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venerdì 25 febbraio 2022

Recensione Cinematografica: OCCHIALI NERI di Dario Argento

Regia: Dario Argento.
Anno: 2022.
Genere: Drammatico / Thriller.
Attori Principali: Ilenia Pastorelli, Xinyu Zhang, Asia Argento, Andrea Gherpelli, Gennaro Iaccarino.
Fotografia: Matteo Cocco.  Musiche: Arnaud Rebotini. Effetti speciali: Sergio Stivaletti.
Durata: 86 minuti.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Il grande ritorno di Dario Argento non sfocia nell'auspicato colpo di coda che i fan attendono dai tempi de Il Cartaio. La filmografia del Maestro, in evidente calo qualitativo dopo i fasti degli anni settanta e ottanta, non riesce così a tornare ai livelli di guardia degni del talento di chi ha diretto film come Profondo Rosso e Phenomena. Occhiali Neri sembra seguire la via (nefasta) dettata da Giallo, contaminando il thriller col drammatico. Pur supportato da Franco Ferrini, che torna a collaborare col Maestro per un prodotto cinematografico dopo quasi venti anni, Dario Argento si perde, in scrittura, in tutti i difetti tipici della sua produzione. I dialoghi hanno degli scivoloni clamorosi (tipo il medico che saluta una paziente divenuta cieca e traumatizzata, congedandosi con un “a rivederla”), alcune scene sono fuori contesto (si veda la Pastorelli che annuncia la morte della madre del bimbo cinese nel momento più inadatto di tutto il film), l'assassino non viene minimamente caratterizzato (Argento lo usa solo come inseguitore e non dice niente di lui) arrivando a suggerire un movente che suscita ilarità (uccide perché puzza, cosa peraltro vera). Evidenti problemi anche di collegamento tra le sequenze, con Darione che ricorre al trucchetto delle dissolvenze per cucire le sequenze e tagliare parti di storia. C'è poi un ritmo irregolare che rende poco accattivante la storia, anche perché la scelta di giocare il tutto sul versante della drammaticità porta a un evidente calo dell'interesse negli spettatori. Che dire poi del comportamento dei poliziotti? La semplice visione di un comunissimo furgone bianco che gira a Roma getta nello scompiglio tutti i protagonisti, al punto che i poliziotti sparano pure a casaccio su un mezzo che avanza banalmente verso di loro, salvo poi tergiversare e disinteressarsi del potenziale assassino dopo che un collega è stato investito mortalmente e ha sparato contro il conducente che persiste a restare sul posto in bella evidenza a bordo del veicolo. Da notare anche l'elemento della targa del mezzo (registrata dalle telecamere di sorveglianza) di cui non è dato sapere niente, cioè se si tratti di un veicolo effettivamente oggetto di furto oppure (ipotesi da scartare per ovvie ragioni) se il furgone circoli per volontà del suo proprietario. Se la seconda ipotesi è facilmente scartabile, resta comunque incongruente il fatto che il soggetto non si liberi del mezzo ma preferisca cambiargli colore continuando a muoversi per giorni invece di disfarsene e rubarne un altro.

La storia è semplice e vede un serial killer pedinare e tentare di uccidere una ragazza rimasta ferita in una precedente aggressione dallo stesso tentata e conclusa a seguito di un incidente automobilistico. Inseguimenti stradali, fughe per il bosco con la protagonista che, stoltamente e inverosimilmente, urla per tutto il tempo dando un involontario aiuto all'inseguitore per instradarlo e metterlo sulle sue tracce, e una pineta romana che si trasforma in una giungla filippina con tanto di famelici serpi pronte ad avvinghiare in massa la Pastorelli modalità boa constrictor.

Dunque molti problemi, incomprensibili (se non ci fossero già stati i vari Dracula 3D e Giallo) per un film scritto e diretto da un Grande Maestro. Problemi che non sono certo riconducibili a difficoltà tecniche o a carenza di budget. Peccato davvero, perché la Pastorelli interpreta in modo convincente il suo personaggio, pur plasmandolo di quella romanità tamarra che caratterizza (con simpatia) i suoi personaggi. Argento le chiede anche due topless a cui l'attrice non si sottrae. Asia Argento convince meno, piazza due o tre espressioni durante l'inseguimento stradale che la vede pressata dal killer che lasciano alquanto perplessi e suscitano risatine in sala (ovviamente non ricercate nei propositi). Inespressivo il ragazzino cinese, che si incarta (lui o il doppiatore) anche nel proferire alcune battute. Le interpretazioni del resto degli attori non sono certo memorabili, ma neppure censurabili. Cammeo (tra i più inutili che mi sia mai capitato di vedere) per Antonio Tentori, scrittore e sceneggiatore di Lucio Fulci, Bruno Mattei (tra cui i due zombie movie di fine carriera) e Dario Argento (Dracula 3D), a cui viene riservata una battuta che sembra esser stata inserita a casaccio durante la lavorazione, magari sfruttando una visita di saluto alla produzione.

Veniamo ora alle note di merito. Notevole la fotografia di Matteo Cocco, già premiato con Globo d'Oro e David di Donatello (per la fotografia di Volevo Nascondermi). L'immagine è sempre nitida e chiara e tende a esaltarsi nelle condizioni più difficili, cioè in condizione di intensa oscurità.

Ben utilizzate anche le musiche di Rebotini, giocate sul ritmo piuttosto che sulla melodia e, pur non ai livello dei Goblin, idonee a caricare le sequenze ad alta tensione.

Interessante, a tratti, la regia di Dario Argento. Le inquadrature sono strette, si privilegiano primissimi piani particolarmente stretti, con volti non centrati e lasciati ai margini dello schermo con messa a fuoco sfuocata nella profondità di campo non occupata dal soggetto in evidenza. La mano del Maestro si vede in alcuni movimenti di macchina (c'è una carrellata in basso che ricorda Non Ho Sonno e alcuni movimenti sulla facciata di un albergo che rimandano a Inferno) e soprattutto nella brutalità di alcuni omicidi che portano al divieto ai minori di anni 14. Il film, infatti, dopo un prologo affascinante ma inutile (sequenza di una Roma periferica dove i cittadini guardano il sole durante un'eclissi), entra in azione con uno tra gli omicidi più brutali messi in campo da Dario Argento. Una morte, sicuramente, degna di entrare in una galleria argentiana. Lo spettatore inizia così a pensare che la pellicola possa davvero costituire un importante colpo di coda nella produzione del “nostro”. Invece, un po' come già avvenuto ne La Terza Madre, è un fuoco di paglia, sebbene si cerchi di restare su un piano più safe (senza innovazioni o sperimentalismi) provando, forse nelle intenzioni, a intavolare un soggetto quadrato e più sicuro. Si portano così in scena le difficoltà di recupero psicologico di due vittime di un intenso trauma. Il personaggio della Pastorelli deve metabolizzare un handicap che le rivoluziona la vita. Il bimbo cinese, invece, è alle prese con il trauma della morte dei genitori dopo uno spettacolare sinistro stradale (ben rappresentato da Argento). I due arriveranno a legare tra loro, nonostante i tentativi della polizia di ricondurre il bimbo presso l'istituto in cui è ricoverato e da cui è fuggito, trovando ospitalità dalla Pastorelli. Una scelta di copione questa che toglie linfa vitale all'intreccio thriller e orienta il tutto verso il drammatico. La parte finale, quasi action, finisce col rovinare le premesse, a causa delle tante incongruenze e della mancanza di pathos nel copione. Tutto viene demandato all'interpretazione della Pastorelli, costantemente in campo (in un ruolo peraltro non facile), e all'estro visionario di Dario Argento. L'epilogo, di nuovo brutale e innescato da semplificazioni intollerabili (un cane che si libera da una gabbia di un accalappia cani), è frettoloso e privo di trovate intellettuali.

In conclusione, resta la sensazione di un soggetto, anche interessante, sviluppato male, con fretta e con una certa svogliatezza, demandando la soluzione dei problemi a Sergio Stivaletti (bravo come sempre) e a qualche sequenza da brivido diretta da un Argento non più brillante come un tempo. Un po' poco per lodare il prodotto finale che, comunque, è superiore ai vari Giallo e Dracula 3D ma non risale troppo nella classifica della produzione del nostro fermandosi sotto Il Cartaio (superiore per costruzione e cast artistico).

Una nota finale per la locandina clamorosamente ricalcata su quella di Essi Vivono di John Carpenter, senza che vi sia una ragione di compatibilità tra le due pellicole.

 



giovedì 3 febbraio 2022

Recensione Narrativa: CERIMONIALE NOTTURNO di Thomas Owen.

Autore: Thomas Owen.
Titolo Originale: Cérémonial Nocturne et Autres Contes Insolites.
Anno: 1966.
Genere: Horror.
Editore: Agenzia Alcatraz, 2021.
Pagine: 256.
Prezzo: 14.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 
Prosegue la galoppata dell'Agenzia Alcatraz nel riproporre i grandi classici della collana Marabout Fantastique. È la volta del belga Thomas Owen, nome d'arte di Gérald Bertot, asso di punta del fantastico belga.

Scrittore versatile fin dall'adolescenza, prende le mosse quale cronista e critico nel primo ventennio del secolo scorso, collaborando con svariati quotidiani. Firma sotto lo pseudonimo Stéphane Rey numerosi articoli di critica d'arte, fondando addirittura alcune riviste per giovani lettori e una casa editrice.

Viaggiatore infatuato dal Mare del Nord, appassionato di soprannaturale e laureato in legge, dopo una breve e poco convinta carriera da avvocato si dedica a tirare avanti un'impresa di una certa importanza nel campo della lavorazione del grano. La sua vera passione, però, è la scrittura che affronta da ogni prospettiva. Compie il grande passo per ragioni economiche, quando, nel 1941, lo scrittore di noir Stanislas-André Steeman lo convince a darsi alla scrittura di romanzi polizieschi. Pubblica i suoi primi due romanzi trincerato sotto lo pseudonimo Stéphane Rey, prima di lasciarsi convincere dall'amico collega ad adottare uno pseudonimo inglese. Sceglie così il nome Thomas Owen, mutuando il nome del commissario protagonista del suo secondo romanzo (Ce Soir, 8 Heures). Debutta col nuovo pseudonimo nel 1942 dando alle stampe il poliziesco Destination Inconnue da cui vira subito in direzione del fantastico e del grandguignol, trovando la dimensione di elezione nel racconto breve a sfondo macabro/fantastico. Una passione quest'ultima che lo porta a stringere amicizia col connazionale e leggendario Jean Ray, con cui entra in affari e da cui viene lodato in prefazioni e presentazioni. Nel 1943, con Les Chemins Entranges (1943), esce la sua prima antologia seguita da La Cave Aux Crapauds (1945). La consacrazione arriva grazie alla collaborazione con la collana Marabout Fantastique che gli permette, nei paesi di lingua francofona, di poter affiancare il proprio nome a quello dei più grandi maestri del fantastico inglese. Sbarca nel 1963 sulle pagine dell'importante collezione belga con la riproposizione dell'antologia La Cave Aux Crapauds (a cui viene accorpata anche la precedente antologia Les Chemins Entranges) seguita da Cérémonial Nocturne: et Autres Contes Insolites (1966) e da altre quattro antologie (tra cui La Truie e Le Rat Kavar).

Pur se tradotto nelle più impensabili lingue (ebraico, arabo e indostano) e inserito tra i centoventi autori presentati nel volume Maestri della Letteratura Fantastica (da noi pubblicato nel 1983 dalle Edizioni Edipem), in Italia resta pressoché sconosciuto fino all'uscita dell'antologia Le Dimore Inquietanti (1994) della Panozzo Editore, preceduta dalla pubblicazione di un unico racconto (La Présence Désolée) selezionato da La Cave Aux Crapauds per mano di Gianfranco De Turris, nel lontanissimo 1964, e inserito nell'antologia collettiva Interplanet Europa 5 delle Edizioni dell'Albero. Solo di recente, grazie all'interessamento delle Edizioni Hypnos e della Dagon Press (Rivista Zothique), che gli hanno tributato uno speciale nelle rispettive riviste, sul nome Owen è iniziato a circolare un grande interesse nel circuito degli incalliti lettori di fantastico del bel paese.

Dotato di vita particolarmente longeva, Owen si è spento a novantadue anni nel 2002 e la sua produzione è ancora tutta da scoprire per noi italiani.

 
Copertina di una ristampa del 1986
che omaggia il racconto LA TENTAZIONE DI SANT'ANTONIO.
 

ANALISI GENERALE

Sedici fulminei racconti e una strana novella scritti tra il 1952 e il 1966, questo è il contenuto di Cerimoniale Notturno, seconda antologia in assoluto a firma Thomas Owen comparsa in Italia e prima per la sempre più apprezzata e corposa Bizarre dell'Agenzia Alcatraz. Il termine bizarre è forse quello che più si adatta per descrivere le storie di Owen. Diciamo subito che, probabilmente, non si tratta della migliore antologia pubblicata dal belga. Solo in alcuni casi si toccano quelle vette di sense of wonder che possono rendere memorabile un racconto. Il macabro/fantastico, talvolta accompagnato da una cinica ironia se non da una vera e propria satira che ricorda il Jonathan Swift de I Viaggi di Gulliver, la fa da padrone, ma lo fa, spesso e volentieri, dando mostra di sé - o suggerendo una sua presenza allusiva - solo all'epilogo dei racconti. Il soprannaturale, o comunque l'elemento di disturbo, si insinua lentamente nella vita di tutti i giorni, a poco a poco la modifica fino a distorcerla, facendo di Owen un autore vicino a quella nuova corrente horror che sarebbe poi esplosa con Matheson e successivamente con Stephen King. A differenza di un Claude Seignolle, infatti, manca la componente del folklore agreste e la predisposizione al gotico. La lunghezza delle storie impedisce uno studio approfondito dei personaggi, portando sovente l'autore a miscelare tra realtà e sogno a occhi aperti, così da rendere evanescente la prima a beneficio del secondo che, non di rado, si concretizza sovrapponendosi alla realtà stessa. Lo stile è alleggerito da inutili orpelli e rende la lettura di facile digestione collettiva. Da segnalare la presenza, a introduzione di ogni racconto, di una citazione d'autore (Jean Ray, Ambrose Bierce, Guy de Maupassant, Claude Seignolle e altri) non sempre ben articolata alla storia che segue.


ANALISI NEL DETTAGLIO

Delle diciassette storie proposte solo un terzo può definirsi di particolare valore, mentre le altre, pur assestandosi su livelli apprezzabili, non riescono a rimanere impresse nel lungo periodo.

Owen gioca infatti su alcuni stilemi inflazionati, quali quelli del morto che si presenta davanti ad alcuni conoscenti - o comunque testimoni oculari - senza che questi si rendano conto di avere a che fare con uno spirito. Di questo gruppo di racconti il più riuscito è Le Grand Amour de Madame Grimmer (“Il Grande Amore della Signora Grimmer”), una ghost story piuttosto classica (dialogo tra un avvocato e una cliente che poi si scoprirà esser già deceduta) ma ben caratterizzata nello studio dei personaggi. Owen sposta l'attenzione dalla componente fantastica al black humor giostrato sulle caratterizzazioni dei personaggi, in particolare quella dell'avvocato Stieglitz, un soggetto tanto cinico e asettico nei sentimenti da impressionarsi per la metamorfosi della poltrona riservata ai clienti involuta da oggetto di lusso a vecchia e consunta seduta dopo che vi è morto il marito della vecchia cliente vista alcune settimane prima.

Similare, ma orientato al grandguignol, è La Fille de la Pluie (“La Ragazza della Pioggia”) che vede, durante un giorno di intensa pioggia, un passante svogliato e solitario fare un incontro per la strada con una ragazza dalle mani insanguinate (e che ironizza sulla questione allineandosi, almeno a parole, alle convinzioni di Erszebet Bathory relative alle qualità rinfrescanti del sangue). Desideroso di portare il proprio aiuto, l'uomo viene adescato dalla sconosciuta che lo convince a seguirla verso una villa abbandonata. All'interno delle mura della casa verrà a galla una terribile realtà consumatasi, ma lo si scoprirà solo alla fine, anni prima. Interessanti le ultime quattro righe della storia che potrebbero ribaltare il narrato svestendolo dell'elemento fantastico per riconsegnarlo alla dimensione reale. Owen suggerisce un ritorno sul luogo del delitto di un uomo che ha cancellato l'evento dalla memoria (altrimenti non avrebbe senso la domanda che l'uomo si pone, a fine racconto, chiedendosi dove fosse cinque anni prima nel giorno del delitto), ma non in modo sufficiente da sfuggirne al richiamo. Da notare i curiosi nomi dei due protagonisti che rimandano all'idea del fantasma o comunque dell'inconsistenza corporea. I due si chiamano infatti Doppelganger (doppio, sovente di immaginazione e maligno) e Lamie (la lamia, nella mitologia greca, era un fantasma seduttore che adescava giovani uomini per nutrirsi di sangue).

L'idea del ritorno di un'ossessione dal passato si ripete in molteplici racconti di Owen. È il caso di La Soirée du Baron Swenbeck (“La Serata del Barone Swenbeck”) e di Wohim am Abend? (titolo non tradotto in italiano e che significa “Dove Andare la Sera?). Questo secondo racconto riprende l'idea della camminata solitaria in mezzo ad un agglomerato urbano che muta continuamente forma alla maniera di Brazil di Terry Gilliam. Più allucinato e inquietante de La Ragazza della Pioggia, Owen si immerge del tutto nel fantastico, dando vita a un loop che tortura il povero protagonista depositario, probabilmente, di una colpa e di un rimorso da cui non riesce a liberarsi. Si realizza così un orrore urbano che affonda le proprie radici in un oscuro passato di cui non vengono definiti i contorni. L'orrore della guerra, rappresentato dai rimandi alle divise grigie (forse naziste, visto che la storia è ambientata a Brema), la sensazione di brain storming che pervade il protagonista, convinto di visitare luoghi in cui ha la sensazione di esser già stato ma senza carpirne i dettagli indispensabili a ricomporre un quadro che resta sfuggevole, e poi lui... il diavolo, che si diverte a ricreare, in tempi e luoghi diversi, sempre la stessa scena, alla maniera di uno strizzacervelli sadico. Prende così piede la morte per emorragia interna della donna del protagonista che si ripropone, per mezzo di altre donne caratterizzate da un'inquietante somiglianza, quale corrispettivo di un aiuto prestato durante la guerra dal demonio. Piccoli indizi in qua e in là, volutamente incompleti al fine di rendere più misterioso e spiazzante il racconto.

Il passato torna a bussare come un macigno anche nel più convenzionale, e a tratti edgarallanpoeniano, La Soirée du Baron Swenbeck, dove un vecchio barone, seduto a una tavola imbandita e al cospetto dei suoi tanti ospiti, è costretto a rivivere il suicidio del fratello che torna a morire ogni anno tra le mura del castello. Solo il tempestivo intervento di un ospite riuscirà a interrompere la serie di suicidi, liberando il barone dalla maledizione a costo però della morte improvvisa con un inspiegabile segno di cappio stretto al collo.

Aderente a questa tipologia di racconto è infine Elna 1940, una storia che funge da ideale sintesi tra La Fille de la Pluie e Wohim am Abend?. Si rinnova l'idea del passato della guerra (in questo caso la prima guerra mondiale) cucito su un'ambientazione ancorata ai fatti dell'occupazione del Belgio per mano dei nazisti. In questa cornice si muovono personaggi che ricordano quelli del racconto La Fille de la Pluie. Due soldati tedeschi trovano rifugio nella casa di proprietà di una giovane orfana concepita, in conseguenza di uno stupro per mano di un soldato tedesco, durante la prima guerra mondiale. Senza che la giovane lo sappia, uno dei due ospiti è proprio quel soldato tedesco di cui ignora nome e fattezze. Il finale, ancora una volta, sconvolge il senso del narrato e lascia quasi suggerire che uno dei due soldati, in realtà, era solo uno spirito. Questa conclusione è suffragata dalla presenza di un cadavere decomposto e ridotto in scheletro, con vicino una divisa e il documento, proprio nella stanza in cui è stato fatto ricoverare la sera prima il più anziano dei due.

Diverso dai precedenti cinque racconti, ma comunque ascrivibile al rango delle ghost story, è Cérémonial Nocturne (“Cerimoniale Notturno”). Atipica storia che sembra scritta per spaventare gli adolescenti al fine di farli obbedire agli ordini impartiti dai genitori. Il tentativo di un neo maggiorenne di interrompere l'usanza di avvertire i genitori al suo arrivo, dopo una scorribanda notturna, viene impedito da un'oscura presenza incontrata sulle scale di casa. L'ombra percorre in senso opposto le scale, sfiora con una mano gelida il ragazzo e bussa alla porta del padre, così da rispettare l'ordine che lo stesso aveva dato al figlio. Da quel giorno, il protagonista non disubbidirà più agli inviti dei genitori.

Simpaticissimo e veramente bizzarro è infine Le Petit Fantome (“Il Piccolo Fantasma”), una vera e propria parodia del sottogenere. È un Owen votato all'ilarità che gioca sull'immagine tradizionale del fantasma fluttuante che si muove all'interno di un lenzuolo mosso dal vento. Solo che qua a evocare lo spettro non è un omicidio violento né l'intervento di un medium, ma l'adesione a una Federazione Internazionale delle Associazioni Soprannaturali che si impegna, su chiamata, a infestare magioni e castelli. La morte del titolare del castello in questione, che poi si scoprirà essere una villa trasandata, e la confidenza instaurata tra il fantasma e lo scapestrato figlio di un chirurgo mandato all'interno della casa per punizione a causa dei suoi continui scherzi porteranno alla decisione della Federazione di revocare l'invio del fantasma. Insieme alla lettera di spiegazioni arriverà anche quella del fantasma che sfrutterà quanto appreso dalla piccola peste facendogli pervenire un dissacrante biglietto di saluti che costerà al piccolo una nuova punizione (il padre penserà infatti a uno scherzo dallo stesso orchestrato).

Abbiamo dunque analizzato sette ghost story (oltre 1/3 dell'opera) che costituiscono il collante di un'antologia che sa però prendere anche altre vie. Tra queste vi è quella del racconto macabro di impronta realistica. Owen inserisce infatti due racconti molto diversi tra loro che non hanno nulla di fantastico. Bagatelles Douces (“Dolci Sciocchezze”) è il più interessante e, al tempo stesso, più insignificante. La storia, pur ben scritta, sembra un racconto di narrativa rosa, con una vecchia allettata che cerca di mettere assieme (costituendo una nuova coppia) il suo giovane ospite con una giovane e timida parente. Piuttosto insignificante fino alla fine, il racconto si riscatta nelle ultimissime righe, con un paio di dialoghi che suggeriscono che la morte dell'anziana non è affatto un suicidio ma un vero e proprio omicidio perpetrato dalla giovane parente, così da liberarsi dalle pressioni della donna e non mettersi insieme col pupillo di lei. “(La sua morte) è una vera liberazione” è la frase cardinale da sciogliere per comprendere il testo.

Grandguignolesco e intriso di black humor è La Passagère (“La Passeggera”). Durante un autentico nubifragio, un automobilista offre un passaggio a un'autostoppista che gli chiede di condurla davanti a un dato palazzo. Il conducente, pur sorpreso dal luogo desolato in cui ha caricato la donna, cerca di instaurare un dialogo con la sconosciuta che gli rivela di essere una manicurista. Scesa la donna e ritornato presso la propria abitazione, l'uomo scopre che la sconosciuta ha lasciato sulla sua vettura una valigetta con gli strumenti del mestiere... La sorpresa e il senso di disgusto irrompono nelle ultime righe, all'apertura del bagaglio. Sembra il prologo di un film di Dario Argento, poiché che la donna si occupi di mani è l'unica certezza del caso...  ma altre domande sorgono spontanee.
 
Copertina alternativa 

Abbastanza nutrito è il gruppetto di racconti “demonologici”. Tra di essi spicca il famoso Au Cimetière de Bernkastel (“Al Cimitero di Bernkastel”) in cui Thomas Owen rende omaggio al “socio” Jean Ray, contribuendo a consolidare l'aura del mito attorno a questo fantastico personaggio. Ormai sessantenne, Ray, che è personaggio trainante del racconto, viene presentato come una sorta di avventuriero a caccia di storie soprannaturali, impavido, profanatore di tombe maledette, abile ipnotizzatore e caratterizzato da un alone di mistero che lo fa muovere con circospezione e poca propensione alla chiacchiera, acquisendo informazioni grazie alle indubbie doti manipolatorie. “Molto presto una rete di informazioni diaboliche sparirà con lui, con grande danno di chiunque voglia conoscere meglio quel mondo misterioso a cui siamo collegati a nostra insaputa e che l'ignoranza ci impedisce di percepire.”Owen riporta l'episodio secondo il quale Ray riuscì a entrare in un recinto di tigri riuscendo a tenerle a bada con il suo aplomb. Qui, alla stessa maniera, lo scrittore/avventuriero riesce a esorcizzare una donna indemoniata e a scoprire la tomba di una vampiressa sepolta in un cimitero tedesco. Più che il soggetto, a spiccare è la caratterizzazione del protagonista, con Owen che cerca di spacciare il tutto per una storia accaduta nella realtà.

Più convincente è il folle La Tentation de Saint Antoine che propone il più spiazzante, folle e imprevedibile epilogo che permette al “presunto” santo di liberarsi da una tentazione satanica. Asserragliato in una grotta, il poveretto resiste a una marcia di corpi putrefatti (forse appestatati), ma traballa al cospetto di una donna nuda che gli si fa incontro invitandolo all'accoppiamento. Antonio saprà liberarsi dalla tentazione in un modo decisamente originale e tutt'altro che casto... La purezza spirituale è salva (si noti l'ironia dissacrante di Owen e la sua critica al pudico senso religioso).

Molto buono è Un Beau Petit Garçon (“Un Bel Bambino”) che ricorda alcuni racconti di Arthur Machen. È un tipico racconto demonologico che diviene atipico per la particolare caratterizzazione del soggetto tentatore. Chi mai potrebbe essere più innocuo di un bambino dall'incommensurabile bellezza che si relaziona solo con altri bambini, fornendo loro caramelle e dolciumi? Ebbene, diffidare sempre dalle apparenze. Owen sembra quasi alludere alla forza corruttrice delle sostanze stupefacenti, dal momento che le persone adescate dal misterioso bimbo, incapaci di comprendere il gesto di vendere la propria anima, assumono condotte devianti che le portano a macchiarsi di delitti atroci. La polizia e un gruppo di studiosi di demonologia si metteranno a indagare sul caso, ma del bambino satanico spariranno le tracce...

Molto particolare è Les Lectures Dangereuses (“Letture Pericolose”) attraverso il quale Owen sembra sfruttare il tema “grimori maledetti che inducono alla pazzia” per lasciare un monito teso a scongiurare il rischio che la finzione letteraria si sovrapponga (nella mente del debole) alla realtà e generi mostri. Un piccolo libro di ventidue pagine, intitolato Vie et Survie du Vampire, diviene così portale di accesso e di fuga di strani personaggi che rendono il testo vivo e capace di generare nuove pagine intrise di dettagli in precedenza assenti, ma anche di liberare corpi pronti a lasciar cadere la loro mannaia sullo stordito protagonista. Confermata la caratterizzazione del grimorio indistruttibile e non aggredibile dalle fiamme.

L'idea della sovrapposizione tra finzione e realtà viene proposta anche ne La Dame de Saint-Petersbourg (La Dama di San Pietroburgo). Erotismo allusivo, col sogno perverso di una giovane donna che si trasforma in realtà grazie all'incontro con un'elegante dama di San Pietroburgo (una seduttrice accalappia donne) incontrata durante una camminata in pieno centro.

Mutation (Mutazione) è la versione ribaltata che sta alla base del film di Renato Pozzetto “Da Grande”. Qui Owen vede nell'unione matrimoniale la tomba dei sogni di gioventù. Solo un ritorno al passato può portare quell'allegria e spensieratezza che la vecchiaia ha spazzato via. Racconto dunque disilluso e nostalgico, col protagonista che, in camera da letto, torna a essere piccolo gettando nello sconforto la moglie.

Le Chasseur (“Il Cacciatore”) lavora sul ribaltamento situazionale, mutando il rapporto preda-predatore proprio quando i ruoli sembravano definiti. È una variante del classico racconto incentrato sui cacciatori di vampiri. Owen introduce l'elemento della storia d'amore e del ribaltamento finale che porta l'uomo sedotto e già vampirizzato a sorprendere la vampira prossima a nutrirsi della sua ultima goccia di sangue.

Un discorso a parte deve essere fatto per Étranger à Tabiano (“Straniero a Tabiano”) che sembra un elaborato a metà strada tra Abraham Merrit e Bulwer-Lytton, penso a storie come Il Vascello di Ishtar o La Razza che Verrà. Owen descrive da zero una società con i suoi usi politici, burocratici e di svago, plasmando un misto tra un trattato di fantasia e un racconto. Dietro al progetto si muove un'evidente satira che richiama i lavori di Jonathan Swift ma anche un tentativo di vincere la morte in una modalità che proietta il defunto in una nuova realtà in cui si continua a soffrire e morire. Il protagonista (un avventuriero), non si sa bene come, supera la dimensione terrestre, avvolto da un oceano di nebbia, e approda in un mondo altro, da cui cercherà di fuggire senza riuscirvi. Owen orchestra un incubo in cui, alla violenza dell'immagine e ai giochi cruenti della società dell'altrove, non manca l'ironia dissacrante che vede funzionari inetti trasformati in professori universitari o l'emanazione di norme che vietano l'allattamento di adulti (!?) nei parchi pubblici al fine di poter proteggere il mercato delle bevande (che altrimenti subirebbe un danno economico) e persino la sepoltura di maghi lasciati con i crani scoperti dal suolo e su cui la capigliatura cresce furente. Al grottesco fa comunque seguito una parte dotata di una potenza onirica percepita, a tali vertici, solo ne La Tentation de Saint Antoine. Distese desertiche in terre abbandonate dagli animali e dalla vegetazione contrastano, solo apparentemente, con l'inizio su di un mare che non da traccia di sé essendo avvolto da una nebbia impenetrabile. La speranza è un'illusione, poiché non vi è possibilità di evasione (tremenda la scena dello sgozzamento della ragazza, ma anche la battaglia mortale tra due tori). La violenza è presenza costante, in un mondo dominato da un regime presso il quale il protagonista è un ospite inizialmente gradito e poi temuto.

Lo stile è decisamente più pesante dei restanti racconti a causa di una struttura sfilacciata che assume la veste del racconto solo nella primissima parte e nell'ultimo terzo di storia, suggerendo per il resto la forma di un breve trattato. La parte centrale, infatti, è una serie di appunti scollegati e frammentari che danno l'idea dei Mondo Movie che riscuotevano successo al cinema (“Mondo Cane” è del 1962), cioè quei film incentrati su scene di violenza e bizzarrie registrate in giro per il mondo per mostrare una diversa faccia della civiltà umana. Sembra quasi che Owen si sia ispirato a questi film per scrivere il suo mondo movie letterario. 
 
CONCLUSIONI

Ennesima ottima proposta dell'Agenzia Alcatraz che non muta la squadra vincente. Luca Fassina traduce con perizia. Max Baroni introduce la lettura con dieci paginette che descrivono la vita e la narrativa dell'autore (“Thomas Owen, Perturbatore”). A parte la novella finale, un vero e proprio gioiello (pur se a tratti pesante e concepito in modo sperimentale per il suo essere un compromesso tra un trattato di una società di fantasia e un racconto), si tratta di un fantastico che è ancorato alla vita di tutti i giorni, motivo per cui qualcuno ha parlato di "realismo". Se Seignolle è narratore di avventure contadine, Owen ambienta le sue storie nella città, guardando a paure e rimorsi passati che tornano a rivivere e cercando sempre di scuotere il lettore con spiazzanti righe finali. Si nota una certa predilezione per l'ironia, il black humor e il grandguignol a cui l'autore ricorre a seconda dei casi. Il livello complessivo è sufficiente, con almeno quattro piccole perle molto diverse tra loro: Un Bel Bambino, Straniero a Tabiano, Il Piccolo Fantasma e Al Cimitero di Bernkastel.

Si fa infine notare l'incomprensibile assenza dei titoli originali dei racconti (cosa che fa innervosire gli studiosi del genere ed è del tutto suprflua per gli altri). La copertina è quella originale, mentre il titolo è stato alleggerito togliendo “e altri racconti insoliti”.

 
Lo scrittore Thomas Owen.
 
"Si dice che a volte certi spariscano dopo aver superato il limite del luogo e del tempo, oramai perduti per i loro simili (ma senza dubbio ricominciano una nuova vita in un altro mondo che li ha assorbiti. E' il momento della compenetrazione. Quello in cui due mondi momentaneamente vicini - o meglio sovrapposti - mischiano per qualche ora la loro orbita, come due cerchi che si intesecano. Il doppio segmento così formato, che appartiene al tempo stesso a entrambi, è la zona della nebbia."