti sacrifici e che si rispecchia in una frase che riscritta, più o meno, fa così: "donne e cavalli, gioie e dolori". Spazio però ora al passo sopra accennato, immagine della vera ippica e non riflesso mass mediatico figlio della mancanza di cultura sportiva: "Era una vita dura; francamente neppure da paragonare con la scuola, il cafféllatte alle otto del mattino, la lezione dai professori, nei casi peggiori l'interrogazione, il pranzo caldo in famiglia, il pomeriggio libero, la televisione alla sera... Qua c'era da ammazzarsi di fatica; un avvenire così, senza il miraggio di diventare fantino, non era davvero attraente!"


PS: Tributo doveroso, dalle pagine 69 e 70 di Un Brocco per Vincere, a CHIVAS REGAL cavallo di proprietà del pisano HARRY BRACCI TORSI, Presidente dell'ENTE AUTONOMO TIRRENIA dal 1948 al 1950.

"Il Principio del Mago (così era chiamato Tesio) era questo: se vuoi ottenere un buon puledro, cerca di accoppiare soggetti con attitudini differenti. Mai unire due velocisti insieme, o due fondisti; la regola è accoppiare un velocista con un fondista. Così alla tenacia si unirà lo scatto. Anna Fuscente è stata una cavalla che si è espressa soltanto in pista dritta ed è figlia di Sandorf, che era un fulmine di velocità; perciò, fra i nomi che mi hai proposto, io la accoppierei con Chivas Regal. Fra gli stalloni del deposito è quello dotato di maggior fondo e resistenza...
Il giovane volle anche documentarsi sul passato di questo stallone e apprese cose interessanti, che lo fecero ben sperare. Chivas Regal era stato un grande campione sugli ostacoli, praticamente mai battuto nella sua carriera. Una sola volta a un Gran Premio di Merano, mentre si avviava a vincere la corsa, era stato scaraventato a terra entrando in collisione con un cavallo francese, montato assai maliziosamente da un fantino che forse sperava con quella caduta di spianarsi la via al successo. Questa era stata l'unica sconfitta di Chivas Regal nella sua carriera ostacolistica. L'anno seguente era però tornato a Merano, e su quella stessa pista, in quello stesso premio, aveva vinto per dieci lunghezze. Risalendo l'albero genealogico, Silvio controllò anche i nomi dei genitori di Chivas Regal: il padre si chiamava Aggressor, la madre Cantora, una cavalla specializzata a produrre figli che poi sarebbero diventati grandi saltatori."


venerdì 26 settembre 2014

Gran Premio Merano edizione 2014 - Valutazione pre-gara a cura di Matteo Mancini.

Il sottoscritto davanti al traguardo dell'edizione del 2011.

Articolo a cura di Matteo Mancini.
L'edizione del GP MERANO 2014 rispecchia le difficoltà registrate in Italia negli ultimi anni nel versare i premi a coloro che se li sino aggiudicati sul campo. Ritardi anche di sei mesi, noie e scocciature che hanno portato i proprietari a ridurre il numero dei cavalli e soprattutto gli stranieri a dirottare i loro obiettivi in altre lande ben più fiorenti.

Così il Gran Premio Merano del 2014, classica che in passato invogliava allenatori di tutta Europa (inglesi e irlandesi compresi, per non parlare di belgi, svizzeri, tedeschi e francesi) a scegliere la tappa altoadesina come un obiettivo di primaria importanza, vede un campo di partenti piuttosto ridotto e forse meno qualitativo della media delle altre edizioni.
Dodici al via, un terzo allenati dal leader delle classifiche ostacolistiche italiane, PAOLO FAVERO, con un ulteriore cavallo (se non erro) un tempo presente nelle scuderie del trainer meranese e ora passato ad altra scuderia e affidato alla monta del giovane SATALIA (il figlio del colonnello vincitore nel servizio postato in precedenza). La metà del campo dei partenti, invece, è costituito da cavalli della temibile Repubblica Ceka (i cui montepremi in patria sono assai inferiori rispetto a quelli a credito italiani), completano il lotto un solo rappresentante della Francia (quando invece in passato c'era una vera e propria invasione transalpina) e un cavallo allenato dall'ex jockey Simone Pugnotti. 
Tra i fantini si notano le assenze di Raffaele Romano (infortunato), Dirk Fuhrmann e Kousek.


La sfilata dell'edizione 2011. Foto a cura di M.Mancini.

Veniamo ora ai partenti. Con il numero uno abbiamo il netto vincitore dello scorso anno, ALPHA TWO, che si ripresenta con ottime credenziali e la prima monta del trainer ceko Vana sr. Dovrebbe essere il favorito anche se nelle ultime uscite Dar Said gli ha dato un gran filo da torcere. A mio avviso però la forma è crescente e la distanza lo dovrebbe favorire.

Col numero due abbiamo un vecchio abbonato del gran premio, il ceko di nascita irlandese BUDAPEST che ritorna dopo due anni di assenza a confrontarsi con i 5.000 metri di Maia. Alle spalle ha piazzamenti prestigiosi proprio in questa corsa: 2° posto del 2010, 3° del 2011 e 5° nel 2012. Dopo aver passato un anno a correre con risultati mediocri in Repubblica Ceka e Slovacchia in corse non di primario livello, se si eccettua la partecipazione (caduto) nel Velka di Pardubice, tenta di rinverdire gli antichi fasti facendo leva sull'ottimo e sorprendente secondo posto ottenuto nel recente ex U.N.I.R.E., abbondantemente davanti a Frolon e alle spalle di tre lunghezze e mezzo a Dar Said. A mio avviso resta comunque un outsider, probabilmente ormai adatto ai Cross più che agli Steeple. Nota curiosa: il fantino Stromsky non l'ha mai montato in carriera.

Il numero tre è il globe trotter CORNET OBOLENSKY, cavallo irlandese cresciuto in Germania poi passato ad assaggiare gli ostacoli in Francia. Acquistato da una scuderia ceka ha debuttato a Merano con una prova incolore. In sella ha l'italiano Columbu. Nel 2014 ha corso pochissimo e senza esaltare, dovrebbe essere un estremo outsider, ma i buoni piazzamenti ottenuti a Nancy nel 2013 potrebbero portare qualcuno a tenerlo in considerazione come sorpresa.

Paolo Favero schiera come primo anti-Alpha Two DAR SAID, il numero quattro. Jozef Bartos è chiamato a sostituire il top jockey Raf Romano, ma la cosa non dovrebbe gravare più di tanto. Secondo nell'ultima edizione, molto regolare in pista e assai rodato. Dovrebbe essere il contro-favorito. Da tenere in cosiderazione.

Col numero cinque abbiamo un altro cavallo assai regolare, seppur di qualità inferiore del portacolori targato Favero: DEMON MAGIC. Come Budapest è un altro abbonato al Merano, 3° nel 2012 e 6° nel 2013, è già stato battuto per due volte nelle ultime due uscite da Dar Said e Alpha Two, ma ha dato battaglia. In linea per un piazzamento.

Il numero sei è FAFINTADENIENT, un eccellente saltatore in età giovanile rimasto poi fermo per due anni a causa di un infortunio. Le uscite al suo rientro non sono state brillanti. E' un ex Favero passato in mani Ceke, lo monta il giovane e (sulla carta) inesperto Satalia, al suo primo G.P. Merano. Estremo outsider.


Il terribile talus, letale qua per Alpha Speed.

Il numero sette è la seconda scelta di Paolo Favero ovvero FROLON della scuderia Australia. Per l'occasione il trainer meranese ha ingaggiato la monta francese di Cottin. Ha chance ed è anche lui al suo terzo Merano, dopo il deludente debutto (quando fu acquistato proprio per prendere parte a questa corsa) e il 3° dello scorso anno. Soggetto inossidabile, capace di esprimersi su buoni livelli sia in siepi che in Steeple, ma poco esaltante nelle ultime uscite. Valido per un piazzamento.

L'otto è il "ragazzo irlandese" IRISH BOY per il trainer di Simone Pugnotti che assaggia il sapore del G.P. Merano con qualche vaga possibilità di piazzamento. Non c'è Dirk Fuhrmann a montarlo come nelle ultime uscite, ma Chan. Abbastanza regolare in impegni di primo piano, potrebbe essere una sorpresa; sulla carta dovrebbe assestarsi tra Demon Magic e Budapest. Incognita della distanza: non ha mai corso sopra i 4.000 metri. Da tenere d'occhio.

C'è spazio anche per le femmine con il nove di KAMELIE. La cavalla torna in Italia dopo tre anni di assenza e lo fa in grande stile. Maturata sugli ostacoli transalpini, l'allieva di Wroblewski si ripresenta con credenziali potenziate. Vincitrice a Auteuil si candida nel ruolo di possibile sorpresa della corsa. In sella l'esperto Faltesjek. Da giocare piazzata solo a gran quota.

Col numero dieci sfila l'unico ospite francese, una vecchia conoscenza del Merano: MARTALIN, fratellastro da parte paterna di Kamelie. Caduto nel 2012 quando era stato presentato come possibile vincitore della corsa, ritenta l'avventura con la monta di Terrien. Vincitore della Grande Steeple delle Fiandre nel 2013, 3° nel 2014 a distacco abissale dal vincitore (Royal Fou altra vecchia conoscenza del G.P.Merano dove corse senza colore), il transalpino è assai discontinuo e spesso presentato sugli ostacoli bassi. Non vale più di una sorpresa.

Il numero undici è la quarta scelta di Paolo Favero, il mezzosangue UNION DU BOSC con in sella Domenik Pastuszka. Cavallo di scarsi mezzi, peraltro recentemente battuto in corse a vendere. E' il classico soggetto quotato a 100 contro 1 dai bookmakers.

Chiude il campo dei partenti il portacolori dell'avvocato di scuderia Favero, cioè Alessandra Schileo, ovvero VELOCE. Vera e propria mina vagante, arriva direttamente dall'Inghilterra ed è al debutto in Italia. Di solito questi cavalli, alle loro prime esperienze in gran premi negli ippodromi continentali, vanno incontro a evidenti difficoltà di adattamento. Nel Regno Unito, infatti, lo steeple chase è costituito da sieponi rigidi che costringono i cavalli a "saltare alto", inoltre la conformazione delle piste è circolare senza dunque le famigerate diagonali e i cambi repentini di direzione. A mio avviso soffrirà per il cambio di tracciato però le qualità dovrebbe avercele e il campo di rivali non certo stellari potrebbe portarlo a dire la sua. L'unico dubbio è costituito dalla monta, cioè Sylvain Mastain non certo un fulmine di guerra.

In conclusione il 75° Gran Premio Merano ha tutto il sapore di una rivincita rispetto alle sorti dello scorso anno con il ceko Alpha Two che dovrà vedersela con il solito Dar Said. Attenzione a Kamelie e Demon Magic per le piazze con Irish Boy possibile sorpresa e Cornet Obolensky di cui si mormora un gran bene.

Il trionfale arrivo di Chercheur d'Or nell'edizione del 2011.


lunedì 22 settembre 2014

Intervista a Matteo Mancini, autore di spaghetti western vol.1, a cura di Emanuele Mattana.


Pubblicizzo qui sulle pagine del mio blog la terza e ultima intervista che mi è stata fatta su internet, dopo quelle realizzate, anni fà, da Patrizia Birtolo (in occasione dell'uscita de Sulle Rive del Crepuscolo) e da Alessandro Napolitano (in occasione dell'uscita di Spaghetti Western Vol.1).
Questa volta a pormi un dozzina di domande è stato il vecchio amico Lele Mattana, del sito sognihorror.it, con il quale ho collaborato circa una decina di anni fà in veste di autore di racconti horror e di editor dell'antologia Racconti Sepolti. L'occasione è stata determinata dall'uscita del mio ultimo lavoro: Spaghetti Western vol.2, uscito nel maggio scorso e in grado di imporsi quale miglior best seller estivo dell'editore Il Foglio Letterario.

A Lele va il mio ringraziamento per lo spazio e il tempo dedicato alla mia opera.

Per la lettura completa dell'intervista vi rinvio al link: http://www.sognihorror.it/intervista%20Matteo%20%20Mancini.htm

Qui di seguito, per rendere più accattivante il post, aggiungo un'ipotetica domanda aggiuntiva.

E.M.: Pensi di tornare a scrivere racconti di genere horror/fantastico?

M.M.: Sicuramente si, credo che parteciperò al concorso organizzato dal tuo sito e sto già preparando un soggettino per l'e-book di Halloween che hai intenzione di realizzare quest'anno così come facevi ai vecchi tempi.
Tra il 2015 e il 2016, inoltre, spero di far uscire un'antologia con il "meglio" della mia produzione narrativa. Considera che ho scritto, dagli inizi a un paio di anni fa (ultimamente ho scritto solo saggi, recensioni e un poker di sceneggiature per medi e cortometraggi), quasi cento elaborati. Tutti racconti brevi, però di materiale ne avrei; almeno, penso...

sabato 20 settembre 2014

Recensione Saggi: LA MAGIA DELLA MENTE di Mariano Tomatis



Autore: Mariano Tomatis.
Genere: Saggio sulla storia del Mentalismo.
Anno: 2009. 
Editore: Sugarco Edizioni.
Pagine: 184.
Prezzo: 16,80 euro.

Commento di Matteo Mancini.
Volume molto divertente che traccia la storia evolutiva del mentalismo, e più in generale dell'illusionismo, dagli albori della nascita della civiltà umana fino ai giorni nostri. In altre parole siamo alle prese con una mini-enciclopedia, senza pretese di completezza, dedicata alle figure più importanti nel campo della magia da spettacolo. L'obietivo perseguito è quello di tracciare le tappe che hanno portato i prestigiatori e i mentalisti a perfezionare i loro trucchi, col fine di stupire e impressionare il pubblico ma anche di affascinarlo per condurlo in quella dimensione che si cela oltre la cortina della quotidianità.
L'autore del volume è un grande studioso della materia, già conosciuto per opere quali ROL Realtà o Leggenda (2003), nonché curatore di uno dei più interessanti blog italiani dedicati all'illusionismo (www.marianotomatis.it).

Mariano Tomatis.

Tomatis, dopo aver spiegato per sommi capi cosa si debba intendere per mentalismo (interessante la premessa di Raul Cremona), traccia un percorso che si dipana lungo le storie di dodici mentalisti, per un arco temporale che va dal XIII secolo A.C. ai giorni nostri. Si parte dall'egiziano Siosiri e dagli sciamani, per parlare del c.d. Book Test (ovvero l'arte di saper leggere all'interno di libri chiusi). Quindi si prosegue con i trucchi truffaldini messi in atto da Alessandro di Abonotico il quale, circa nel 200 D.C., praticava una sorta di book test evoluto, leggendo le domande che i clienti gli porgevano scritte in dei rotoli di pergamena chiusi e sigillati, scrivendo poi sotto di esse le risposte senza aprire (quanto meno apparentemente) la pergamena. Tomatis focalizza l'attenzione su questo personaggio per sottolineare l'importanza dell'ambiguità del linguaggio, vista come uno degli elementi chiave della comunicazione medianica, ma anche per snoccialare tutta una serie di trucchi che rendono "terrestri" certe gesta che potrebbero sembrare inspiegabili. 

Si salta poi nel 1500 con due autori, Luca Pacioli e Reginald Scot, ricordati per aver dato vita a dei saggi pionieristici che faranno scuola. Il primo (De Viribus Quantitatis) incentrato sui giochi matematici, con una serie di tecniche (aritmetiche) da utilizzare per indovinare il numero pensato da una persona; il secondo (The Discovery of Witchcraft) concentrato sulle carte da gioco da utilizzarsi quali strumenti per realizzare giochi di prestigio, ma soprattutto realizzato allo scopo di ammonire le potenziali prede di affabulatori e briganti fornendo dati e tecniche per smascherare i truffatori e anticiparne trucchi. "Se giochi contro dei forestieri, sta' in guardia da quelli che sembrano più ingenui o ubriachi; perché sotto quell'aspetto si nascondono i più abili ingannatori, e mentre ti può sembrare che la loro ingenuità o le loro condizioni rendano più semplice per te la sfida, il più delle volte verrai comunque sconfitto."

Un altro studioso interessato alla stesura di saggi, su cui Tomatis ritiene di doversi soffermare, è John Wilkins. Wilkins è il primo a scrivere un saggio (Mercury or the Secret and Swift Messenger) dove si parla della possibilità di dare vita a un linguaggio codificato sfruttando suoni, movimenti corporei e gesti comuni. Tecniche che saranno poi utilizzate dagli illusionisti per compiere giochi di lettura del pensiero altrui, usando complici celati in mezzo al pubblico e in comunicazione diretta con loro.

Je suis le cinq... Gustavo Rol.

Nella seconda parte del volume entrano in campo gli illusionisti veri e propri. Abbiamo il francese Jean Eugene Robert-Houdin, presentato da Tomatis quale fondatore del numero della c.d. seconda vista, giustificata come prova degli effetti del magnetismo e del mesmerismo; quindi Theodore Annemann, venditore e mentalista specializzato nelle frasi a doppio senso, convinto dell'importanza dell'atmosfera e del contorno generale all'interno del quale compiere i giochi di prestigio ("I medium professionisti sono dei veri e propri studiosi di psicologia ai massimi livelli; i prestigiatori sono abili con le mani, ma i medium lo sono con il cervello"); Joseph Dunninger da ricordare per aver sdoganato la magia mentale negli spettacoli radiofonici; il nostro Gustavo Rol, con la presunta legge che lega il colore verde, la quinta musicale e il calore; e poi ancora il polacco Chan Canasta, fondatore della c.d. psicomagia presentata direttamente in spettacoli televisivi dall'alto rischio oltre che autore de The Book of Oopses (libro sperimentale in grado di far la parte di chi legge nel pensiero del lettore), fino ai contemporani Uri Geller Max Maven. 

Siamo quindi alle prese con un volume utilissimo come "bussola orientativa" per chi intenda avvicinarsi alla storia dell'illusionismo. Tomatis infatti offre una discreta gamma di titoli da recuperare, in più rivela aneddoti e qualche trucchetto che rende assai piacevole la lettura. Lo stile è sobrio, asciutto e scorrevole. Presenti qualche raffigurazione e foto, così come citazioni proprie di illusionisti non trattati e spunti di riflessione di un certo interesse.

Chiudo con una frase di Raul Cremona riportata in prefazione: "Se il mago classico può mettere in una scatola un coniglio per poi farlo sparire, il lavoro del mentalista consiste nell'ottenere lo stesso effetto semplicemente evocandolo nell'immaginazione del pubblico, attraverso l'arte dell'affabulazione e della presentazione".

Raul Cremona.