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lunedì 22 ottobre 2018

Recensione Narrativa: NUOVI INCUBI - I Migliori Racconti Weird a cura di Laird Barron.



Autore: Autori vari.
Titolo Originale: Year's Best Weird Fiction, Vol.1.
Curatori: Laird Barron & Michael Kelly.
Anno: 2015.
Genere: Horror / Modern Weird.
Editore: Edizioni Hypnos.
Pagine: 484.
Prezzo: 18,90 euro.

A cura di Matteo Mancini.

INTRODUZIONE
Lodevole iniziativa della Hypnos di Milano. La casa editrice di Andrea Vaccaro, sempre più specializzata nella narrativa fantastica d'estrazione weird, sposa l'iniziativa del canadese Michael Kelly e propone per il pubblico italiano il primo volume del progetto Year's Best Weird Fiction. Si tratta di un'antologia che propone ventidue autori scelti, nell'occasione, dal loro collega Laird Barron, scrittore che abbiamo recensito su queste pagine in occasione de La Cerimonia (romanzo peraltro pubblicato dalla Hypnos e poi dalla Mondadori). Range di scelta molto fumoso quello seguito da Laird Barron (sarà sostituito nelle successive edizioni, inedite al momento in Italia, da altri autori) e orientato, nelle intenzioni del titolare del progetto (Michael Kelly), a individuare i migliori racconti weird scritti nel mondo nel 2013. Vengono così raccolti ben ventidue autori di nazionalità diverse, si parte ovviamente dagli Stati Uniti e dal Canada, per proseguire con Francia, Svezia, Inghilterra, Cina e Italia (solo nella versione Hypnos). Barron e Kelly, nella prefazione al volume (un bel mattoncino di dimensioni), cercano di definire il genere e lo fanno in un modo piuttosto convincente. "La letteratura Weird è un'intersezione di temi e idee che esplorano e sovvertono le leggi di natura... Non è specificatamente horror o fantasy, ma è un tipo di letteratura che è presente all'interno di altri generi" dice Kelly. Barron gli fa da eco specificando che il suo "racconto-tipo weird è quello che va in contrasto con le leggi naturali della realtà, che possiede almeno un pizzico di alieno, e che irradia inquietudine e disorientamento." Abbiamo dunque un tentativo di inquadrare un genere (o sottogenere) sfuggevole in coordinate accessibili ai comuni lettori, un obiettivo che, ad avviso di chi scrive queste righe, viene piuttosto disatteso nella selezione dei testi. Giova infatti premettere che il concetto weird nasce per effetto dei racconti pubblicati sulla "leggendaria" weird tales, una rivista a buon mercato che aveva in H.P. Lovecraft, C.A. Smith e R.E. Howard i suoi tre moschettieri prediletti. Ne conviene dunque una definizione del genere che dovrebbe, a mio avviso, accostarsi alle tematiche e agli stili toccati da questi autori e relativi epigoni, onde evitare di creare un qualcosa di altro che sarà pure Modern ma non è Weird. Michael Kelly lo accenna anche, indirettamente, scivendo che "un tempo la letteratura weird era ambito esclusivo di lettori (e dunque anche scrittori) esoterici." Non si capisce allora perché il Modern Weird debba essere altro, peraltro un qualcosa che può essere quasi del tutto associato come sinonimo alla narrativa fantastica a sfondo horror e persino fantascientifico. Non volendo qua tediare il lettore, a cui interesserà di più sapere se si tratta di un buon libro che altro, con argomentazioni alla Tzvetan Todorov, vediamo nello specifico di analizzare il testo.

ANALISI GENERALE DEL TESTO
Nuovi Incubi è innanzi tutto una bella occasione per scoprire nuovi autori. Barron individua molte nuove proposte, alcune delle quali esaltate dalla Hypnos con la pubblicazione di singole antologie (Saltzman, Strantzas e Llewellyn). Non ci sono nomi noti al grande pubblico. Niente Ramsey Campbell, Barker, King e compagnia. Ventidue soggetti per un'antologia di difficile catalogazione. Stili e tematiche molto eterogenee e un po' per tutti i gusti. Soluzione compromissoria, dunque. Difficile quindi non trovare racconti che riescano a impressionare positivamente, ma anche difficile non trovare racconti che lascino perplessi o non riescano a colpire positivamente il lettore. Si ha quasi la sensazione che lo stesso Barron sia incerto sulla linea cui tendere, nel suo definire il Modern Weird, e ne viene fuori un testo incerto per tematiche e stili. Mi viene da dire che il duo Andrea Vaccaro e Ivo Torello è stato più chiaro a definire il contesto, nella scelta dei racconti premiati per il concorso Premio Hypnos con conseguenziale sbocco nell'antologia Strane Visioni (recensita su queste pagine). Penso che questo sia un grande elogio ai due deus ex machina delle Edizioni Hypnos.
Ecco allora che troviamo racconti che rientrano a pieno titolo nell'alveo della tradizione weird come il poetico Nei Meandri del Sogno, vero e proprio omaggio di W.H. Pugmire all'opera di Lovecraft, o Bor Urs di John Langan, in cui il protagonista si trova proiettato in un'altra dimensione dove un tempio, eretto a divinità sconosciute, funge da portale all'uscita di un toro gigante che irrompe nella realtà. Seguono questa via anche le scelte de Nel Limbo di Jeffrey Thomas, senz'altro il miglior racconto scelto da Barron, in cui un orrore alieno avvolge il mondo cancellando la materia a favore di un'oscurità che detta la via per l'accesso all'aldilà, e del vincitore del Premio Hypnos 2014 Il Suo Sguardo, vero e proprio gioiello confezionato dal "nostro" Moreno Pavanello e incluso nel progetto da Andrea Vaccaro per coprire un vuoto lasciato (per fortuna!!!) da uno scrittore che non ha firmato la liberatoria per l'edizione italiana. Anche Pavanello parla di aldilà, ma qua l'accesso non è da vittime, piuttosto da primi attori, ottenuto prepotentemente con l'ausilio della scienza. Questi i quattro racconti più fedeli alla storica linea tracciata dalle pagine del periodico fondato a Chicago, negli anni '20, da Hennenberger. Per estensione però possiamo legittimamente inglobare anche un altro pugno di racconti. Tra questi, sicuramente, il lineare Il Diciannovesimo Gradino del canadese Simon Strantzas, che riesce a piazzare un perfetto straniamento per effetto di un finale che lascia i brividi sulla pelle del lettore e proietta il protagonista in una dimensione ignota, pur restando col corpo in quella terrestre. Bene, per corrispondenza al genere, anche l'enigmatico e simbolico Fox Into Lady della francese Anne-Sylvie Salzman, dove la paura del parto prende pieghe bestiali e animalesche con una simbologia che sembra alludere a qualcosa di satanico pur senza mai menzionare questo (mi ricorda un racconto tipo La Volpe Mannara, pubblicato su weird tales, di cui non rammento il titolo e l'autore). Punte di puro weird, pur se miscelate, in Un Piccolo Demone di Jeffrey Ford, con una storia di fantasmi, patti più o meno diabolici, incantesimi che rimanda alla fiaba nera. Sette racconti dunque, su ventidue, col resto che è sospeso tra esercizi stilistici (Joseph Pulver), omaggi letterari (Sofia Samatar), spunti horror d'autore, di stampo problematiche familiari, piuttosto contorti (Livia Llewellyn, Paul Tremblay, Maria D. Headley, Michael Blumlein, Kristi DeMeester), convenzionali ghost story dalle intelaiature gialla (Gavin), romantica (Damien A. Walters) o storica (Taborska) e persino svariati testi di fantascienza pura (Chen Qiufan, John R. Fultz), talvolta addirittura parodistica (A.C. Wise) o surreale (Karin Tidbeck). Risultato finale? Bene, non vogliamo esser troppo critici, ma una visione del "sottogenere" weird che finisce con lo snaturare l'ambito in questione. Per spiegarci meglio, non si capisce per quale motivo si debba dare un'interpretazione ampia di un qualcosa che se è veramente nato come definizione lo è stato, non per chiamare in causa categorie aristoteliche, per circoscrivere un ambito della letteratura fantastica (e non anche fantascientifica) così da distinguere un certo tipo di narrativa del terrore da un altro tipo di narrativa del terrore. Qua, a leggere la truduzione esemplificativa operata da Barron, attraverso la scelta dei ventuno racconti (il ventiduesimo l'ha messo Vaccaro), ne viene fuori un'idea del Modern Weird tutt'altro che chiara.

La copertina della versione
americana.

ANALISI PARTICOLARE DEL TESTO - CON SPOILER
Il Diciannovesimo Gradino di Simon Strantzas è un racconto lineare molto semplice che allude a una quarta dimensione non visibile dai comuni mortali, ma presente nella vita di tutti i giorni. Portale di accesso a questo altrove è una scala, tra un piano e l'altro, collocata all'interno di un abitazione fatiscente che una coppia di giovani decide di comprare e restaurare. L'epilogo con la battuta “Io... Io Vedo“, e dunque prima ero cieco, proferita da uno dei due inquilini dopo aver proceduto, per l'ennesima volta nel conteggio dei gradini, trasforma un racconto bizzarro in un fantastico dalle venature horror senza, di fatto, mettere in scena niente di strano, se non degli scalini di una scala che perdono, da un conteggio all'altro, un gradino per poi ritornare ad avere i gradini di partenza. Charo esempio di come si possa fare della narrativa del terrore, senza scendere nel grossolano. Molto semplice, ma d'effetto.


Il racconto di Paul Tremblay intitolato SWIM Vuole Sapere se Va così, in cui i disagi familiari e esistenziali si mischiano a un'invasione di kaiju, è un delirio contenutistico e stilistico a mio avviso poco riuscito. Trembaly si concede troppe parentesi per una storia che non fa della linearità il proprio crisma, spiazzando di continuo l'attenzione del lettore per effetto di un ritmo placato da continue divagazioni.

Si lancia nella parodia il canadese Wise con Il Dottor Blood e l'Ultra Favoloso Squadrone Glitterato in cui gli ufficiali militari si trovano costretti a ricorrere ai servizi di una squadra di ballerine e di ballerini, agghindati in modo da sembrare femmine, che, per riempitivo, arrotondano con azioni militari di rilevanza addirittura interplanetaria il loro cachet. “Di notte lavorano in club con nomi come Diamond Lil's , Lil Diamond e Exclusively Lime Green. Ogni giovedì pomeriggio giocano a bowling. Nel mezzo, quando non stanno giocano a bowling, ballando o cantando su un palcoscenico, spaccano culi più fortie di quanto avete mai visto fare prima. E lo fanno in lamé argentato e tacchi alti.“ Così l'autore presenta la squadra e così si delinea la natura da trash volontario che ammorba la storia. Un taglio assai più vicino al cinema pulp/satirico contemporaneo che al weird nobiliare ed esoterico delle origini. Nell'occasione, questa strampalata squadra di drag queen e sventolone mozzafiato, è chiamata da un Generale militare, incapace a risolvere altrimenti la faccenda, a far fuori un mad doctor che è impazzito, perché ha scoperto che la propria moglie lo tradiva con l'assistente (!?), ed è fuggito su marte dove sta per organizzare la sua vendetta al grido “muoia sansone con tutti i filistei.“ Sta infatti predisponendo un suo esercito, altrettanto improbabile, fatto di zombie radioattivi, vampiri e altri mostri come ragni che vengono eliminati canticchiando Ziggy Stardust & spiders from Mars , ma non ha fatto i conti con lo Squadrone Glitterato. Sarà l'amore, e non la guerra, la soluzione del caso. Un racconto scatenato, con anche un po' d'azione che sa regalare sorrisi, ma il weird per me è altro...

Il taglio pulp prosegue con L'Anno del Ratto del cinese Chen Qiufan dove troviamo ancora un intreccio legato alla difficoltà da parte dei giovani laureati a trovare un inserimento nel mondo del lavoro (evidente critica alla società cinese, mi pare di intuire). Qiufan prende spunto da tale problematica per intessere un canovaccio che prende la via della satira. Al centro della satira c'è ancora l'esercito, che qua si occupa, in via parallela, di addestrare dei giovani laureati per organizzare una serie di squadre, chiamate Forze di Controllo Roditori, che hanno il compito di derattizzare aree infestate da topi mutanti. Oltre alla caratterizzazione stereotipata degli pseudomilitari (c'è il debole che pensa a casa; c'è il rambo di turno, stronzo con i compagni e sanguinario), Qiufan mischia azione, pulp, omaggi a Turno di Notte (con topi giganti di dimensioni umane) e a Il Miglio Verde (raporto di amicizia che si instaura tra una sorta di ritardato di mente e un topolino poi schiacciato dal bullo di turno) di Stephen King e a Jurassic Park di Michael Crichton (i topi, progettati per non riprodursi, superano i limiti imposti dall'uomo e si moltiplicano), riuscendo a tenere viva l'attenzione del lettore anche se al servizio di una storia non lineare e non di chiara interpretazione. La parte finale infatti diviene un po' fumosa, caratterizzata da supposizioni (addirittura topi in grado di manipolare le percezioni umane così da generare illusioni che portano gli uomini stessi a uccidersi tra loro) che suggeriscono la messa in atto di un pericoloso esperimento da estendere poi sulla razza umana (risalta in mente Stephen King, ancora una volta, si pensi alla Bottega de Firestarter), un esperimento gestito da un governo occulto come sembra suggerire alla fine l'autore. “Siamo proprio come i ratti noi, soltanto pedine senza valore nel Grande Gioco. Tutto quello che riusciamo a vedere sono soltano le poche case nella scacchiera davanti a noi. Tutto quello che possiamo fare è seguire le linee della griglia secondo le regole del gioco... Quanto al significato di queste mosse, e quando la grande mano che incombe su di noi calerà a strappare via uno di noi, nessuno lo sa.“ Visione dunque fatalista e decisamente pessimista, per un elaborato che ci pare comunque assai lontano dal weird, ma comunque buono.

Il Fantasma di Olimpia di Sofia Samatar è un arzigogolato omaggio al famoso racconto L'Uomo della Sabbia di E.T.A. Hoffmann, di cui però prende i personaggi ma non certo l'orrore che era capace di evocare il testo di riferimento. La protagonista, in contatto da Vienna con un tale Sigmund (verrebbe da pensare a Freud, dato che su Hoffmann ha costruito una serie di tesi), racconta un sogno che la vede partecipe delle avventure dei due protagonisti di Hoffmann: il manichino Olimpia e l'innamorato perso. Aria di psicanalisi, del resto Freud era un vivido studioso della narrativa di Hoffmann, con continua sospensione tra realtà e sogno (“La vita dei sogni è reale“). Scarso coinvolgimento, pathos quasi assente. Non riuscito.

Atmosfere alla Ligotti nel racconto Fornace, nomination allo Shirley Jackson come miglior racconto 2013, scritto da Livia Llewellyn. Una giovane protagonista scopre di far parte di una sorta di loop che la vede ogni volta ritornare in una data situazione di vita per riprendere da lì in vista del blocco che la fa ritornare indietro. Al centro di tutto c'è la città in cui la stessa è, di fatto, intrappolata per volere della madre. È proprio dalla città che inizia a prendere piede la degradazione che porta alla morte della stessa e di quanto vi è all'interno in vista della rinascita della nuova città e così via... La morte, forse, è l'unica via di fuga dal sistema impazzito. Testo autoriale, molto contorto con una Livia Llwellyn che traccia le linee di una realtà degradata, marcescente con venature alla Brian Yuzna (penso alla bimba che si squaglia sul catrame della strada, immagine che rimanda un po' a Society).

Sceglie atmosfere romantiche Damien Angelica Walters col suo Dovrei Sussurrarti del Chiaro di Luna, del Dolore, dei Pezzi di Noi?. La sua è una ghost story, dallo spiccato gusto femminile, dove la giovane sposa del protagonista cerca di materializzarsi nella casa dello stesso, ma non va oltre a depositare, giorno dopo giorno, delle foto di sé in giro per la casa costringendo, di fatto, il suo amoroso a non superare il lutto rifacendosi altra vita. Testo gradevole, ma il weird è altro.

Aria più squisitamente weird invece in un lotto di racconti che richiamano, in alcuni casi direttamente, la mai sbiadita figura di H.P. Lovecraft. In Bor Urus di John Langan un uomo di famiglia, fissato con tempeste e temporali, sospetta che gli stessi sprigionino forze capaci di aprire squarci su altri mondi. Un giorno, durante un uragano, nel tentativo di raggiungere la casa dei suoceri, l'uomo si imbatte in una foresta atipica, da cui si irradia un inteso odore d'arancio e i cui alberi hanno fusti che liberano calore. Attirato dall'ambiente, l'uomo si inoltra nel bosco e scopre un tempio decrepito retto da colonne luminescenti al cui suolo, parzialmente cancellato dalla distruzione, una raffigurazione immortala un idolo femminile. Il tempo per visionare il luogo sacro però è poco perché, in lontananza, un toro delle dimensioni ciclopiche e dal colore giallo-oro gli si scaglia contro, costringendolo alla fuga. Elaborato, forse troppo lungo, ma che riesce bene a evocare, in un mix di tensione e azione, le atmosfere weird che toccano un buon apice nella parte conclusiva dell'opera.

Più riuscito, specie per stile e spunto esoterico/onirico, Nei Meandri del Sogno in cui W.H. Pugmire, convinto prosecutore della narrativa di Lovecraft, allude molto e lascia al lettore il compito di riempire, con la propria fantasia, le parti di storia e le caratterizzazioni vagamente accennate. Ci troviamo in una città ai confini del mondo reale, dove domina la magia e dove gli umani convivono con creature che umane non sono (non si capisce bene cosa siano). I richiami a Lovecraft sono espliciti, con rimandi a poesie del solitario e omaggi a Il Modello Pickman. Lo stile è a metà strada tra la prosa e la poesia, ma non si rivela pesante. Spettacoloso il finale col protagonista, uno studioso “stregato dalla magia e che ha scrutato troppo in profondità nelle dottrine arcane, lasciando i propri occhi abbeverarsi di sigilli e diagrammi“, che riesce nell'impresa di evocare gli scarni notturni, esseri rapaci volanti, così da farsi artigliare dagli stessi e, librandosi nel cielo notturno, a farsi condurre nel Regno del sogno. Un epilogo che rimanda un po' anche a R.E. Howard e al suo Le Ali Notturne. Racconto evocativo al mille per mille con graffiate horror di primario livello. Grande testo.

Il connubio tra i problemi familiari e horror tornano, in chiave metaforica, ne Il Krakatoano, racconto che ruota attorno a un osservatorio astronomico da cui si cercano di scoprire i misteri delle lontane stelle senza vedere la cancrena che ammorba le proprie famiglie che finiscono alla deriva. Testo concettualmente interessante ma poco coinvolgente. Al solito: il weird è altro, per il sottoscritto.

Va per la ghost story classica Anna Taborska che col suo La Ragazza con il Cappotto Azzurro mostra un fantasma di una giovane ebrea polacca, trucidata dai vicini (dei ruffiani volta gabbana che passano dalle simpatie naziste a quelle comuniste, a seconda del periodo) per ragioni sessuali durante la deportazione del '39, che pretende che la sua storia diventi di dominio pubblico e, per questo, assilla nei sogni tutti i giornalisti che vengono informati del suo caso, ma che non vogliono darne sfogo editoriale (perché chi mai crederebbe a una storia di fantasmi ritornanti, tra un pubblico di ben pensanti e veri acculturati?).

Visioni dall'aldilà nei testi di Jeffrey Thomas e del vincitore del Premio Hypnos Moreno Pavanello. L'autore americano realizza un claustrofobico e coinvolgente elaborato, tra i migliori in assoluto del lotto (a mio avviso il migliore con Pavanello). Anche qua si utilizza la caratterizzazione di un protagonista, licenziato e senza lavoro, che è allo sbando nella società, col solo piacevole ricordo di una compagna di vita deceduta da decenni. Una sera però irrompono delle tenebre che avvolgono tutto e si estendono nel condominio in cui vive l'uomo. Alcuni condomini, si dice, sono scomparsi e non sono più tornati dopo aver varcato il portone d'ingresso del palazzo. Un fumo di colore nero, privo di odore, si allunga sulla materia e la cancella. “Quando la macchia si fosse espansa oltre... Macchia? Eccolo di nuovo a pensare da arrogante essere umano. Questa oscurità era purezza, no? Lui e la sua razza erano la macchia. Una macchia che andava pulita... cancellata.“ Per sottrarsi all'ignoto, il protagonista si sigilla prima in casa, poi in bagno, passando del nastro isolante negli spazi vuoti. L'idea subliminale che viene comunicata al lettore è quella della bara all'interno della quale, ahi noi, ciascuno di noi (in linea di massima) dovrà esser rinchiuso alla fine dei tempi (i nostri, piuttosto che quelli dell'umanità) in un'oscurità accecante. “Ogni anima sarebbe rimasta imprigionata nella sua piccola cella, isolata da ogni altra anima? Ma in un certo senso non era sempre stato così? Ognuno ingabbiato nella prigione del proprio corpo?“ Ma ecco che Thomas, all'epilogo, volge tutto verso la speranza, poiché l'effetto neve da cui tutto era nato, dapprima cancellando i programmi tv e poi internet e telefono, si irradia sul nuovo mondo e, in quell'incertezza, ecco riaffiorare l'anima perduta della moglie che sorride, mentre si sporge dallo specchio... Cos'altro chiedere per una vita felice? sembra suggerire l'autore... E' dunque lo specchio il portale sull'altro mondo, come già visto ne Il Signore del Male di John Carpenter. Grande racconto, questo Nel Limbo, nulla da dire. Aspetti similari si ritrovano ne Il Suo Sguardo, premiato nell'Hypnos 2014, in cui Pavanello propone una storia che fa riflettere e che, peraltro, contenutisticamente parlando è in linea con quanto potrebbe davvero succedere. Racconto che riecheggia le tematiche tracciate dalla penna di Howard Fast e lo fa da pari livello. Si assiste al ritorno sulla terra di un nuovo Messia (sarebbe meglio dire del Messia). Questa volta l'eletto, che si qualifica quale “inviato da una forza che sta al di sopra di tutto“, nasce in Zimbawe e segue le gesta del più noto fratello (con tanto di miracoli ed elogio dei più deboli). Tuttavia, ancora una volta, finisce col fare la stessa fine e nell'esatto punto geografico. Eloquente quando Pavanello, non a torto, scrive che “a metà del mondo non gliene fregò niente“ della fine del profeta, perché la vita va avanti e non si campa a discorsi. Tuttavia c'è qualcuno per il quale la vita non deve più andare avanti. Come avviene con la fisica quantistica, dove il semplice fatto di osservare le particelle determina un influenzamento delle stesse, Dio cessa di guardare la Terra e questa scelta, a poco a poco, si riflette sul contorno che circonda la vita dell'uomo. Il mondo, per come noi lo conosciamo, si spegne nei colori, nei suoni, persino gli animali cessano i loro cicli vitali. Pavanello plasma così un epilogo apocalittico assai difforme da quello paventato delle sacre scritture, ma non meno diabolico. Guidato dall'arroganza tipicamente umana, l'uomo organizza la scalata al cielo attraverso lo strumento della scienza e studiando il video in cui vediamo il Messia, una volta morto, smaterializzarsi sulla croce avvolto da una luce bianca accompagnata da un pianto di angeli irradiatosi non si sa bene da dove. Lo studio ha buon fine e porta all'individuazione di una sorta di stargate nei luoghi comparabili con l'armageddon delle sacre scritture. I “nostri“ salvatori, radunati in un interminabile esercito che raccoglie di tutto (compresi parroci delusi per esser stati abbandonati da Dio e ora votati ai fucili mitragliatori), varcano il portale che li conduce, da vivi, nell'aldilà, pronti a far giustizia contro un padre padrone, per giunta assenteista, così da rilevarne il posto e fare per conto proprio in barba al Salvatore morto sulla croce (o meglio ai Salvatori). Finale aperto a un sequel. Notevole prova di Pavanello, tanto di cappello. L'autore dimostra di valere la categoria dei più grandi e fa le scarpe, nella circostanza, a molte opzioni indicate da Laird Barron. Diverse... direi quasi tutte... “L'Uomo non ha l'umiltà necessaria per accettare il suo fato senza tentare di modificarlo. Così, se Dio non è più interpellabile, ecco che l'uomo cerca le risposte nella sua nuova religione: la scienza.“ il passaggio centrale che sottende al testo. Nella nostra epoca non c'è più spazio per il figlio di Dio, perché quest'ultimo è stato ucciso dalla sua creatura prediletta, questo sembra dirci Pavanello ed è difficile sconfessarlo.

Místo di horror e giallo per Richard Gavin che col suo Una Caverna di Mattoni Rossi gioca a mescolare le carte (“Ci sono sempre due modi di vedere le cose: c'è l'apparenza delle cose e poi c'è quello che sta sotto“) usando come elemento di sviluppo della storia le corse in bicicletta di un ragazzino in vacanza estiva dai nonni. Storia che suona molto come fine dell'infanzia e inizio della vita adulta, assai vicina come struttura al film Le Verità Nascoste di Robert Zemeckis. Ne salta fuori una ghost story che ammicca ad altri orrori, ma lo fa in modo da lasciare libera l'interpretazione dei lettori. La scomparsa improvvisa di un bimba, l'apparizione di un fantasma (o meglio di un genio, da intendersi uno spirito che nasce dal fuoco) che sembra proprio quello della ragazzina e infine un cadavere che riemerge da una cella frigorifera a minare le certezze di un bimbo che vedrà l'abitazione dei nonni andare a fuoco non certo per l'azione diretta del fantasma, quanto, probabilmente, per il fatto della scoperta del cadavere celato in una baracca gestita proprio dal nonno. Racconto quadrato, che giostra bene la tensione pur non discostandosi dai cliché del genere.

Inquietante Fox Into Lady, nulla a che fare con Jimi Hendrix, non temete. La francese Anne-Sylvie Salzman affronta il tema parto in modo alquanto orrorifico, forse per esorcizzarlo, tra venature erotiche e altre di puro terrore specie per un lettore di sesso femminile (magari in dolce attesa). Una giovane, non si capisce bene come concepito, partorisce un mostro che non ha il coraggio di riconoscere e lo rinchiude nel proverbiale armadio senza nulla dire in casa. La creatura, una notte, si libera e si da alla macchia per poi ripresentarsi a divorare la madre, quasi a evocare un incesto bestiale, quando sarà di nuovo incinta, questa volta di un uomo. Il termine più volte ripetuto di “bestia“ e l'utilizzo della volpe come essere originato dal ventre della donna, rimandano alla figura satanica. La Salzman però sfuma il tutto, chiudendo comunque un racconto di onorevole fattura.

Come Piuma, Come Osso è un testo fulmineo di Kristi DeMeester che inquieta ma lascia poco, suonando quasi come esercizio di stile. Emerge anche qua la natura femminile dell'autrice e si percepisce nella lettura del testo. Due personaggi, probabilmente incosapevoli morti, si ritrovano a mangiare uccellini perché questo porta a generare sulle loro scapole delle ali. Figli perduti, rimpianti e tristezza fanno da corollario a una storia, lo ripetiamo, tipicamente femminile e poco in linea al concetto weird delle origini. Nascono forse così gli angeli? Ci crediamo poco...

Molto più articolato Un Piccolo Demone di Jeffrey Ford che struttura il suo eleborato in tre parti, omaggiando la poetessa Emily Dickinson (che è la protagonista). Una prima parte affascinante in cui un emissario della morte (o è il diavolo?) giunge a prendere la donna per condurla su una carrozza che le fa rivivere il tempo che fu in vista dell'eternità. “Sta facendo il giro... Tutti fanno il giro... Ma come, della vostra vita, naturalmente. Un breve riepilogo prima di sistemarvi nella vostra camera di alabastro.“ Su questa parte si innesta il secondo ideale capitolo del racconto, perché la Dickinson accetta la proposta di 25 anni ancora di vita a prezzo di un favore. L'emissario della morte le affida allora il compito di condurre a morte, con un contro incantesimo (perché la poesia è magia), un giovane ragazzino tenuto in vita dalla madre per effetto di un incantesimo. Recatesi all'abitazione di quest'ultimo, insieme all'emissario, la Dickinson si fa assumere quale balia e si trova al suo cospetto una creaturina che di umano ha ben poco, essendo una sorta di cadavere vivente con tanto di carne marcescente e odore nauseabondo. Scoperto l'incantesimo, la giovane fugge braccata dai mostri generati dalla madre del bimbo, mostri che sono puramente illusori. Ecco che si entra nella terza parte. La Dickinson viene sepolta dall'emissario nella sua tomba con la promessa di ritornare alla vita qualora riesca con una sua poesia a rompere l'incantesimo. Trascorsi secoli, la Dickinson riesce, involontariamente, a raggiungere l'obiettivo semplicemente scrivendo “Andata a casa. Pietà“, così per giustificare la sua fuga dalla tomba trainata dal Terranova di sua proprietà giunto, chissà come, a liberarla. Spira dunque aria di ironia beffarda in questo omaggio che Ford dedica alla Dickinson. Una sorta di fiaba nera che parte bene, ma va a chiudersi in calando.

Si torna al contorto, peraltro eccessivamente tecnico, con Successo di Michael Blumlein che propone un mad doctor ossessivo e ossessionato che cerca di dimostrare una sua tesi, poco dopo esser stato dimesso da un ospedale psichiatrico da cui è scomparso per rimaterializzarsi in circostanze non chiarite. Blumlein, per altro medico, porta avanti al storia con taglio e stile tutt'altro che popolare. Racconto interminabile (il più lungo dell'antologia), pieno di elucubrazioni pseudo-scientifiche, che alla fine stanca e invoglia a passare oltre.

Discorso diverso per il divertente, pur se comunque ossessivo, Colpo di Luna della svedese Karin Tidbeck. Racconto molto interessante, alla Howard Fast pure questo, che sembra appartenere al genere fantascientifico se non fosse per un epilogo che di fa pensare alla presa di giro. Una madre ossessionata dagli astri passa tutte le sere in terrazzo a scrutare il cielo. Un giorno, senza che se ne capisca la ragione, la luna rimane sospesa nel solito punto interrompendo (in realtà mutua quello della terra) la sua canonica rotazione. Si scopre poi che la luna sta precipitando. Ecco che si passa al racconto apocalittico, peraltro ben narrato con il giusto coinvolgimento, se non fosse per tre aspetti: la protagonista che ha avuto il primo ciclo mestruale e pensa che sia per via di questo che la luna precipiti; la madre della protagonista, la fissata in astronomia, che inizia a sviluppare una malattia che le fa sorgere sulla pelle uno sfogo che copia le forme e il colore (persino l'odore) della luna, e un finale assurdo in cui la luna cade sulla terra, schiaccia la madre della protagonista e se ne ritorna in cielo, proprio come potrebbe succedere in un incubo notturno. A dir poco bizzarro.

La Chiave del Tuo Cuore è Fatta d'Ottone di John R. Fultz è un testo puramente fantascientifico alla P.K Dick, in cui non si capisce neppure il contesto in cui è ambientata la storia, ma è percepibile quella degradazione da post-atomico con ambientazione fatiscente urbano-cittadina. Siamo sulla Terra o siamo su un pianeta alieno? Difficile capirlo. Protagonisti sono dei Cyborg antropomorfi e non che lottano per la sopravvivenza o per la conquista dell'amore, con la gendarmeria pronta a intervenire nel caso di violazione delle regole di legge. Bello, specie per la descrizione ambientale, ma se è weird questo... allora è praticamente tutto weird quando si parla di fantastico.

Nessun Altro al Mondo all'Infuori di Te dell'esperto Jeff VanderMeer è un altro contorto esercizio stilistico che affatica la lettura e non invoglia a procedere. La linearità non passa da questi lidi. Personalmente odio questo tipo di racconti perché lo stile va a prevalere sul soggetto. Quest'ultimo è peraltro molto surreale, quasi alla Clive Barker (penso al racconto con le città che si sfidavano assumendo le sembianze di due colossi ciclopici) ma senza avere le capacità visive dell'autore di Liverpool. Estraniante.  

CONCLUSIONI
Nuovi Incubi vale la spesa di 18,90 euro? Bella domanda. Direi di si, se siete intenzionati a conoscere le nuove correnti fantastiche, soprattutto horror, della letteratura contemporanea nord americana e non solo. Dunque il duo Vaccaro & Torello offre una ghiotta occasione per ampliare il proprio orizzonte conoscitivo sul genere. Direi ni invece se siete fan integralisti del weird, inteso come vecchia concezione, e volete cercare autori che vadano a proseguire quella via tracciata dai pionieri degli anni '20 e poi proseguita dai vari August Derleth, Brian Lumley, Karl Edwar Wagner e via dicendo. Ni, perché troverete racconti che fanno al caso vostro e altri che vi lasceranno delusi, per non parlare di quelli che vi faranno esclamare: "Ma che c'azzecca questo col Weird.... chi è stato il Giudice a dire una cosa del genere?". Che altro dire? Come dice Jigsaw, ovvero il protagonista de L'Enigmista di James Wan, fate la vostra scelta.

Jena Plissken BARRON,
il selezionatore della Nazionale Weird
2013.


"Hanno intravisto qualcosa che è molto più grande di loro, ed è spaventoso. Spaventoso perché incomprensibile e anche perché l'uomo è un animale che è da poco uscito dalle caverne. Il cervello umano, con tutta la sua capacità di adattamento, non reagisce bene quando i suoi codificati punti di riferimento vengono messi in discussione" (Laird Barron).

lunedì 8 ottobre 2018

Recensioni Narrativa: LA MACCHINA DEL TEMPO di H.G. Wells.




Autore: Herbert George Wells.
Anno: 1895
Titolo OriginaleThe Time Machine..
Genere: Fantascienza Distopica.
Editore: Tascabili Economici Newton.
Pagine: 80.

A cura di Matteo Mancini.
Inizio di carriera di un grandissimo della letteratura fantastica, reputato, assieme a Jules Verne, il padre della moderna fantascienza. Herbert G. Wells lo abbiamo già incontrato in occasione delle recensioni de L'Isola del Dr. Moreau (1896) e de L'Uomo Invisibile (1897), ma è con questa opera, uscita per la prima volta nel 1888 su The Science School Journal, che inizia a farsi conoscere dal grande pubblico e lo fa fin da subito con l'aura del letterato di fantastico di grosso calibro.
Appena ventiduenne, Wells da alle stampe, nella sopracitata rivista, il racconto The Chronic Argonauts. E' la seconda opera in assoluto, dopo l'assai meno conosciuta The Clock That Went Backward (1881) di Edward Page Mitchell, che fa leva sullo stratagemma della macchina del tempo, prima di allora mai vista, per innescare una storia sì fantastica ma, al contempo, di rango sociologico e filosofico. E' molto probabile che lo scrittore inglese, altra penna di elite scuola Golden Dawn (vera e propria fucina interminabile di talenti), fosse un grosso estimatore dello scrittore americano dato che, una decina di anni dopo, riprenderà l'idea dell'uomo invisibile de L'Uomo di Cristallo (1881), altra opera firmata Page Mitchell, per dar vita a un proprio romanzo caratterizzato sulla medesima idea di partenza. E' però con The Chronic Argonauts, sottoposto a successive modifiche fino all'uscita della definitiva The Time Machine nel 1895, che prende piede la "vittoriana" idea della macchina azionata a suon di leve che consente allo scienziato di viaggiare liberamente nel tempo, sia in avanti che indietro. Wells, in questo, anticipa di un anno il connazionale Lewis Carrol, meglio noto per Alice nel Paese delle Meraviglie, che nel 1889, un anno dopo dall'uscita della prima versione de La Macchina del Tempo, fece uscire Sylvie e Bruno, racconto dove però il viaggio nel tempo viene fatto grazie all'azionamento delle lancette di un orologio.

Dunque testo importante per il suo fungere da base di dozzine di altri capolavori, vengono in mente i viaggi temporali che stanno alla base dei racconti di Ray Bradbury (tanto per citarne uno, ricordo il capolavoro Sound of Thunder, che abbiamo recensito su queste pagine analizzando l'antologia Dinosauri). Per Wells però l'idea del viaggio nel tempo è incidentale, prettamente strumentale per effettuare un'analisi sociologica a sfondo satirico, in cui parlare di due tematiche care e ritornanti nella produzione successiva dell'autore: la teoria evoluzionistica di Darwin (risalente al 1859) e le discussioni filo-politiche scatenate da pensatori del calibro di Karl Marx (1867, Il Capitale).
Ecco allora che lo spunto fantastico iniziale (peraltro portato avanti con sfumature horror nonché fantasy e grande senso dell'azione), come avviene nella letteratura fantastica con la "F" maiuscola, diviene pretesto, più che per intrattenere, per stimolare l'attenzione del lettore e fare filosofia. Wells riesce alla grandissima, nonostante la giovane età e la scarsa esperienza, a bilanciare l'intrattenimento puro (ci sono momenti a forte impatto claustrofobico, con discese in budelli sotterranei alla mercè di esseri similari a vermi umani) alla riflessione e disquisizione "alta", giocata sull'esasperazione dei concetti e degli atteggiamenti figli della rivoluzione industriale, così da prevederne gli sviluppi nel lunghissimo periodo. Gli accadimenti narrati dal viaggiatore del tempo, uomo di fine ottocento che racconta la propria esperienza a un gruppo variegato di personaggi che comprende le principali figure della divulgazione massmediatica (dottori, giornalisti, critici), sono infatti ambientati nel lontanissimo 802.701. Un'epoca talmente siderale in cui la razza umana, per come noi la conosciamo e con essa buona parte degli animali contemporanei, si è evoluta (o involuta) in due distinte specie. Da una parte abbiamo i pacifici e oziosi Eloi, che vivono in superficie in una sorta di eden dove la natura domina rigogliosa, e dall'altra i Morlock, creature albine rintanate nel sottosuolo dove provvedono a fornire quanto è necessario agli Eloi per vivere, ma non certo per solidarietà, piuttosto per ragioni egoistiche che possono esser spiegate alla stregua degli odierni allevatori di bestiame con i prodotti funzionali a fornire cibo e quant'altro.

Wells si guarda attorno, butta un'occhio a I Viaggi di Gulliver (1726) di Jonathan Swift e uno a The Coming Race (1871) di Bulwer-Lytton (romanzi entrambi recensiti su queste pagine) per portare avanti il canovaccio dell'uomo proveniente dall'altrove e catapultato in un mondo dominato da creature umanoidi, ma diverse dall'uomo. Come vivono? Chi sono? Che tipo di governo si sono dati? Queste le domande che solleticano la curiosità del viaggiatore. Si riprongono allora i tentativi di entrare in comunicazione con le creature "aliene", ma anche il tentativo di decriptare lo schema politico-sociale che regge quel sistema complesso che siamo soliti definire "società". Come Bulwer-Lytton, Wells immagina una popolazione sotterranea capace di stravolgere e spazzare via quella superficiale che avverte il pericolo ma, di fatto, ne ignora la ragione e il fine che ne sta alla base. Se però con Bulwer-Lytton, nel sottosuolo, si evolveva una razza superiore, capace di esercitare e piegare alla propria volontà un'energia non gestibile dall'uomo, con Wells arriva una visione pessimista. La razza che verrà, in The Time Machine, è una razza involuta, regredita al rango bestiale. Sia gli Eloi che i Morlock sono gli eredi della razza umana, ma di questa hanno mantenuto ben poco. Modificati geneticamente, costituiscono il prodotto di un duplice isolamento sociale. Gli Eloi sono i discendenti dei nobili e degli imprenditori o, meglio ancora, degli sfuttatori degli operai in qualità di rappresentanti di coloro che gestivano il capitale di inizio novecento. I Morlock, invece, sono il prodotto degli operai costretti a vivere sotto terra, proprio come facevano i minatori, e sviluppare così caratteristiche tipiche di chi deve vivere nel buio perenne (sono nictalopi, sensibili alla luce, di pelle bianca). Il pessimismo di Wells appare comunque politicamente schierato, lo si capisce da quando il viaggiatore del tempo sbarca nel mondo del futuro. "Negozi, pubblicità, traffico, tutto l'aspetto commerciale che costituisce il fulcro stesso del nostro mondo, erano scomparsi. Era naturale che in quella sera dorata saltassi alla conclusione di trovarmi davanti a un paradiso sociale."
Si intuisce un animo popolar-socialista che guida l'estro dello scrittore inglese per portarlo a condannare in modo piuttosto spigliato, sulla scia di Swift, il capitalismo fin dalla sua origine. Si consideri che, al tempo di Wells, si era all'alba della rivoluzione industriale. Un approccio che spicca anche nelle caratterizzazioni delle due categorie dominanti.
I Morlock, pur essendo bestiali e crudeli (si nutrono degli Eloi e forse sono anche cannibali), hanno una certa intelligenza, gestiscono macchinari sotterranei e hanno mantenuto il primordiale istinto della caccia. Anche se non sembrerebbe, a una prima analisi, sono loro i veri dominatori del futuro, dominatori, se vogliamo, occulti, celati dietro le quinte. Gli Eloi, di converso, sono smidollati che non fanno altro che giocare, fare l'amore e danzare, del tutto inidonei a gestire una società."Dolce era il loro vivere, quanto dolce lo era quello di una mandria al pascolo. Come la mandria, non avevano coscienza dell'esistenza di nemici e avevano di che soddisfare tutte le loro necessità. E la loro fine era la stessa..." Creature delle tenebre contrapposte alle creature della luce con una cosa in comune: il regresso della specie. Ecco dunque un curioso ribaltamento della teoria dell'evoluzione della specie, con Wells che immagina un punto apicale toccato il quale non si può che andare incontro a un'inevitabile parabola discendente. Si evince anche un certo richiamo al concetto della perenne guerra dell'amore e odio, proprio del pensiero di Empedocle (storico precursore di Darwin), superato il quale il mondo va a collassare. Wells vede infatti nella regressione della specie la conseguenza del superamento delle guerre e della sconfitta delle malattie. "In uno stato di equilibrio fisico e di sicurezza, il potere, intellettuale nonché fisico sarebbe fuori luogo" e dunque superato in favore dell'ozio e della successiva perdita degli attributi generati dalla guerra, a totale sbilanciamento dell'amore, così da rendere incapaci di reagire e di combattere al cospetto della minaccia. "La troppo perfetta sicurezza aveva promosso negli abitanti del mondo di sopra un lento movimento di degrado, una generale riduzione di dimensioni, forza fisica e intelligenza... Mi angosciava pensare a quanto breve fosse stato il sogno dell'intelletto umano. Si era suicidato. Aveva marciato a testa bassa verso comodità e agio, una società equa che avesse come motto sicurezza e durata, e aveva realizzato le sue sperenze... per giungere infine a quel punto. Condividono intelligenza solo quegli animali che devono affrontare un'enorme varietà di bisogni e pericoli." Ne deriva una visione molto vicina alla filosofia di Empedocle della perenne lotta, come via necessaria per garantire la corretta evoluzione della specie. Il superamento di tale lotta non porta all'agognato progresso e al dominio della pace, ma a una mera illusione di evoluzione (la vittoria dell'amore) che conduce a una lenta e graduale morte determinata dall'idiozia generata dal venir meno della dualità che sta alla base del progresso e della capacità di adattarsi.

Wells dedica un passaggio alla società del passato che viene proposta nelle sembianze di un museo decaduto dove traspare la futilità (ancora visione pessimista) degli scrittori e degli studiosi del passato. Un modo per evidenziare quanto sia stata esposta la cultura senza comprenderla e metabolizzarla, così da renderla inutile e assai poco dissimile a un oggetto privo di significato e ragione logica. Emblematica la descrizione di una serie di libri ormai rovinati e divenuti impalpabili per l'azione distruttrice del tempo. "Negli stracci anneriti che vedevo pendere dai lati riconobbi spoglie decomposti di libri. Da tempo erano caduti a pezzi e avevano perso ogni traccia di stampa... in quel momento a colpirmi con maggiore forza fu l'enorme spreco di fatica di cui era testimonianza quella sconfortante distesa di carta putrefatta."

Una nota va infine dedicata al visionario epilogo in cui, il viaggiatore del tempo, si spinge fino al crepuscolo della terra, molto oltre la scomparsa della vita, in un mondo che vedrà dapprima dei crostacei giganti solcare le spiagge di un mare asfittico per poi prosegure in una tenebrosa decadenza in un silenzio di morte preludio della fine dei tempi. Una parte conclusiva che ispirerà, non poco, il capolavoro assoulto di William Hope Hodgson La Casa sull'Abisso (1908), con lo scorrere di secondi che sintetizzano secoli evaporati come gocce d'acqua in una tempesta di pioggia.

Romanzo dunque, pur se penalizzato da qualche battuta di arresto (stesso limite di The Coming Race, per lo spacciarsi quale finto saggio sociologico e dedicare pagine a tal fine), da leggere e possedere, bussola orientativa non solo per la fantascienza steampunk e per la successiva produzione di Wells - che proseguirà, soprattutto, sulla tematica darwiniana - ma anche per lo studio sociologico e distopico che influenzerà una lunga schiera di autori che vedranno nel futuro un regresso decadente dell'umanità spacciato per progresso e per una pace sotto la quale si diffonde un cancro per il quale non vi può esser cura (perché si è fatto in modo di dimentarne gli ingredienti base). Capolavoro di un grande maestro. Onore a Herbert George Wells.

HERBERT G. WELLS

"Molti secoli prima, migliaia di generazioni prima, gli uomini avevano scacciato i loro fratelli dalla vita agiata e dalla luce del sole. E ora quei fratelli stavano tornando... mutati!"