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mercoledì 29 settembre 2010

Recensione narrativa: Il Mondo Sommerso / aka Deserto d'acqua (J.G.Ballard)




Autore: James Graham Ballard

Anno di uscita: 1963

Casa editrice: Feltrinelli

Prezzo: euro 7.50


Commento di Matteo Mancini

The drowned world” segna il debutto dello scrittore inglese James Graham Ballard (i più lo ricorderanno per “L’impero del sole” e per “Crash”, opere portate sul grande schermo rispettivamente da Steven Spielberg e David Cronenberg) nella stesura di romanzi.

Prima di scendere nel merito del libro qui oggetto di attenzione, ritengo opportuno ricordare che James G. Ballard è un autore con la "A" maiuscola, uno dei pochi del secolo passato. Inglese, con un'adolescenza turbolenta, Ballard era solito ricorrere alla fantascienza come mero pretesto per confezionare opere profonde dall'alto contenuto metaforico e simbolico. Starordinari molti suoi racconti che sono recuperabili nella trilogia edita dalla Fanucci dedicata alla sua intera "opera breve".

"The drowned world" ha visto la luce nel 1963 ed è arrivato in Italia sulle mitiche pagine della collana Urania col titolo “Deserto d’acqua”. Di recente, per la “Feltrinelli editore”, è stato riproposto col titolo “Il mondo sommerso”.

Ci troviamo al cospetto del primo dei quattro romanzi apocalittici proposti da Ballard (“Il Vento dal nulla”, “Terra bruciata” e “Foresta di cristallo” sono gli altri tre). Si tratta di un’opera non adatta a un lettore che cerca il mero intrattenimento o la pura azione. Ballard, infatti - come suo solito - intesse un soggetto metaforico (il mare come memoria del pianeta, l’acqua quasi come sangue organico portatore di ossigeno al cervello, il sole come impulso che richiama gli uomini allo stato originario da cui erano partiti, liberi da preconcetti e da vincoli) infarcito di passaggi scenografici prodigiosi per la loro poetica decadente. Sotto quest’ultimo punto di vista, memorabili e avveniristiche (per la predizione relativa al costante surriscaldamento della Terra, con relativo scioglimento dei ghiacciai) le molteplici descrizioni relative a una Londra sommersa da paludi infernali (le temperature superano i 50 gradi) e regredita, per le particolari radiazioni solari, a uno stato preistorico (i rettili sono tornati i padroni incontrastati delle giungle tropicali che avvolgono gli edifici in rovina).Interessante il continuo riferimento alle paure “genetiche” di cui l’uomo e le altre creature sembrano essere, inconsciamente, portatrici dall’alba dei tempi (vedi il terrore per i rettili). Certo, il ritmo con cui si susseguono i fatti è molto lento e, in taluni punti, pesante, tuttavia non è al divertimento a cui punta l’opera. Per quanto sopra premesso, consiglio la lettura, ma vi avviso di prepararvi a vivere una storia allucinata dove ogni aspetto è funzionale a un’analisi psicologica dell’uomo. Non adatto ai lettori amanti delle opere di genere commerciale. Voto: 6.5

venerdì 17 settembre 2010

Recensione narrativa: Le Lune Nere (Lucio Fulci)




Autore: Lucio Fulci
Anno di uscita: 1992
Casa editrice: Granata Press
Pagine: 146
Prezzo: acquistabile, con un po' di pazienza nella ricerca, ai mercati dell'usato o su e-bay (il prezzo di copertina è 16.000 lire).
Commento di Matteo Mancini
Chi non conosce Lucio Fulci come regista di film di genere? Giusto coloro che non si interessano minimamente ai c.d. B-Movie, gli altri non sarebbero giustificati. Ma quanti tra coloro che apprezzano i B-Movie hanno letto i racconti di Fulci? Credo in pochi.
Ebbene eccomi qui per cercare di invogliarvi a colmare questa vostra lacuna.“Le Lune Nere” è la prima delle due antologie pubblicate dal “terrorista dei generi”. Edita nel 1992 dalla ormai fallita Granata Press di Bologna, l’opera di Fulci è pervasa da una grossa componente ironica che sconfina spesso nel grottesco volontario. I racconti raccolti sono dieci e sono tra loro assai diversi, sia come temi che come stile. Alcuni sono scritti da vero autore di narrativa, altri, invece, sembrano provenire dalla mano di un principiante. Probabilmente il tutto risente dal fatto che i testi sono stati redatti in un diverso periodo di tempo.
Dopo questa brevissima premessa, passo subito ad analizzare nello specifico i racconti meritevoli di attenzione. Tra tutti almeno cinque sono di ottima fattura.
Il migliore del lotto, ad avviso di questo recensore, è “Contestazione”. Si tratta di un elaborato che richiede una certa apertura mentale del lettore, perché Fulci mette in scena un feto pensante che riesce a comprendere le voci del mondo esterno alla sua placenta e a indispettirsi per essere trattato senza che nessuno prenda in considerazione i suoi pensieri. Superata questa base di partenza, che potrebbe far storcere il naso a coloro che sono strettamente ancorati alla realtà, il testo assume una valenza altamente metaforica e dissacrante. Fulci critica con intelligenza quel materialismo di certe persone (i genitori del bimbo parlano continuamente di soldi e di bellezza fisica) che spazza via ogni forma poetica che dovrebbe impreziosire la vita e trasforma in mostri le persone. Da quest’ultimo punto di vista, è magistrale l’epilogo del racconto con il bimbo che mentre prende la prima poppata dal seno della madre… beh, conoscete Fulci, credo che non occorra che vada avanti.
Assai claustrofobico è “Porte del nulla” (dal racconto sarà tratto l’omonimo film), con un automobilista ossessionato da un carro funebre che gli ostruisce continuamente il suo passaggio. Se fosse un film si potrebbe definire un c.d. road movie, con una tensione sempre più crescente, perché il protagonista scopre, via via, particolari che lo legano sempre più alla bara presente nel veicolo. Insomma, un testo che rievoca atmosfere di bradburiana memoria (penso al racconto “La folla”).
Assolutamente provocatorio, fin dal titolo, è “In assenza di Dio”. Qui un immigrato slavo, sfuggito alla polizia doganale, viene raccolto da una giovane e portato in una struttura dove viene servito e riverito. Il ragazzo non sa però che è stato arruolato per ricoprire il ruolo di Gesù in una sorta di rappresentazione della Passione di Cristo. La particolarità della recita, però, è che la medesima viene eseguita senza trucchi scenici… Da segnalare l’inserimento di qualche elemento eretico (rapporto sessuale tra Maddalena e Gesù).
Forse un po’ inferiori, ma comunque buoni sono “Voci dal profondo” e “Buoni sentimenti”. Il primo (anch’esso trasposto su pellicola) è una storia un po’ malinconica, con Fulci che utilizza un paio di frasi d’effetto (“i morti possono camminare con noi solo attraverso il ricordo e l’amore”) degne della mano di un grande scrittore. L’opera è incentrata sul rapporto tra i morti e le persone care rimaste in vita. Più in particolare, siamo alle prese con un omicidio perpetrato per ragioni economiche e svelato solo grazie alla caparbietà della figlia del defunto, guidata dai sogni in cui il padre parla del destino dei morti.
Col secondo racconto, invece, si ritorna a quell’ironia tanto cara a Fulci, con un testo che è una chiara protesta contro l’atteggiamento di una certa critica che demonizza i film horror, ma lascia che i bambini vengano “rincitrulliti” da certi cartoni animati (al giorno d’oggi questo aspetto sarebbe ancora più amplificato, a mio parere). La bambina protagonista della storia, infatti, finisce preda di incubi originati dai cartoni e da antiche fiabe, fino a un epilogo drammatico.
Se questi cinque racconti fanno dell’antologia un ottimo prodotto, gli altri cinque non sono all’altezza della situazione. Qualcuno ha degli aspetti positivi ma è scritto in modo non ottimale, come il visionario “I Testimoni” (cliente di un albergo vede riflessi sugli specchi fatti successi nel passato); qualcun altro ha una geniale idea di partenza ma si perde con una narrativa poco coinvolgente, come l’ironico “Uomo di guerra” (stratega militare in pensione simula le guerre nel suo salotto); “Trio” (donna ama personaggio della tv senza neppure conoscerlo) è carino ma non brilla per originalità e si chiude in modo prevedibile; gli altri due, entrambi incentrati su rapporti di famiglia (“Gourmet” e “Attesa”), sono, a mio avviso, grezzi e non sviluppati a dovere.
Nel complesso un’antologia con buoni momenti e qualche racconto che si sarebbe potuto sostituire con qualcosa di più incisivo. Non siamo al livello del Fulci super onirico dei film (né tanto meno furioso fino agli eccessi), ma è comunque un’antologia che, nel complesso, raggiunge la sufficienza e presenta una cinquina di racconti tra il buono e il discreto. Consigliabile. Voto: 6.5

sabato 11 settembre 2010

Recensione narrativa: In Principio era il Male (AA.VV)




Autore: AA.VV.
Anno di uscita: 1990
Casa editrice: Oscar Mondadori
Pagine: 346
Commento di Matteo Mancini
In principio era il male” credo sia l’antologia che ho letto più volte tra tutte quelle che fanno parte della mia piccola biblioteca privata.Questo potrebbe far pensare che io abbia gradito in modo speciale questa fatica messa in piedi dal curatore Douglas E. Winter e invece non è così. Ho impiegato molti mesi per terminarla, perché dopo ogni racconto mi deprimevo al punto da accantonare il libro preferendogli altre antologie. Convinto, poi, di non aver compreso appieno il contenuto di vari elaborati, mi sono costretto a rileggerli sforzandomi di rivalutarli, ma questo non è avvenuto quasi mai.Eppure gettando uno sguardo nell’indice si leggono nomi (King, Barker, Etchison, Straub, Campbell) che dovrebbero garantire una qualità eccelsa, ma nell’occasione diversi mostri sacri deludono oltre ogni più pessimistica previsione. Tra l’altro, non di secondaria importanza, è la constatazione che in molti testi l’atmosfera orrorifica latita a vantaggio di un umorismo nero (penso ai racconti di Hazel e Etchison) o di una valenza esclusivamente drammatica e perversa, con decisi elementi erotici piuttosto che fantastici (Harrison e Straub).
Ciò premesso, ci sono alcuni racconti interessanti come enucleerò qui di seguito.
Il libro parte in quarta con “Il succhiatore volante” per la firma di Stephen King. Pur non essendo un grosso ammiratore del Re, l’opera (che verrà riproposta nell’antologia “Incubi e Deliri”) è di gran lunga la migliore del lotto. Propone una detective story profondamente horror con un reporter di una rivista dedicata all’occulto che cerca di scoprire l'identità del serial killer che, a bordo di un Cessna, vola di aeroporto in aeroporto mietendo vittime. La firma dell'assassino è costituita dalla presenza di due fori, grandi come se fossero stati inferti da una zanna, sul collo dei defunti. L’approccio con cui l’omicida abborda le vittime è così amichevole da lasciar pensare che le abbia affascinate. Epilogo da vero maestro del genere.
Dopo una partenza al fulmicotone, giusto per invogliare il lettore, Winter spara due colpi fiacchi: “Una donna a pranzo” del semi sconosciuto Paul Hazel e “Bacio di sangue” dell’apprezzato Dennis Etchison. Nel primo caso abbiamo un soggetto che fa dell’umorismo e dell’ambiguità la sua unica arma, con qualche strizzatina d’occhio, seppur velata, all’erotismo. L’idea che sta alla base del tutto, però, è troppo povera e si limita nel mettere in scena una donna, assunta in un consiglio di amministrazione di soli uomini, che cerca di farsi accettare da un manipolo di colleghi maschilisti. Gli sforzi della poveretta falliscono miseramente e, dopo alcune imbarazzanti uscite a pranzo con i nuovi compagni di avventura, sfoceranno in un omicidio da risvolti cannibalici.
Non riesce meglio il prodotto di Etchison (che peraltro lo riproporrà, tre anni dopo l’uscita di “In principio era il male”, anche nell’antologia “Il ritorno degli zombi”). L’autore Californiano tenta di montare una storia che abbia al suo interno un’altra storia, legando il tutto tracciando un parallelo tra il rapporto tra i personaggi di entrambe le storie (che sono sempre un regista e una donna che in un caso ricopre il ruole di attrice di un film, mentre nell'altro di sceneggiatrice). Etchison punta sugli equivoci e riserva per il lettore un duplice finale beffardo. Se dunque i colpi di coda di Etchison convincono, la narrazione avanza senza coinvolgere a dovere e, al di là, delle sorprese finali c’è ben poco.
Delude anche Clive Barker con il suo kinghiano “Addio al passato” (di sicuro il peggior racconto che mi sia capitato di leggere dello scrittore inglese), tutto incentrato sui ricordi di una donna ritornata nel paese natale per partecipare al funerale della madre. A inquietare la donna è un lungo sentiero sospeso su un dirupo delimitato da un fragile muretto. Al di là del muro pare vi sia un’entità che invita i passanti a gettarsi nel vuoto.
Qualche sprazzo interessante nel racconto “Cibo” di Thomas Tessier. Anche qui però la narrazione è troppo diluita e tutto si concentra sull’onirico e folle (in senso positivo) finale. Protagonista della vicenda è un cinquantenne che si innamora di una ventenne bulica, condannata a starsene a letto 24 ore su 24. L’uomo cerca di far di tutto per convincere la giovane a sottoporsi a una dieta restrittiva, ma ogni tentativo fallisce. Infine, una notte, la disgraziata si trasforma in una sorta di verme gigante che assorbe l’uomo, prima di scomparire sotto terra lasciandosi alle spalle una lunga striscia di bava. In definitiva Tessier spende quindici pagine per un soggetto che ne avrebbe necessitate poco più di cinque.
Si piomba nel mediocre, invece, con “Il grande Dio Pan” di M. John Harrison (altro autore che non vanta, per lo meno in Italia, schiere di fan). Il titolo potrebbe evocare ricordi di macheniana memoria, ma in realtà la storia si sviluppa in modo tutt’altro che fantastico. Il ruolo di protagonista viene affidato a un’epilettica ossessionata da disagi che paiono connessi a un evento oscuro ancorato a un passato lontano; un episodio in cui quattro ragazzi hanno evocato una sorta di Dio, per avanzare delle richieste non specificate da Harrison. L’elemento fantastico è limitato ai minimi termini e costituito da due creature di colore bianco, dall’aspetto umanoide, che appaiono fuori dall’abitazione della donna, come prede della ragnatela di un ragno. Epilogo frettoloso e deludente.
Con David Morrell e il suo “L’angoscia è arancione, la follia è blu” si torna a respirare un può di sana narrativa dell’orrore con la “o” maiuscola. Non che il soggetto brilli per originalità, ma si rivela ben gestito e offre spunti filosofici / narrativi interessanti. Il tema base è l’estro geniale dei pittori e, più in particolare, di Van Dorn (leggi Van Gogh). A cercare di far luce sull’argomento è un critico d’arte convinto che i quadri di Van Gogh nascondano un segreto che rende, a livello subliminale, più inquietanti le raffigurazioni. L’idea diviene presto un’ossessione che porta l’uomo a isolarsi e a vivere disinteressandosi della propria persona. Pare che tutti i critici, attenti ai particolari non convenzionali della produzione di Van Gogh, siano impazziti e si siano strappati gli occhi a colpi di forbice per cercare di risolvere il mistero. Piano piano, il critico inizia a capire. Scoprirà che nei 38 quadri originali dell’ultimo anno di attività di Van Gogh, celati in modo metaforico, ci sono dei volti urlanti che paiono anime dannate dell’inferno. Deciso a verificare l’intuizione, il critico parte per La Verge, cittadina francese in cui Van Gogh ha vissuto il suo ultimo anno di carriera. L’ossessione porta il critico a ripercorrere l’esperienza del pittore, emulandone abitudini e comportamenti. Scoprirà così, a prezzo della propria salute mentale che l’estro di Van Gogh non era dovuto a una genialità innata, ma a un episodio paranormale connesso alla caduta di un meteorite. Il corpo celeste, da quel che si dice, avrebbe aperto una falla nell’inferno e sarebbe proprio la visione di questa falla ad aver fatto impazzire Van Gogh e tutti coloro che hanno cercato di scoprire il mistero dei suoi quadri. La vista dei dannati, infatti, renderebbe i malcapitati schiavi di forti emicranie che si placano solo attraverso il disegno, un disegno compulsivo in cui vengono riprodotte le immagini dell’orrore vissuto, come se tale esperienza si sovrapponesse a qualunque soggetto di vita reale. In definitiva un testo che, al di là dello stile, rievoca i più brillanti lavori del solitario di Providence.
A metà antologia, dunque, si inizia a sperare in un finale in crescendo anche perché scorrendo le pagine si incontra niente meno che Peter Straub (conosciuto soprattutto per le sue collaborazioni con Stephen King) e il suo “Il ginepro”. La speranza evapora subito. Straub propone una storia di pedofilia con marcatissimi riferimenti erotici, ma lo fa dando vita a una mattonata senza capo né coda, dando l’idea di scrivere di getto senza bussola alcuna. La prima parte, iper drammatica, è interessante e si lascia leggere con curiosità (seppure assai cruda nei particolari). In tale frangente vengono narrati gli incontri sessuali tra un bambino di sette anni, appassionato di cinema, e un vecchio. Teatro dell’oscenità è un vecchio cinema di quarto ordine. Straub regala citazioni cinematografiche a go go e descrizioni puntigliosi di masturbazioni e altre perversità, poi, d’un tratto, il testo si disunisce, con uno sbalzo temporale di circa quaranta anni, per capitolare con un finale del tutto scollegato al resto. Ancora una volta, infine, si registra la quasi assenza degli elementi fantastici.
La delusione prosegue con il fiacco “Raccontami una storia” di un altro autore che avrebbe dovuto garantire una certa qualità, cioè Charles L. Grant. Grant dimostra grande talento nel narrare i fatti, ma stringi stringi la sua storia è vuota e pare esser stata scritta in mezza giornata. Abbiamo un uomo che racconta una serie di storie assurde che vedono per protagonisti personaggi della storia o delle narrativa, ma nonostante questo il nostro pretende di venderle al figlio come se fossero vere. Alla fine si scopre che l’uomo cerca di imparare a convincersi della veridicità di fatti che non sono mai accaduti, per superare un trauma terribile. In definitiva buona l’idea di base, noioso lo sviluppo.
Non invertono il trend negativo Thomas Ligotti (“L’ultima avventura di Alice”) e il veterano Ramsey Campbell (“Imparerete a conoscermi”). I due, infatti, presentano altrettante storie anonime (specie quella di Ligotti).
Gli ultimi due testi (Whitley Striber con “La piscina” e Jack Cady, con il romanzo breve “La nemesi delle tenebre”), invece, si guadagnano il diritto di essere letti con piacere, ma ormai è troppo tardi per salvare l’opera da un giudizio estremamente negativo. In particolare “La piscina” di Strieber ha il notevole pregio di inquietare il lettore e di restare impresso nella mente. Strieber mette in scena un bambino particolarmente dotato che vede, all’interno degli specchi d’acqua, i volti delle persone defunte e fa di tutto, alla fine riuscendoci, per suicidarsi. Il bambino afferma, infatti, che i morti vogliono il suicidio delle persone altrimenti scateneranno le forze della natura per punire l’uomo.
Per concludere non posso che esprimere un giudizio negativo dal momento che su tredici racconti solo quattro posso definirsi buoni, mentre gli altri vanno dal mediocre al pessimo. Davvero deludente. Voto: 4.5

domenica 5 settembre 2010

Recensione narrativa: Five Fingers - Cinque Dita (L. Barbieri)



Autore: Luca Barbieri

Anno di uscita: 2008

Casa editrice: Il Foglio Editore

Pagine: 180

Prezzo: 15.00 euro


Commento di Matteo Mancini

Five Fingers”, inutile girarsi intorno, è un’altra perla curata da Vincenzo Spasaro per la casa editrice “Il Foglio Editore”.Si tratta di un’antologia con ambientazioni western dalle forti contaminazioni horror. Luca Barbieri, genovese classe 1976, dimostra a livello tecnico un talento portentoso (certificato anche dal primo posto nel Premio Rill nell’edizione 2009) che non ha niente da invidiare a quello dei più famosi scrittori professionisti del nostro panorama (anzi, ci sarebbe da dire l’opposto). Attento nella scelta delle parole e nell’utilizzo di termini ad hoc, Barbieri proietta il lettore in contesti lontani, non appartenenti alla nostra cultura, e lo fa con la disinvoltura di uno scrittore d’oltreoceano. Piuttosto che dalla filmografia western italiana (come paventato da altri recensori), Barbieri attinge dalla narrativa pulp e dal fumetto. Le cinque storie proposte sono molto dure e in alcuni frangenti crudeli come proiettili che spezzano le ossa del lettore (penso allo stupro presente ne "L'Antico credo", ma anche ai macabri particolari dell’impiccagione di "Cicatrici" con il condannato che perde gli escrementi sulla folla, e infine allo sbranamento di un pistolero a opera di un gruppo di cani randagi in "Vivere da uomini, morire da topi”). I racconti sono spesso crepuscolari, intrisi di un background malinconico che pervade il narrato e che nasconde un pessimismo che lascia l’amarezza nell’animo del lettore sensibile.

Prima di passare a una breva analisi dei cinque colpi che Barbieri ha inserito nella sua colt dalla forma di libro, occorre segnalare che ciascun testo è preceduto da una pagina dedicata a un dito della mano a cui viene attribuito un significato metaforico sviluppato dal racconto che lo segue.

Polvere di legno nero” è l’elaborato che apre l’antologia. Si tratta di una sorta di revenge movie – come si direbbe al cinema – con un pistolero a caccia di una vendetta che cova da 11 anni e che ha in un uomo dal volto sfigurato il suo punto di arrivo. È probabilmente il testo meno graffiante del lotto, seppur qualitativo e con un finale ben calibrato.

Segue “L’antico credo degli insepolti” che propone una storia all’interno di un’altra storia (aspetto che trovo affascinante e che, personalmente, ho sfruttato anche in qualche mio testo). Qui siamo alle prese con un soggetto forse un po’ troppo diluito che ha nel suo prologo e nell’epilogo i suoi punti di forza. La trama vede un cow boy solitario entrare all’interno di un cimitero, in cerca di un posto dove riposare. Qui viene avvicinato da un becchino (ancora una volta col volto sfigurato) che lo invita a raccontare una storia per placare lo spirito dei morti che vagano nel luogo maledetto.La storia che il cowboy narra è una storia terribile fatta di stupri e smembramenti di rara crudeltà. Dietro a simili delitti c’è un indiano, braccato da un manipolo di soldati che faranno una brutta fine.

La lettura scorre con il testo più crepuscolare e ironico (un’ironia nerissima) dell’antologia, ovvero “Vivere da uomini, morire da topi”. Il titolo è esemplificativo della storia che si andrà a leggere, con un guerriero indiano e un celebre pistolero alle prese con la vecchiaia e i malesseri del corpo. Il cancro che corrode i due, però, non risparmia neppure la città: il progresso avanza implacabile a cancellare il romanticismo del west. Notevole la parte finale del racconto, un po’ troppo diluita la parte centrale. A mio avviso, con qualche taglio il racconto acquisisce un effetto ancora superiore, perché più concentrato.

Cicatrici di roccia sopra l’anima di un assassino” ruota attorno a un’idea piuttosto semplice. Tutto è incentrato sull’impiccagione di un delinquente e sulla triste consuetudine di accaparrarsi i feticci del condannato da parte dei presunti civili. Un ragazzo povero, che fa la conoscenza del figlio di un giudice, riesce a infiltrarsi in questo assurdo mercato e strappa un macabro cimelio.

L’antologia si chiude con il racconto che più ho preferito, una storia che non avrebbe sfigurato nella celebre rivista weird tales. Mi riferisco a “Ciò che banshee porta con sé”, senz’altro il racconto più fantastico del lotto.Qui veniamo catapultati in un fortino militare che cade vittima di una maledizione preannunciata dallo spirare del vento del nord. I soldati, a poco poco, finiscono preda di un grosso lupo e della morsa del vaiolo scatenato da una partita di coperte infette. Notevoli le caratterizzazioni dei personaggi, perfetta la gestione del racconto. Davvero una perla rara nella narrativa underground. Eccellente.

Per chiudere non posso che ripetere che ci troviamo al cospetto di un’antologia graffiante e violenta, capace di conferire prestigio qualitativo alla casa editrice e alla sua sezione “fantastico e altri orrori” che vanta nel suo catalogo, peraltro, un’antologia come “L’incrinarsi di una persistenza” di Maurizio Cometto (gli editori di blasone farebbero meglio a sfogliarla).Consigliabile l’acquisto per gli amanti del pulp e della narrativa horror (nonché western, è implicito). Per volere individuare un film della nostra filmografia western che più si avvicina all'animo di questa antologia citerei, senza dubbio, "I quattro dell'apocalisse" di Lucio Fulci. Qui si riscontra la stessa violenza e la stessa atmosfera crepuscolare e folle del film del compianto artigiano del terrore. Buona lettura. Voto: 7

I film migliori che ho visionato in questa estate

Ecco il lotto di film migliori che mi è capitato di vedere, questa estate, per la mia prima volta. Non ho fatto scorpacciate però i film sotto elencati, pur non essendo dei capolavori, meritano la visione.

JUSTINE OVVERO LE DISAVVENTURE DELLA VIRTU'

Produzione: Ita-Ger
Anno: 1968
Regia: Jess FrancoGenere: Drammatico/erotico
Interpreti Principali: Klaus Kinski, Romina Power, Jack Palance

Il mio commento: http://www.film.tv.it/opinioni.php/film/opinione/496930/justine-ovvero-le-disavventure-della-virta-1969/

MORTE SOSPETTA DI UNA MINORENNE

Produzione: Ita
Anno: 1975
Regia: Sergio Martino
Genere: Poliziesco
Interpreti Principali: Claudio Cassinelli, Mel Ferrer.

Il mio commento: http://www.film.tv.it/scheda.php/film/38769/morte-sospetta-di-una-minorenne/

IL POLIZIOTTO DELLA BRIGATA CRIMINALE

Produzione: Fra
Anno: 1975
Regia: Henri Varneuil
Genere: Poliziesco
Interpreti Principali: Jean Paul Belmondo, Adalberto M.Merli

Il mio commento: http://www.film.tv.it/opinioni.php/film/opinione/487038/il-poliziotto-della-brigata-criminale-1975/

AMORE, PIOMBO E FURORE

Produzione: Ita-Spa
Anno: 1978
Regia: Monte Hellman
Genere: Western
Interpreti Principali: Fabio Testi, Warren Oates

Il mio commento: http://www.film.tv.it/opinioni.php/film/opinione/486199/amore-piombo-e-furore-1978/

AVATAR

Produzione: Usa
Anno: 2009
Regia: James Cameron
Genere: Fantascienza/Fantasy
Interpreti Principali: Sigourney Weaver, Michelle Rodriguez

Il mio commento: http://www.film.tv.it/opinioni.php/film/opinione/482533/avatar-2009/

ROMANZO CRIMINALE

Produzione: Ita-Fra-UK
Anno: 2005
Regia: Michele Placido
Genere: Gangster movie
Interpreti Principali: Kim Rossi Stuart, Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi, Claudio Santamaria...

Il mio commento: http://www.film.tv.it/opinioni.php/film/opinione/480948/romanzo-criminale-2005/