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martedì 30 agosto 2011

40 AFORISMI SCRITTI DA MATTEO MANCINI





Scrivere non è solo stendere racconti, saggi, recensioni e poesie. Scrivere creativamente è soprattutto saper sviluppare idee forti, capaci di far riflettere i lettori sensibili. Per questo ho sempre amato le citazioni e gli aforismi e come per ogni cosa che amo cerco sempre di dare, nel mio piccolo, il mio contributo (è una sorta di tributo che mi impongo e ho il piacere di pagare in onore di coloro che mi hanno aiutato a sviluppare certe idee).

Quando parlo di anima di un racconto molti “colleghi scrittori”, specie del contesto underground, strabuzzano gli occhi come se avessi parlato del “cacio sul gelato” (come si dice dalle mie parti). Non capiscono quello che voglio dire, c'è anche chi scrive sproloqui ancorato da immutabili luoghi comuni (commerciali, in quanto voluti dalle grandi catene di distribuzione).

Poi c'è un altro gruppo di soggetti che critica il mio uso delle metafore, dicendo che si deve esser diretti, concisi e di pronta soluzione e non “confusionari” (insomma, l'esatto contrario della vita).

Addirittura non mancano dei superficiali (almeno io li ritengo tali, perché credo di avere idee più marcate di loro) che mi “accusano” di qualunquismo.

Ho deciso, così, di raccogliere in questo topic una piccola selezione di aforismi da me stesso scritti, che rispecchiano la mia "filosofia" (più o meno discutibile che sia, ma almeno è veramente mia). Si tratta di frasi frutto di un percorso conoscitivo intrapreso da totale autodidatta (e con l'aiuto di una serie di personaggi, a cui mi sono avvicinato per aver riscontrato delle similitudini col mio carattere e che mi hanno aiutato nel migliorare e completare quanto da me stesso precedentemente elaborato).

L'obiettivo di questa raccolta non è dare delle lezioni, perché non ho titolo né capacità sufficienti per darle, ma quello di cercare di stimolare spunti di riflessione che si distacchino dalla scialba quotidianità e che spero possano contribuire a migliorare l'approccio che viene insegnato dal contesto sociale.

Alcuni degli aforismi sottoelencati sono stati estrapolati dai miei racconti inseriti nella antologie “LA LUNGA ASCESA DAL MARE DELLE TENEBRE” o “SULLE RIVE DEL CREPUSCOLO”, edite da GDS, Edizioni di Milano e ordinabili su internet (www.ibs.it), altri sono stati estrapolati da miei racconti pubblicati in antologie varie, altri ancora sono stati scritti dal sottoscritto in nottate in cui, sdraiato a letto, invece di dormire mi alzavo ogni tre minuti per sfilare dal comodino penna e foglio e dare sfogo a un entusiasmo che non ammette deroghe e che vuole dipingere nero su bianco un pensiero appena nato sotto lo spicchio di luce del lampione piantato sulla strada difronte alla mia finestra.

Sono solo una minima parte della "mia produzione", magari un giorno le raccoglierò in un libricino. Dunque preparatevi, se siete abbastanza folli, a sorbirvi quaranta aforismi targati Matteo Mancini, brutti o belli che siano sono bedenedetti dalla sincerità.

Spero di farvi cosa gradita e soprattutto confido di regalarvi una visione da un'angolazione diversa rispetto a quella convenzionale.

Buona lettura.

1) “È benedetto dalla magia colui che riesce a decriptare ciò che la vita manifesta sotto forma di metafora.” (M.Mancini).

2) “Saggio è quell'uomo che ammette i propri errori; lo sciocco è colui che ride degli errori altrui; il perdente colui che non commette mai errori;” (M.Mancini).

3) "Se i sogni sono la benzina della vita, il coraggio sono le ruote, l'intraprendenza il motore, il cervello il volante;" (M.Mancini).

4) "Chi osa con intelligenza ha grandi margini di miglioramento, perché ha coraggio ed entusiasmo. In due parole ha carisma e personalità. Chi ha paura non oserà mai, spesso cercherà di denigrare coloro che osano, il suo fine sarà sedare la propria insoddisfazione e sperare di scoraggiare gli altri, ma andrà solo avanti come un veicolo che procede strozzato da decine di freni inibitori" (M.Mancini).

5) “Se un dizionario fosse un mazzo di chiavi e voi cercaste la chiave della porta del mistero della vita dovreste cercare la chiave che risponde al nome EVOLUZIONE." (M.Mancini).

6) “Mi sono chiesto più volte il motivo per cui sono attratto dal colore giallo, poi ho alzato gli occhi al cielo e in questo modo mi piace pensare di aver trovato la risposta” (M.Mancini).

7) “Avere dei nemici è un privilegio che dovete usare bene: i loro attacchi sono fatti per fortificarvi. (M.Mancini).

8) “A volte criticano i miei testi dicendo che uso troppe metafore, la cosa buffa è che nessuno si accorga che la vita di ognuno di noi è una metafora” (M.Mancini).

9) “Fate del confronto la vostra palestra e delle paure e delle timidezze i vostri avversari” (M.Mancini)

10) “Il fallimento e gli errori sono i segreti che rendono magica una grande vittoria” (M.Mancini)

11) “La sudditanza psicologica è sempre sorella della sconfitta” (M.Mancini)

12) “Invidia, odio e rabbia sono emissari della sconfitta” (M.Mancini).

13) “E' libero non chi ha facoltà di scelta, ma colui che rompe le catene dei preconcetti e delle consuetudini” (M.Mancini)

14) “Hai due soli limiti: la legge del contesto in cui operi e il rispetto degli altri; il rimanente sono un ammasso di bende e di catene da cui devi liberarti” (M.Mancini)

15) “La legge è sovrana, il rispetto sacro, l'ipocrisia letale” (M.Mancini)

16) “Politica, religioni, nazioni sono inganni per dividere gli uomini. La filosofia astratta invece è l'unica vera unione delle civiltà, per questo è tanto boicottata.” (M.Mancini).

17) “Uno scrittore ha bisogno dei lettori come un'atleta dei tifosi, ma non deve mai dipendere da questi” (M.Mancini)

18) "Un'artista è un'entità eterea che sfugge alla materia, che vola oltre i limiti del tempo e imprime la propria essenza al di là dei muri dove gli altri chiudono la la loro esistenza" (M.Mancini).

19) L’artista è un sognatore con la licenza di creare poesia, un pioniere che si perde nell’universo della fantasia, stretto al timone della sensibilità. Vola laddove chi non è guidato dal cuore non si inoltrerebbe mai. L’artista è cosa diversa dal professionista, perché le sue opere non seguono regole codificate e soprattutto non si prostituiscono alle logiche commerciali (M.Mancini).

20) “Per una pozione mi pagheranno almeno quindici monete» ridacchiò Dussel «e lo faranno perché noi erboristi li abbiamo abituati a non assaporare oltre il limite del gusto, li abbiamo assuefatti alla mediocrità e tanto ci basta.” (M.Mancini).

21) “Il denaro, se fine unico di ogni azione, misura il potere d'acquisto dei perdenti” (M.Mancini)

22) “Gli schemi fanno di voi delle persone sicuramente integrate nel tessuto sociale, ma vi rendono schiavi” (M.Mancini)

23) “Compito di un filosofo non è convincere gli adepti della propria verità, ma aiutarli ad aprire la mente. È il vostro cervello l'unico vero pilota della vostra macchina. (M.Mancini)

24) “Il denaro vi darà la tranquillità economica, mai la pace interiore” (M.Mancini).

25) “Non cercare la realizzazione in qualcosa di esterno, ma cercala sempre nel tuo interno: questo il segreto dell'indipendenza” (M.Mancini).

26) “Assorbi il più possibile dagli altri e sappi rielaborare secondo tua coscienza ciò che hai visto e imparato” (M.Mancini).

27) “L'emulazione è sintomo di ignoranza. La rielaborazione è sintomo di intelligenza” (M.Mancini).

28) "Il confronto con i maestri serve solo a plasmare ciò che si è imparato individualmente per mezzo dell'esperienza. Senza maturazione personale, qualunque insegnamento si trasforma in perdita di tempo. La comprensione interiore è la base per l'evoluzione di spirito. Solo quando si raggiunge questo status, un maestro può essere di aiuto." (M.Mancini).

29) “La commozione è l'apice della felicità. Non vergognarti di esternarla, ma non ti cullare troppo in essa: potresti affogare” (M.Mancini).

30) “E' umile chi sa di poter ancora imparare. L'arrogante, invece, è colui che non si pone problemi circa il proprio sviluppo, ma si interessa solo di denigrare gli altri senza alcun spunto costruttivo” (M.Mancini).

31) “Il vero potere è una condanna dell'uomo savio, non un privilegio, poiché è l'altra faccia della responsabilità” (M.Mancini).

32) "Ho verificato che la distruzione è assai più contagiosa della quiete, perché, sebbene da essa derivi la morte, dona un potere sconfinato ai vincitori e il potere è l’apice e la tentazione più assoluta di chi struttura la propria esistenza orientandola alla conquista degli aspetti materiali." (M.Mancini).

33) “Chi crede che le persone siano delle fotografie commette un grosso errore, esse sono pellicole da sviluppare” (M.Mancini).

34) “Tratta gli animali come figli, ma ricorda sempre la loro natura: un cavallo è fatto per correre, un lupo è fatto per sbranare una pecora, un'aquila è fatta per rapire cuccioli: la natura non è mai ipocrita, non lo siate neppure voi” (M.Mancini).

35) "La documentazione sta alla base di ogni argomentazione; chi non si documenta è un ciarlatano che da fiato alla tromba, finché non trova qualcuno che gli toglie lo strumento dalle labbra e lo lascia, muto, in compagnia di un imbarazzante silenzio" (M.Mancini).

36) “Lavora sempre sul metodo e sull'approccio, non ti fossilizzare sulla tecnica e sulle nozioni, queste ultime sono l'aspetto superficiale di un contesto più complesso e variabile” (M.Mancini).

37) "Ma cos'è la ragione, quando si scontra con i tumulti che imperversano nel profondo del cuore, se non un oceano di parole inafferrabili come sospiri di vento che sfiorano guance di sognatori o come onde che si infrangono su scogli distesi per placarne l'impeto? Chi potrebbe mai rubare l'aria o gli spruzzi di schiuma che guizzano sul pelo dell'acqua, se non un addormentato in un mondo onirico? Allora la ragione altro non è che una magia effimera che svanisce, rapida, nell'inconsistenza del sogno." (M.Mancini)

38) "‎La non comprensione e il disinteresse sono nubi che prima o poi spegneranno l'ardere di un sole" (M.Mancini).

39) "I ricordi, a volte, sanno essere come raggi che si liberano da cieli nebulosi. La loro consistenza, seppur immateriale e sfuggevole al tatto, ricorda ai cuori che là, oltre tuoni e saette, è ancor appeso un sole che non aspetta altro che riemergere dall'oblio. A ciò servono i ricordi, non a essere scrigni fortificati contro il futuro ma a trampolini eretti per tuffarsi ad abbracciarlo" (M.Mancini).

40) “Lo sport è metafora, poiché nello sport, così come nella vita, non è la vittoria a misurare la "febbre del talento", ma il carisma, cioè la capacità di coinvolgere e condividere le proprie gesta con gli altri. Le vere persone, cioè coloro che non hanno interessi diretti, non ameranno mai i curriculum dei campioni, ma la generosità di chi mette in gioco il proprio cuore e la propria anima.” (M.Mancini).

Un saluto a tutti,

firmato Matteo Mancini, alias giurista81.

domenica 21 agosto 2011

Sul filo del rasoio - 2015-2118: crimini dell'Italia futura (AA.VV a cura di Gianfranco de Turris)





Autore: AA.VV. a cura di G. de Turris

Editore: Mondadori (collana Supergiallo, n.39).

Anno di uscita: 2010.

Pagine: 400

Commento di Matteo Mancini

Sul filo del rasoio – 2015-2118: crimini dell'Italia futura” è l'unico Supergiallo Mondadori che mi è capitato di comprare direttamente in edicola (di solito li recupero su e-bay o sulle bancarelle di libri usati) ed è stata un'ottima scelta. Inizialmente scettico, perché conoscevo solo un pugno di autori dei ventidue proposti, mi sono dovuto ricredere al punto che ho deciso di recuperare altri cinque o sei antologie Mondadori interamente composte da racconti di scrittori italiani.

Ho letto in giro molte recensioni negative su questo libro, recensioni ingiuste e banali. Ho trovato frasi del tipo: “ci sono troppi libri belli per sprecar occhi memoria e cervello su pagine superflue” o “l'antologia è mediocre e la fantascienza si limita a una ambientazione nel futuro, senza nessuna idea particolare” o ancora “pochi racconti suscitano interesse”. Giudizi lapidari, scritti senza alcun stimolo costruttivo, che fanno male alla narrativa italiana di genere così come diversi sciocchi sono abituati a uccidere più di quello che già è il cinema italiano di genere contemporaneo (e all'epoca anche di quello dei vari Fulci, Martino, Bava e compagnia). È un abitudine tipica di chi blatera, facendo il fighettino snob di turno ma con competenze discutibili e un gusto artefatto che lo porta ad apprezzare solo i nomi anglofoni. Gente che sarebbe capace persino di criticare un racconto firmato da Edgar Allan Poe, se solo lo si presentasse come scritto dal commercialista Buzzigoni.

Gianfranco de Turris, antologista assai noto dagli amanti del fantastico (specie dei grandi autori primi novecento), si prende la briga di fondere in un'antologia la fantascienza e il giallo e di farlo usufruendo solo di autori italiani. Scelta coraggiosa, non tanto per il talento degli autori quanto per la superficialità di chi spesso legge. La scelta di inserire il progetto nella collana “Supergiallo” piuttosto che nella collana ”Urania” è, a mio avviso, giusta. L'intenzione, peraltro dichiarata, del curatore era quella di proporre dei gialli ambientati nel futuro e non delle storie fantascientifiche dai risvolti gialli. Chi non ha capito questo, e sembra sia più di uno viste talune assurde critiche, non può che confermare la leggerezza con cui si confronta con la lettura.

A parte un paio di racconti dei ventidue proposti, il trait d'union dell'antologia resiste bene. Inoltre, contrariamente a quanto ho letto, anche la scelta dei testi è tutt'altro che malvagia.

Il lotto, difatti, è piuttosto omogeneo e non mancano alcuni gioiellini (certo, c'è anche qualche racconto fiacco, ma di certo mai noioso), sia a livello di “anima” insita nel testo sia a livello di intrattenimento e di scenografie affascinanti.

Lo stile dei racconti tende a essere orientato al taglio tipico dei romanzi (ma questa non è critica limitata a questa opera, ma un luogo comune quasi imposto dalle regole di mercato), con tanti dialoghi e particolare attenzione al ritmo piuttosto che alle descrizioni metaforiche o ai passaggi para-poetici (c'è tuttavia chi non ci ha rinunciato).

Molte le idee embrionali che suscitano interesse anche se non sempre sfruttate appieno, specie nei primissimi racconti (l'antologia, infatti, tende a decollare dopo i primi cinque testi).

Comune a molti autori è la paura che suscita l'estremismo medio orientale. In molti parlano di società piegata dall'immigrazione clandestina oppure laicizzata al punto da perdere totalmente la propria cultura religiosa o, ancor peggio, dominata dal mondo islamico con relativa regressione sociale. Anche le ambientazioni sono influenzate da un elevato pessimismo. Si parla di un Italia inondata dal mare oppure morsa da un clima tropicale (con tanto di allgiatori e pesci carnivori nel Tevere, cfr Magnarapa) o ancora schermata da vetrate che proteggono i palazzi e gli uomini dai raggi letali del sole.

Sono almeno dieci i racconti che meritano da soli l'acquisto dell'antologia e sono racconti a dir poco notevoli che non hanno nulla da invidiare ai prodotti dei "maestri" della fantascienza contemporanea d'oltreoceano.

Dispiace, e pure molto, non veder apprezzare certe gemme quanto meriterebbero, ma forse in futuro questi racconti godranno dalla giusta rivalutazione. Del resto le collane “Supergiallo” e “Urania” beneficiano da sempre dell'aura magica tipica dei prodotti da “collezione”.

Il testo più qualitativo, forse, è “Lasciateli dormire” del romano Massimo Pietroselli, autore purtroppo sconosciuto dal grande pubblico ma che vanta un curriculum straordinario che va dal Premio Urania al Premio Tedeschi (roba da doppia ipoteca sulla qualità del testo).Pietroselli dipinge una Roma del futuro in cui la polizia cerca di risolvere gli assassinii insoluti affidandosi alla memoria delle vittime. Determinante per le indagini è un programma capace di salvare la memoria di un cervello umano in una sorta di simulatore che riporta virtualmente in vita, grazie anche a immagini e documenti di repertorio, la persona morta in modo da stimolare il ricordo filtrandolo dai ricordi dell'odeologramma. Così abbiamo cimiteri dove i parenti non solo possono portare un saluto simbolico ai defunti, ma possono addirittura interagire con le proiezione dei cari. Un contesto dunque straziante che suggerisce anche una certa dipendenza dei parenti a queste immagini (quasi fossero una sorta di droga atta a superare il rifiuto di una realtà crudele). In tale ambientazione, l'autore costruisce un trama gialla che si chiude con una girandola di colpi di scena preceduti da un contesto tristissimo e originale dove i morti non trovano pace neppure dopo la morte. Un po' forzato l'escamotage con cui viene inchiodato l'assassino, ma va bene così.

Un'altra perla la offre Fabio Lombardi con il suo “Il Metodo Bulard”. Racconto brevissimo d'impronta classica che non avrebbe sfigurato in una di quelle antologie curate dal vecchio Isaac Asimov. La storia, così come lo stile, è essenziale. Abbiamo un truffatore condannato a ventisei anni di carcere che decide di scontare la pena accettando una misura alternativa che risolve il problema del sovraffollamento dei carcere mantenendo in vita il condannato. Non so se Lombardi abbia tratto spunto da qualche grande maestro sci-fi, ma questo è un autentico gioiello che meriterebbe di esser accostato ai racconti dei grandi.

Un altro racconto che mi ha esaltato, forse anche perché ambientato nella mia Pisa (non mi era mai capitato di leggere di una Pisa del 2118), è “Delitto nella città verticale” firmato da Marco De Franchi, autore specializzato soprattutto nella stesura di racconti fantastici e qui capace di combinare perfettamente scenografie al contempo decadenti e sfarzose, con un interessante intreccio giallo.Siamo nel 2118, a Pisa la torre pendente è caduta da anni e la vecchia città è un ammasso di rovine in cui vivono i “polverosi”, persone dedite alla religione cristiana rifiutate ed evitate dai cittadini di Nova Pisa: un complesso di grattacieli alti più di 2,000 metri che scompaiono nelle nuvole e all'interno dei quali è strutturata una città aero condizionata; un agglomerato urbano protetto dai raggi solari e formato da una spirale di piani accomunati da un fulcro centrale che irradia calore in tutto il complesso. Proprio in uno di questi piani, viene assassinato il vice-sindaco della città, un uomo grasso col vizio della pedofilia. Nel bagno dell'uomo, in una vasca, c'è anche il corpo privo di vita di un giovane polveroso. Le indagini portano alla città vecchia, laddove un tempo sorgeva la mitica piazza dei miracoli. Ai media serve un capro espiatorio per calmare la piazza. Il capo della polizia però teme che il vero responsabile sia qualcun altro, qualcuno mosso da ciò che lui ritiene un ingiustificabile sentimento: la coscienza etica. Prendono così piede due indagini: una ufficiale che indaga sui polverosi, l'altra segreta che indaga all'interno della stessa polizia.Non dico da “pisano” perché mi ritengo “tirreniese d'hoc”, comunque da nativo di Pisa, ritengo questo racconto un capolavoro. L'intreccio giallo regge ed è impreziosito dalle caratterizzazioni delle due anime della città. Da una parte i “polverosi” (gente con dei valori definiti, che organizza una società che premia il merito e l'individuo, ma che nonostante questo viene denigrata dai nuovi cittadini, al punto quasi da essere dequalificata fino al livello degli animali), dall'altra gli abitanti di Nova Pisa (gente atea, super tecnologica, con un'organizzazione sociale totalitaria tesa a controllare persino i pensieri dei cittadini). De Franchi offre il meglio di sé nella descrizione della nuova Pisa (con uno scenario che rievoca un po' “La terra dell'eterna notte” di W.H.Hodgson), dipinta con un talento da grande maestro. Ne esce così fuori un gioiello che chiude degnamente l'antologia.

Eccezionale è anche “Il pifferaio magico” dell'unica donna coinvolta nel progetto, cioè la tarantina Anna Maria Bonavoglia. Ci troviamo alle soglie del XXII secolo, in un mondo che distingue tra deformi e umani. I primi sono esseri che hanno sviluppato delle mutazioni genetiche a causa delle radiazioni che appestano l'ambiente. Si tratta di individui discriminati dalla società che tende a isolarli nei ghetti. Le distinzioni sociali però non si limitano a questa categoria di soggetti, coinvolgono anche gli umani, poiché ci sono persone che subiscono la naturale fase dell'invecchiamento e altre che si sottopongono a delle cure estetiche per conservare intatta la giovinezza.In questo contesto, un vecchio e talentuoso attore di teatro conduce un programma televisivo dedicato ai bambini. L'uomo invita i piccoli, sia deformi che umani, a scrivere dei piccoli racconti e premia i più meritevoli. In città, intanto, una serie di scomparse mette in allarme la polizia. Un'agente, che rifiuta le cure di bellezze, scopre che tutti gli scomparsi sono stati premiati dal “pifferaio magico”. Così, mentre la polizia indaga su un traffico di minori in Sud america, la donna si mette sulle tracce del vecchio attore. Ebbene, come posso definire questo racconto se non descriverlo come un'altra perla, peraltro scritta con una passione e un sentimento che trasuda pagina dopo pagina. Penso sia uno dei gialli più tristi e commoventi che mi sia capitato di leggere. A tratti mi ha ricordato il film “Il siero delle vanità” di Alex Infascelli pur essendo diverso. Ottime le caratterizzazioni con la Bonavoglia che centellina i particolari pagina per pagina (compresa la deformità celata della protagonista). Non manca un'evidente critica di fondo, specie nella gestione egoistica dei bambini visti come una proiezione degli adulti per acquisire prestigio sociale, ma anche delle cure estetiche usate in maniera smodata e senza scrupoli di sorta. “Il pifferaio magico” è un perdente, incarna la figura della promessa e del genio finito nella polvere, un'arte violentata dalle regole commerciali che cerca una ribellione che sfocia in un epilogo drammatico in grado di pugnalare al cuore il lettore sensibile. Grande prova di classe dell'autrice, per un testo che sarebbe perfetto per esser trasposto sul grande schermo. Sinceri complimenti alla Bonavoglia.

E che dire del profetico “La costante di estinzione” di Nicola Verde? Testo disperato, cupo, con più di un omaggio a “Blade Runner” e vari spunti filosofici relativi al comportamento delle masse di fronte a teorie capaci di sgretolare i sogni affidati al futuro.Protagonista è uno scienziato che elabora una teoria secondo la quale qualunque specie possederebbe nel proprio DNA un gene dormiente che col decorrere dei secoli si attiverebbe portando all'estinzione la specie stessa. La scoperta suscita le ire dei Revisori, una casta di potenti che dividono il mondo in due categorie: gli umani e i mutanti (con questi ultimi che, a differenza del racconto precedente, assumono più una valenza metaforica anziché fisica). Lo scienziato viene così dequalificato da umano a mutante, in modo da giustificarne il successivo omicidio addebitandolo alle ire di una moglie convinta di aver sposato un umano e non un imbarazzante mutante. La realtà però è che lo scienziato è diventato inviso al potere, perché la sua scoperta, se resa pubblica, avrebbe ripercussioni negative sulla popolazione gettandola nella disperazione poiché, come si dice nel testo, “la gente sarà viva finché avrà certezza nel presente e speranza nel futuro”.Verde traccia così un'innegabile verità in cui gli uomini sono gli ignoranti, mentre i saggi sono i mutanti beffeggiati e derisi dagli uomini. Il tutto è orchestrato da un governo che preferisce mettere in cattiva luce i saggi pur di tenere il popolo in uno stato di ignoranza e sottomissione. Proprio questa ignoranza è fondamentale per mascherare una realtà che in pochi sarebbero capaci di accettare. Interessante il messaggio finale: la morte dell'uomo viene dalla sua stessa natura e non da fenomeni esterni.

Ad autori meno noti si alternano anche altri capaci di vendere milioni di copie come il “papà” di “Romanzo criminaleGiancarlo De Cataldo qua alle prese con una fantascienza dal gusto da b-movie (in senso positivo, come dimostrano le auto con le barriere che irradiano calore o le pistole i cui colpi nebulizzano gli avversari). Il suo “Progetto Cybus” è un racconto socio-politico molto interessante e di denuncia. Tutto verte sul controllo e sull'influenzamento delle masse rese idiote dal mercato tanto da non distinguere il gusto tra un pollo lesso e un maiale. Lo strumento per l'influenza e la gestione dei disperati, nella fattispecie, ricade nei prodotti alimentari confezionati in laboratorio. I cittadini diventano così degli uomini di allevamento. De Cataldo inserisce anche un gruppo di pseudo pacifisti che sembrano rappresentare un po' i no-global (non a caso, all'interno di essi, ci sono degli infiltrati del governo elitario che compiono atti vandalici). Finale ottimista per un racconto intelligente e scritto con suspence.Ancora una volta ci troviamo in una Roma divisa in due blocchi: quello elitario (dove si accede guadagnandosi una sorta di permesso di soggiorno) e quello popolare (dove si scontrano per le vie poveracci e delinquenti di qualunque natura). In questo ambito un obeso appartenente al blocco elitario si fa condurre dai suoi uomini nella Roma vecchia. L'uomo ha la prova che il blocco elitario ha inventato una sostanza capace di creare dipendenza e di assuefare la mente dei consumatori rendendoli felici nonostante la loro assurda condizione socio-economica. La sostanza viene inserita nei surrogati confezionati per sostituire la carenza di carne.

La fantascienza socio-politica tocca un ulteriore apice con Massimo Mongai e il suo “Extraci". Qua l'attenzione si sposta sull'immigrazione incontrollata e sugli effetti devastanti che ha causato nel tempo. Nell'Italia del futuro l'immigrazione non è più vietata, ma gli immigrati vengono però privati di tutti i diritti e viene creata una società in cui ci sono cittadini di vario livello: i cittadini italiani, gli immigrati di seconda generazione (cioè i figli degli immigrati) e gli immigrati di terza. Per ogni classe sociale corrispondono diritti diversi. Un politico progressista cerca di far riconoscere i diritti a tutti gli immigrati, ma farà una brutta fine.Mongai regala una visione del futuro socio-economico tutt'altro che infondata. Curiose alcune sfumature come il finale del racconto che richiama un po' i fatti connessi allo scoppio della prima guerra mondiale in una sorta di circolo vizioso in cui si ritorna sempre alle origini.

Non in ordine di importanza, chiude il lotto di racconti di alto livello Andrea C. Cappi con “Il grande sceneggiatore”. Autore conosciutissimo in ambito di spy story e gialli nonché dagli appassionati di Diabolik e Martin Mystere, Cappi porta in scena un'idea mio cavallo di battaglia (su cui io stesso ho realizzato il mio “I signori del grande inganno”) ovvero quella di un Dio sadico e crudele che intesse trame dove protagonisti sono gli uomini che vivono sulla terra e lo fa per appagare un pubblico che noi non conosciamo. Su questa visione pessimista e un po' fantastica, Cappi costruisce un racconto dall'alto contenuto adrenalinico; un action movie che potrebbe esser trasposto al cinema, con preti sicari, armi non convenzionali innescate dagli elicotteri (“la collera di Dio” una sorta di fulmine che polverizza il bersaglio), sensori piantati nella sottocute dei cittadini per controllarne gli spostamenti e una Tv che trasmette programmi la cui visione è imposta dalla legge. Protagonista è un prete braccato dal braccio armato del Vaticano perché testimone dell'omicidio di uno sceneggiatore di una fiction tv fatto eliminare dalla Chiesa per aver scritto una sceneggiatura che avrebbe potuto sovvertire il potere della stessa, stimolando la capacità di deduzione degli spettatori. Lo sceneggiatore infatti ha, a sua volta, caratterizzato Dio come un sadico sceneggiatore di uno spettacolo destinato a un pubblico sconosciuto.

Giunti a oltre metà recensione, non posso non applaudire i testi degli autori fin qui presentati. Spero di aver gettato luce in quell'oscurità in cui sono spesso soffocati i lettori medi, per dimostrare che la quasi totalità dei racconti raccolti da de Turris sono tutt'altro che banali e non sono di mero intrattenimento, anzi devo dire che costituiscono una sorpresa in controtendenza rispetto alla media dei racconti proposti dall'editoria commerciale. Penso che nessuno possa sospettare che il sottoscritto regali sviolinate ingiustificate(quando c'è da attaccare non mi tiro certo indietro), quindi credo che questa recensione possa esser considerata sincera e onesta dai lettori. C'è un aneddoto che mi fa capire se i racconti mi sono piaciuti: quando finisco di leggere una storia che mi stimola il pensiero, a fine lettura, sono preso da una sorta di gaia contentezza e qui è capitato spesso.

Prima di passare ai racconti, a mio avviso, meno personali e meno strutturati attorno a una vera anima, voglio spendere due parole sui racconti di Giulio Leoni e Pietrangelo Buttafuoco.Entrambi gli autori sono padri di racconti di spessore, ma forse poco in linea con la natura dell'antologia.

Leoni offre ai lettori una parodia fantascientifica che utilizza intelligentemente (bene le caratterizzazioni dei personaggi) in chiave comica-grottesca un astronave aliena per denunciare la mala-sanità. Abbiamo difatti un equipe Asl a bordo di autoambulanza interpellata dalla centrale operativa per recarsi sul luogo di un sinistro. Chi ha denunciato l'incidente ha parlato di un aereo caduto dal cielo. Giunti sul posto, i soccorritori troveranno un'astronave con all'interno una blatta antropomorfa coperta da una tuta. Decidono così di fare tutto il possibile per rianimarla...Emblematica al riguardo la frase finale “loro non lo sanno ancora, ma il viaggiatore dello spazio è già stato preso in carico dal Sistema sanitario della regione Lazio, Italia, Terra”. L'ottima idea di fondo viene però penalizzata da un testo un pochino diluito per il suo scopo finale. In ogni caso carino, anche se, a mio avviso, totalmente fuori luogo in un'antologia dedicata alla narrativa gialla (di giallo, infatti, non c'è ombra).

Più complesso e affascinante il racconto di Buttafuoco, un mix tra fantasy, fantascienza, giallo e fantastico non di prontissima soluzione. Ci troviamo in una Catania completamente inghiottita dal mediterraneo. La popolazione vive sott'acqua grazie a dei condotti ossigenati. Un giorno, un commissario, incaricato di risolvere 800 omicidi, scopre di esser divenuto invisibile e inizia così il suo viaggio verso la terraferma: un picco dove sono rintanati i delinquenti più pericolosi. Durante il viaggio l'uomo incontra bizzarre divinità, gli unici esseri, insieme ai pesci, che riescono a vederlo. Alla fine verrà chiamato da una collega anch'essa resa invisibile da un progetto segreto del governo atto a monitorare la vita in superficie.Racconto dunque abbastanza complesso, a tratti pirandelliano (il protagonista non sa più se è vivo e comunque si interroga se può ritenersi vivo chi non riesce a interagire con gli altri) e metafisico. A mano a mano che il testo progredisce la storia diviene sempre più criptica e intrisa di simbolismi. Viene ad assumere un significato sempre più crescente la religione (che i cittadini degli abissi hanno rifiutato) e il peso che le divinità hanno sulle leggi dell'uomo. Notevoli le scenografie e le capacità descrittive dell'autore che, forse, pecca solo nel mettere troppa carne al fuoco. Piuttosto che sci-fi o giallo, si tratta di un racconto fantastico che tende progressivamente al fantasy (il finale è fantasy puro).

A mio avviso, pur restando quasi sempre godibilissimi, i restanti racconti sono meno qualitativi di quelli fin qui descritti (perché finalizzati all'esclusivo intrattenimento o perché dotati di un potenziale poco sfruttato). Certo, essere inferiori di una perla non significa esser mediocri e difatti, nel gruppone, ci sono altri racconti meritevoli di menzione e soprattutto ricchi di spunti specie per chi si diletta nella scrittura.

Tra questi racconti i più convincenti sono quelli di Luigi De Pascalis e del maestro horror italiano Gianfranco Nerozzi. Il primo da vita a un testo a tratti crudo, narrato con grande stile e senso del ritmo. Il soggetto è complesso e miscela bene il giallo alla fantascienza. Si parla di una teoria per la quale un gruppo di cento persone potrebbe dar vita a dei comportamenti così ripetitivi da diventere trasmissibili geneticamente per i successivi componenti della popolazione.È un uomo imbrattato di sangue, ritrovato nudo in mezzo di strada dai carabinieri, a far scattare le indagini. Condotto in caserma l'uomo parla di strani esperimenti che si svolgerebbero all'interno di una fabbrica dismessa ed è tanto convincente da indurre il carabiniere che conduce le indagini a temere di esser stato anch'esso sottoposto al progetto, ma la verità è un'altra. Testo dunque stilisticamente interessante, ma che non porta a riflettere il lettore.

Più qualitativo, anche se non di pronta soluzione, il Cyber-punk di Nerozzi. Protagonista è un lavoratore di una società informatica incaricato di studiare dei programmi per entrare nei sogni altrui. L'uomo, suo malgrado, finisce cavia degli esperimenti della società che gli installa una serie di innesti che gli impediscono di sognare e ne aumentano la resistenza fisica. L'uomo, senza sogni, finisce così con l'impazzire. Di sicuro siamo alle prese con uno dei testi più curiosi dell'antologia, ma con una componente gialla ridotta ai minimi termini e piegata a una logica sci-fi più pura.

Sugli altri racconti mi piace spendere qualche parola in più su “La memoria rende liberi” dell'appassionato di cinema bis italiano nonché antologista Stefano Di Marino. Siamo in una Genova divenuta ricca di petrolio. Un decrepito, assistito da una bionda punk, conferisce l'incarico a un detective privato di ritrovare un oggetto dall'alto valore affettivo che gli è stato rubato da un vecchio amico. Il detective, accompagnato dalla bionda, inizia a cercare nei bassifondi della città. Si reca nelle bische (dove si svolgono incontri di lotta libera clandestini), va nei bordelli. Infine, una volta individuato il ladro, ingaggia un nano che gli mette a disposizione un bolide super accessoriato con tanto di armi e paraurti rinforzati (roba stile il film di Sergio Martino "2019 dopo la caduta di New York") e sferra l'attacco al camion e alla scorta del ladro. Il detectvie riuscirà così a raggiungere l'obiettivo e a mettere le mani sull'oggetto: l'insegna dell'ingresso della porta del più terribile inferno che la storia dell'uomo abbia conosciuto. Il racconto è infarcito d'azione e ha un taglio da sceneggiatura. Dunque un elaborato poco artistico e molto ritmato. Non a caso Di Marino dedica il testo a Castellari (anche per via dell'ambientazione a Genova, città prediletta dal regista per i suoi poliziotteschi) e poi cita in continuazione titoli di film italiani facendoli passare come modi di dire (“Tempo di massacro”, “Giorno del Cobra”, “Thunder”, “I nuovi barbari”). La struttura del testo, così come le ambientazioni, sono un chiarissimo omaggio a "1997 fuga da New York” (il finale, che peraltro mi ricorda uno di un mio racconto, è molto bello e d'effetto: “non è il lavoro che rende liberi, ma la verità... e questa chiede sempre conto dei peccati”). A mio avviso scricchiola la caratterizzazione del protagonista, una sorta di Jena Plisken “de noi altri”, che alla fine tiene una condotta inverosimile alla luce di quanto fatto in precedenza. Ne deriva un epilogo appiccicato, quasi a cercare (senza riuscirci) di dare un tocco di profondità al testo. Migliorabile, ma gradevole.

Onesti, anche se poco personali, gli altri racconti dove si distinguono le ambientazioni socio-politiche di “Francesca è scomparsa” di Prosperi (un Italia dominata dagli islamici, con un controllo di orwelliana memoria) o “Ipermondo” di Farneti (futuro parallelo al nostro dove i fascisti hanno vinto la guerra) o le descrizioni visionarie (ai limiti del delirio) di Leo Sorge.

Non convincono quando sarebbe stato lecito attendersi lo sceneggiatore (tra l'altro di Fulci e Dario Argento) Antonio Tentori (il suo “Maschere” è un esercizio stilistico, un giallo carino ma che non lascia traccia “del cuore” del suo autore) e il Premio Urania Francesco Grasso il quale rispolvera un po' l'atmosfera del film “Strange days” (seppur con uno stile piuttosto ironico). Interessante l'idea dello sperperio della scienza a vantaggio di politiche meramente commerciali, rappresentato da un chip potenzialmente capace di sopperire ai danni causati dai tumori al cervello ma utilizzato per modificare le personalità delle donne in modo da permettere al maschio di scegliere il profilo più gradito prima di potersi unire sessualmente alla donna prescelta. Il cinese del racconto (vittima di un truce omicidio), addirittura, decide di intrattenere il rapporto sessuale staccando la coscienza della donna la quale però inconsciamente memorizza il tutto all'interno del chip che ha innestato nel cervello e ciò permetterà alla polizia di individuare l'assassino.

Racconto scorrevolissimo, più d'azione che giallo con un epilogo a sorpresa e una fantascienza a fungere da background, per Donato Altomare. Fiacchi i testi di Roberto Genovesi (misto tra horror e sci-fi particolarmente confusionario. Intrigante l'inizio, si perde in un epilogo deludente in cui si parla di possessioni diaboliche di avatar e della possibilità di modificare i fatti della storia tornando indietro nel tempo) e di Magnarapa. Quest'ultimo è artefice di una struttura che privilegia il coinvolgimento del lettore piuttosto che la linearità della storia. Si ha così un testo dove l'inizio è il preludio della fine e dove la fine è immediatamente successiva all'inizio. Ottime descrizioni ambientali, non originale l'idea del chip che rileva la posizione degli uomini sul pianeta Terra. Finale fiacco e telefonato, molti punti oscuri.

Nel complesso "Sul filo del rasoio" è una bella pagina di narrativa di genere italiana che, per circa metà opera, si propone di scavare oltre la semplice superficie dell'apparenza costruendo storie intelligenti che non si preoccupano solo di divertire chi legge, ma di offrire interessanti spunti di riflessione (come dovrebbe fare la narrativa e come invece non avviene quasi mai). Consigliato un po' a tutti. Voto: 7,5

lunedì 8 agosto 2011

Recensione Narrativa: "Delitto nella città Verticale" di M.De Franchi. Visioni apocalittiche di una Pisa del futuro (anno 2118)





Piazza dei Miracoli come la vediamo oggi. Piazza dei Miracoli come se la immagina nel 2118 Marco De Franchi:

"I Polverosi la chiamano la Città Vecchia. E in effetti lo è. E' talmente vecchia che dell'antico centro restano solo scarse rovine, case a pochi piani composte da mura di mattoni cadenti, frammenti di quella torre sbilenca che dicono racconti un passato glorioso, un incrocio di strade malmesse e puzzolenti, e il Battistero. Un tronco scoperchiato e annerito dove i Polverosi ancora si ritirano a celebrare i loro riti assurdi e le loro superstizioni folli...

Adesso i resti di quella che chiamavano la Torre Pendente sembrano lo scheletro di un gigantesco serpente caduto in pezzi, invaso di vegetazione selvaggia, e sovrastato dall'ombra imponente della Città Verticale. La Torre è caduta nel 2015, in occasione della Grande Crisi"


Apocalittica o meno, è pur sempre una visione affascinante e leggere un racconto di sci-fi ambientato nella propria città era un qualcosa che non mi era mai capitato, per cui ringrazio l'autore per la sua scelta geografica. Peraltro è un bel testo e l'idea della città verticale mi ricorda tanto uno scrittore fantastico per cui stravedo e cioè l'inglese William Hope Hodgson e il suo celebre romanzo "La terra dell'eterna notte". Chissà se De Franchi ha preso l'ispirazione anche da questo romanzo... magari vedo di chiederglielo.


Premessa

Dopo questa sorta di prologo, vengo ad anticipare - di qualche giorno - la mia recensione dell'antologia curata da Gianfranco de Turris "Sul filo del rasoio - 2015-2118: crimini dell'Italia futura" (Mondadori, 2010) e lo faccio presentando un racconto fantascientifico ambientato nella città in cui sono nato, in cui ho studiato e in cui lavoro: PISA (come avrete anche capito dal prologo).

Nato a Roma nel 1962, Marco De Franchi è un sostituto commissario della Polizia di Stato.
Piazzato in svariati concorsi fin dal 1984 (terzo per ben due volte al Premio Tolkien), De Franchi si fa notare soprattutto per i suoi racconti brevi - tanto da essersi guadagnato la pubblicazione persino in Francia - e per le sceneggiature di fumetti apparsi sulle riviste "Lanciostory" e "Skorpio". Nel 2007 ha pubblicato la sua opera più conosciuta ovvero il cupo "La carne e il sangue" per la casa editrice Barbera.
Purtroppo non sono frequentissime le occasioni in cui è possibile trovare un'opera di questo autore (alcuni suoi lavori possono esser recuperati su "M - Rivista del mistero") e questo è un peccato.

Veniamo ora al racconto in questione, inserito a chiusura dell'antologia sopra ricordata.
L'opera si intitola "Delitto nella città verticale".

Sinossi
Siamo nel 2118, a Pisa la torre pendente è caduta da anni e la vecchia città è un ammasso di rovine in cui vivono i “polverosi”. Si tratta di persone dedite alla religione cristiana, rifiutate ed evitate dai cittadini di Nova Pisa: un complesso di grattacieli alti più di 2,000 metri che scompaiono nelle nuvole e all'interno dei quali è strutturata una città aero condizionata, protetta dai raggi solari e formata da piani accomunati da un fulcro centrale che irradia calore in tutto il complesso.

Proprio in uno di questi piani, viene assassinato il vice-sindaco della città, un uomo grasso col vizio della pedofilia. Nel bagno dell'uomo, in una vasca, c'è anche il corpo privo di vita di un giovane polveroso. Le indagini portano alla città vecchia, laddove un tempo sorgeva la mitica piazza dei miracoli. Ai media serve un capro espiatorio per calmare la piazza e coprire le perversioni di un uomo tanto importante. La versione ufficiale, così. parla di una rapina finita male.

Il capo della polizia tuttavia teme che il vero responsabile sia qualcun altro, qualcuno mosso da ciò che lui ritiene un ingiustificabile sentimento: la coscienza etica. Prendono così piede due indagini: una ufficiale che indaga sui polverosi, l'altra segreta che indaga all'interno della stessa polizia.

Commento di Matteo Mancini

Non dico da “pisano” perché mi ritengo “tirreniese d'hoc”, comunque da nativo di Pisa, ritengo questo racconto un capolavoro. L'intreccio giallo regge ed è impreziosito dalle caratterizzazioni delle due anime della città. Da una parte i “polverosi” (gente con dei valori definiti, che organizza una società che premia il merito, l'individuo, ma che nonostante questo viene denigrata dai nuovi cittadini, al punto quasi da essere paragonata a degli animali; una visione poi non molto lontana da quella con cui vengono identificati gli odierni extracomunitari), dall'altra gli abitanti di Nova Pisa (gente atea, super tecnologica, con un'organizzazione sociale quasi totalitaria tesa a controllare persino i pensieri dei cittadini).

Se già l'intreccio e la caratterizzazione dei personaggi è buona, De Franchi offre il meglio di sé nella descrizione della nuova Pisa, dipinta con un talento da grande maestro della fantascienza. Gli scenari difatti sono mozzafiato (specie le vedute aeree a bordo di veivoli futuristici) e anche lo stile dell'autore evidenzia una grande facilità nel dipingere mondi immaginifici.

Ne esce fuori un gioiello che chiude degnamente un'antologia da conservare nella propria biblioteca. Un'antologia dove, come vedremo, si distingueranno vari autori tra i quali possiamo già citare Fabio Lombardi (il suo testo si basa su un'idea geniale), Giancarlo De Cataldo (quello del famoso "Romanzo criminale"), Andrea Carlo Cappi, Massimo Pietroselli (notevole il suo racconto) e Massimo Mongai. Ci tengo però a sottolineare che dei ventidue testi sono assai pochi quelli non convincenti.

Presto pubblicherò su questo blog la recensione dell'intera opera, questo è stato solo un assaggio che mi sono sentito di suggerire per la bontà del testo e perché ritengo giusto parlare di autori che raramente vengono presentati come si deve ai lettori.

Un grazie ancora a De Franchi per aver parlato di Pisa in una raccolta di genere,

giovedì 4 agosto 2011

Recensioni cinematografiche: "Shadow" di Federico Zampaglione




Produzione: Italia, 2009
Genere: Horror
Regia: Federico Zampaglione
Interpreti Principali: Jake Muxworthy, Karina Testa, Nuot Arquint, Ottaviano Blitch, Chris Coppola.
Durata: 80 minuti

Commento di Matteo Mancini.


Più vicino a un mediometraggio che a un lungometraggio (il film dura circa 70 minuti), il debutto alla regia del leader del gruppo musicale melodico "Tiromancino" è di quelli che non ti potresti mai attendere.
Da sempre cultore del cinema bis, Federico Zampaglione scrive e dirige quello che, dopo "Dellamorte Dellamore" (1994) di Michele Soavi, è il più bel horror diretto in Italia negli ultimi quindici anni.
Ho letto in giro dire che "The Shadow" sembrerebbe uscito dal lotto dei mitici film nostrani anni '70; beh, credo sia riduttivo parlare in questo senso del film (io, addirittura, vedo dei richiami espliciti a "Il settimo sigillo" di Bergman).
Zampaglione, rispetto ai vari Argento, Fulci, Lamberto Bava, modernizza il genere e cita film più dell'ultimo ventennio che i classici del genere. Così l'opera parte strizzando l'occhiolino a film come "Non violentate Jennifer", unico film anni '70 di cui si sente l'aria, (con due bulli che vorrebbero violentare la co-protagonista) poi piega verso pellicole stile "Predator" e "Dog Soldier" di Neill Marshall (ambientazione nel bosco, braccati da un nemico invisibile e immersi nella nebbia) per proseguire proponendo scene (di tortura) alla "Saw" o alla "Hostel" per concludere in un modo personale e sorprendente.
I cattivi di turno mutano il loro status, passando da predatori a prede e questo avviene in un modo ben bilanciato e senza lanciare messaggi scorretti (come invece succedeva, a mio avviso, con "Il bosco fuori" di Albanesi del 2006).
Ed è proprio nell'epilogo che risiede il buono della sceneggiatura, ed è un epilogo (peraltro intriso di una poetica maledetta) che non ha precedenti nella cinematografia di genere italiana anni '70.
Notevole la regia di Zampaglione che opta per un taglio nervoso (varie riprese con la steady cam, moltissime soggettive) e in grado di valorizzare i grandi sforzi dello scenografo Bassan (grande il suo apporto sia nei fatiscenti interni che nei nebbiosi esterni) e della glaciale fotografia di Bassano. Bassissimo il ricorso alla computer grafica (per fortuna), grande bravura nella direzione degli attori.
Oltre all'immenso ballerino svizzero Nuot Arquint, già visto in pellicole quali "La passione di Cristo" e "Il Divo", che pare uscito da un romanzo gotico di fine '800 tanto da rendere disturbante la visione ogni volta che viene inquadrato, sono notevoli anche Ottaviano Blitch (una garanzia nei ruoli da bastardo, da vedere anche la sua performance in "In the market") e Chris Coppola.
Per una volta è assai qualitativo anche il doppiaggio (Dario Argento dovrebbe attingere dalla produzione di Zampaglione in questo).
Ne esce fuori una pellicola intrisa di tensione, dal grande ritmo e che ribalta di continuo la situazione ogni qualvolta la storia sembri appiattirsi su un binario già visto.
Tremendo, in senso positivo, il finale (bravo anche qua Zampaglione a centellinare il colpo nello stomaco allo spettatore). Bellissima la sequenza con Nuot Arquint a dorso nudo, con un mantello marrone sulle spalle e la falce levata in aria pronta a sferrare il colpo mortale.
Un sincero abbraccio a Federico Zampaglione (con cui ho avuto la fortuna, grazie alla pubblicazione anche di un mio racconto, di condividere il suo debutto in narrativa nell'antologia "365 racconti horror per un anno" edita da Delos Book nel 2011).
Il film ha avuto una scarsa distribuzione nei cinema (per gli stessi motivi per i quali i piccoli scrittori vengono boicottati dalla grande catena delle major), ma di esso esiste una splendida edizione in DVD che merita senza dubbio l'acquisto.
Aspetto, con trepidazione, il nuovo film di Zampaglione sperando che benefici di un budget superiore e della considerazione che è giusto prestare a chi dimostra in modo inequivocabile un certo talento. Appassionato (nella confezione) e appassionante (nella visione). Voto: 8


mercoledì 3 agosto 2011

Recensioni Narrativa: "365 racconti erotici per un anno" (AA.VV - Delos Book))



Autore: AA.VV.

Anno di uscita: 2010

Casa editrice: Delos Book

Pagine: 376

Prezzo: 14.90

Commento di Matteo Mancini

Inizio oggi a recensire questo splendido progetto curato dalla Delos Book, che ha pensato bene di realizzare un'antologia che riunisse tre tipologie di scrittori: i professionisti (circa una cinquantina con autori del calibro di Nerozzi, Altieri, Barbara Baraldi, Alda Teodorani, Arona coinvolti nel progetto), i giovani scrittori dilettanti con alle spalle svariate pubblicazioni e premi ricevuti in concorsi narrativi e un gruppo, molto meno corposo di quanto potrebbe sembrare al lettore poco esperto, di debuttanti allo sbaraglio.
Ne è uscita un'antologia unica nel suo genere che ha venduto, a oggi, migliaia di copie e ha dato seguito a un secondo volume dedicato all'horror (“365 racconti horror per un anno”).

I testi sono stilisticamente molto curati, grazie a un ottimo lavoro di editing e a una selezione che ha portato all'esclusione di centinaia di autori (compresi alcuni con una certa esperienza). Inevitabile una certa ripetitività di situazioni già lette nel corso dei mesi e la presenza di alcuni racconti - meramente descrittivi - in cui ci si limita a descrivere momenti di intimità, questo però non deve portare a pensare che non vi siano racconti interessanti.Curioso è stato anche il confronto tra i mostri sacri (soprattutto della narrativa gialla italiana) e gli scrittori meno noti, con questi ultimi spesso più convincenti dei professionisti.

Passiamo ora a recensire, mese per mese, l'opera e lo farò aggiornando di volta in volta questa recensione in modo da non rendere troppo pesante la lettura.Allacciate le cinture, si parte!

Gennaio

Nel lotto dei racconti del mese di gennaio troviamo trentuno racconti piuttosto omogenei in cui fantascienza, horror, genere rosa, ironia e testi dalle sfumature un po' troppo spinte (i peggiori del lotto) si alternano tra loro (manca forse il solo giallo, ma ci riscatteremo nei mesi successivi). Predominanza degli autori sconosciuti (qualcuno anche nascosto sotto pseudonimo), cospicuo numero di scrittori dilettanti (Cupersito, Andrea Franco, Vanni, Cristina Cardone, Maestrello, Negri e Sergio Donato) solo la giallista Cecilia Scerbanenco (pubblicata, tra gli altri, nelle collane Giallo Mondadori) a rappresentare i professionisti.

Il più convincente, come soggetto, è il racconto “Poco mi importa dell'anima” di Irene Vanni. Scrittrice toscana conosciuta nell'underground come collaboratrice in siti horror, propone una storia ai limiti dell'apocalittico con una donna che cura il suo zombi per soddisfare i propri bisogni carnali, senza preoccuparsi delle doti interiori dell'essere (evidentemente per lei non importanti). Dunque un testo che si presta a un'analisi che va oltre la semplice lettura dei fatti e che per questo attribuisce sostanza al testo e porta il lettore a una riflessione sull'importanza, in una relazione di coppia, di altri valori oltre a quelli meramente fisici o prestazionali.

Altro racconto interessante per l'atmosfera quasi asfissiante è “La chat” della giovane salernitana Mariarita Cupersito. Autrice (gotica/giallista) con all'attivo svariate pubblicazioni con editori indipendenti, la Cupersito porta in scena una giovane predatrice sessuale che di giorno studia in un campus universitario e di notte va a caccia di prede maschili nelle chat. Il racconto non svela niente, né sotto il profilo erotico né sotto quello orrorifico, ma si limita a suggerire, a fare occhiolini da un verso o dall'altro, a seconda dei gusti del lettore, fino al finale inatteso.

Mi è piaciuto per il gusto artistico, anche se viziato da una certa inverosimiglianza iniziale, il racconto “Tango sulla Rambla e vino francese” di Cristina Cardone (autrice del romanzo “Zucchero e Cannella, edizioni Liberodiscrivere”). La scrittrice, a suo perfetto agio col genere erotico, immagina un bizzarro incontro tra una turista di Barcellona e un'artista di strada che le propone un ritratto e le dice: “fai l'amore con me”. La donna non comprende le intenzioni dell'artista e crede di aver ricevuto un avance invece scoprirà che il desiderio dell'uomo era meramente artistico. Un racconto dunque molto delicato, scritto con gusto estetico. Molto carino, anche se viziato da un inizio un po' temerario (nella realtà sarebbe inimmaginabile uno dialogo del genere).

Profondo anche se per niente di intrattenimento il testo “Libertà” di Karim Mangino (autore solitamente impegnato nel noir) che propone le riflessioni di una ragazza lesbica rifiutata dal padre. La giovane, nonostante viva in condizioni tutt'altro che invidiabili, vede nella compagna che le sta accanto la chiave per aprire il portale della libertà.

Perverso, infine, “Marco Rossi” del giallista Marco Negri che immagina un gioco assurdo in cui una ragazza tormenta l'ex fidanzato, tale Marco Rossi, facendolo chiamare da tutti gli altri Marco Rossi inseriti nell'elenco telefonico mentre lei stessa intrattiene con loro un rapporto orale. Un racconto dunque non eccezionale contenutisticamente parlando, ma curioso per l'idea base (finale perversissimo).

Meno qualitativi gli altri racconti anche se quasi sempre scritti con un certo talento e, talvolta, con la ricerca di soluzioni a sorpresa o di trovate ironiche che smontino i preconcetti del lettore.Tra i più carini “Plug-In” di Riccardo Restelli (aspirante autore sci-fi) e “La lezione” dello sconosciuto Aldo Cirri i quali inducono il lettore a pensare a un rapporto sessuale descrivendo però tutt'altro (l'attracco di una nave spaziale a una stazione orbitale nel primo caso, un lezione di musica con strumento a fiato nel secondo).

Tra gli elaborati più vicini a un erotismo puro, privo di contaminazioni (quasi da genere rosa, mi verrebbe da dire), sono degni di nota i testi di Sergio Donato, Lina Anielli, Massimiliano Maestrello (autore con già esperienze con l'erotico), Matteo Ciccone, Carlo Battaglini tutti caratterizzati da una certa maestria nel tracciare atmosfere a luci rosse, ma viziati da soggetti deboli che farebbero le gioie dei lettori della sezione dedicata alle storie erotiche di “cronaca vera” ma che finiscono per farsi dimenticare in fretta perché impersonali.

Discreta presenza poi di contaminazioni sci-fi ed erotismo con racconti in cui si immagina due robot che per sentirsi umani cercano disperatamente di raggiungere l'orgasmo ovviamente non riuscendoci (testo carino firmato Diego Lama) o esperimenti con un uomo e una donna lanciati nello spazio per studiarne i comportamenti (testo fiacchino di Paolo Veroni), ovvero pedofili deportati su Titano per non aver considerato l'ora legale che non ha fatto scattare la maggiore età della compagna di giochi erotici (testo monocorde della coppia D'Emilio-Marcelli che si riscatta con un finale simpatico).

Deludono e molto due scrittori abbastanza esperti con trascorsi Mondadori quali Andrea Franco e la professionista Cecilia Scerbanenco, con due storie insipide la prima incentrata sulle fantasie orgiastiche di una moglie, la seconda sul sogno a luci rosse di una studiosa del medioevo che giunge a sognare di esser posseduta da una specie di Frankenstein.Tra il sufficiente e il mediocre gli altri quattordici testi, con qualcuno pessimo.

Febbraio

Si arriva a febbraio e subito si ha la sensazione che l'antologia entri nel vivo. Scorrendo l'indice, tra i ventotto autori del mese, si scorgono nomi sacri della narrativa gialla italiana; scrittori che hanno fatto la fortuna delle pagine del Giallo Mondadori e non solo. Così troviamo l'esperto De Pascalis, la conturbante Barbara Baraldi, il Premio Tedeschi 2008 (se non ricordo male) Enrico Luceri e ancora Claudia Salvatori e altri ancora per un totale di ben dieci professionisti. Nonostante questo però il livello medio dei racconti precipita rispetto al lotto del mese di gennaio.

Davvero pochissimi i racconti meritevoli tra i quali spiccano "La strategia dell'istrice" di Enrico Luceri e soprattutto "Il pianto degli angeli" di Claudia Salvatori. Luceri propone una revenge story molto particolare e ben caratterizzata che piacerebbe sicuramente a un regista come Quentin Tarantino. Abbiamo infatti una giovane donna che seduce un vecchio boss che le ha trucidato la famiglia quando lei era ancora bambina. La giovane porta l'uomo a letto e lo uccide, dopo aver intrattenuto un rapporto sessuale, infilzandolo con un lungo ago. Davvero una storia ben narrata con un finale disturbante che conferma Luceri come un grande maestro del brivido.

Più interessante e autoriale, sotto il profilo del soggetto, il racconto della Salvatori. La scrittrice genovese, anch'essa come Luceri vincitrice del Premio Tedeschi (nel '85) e scrittrice di punta della Mondadori (si ricorda il suo romanzo "Superman non muore mai" nonchè interessanti racconti pubblicati in svariate antologie) propone un testo che si lascia leggere più volte e che manifesta un certo disagio collettivo. L'autrice, difatti, immagina un appartamento in cui un uomo e una donna stanno avendo un rapporto sessuale e poi un palazzo, quindi un quartiere e poi una città e via dicendo dove tutti sono affetti da una certa insoddisfazione sessuale che li porta a generare fantasie e desideri repressi fino a formare una nube sessuale che trascende e va intaccare la tranquillità degli angeli (notoriamente asessuati) inducendoli a piangere. Testo dunque particolare, originale e intriso di simbolismi che merita attenzione.

Tra gli altri racconti se ne distinguono altri tre, tutti di autori più o meno sconosciuti. Il primo, in ordine di collocazione, è il cyber punk "Ninphomatic Horrorotic" di Domenico Nigro. Autore conosciuto nel circuito underground per la sua passione per l'horror e la fantascienza, Nigro confeziona un cocktail in cui miscela i generi a lui prediletti e lo fa portando in scena una escort robotica che si intrattiene con i clienti, riprendendo il tutto a beneficio di pochi paganti, e chiudendo la relazione sbranandoli con delle unghie retrattili. Dunque una ventata di brio tra un mare di semplici e mere descrizioni di rapporti sessuali classici.

Molto più interessante, per il ribaltamento dei ruoli, è "La sindrome di Stoccolma" di un'autrice che non ho mai sentito, e cioè tale Cristina Falzolgher. Qui si assiste all'evoluzione che porta una vittima di stalking a sentirsi eccitata dalle continue molestie del suo disturbatore, fino a trasformare in una sorta di droga perversa ciò che dovrebbe essere un fastidioso e antipatico atteggiamento.

A tratti poetico, anche se non chiarissimo, "In venti minuti" di tale Claudio Cassone (altro debuttante allo sbaraglio) il quale inserisce un diversivo alle solite descrizioni amorose di un uomo e una donna, suggerendo un rapporto che genera un qualcosa di unico (nel racconto rappresentato da un unico cuore creato dalla perdita di sangue dei due protagonisti) che solo l'amore può creare.

Tra gli altri meritano un cenno Barbara Baraldi (autrice che non necessità di presentazioni), non tanto per il soggetto del racconto (un thriller piuttosto violento, ma tutt'altro che originale), ma per l'insiscutibile talento descrittivo tanto da dare vita a uno dei racconti stilisticamente più belli (molto visionario e colorato) e Patriza Debicke van der Noot (altra autrice con curriculum spaventoso) con un testo fantascientifico non troppo chiaro (la sensazione è che sia stato tagliato per esigenze di spazio), ma almeno suggestivo.

Cala il sipario su tutto il resto con autori esperti e di talento come Luigi De Pascalis (classe '43) che cadono nel trucco scorretto e tipico dei neofiti del sogno come colpo di scena finale per scuotere un racconto che tale non è (nella fattispecie si assiste alle fantasie di un passeggero di un treno che sogna di fare l'amore con la ragazza che gli sta seduta davanti) oppure autori come l'autore Nicola Verde (classe '51) che non trova niente di meglio che confezionare una storia volgare in cui un vecchio di 70 anni intrattiene un rapporto sessuale con una sposa novella sostituendosi al marito grazie a un trasformatore che modella le persone in base alle coordinate che gli vengono impostate.

Scialbi e scritti senza cuore anche i racconti di altri autori di discreto successo come Marilù Oliva (testo da cronaca vera), Emiliano Maramonte (inquieta un pochino, ma si perde strada facendo), Elena e Michela Martignoni (testo volgare che non si riscatta col finale beffardo e ironico) e Valeria Montaldi (fiacchino, perchè di fatto è esclusivamente descrittivo).

Un'ultima considerazione per il testo dello scrittore underground horror Gianfranco Staltari. Staltari, come Irene Vanni per il mese di gennaio, propone un individuo (questa volta un uomo) che amoreggia con uno zombie (niente meno che Manuela Arcuri). La differenza tra i due racconti, però, è evidente, perché mentre la storia della Vanni aveva una ragione di fondo finalizzata a lanciare un messaggio ben preciso, quella di Staltari è totalmente gratuita e di cattivo gusto. Questo per evidenziare quel sottile quid che trasforma un testo in un'opera con un'anima piuttosto che una mera concatenazione di fatti non supportati da un'idea di fondo.

Marzo

Con Marzo cresce il valore medio dei racconti, in virtù di un lotto eterogeneo che nel complesso supera la qualità anche del mese di gennaio. Diminuiscono le contaminazioni con la fantascienza (due soli racconti, uno dei quali di Daniela Barisone - specialista underground di contaminazioni tra il cyber punk e l'erotico - fiacco e ancora incentrato sul rapporto sessuale, anche se omosessuale, tra un uomo e un Robot), così come i soliti racconti (sì, carini, ma una volta letto uno o due diventano stucchevoli) in cui si lascia immaginare al lettore un rapporto sessuale descrivendo tut'altro (nella fattispecie la salita di un turista sulla Tour Eiffel raccontata dalla debuttante Jundra Pinelli) o storie sviluppate con un lessico volgare che è cosa ben diversa dall'atmosfera erotica, tuttavia abbiamo anche delle perle, un trittico di storie folli (in senso positivo) e alcune storie da "Cronaca vera" che sapranno sicuramente conquistare il gusto dei lettori del genere rosa.
Veniamo però ai racconti più meritevoli.

Sui trentuno autori, di cui i soli Biancolino e Di Marino a rappresentare i professionisti, brilla la stella di Fabio Lastrucci. L'autore napoletano, scuola "Fantastico e altri orrori" collana fucina di talenti della casa editrice Edizioni Il Foglio di Gordiano Lupi, sforna uno dei migliori racconti dell'antologia. A metà strada tra l'erotismo e la narrativa fantastica, Lastrucci con "Clio" rispolvera e modernizza il mito delle sirene, portandole all'interno di una sorta di night dove cantano per ammaliare i clienti al punto da condurli, con la voce, all'orgasmo. Un bel testo, soprattutto per il controllo totale dimostrato dall'autore (si veda la cura del direttore d'orchestra che lavora con i tappini nelle orecchie per evitare di esser rapito dalla melodia della sirena) e uno stile che non cade mai nel volgare.

Delicato e scritto con inventiva è "Fiaba sexy" di Mauro Simeone, discreto autore con alle spalle numerose pubblicazioni. Simeone propone un tormentone tipico dell'infanzia (come nasce un bambino?) per svilupparlo in senso poetico, grazie alla descrizione elaborata fatta da un uomo a un bambino e filtrata dalla fantasia di quest'ultimo in un epilogo favoloso che solo i bambini possono immaginare.

Dai tormentoni infantili si passa a quelli adolescenziali con "Le tre domande" di Cristina A. Carisdeo, con la classica adolescente che si fa mille problemi su come si debba muovere la lingua durante un bacio, come incastrare i nasi e via dicendo, al punto da organizzare un appuntamento segreto con un ragazzetto che però è in cerca di un qualcosa di ben più sostanzioso di un bacio. Ovviamente, dall'incontro, nasceranno altre tre domande tipicamente adolescenziali. La Carisdeo, scrittrice che non conosco, dimostra così un buon senso di humor che le permette di gestire con simpatia una tematica abbastanza inflazionata.

Geniale l'idea di Simone Carabba, altro autore underground con all'attivo un paio di romanzi. Carabba immagina un servizio curato da un'azienda privata in cui un uomo e una donna vengono inseriti all'interno di una sfera dove, attraverso l'emissione di profumi particolari, mutano temporaneamente la loro concezione mentale al punto che un uomo si sente donna e la donna si sente uomo. Dunque un'idea brillante che però Carabba, nel suo "Lo scambio", non massimizza a dovere perdendosi in una descrizione centrale dove viene proposta la solita descrizione di un rapporto sessuale.

Come abbiamo anticipato fanno il loro ingresso nell'antologia anche i racconti "folli" e lo fanno in un numero piuttosto corposo. Il debuttante Valentino Peyrano in "Un breve diario" immagina un sicario decisamente bizzarro (e anche un po' kamikaze) che uccide la vittima designata grazie al veleno che gli è stato iniettato nel corpo e che ha infettato persino lo sperma (potete immaginare dove andrà a finire). Trovata davvero originale per un thrilling.

Ancor più folle e perverso "Il sale della vita" di Marzio Biancolino, autore che mi era già capitato di leggere in appendice di alcuni "Urania Epix". L'autore propone una storia che stilisticamente pare esser uscita dalla penna di Carlo Lucarelli, quando l'autore emiliano si diletta in storie grottesche narrate in dialetto bolognese. Nell'occasione abbiamo una vecchietta che ha inventato una ricetta contro la vecchiaia: tutto ruota attorno a dei cubetti opachi che miscela con sughi e cibi (potete immaginare di cosa si tratta).

Sulla falsa riga, anche se più diretto verso il comico, è "Parola d'ordine" di Nunzio Donato (scrittore della scuderia Delos Book). Donato immagina un ritardato mentale che è in cerca di latte e che viene giocato da un gruppo di amici che lo mandano da una prosperosa prostituta che ignara, alla richiesta "voglio del latte", gli mostra il seno.

Si passa al thrilling con "Quel che non è dato sapere" di Gianluca D'Aquino, autore del romanzo "Requiescant in pace" (edizioni Il Filo) che offre un assaggio del suo talento nel tracciare trame gotiche stile autori di fine '800. Il testo, di ambientazione ottocentesca, propone un gioco erotico che va a finire male e il tentativo di due uomini di far sparire il corpo della vittima in una palude. Tra le righe però serpeggia un'inquietudine tipicamente horror che viene corfermata dal titolo del racconto. Insomma, spira aria paranormale ed è proprio questa, piuttosto che l'erotismo, l'arma segreta del racconto.

Carine molte delle altre storie quasi tutte di autori sconosciuti, tra le quali si segnala il dramma (firmato Simone Valeri) di un uomo che scopre la propria omosessualità, la frustrazione di coniugi delusi che orchestrano vendette memorabili fingendosi l'amante della loro dolce metà (di Michela Arnese con un testo che avrebbe fatto faville sulle pagine di Cronaca Vera) o trovando appagamento in spettacoli organizzati da club privati o immaginando rapporti sessuali con spasimanti fantasma che si materializzano in ascensore (racconti meno brillanti del precedente, rispettivamente a opera di Fiorenza Flamigni e Valentina Tesio) e ancora amanti che amoreggiano cospargendosi di creme e verdure all'interno di un supermarket (Franco Pesce) e infine una guerra dove tutti vincono e nessuno muore della serie "fate l'amore e non la guerra" (Francesco Stefanacci).

Deludente il testo del grande appassionato di cinema di genere Stefano Di Marino, solitamente impegnato sulle pagine Supergiallo Mondadori in testi adrenalinici e qui alle prese con una chiamata telefonica tra due amanti che si chiude in modo piuttosto anonimo (in quanto incompleto).

APRILE

Lotto meno qualitativo quello di aprile (forse anche il più triste e malinconico) che si perde tra esercizi stilistici, riflessioni erotiche di desideri irrealizzabili (spesso di tendenza omosessuale) e vari testi meramente descrittivi di rapporti erotici. Alla fine di racconti veri e propri ce ne sono davvero pochi e neppure i vari professionisti del mese (Daniela Basilico, Lidia Parazzoli,Roberta Pelachin, Andrea Villani, Martina Crescenti e Annamaria Fassio) riescono a risollvare la media.

Il testo migliore è "Fidati di me" di Luigi Costa , autore underground con all'attivo il romanzo "Diario di un serial killer qualunque" . Costa propone, in modo scorrevole e brillante, un elaborato affascinante in cui due fidanzati, in cerca di emozioni forti, sperimentano un rapporto sessuale dove le emozioni che scoppiano all'interno dei cuori straripano e avvolgono l'esterno. I due infatti fanno l'amore immersi tra le fiamme che incendiano la loro camera. Una trovata niente male, anche dal punto di vista simbolico.

Simpatico e nulla più è "Un amore ortoressico" di Stefano Mascella , autore selezionato nell'importante concorso sci-fi Giulio Verne dell'edizione 2011. Il testo propone un rapporto sessuale molto particolare intriso di una spiccata ironia: abbiamo due amanti che si spalmano sul corpo degli alimenti che il compagno dovrà andare a leccare. La particolarità sta nel fatto che la donna, una top model, è a dieta e i cibi che andrà a proporre all'uomo sono così bizzarri che lo stesso si troverà costretto a dirle di non possederli mandando la donna su tutte le furie e finendo la serata in bianco. Dunque beffa e allegria le armi segrete scelte da Mascella per scardinare la serietà dei lettori.

La stretta relazione tra sesso-alimentazione torna in altri due racconti (uno della scrittrice scuola Mondadori Lidia Parazzoli - autrice capace di strappare una pubblicazione sul giallo Mondadori, nella fattispecie nell'antologia "Anime nere" poi bissata in "Eros & Thanatos" a soli diciannove anni - e qua deludente con un elaborato che è più un esercizio di stile che un racconto; l'altro del meno conosciuto Federico Guerrini comunque bravo a ricreare atmosfere erotiche utilizzando un asparago come elemento di eccitazione) senza tuttavia avvicinare la qualità del racconto di Mascella.

Meritevoli di segnalazione, per il loro taglio critico, sono i testi di due debuttanti assoluti (almeno credo siano tali) cioè Miriam Cervellin , che con il suo "Gente balorda" rappresenta bene la monotonia ipocrita di una vecchia coppia di sposi che criticano gli altri per vivere una sessualità fatta più di consuetudini che di emozioni, e Gabriele Stella , il quale propone in "Spes ultima dea" la caducità delle tecniche di seduzione a vantaggio della timida spontaneità. Due testi dunque che non mirano al mero intrattenimento, ma vogliono comunicare qualcosa di semplice e al tempo stesso non banale.

Qualitativo per lo stile e la capacità di creare eros (direi molto meno per il soggetto) è il sensuale "Così" di Monica Ferretti , brava a far crescere pathos nell'ottima gestione dei tempi (peccato per alcune sbavature nel volgare che avrebbe fatto meglio a evitare, a mio avviso).
Denso di tristezza, invece, è "Magnolia" di Scilla Bonfiglioli che cerca di parlare di prostituizione (forse infantile) con taglio poetico, riuscendo in parte nell'intento.

Deludenti un po' tutti gli altri elaborati, vuoi perché deboli come racconti, vuoi perché mere riflessioni (alcune profonde, altre malinconiche o addirittura tragiche per l'impossibilità di tramutare i sogni in realtà - tra questi il migliore, per la delicatezza e il tocco tipicamente femminile, è il testo di Alice S. Tramontano ). Tra i più bizzarri segnalerei l'unico testo sci-fi del mese, presentato da Roberto Fogliardi (ha per protagonista un'aliena travestita da donna che partecipa a sedute orgiastiche per ingoiare sperma da utilizzare per ricreare geneticamente schiavi nel suo pianeta di origine), quello della prolifica Maria Lidia Petrulli che ha il limite di sembrare uno stralcio ripreso da un racconto di più ampio raggio (qui abbiamo un rapporto sessuale tra un'elfa e un uomo), il visionario ed elegantissimo (seppur debole di soggetto) elaborato dell'insegnante di lettere nonché autrice Mondadori Roberta Pelachin e, infine, il racconto del Premio Tedeschi 1999 oltre che presenza costante dei "Gialli Mondadori" (qualità che non le giustificano il titolo pessimo, forse il peggiore dell'intera antologia, dato al suo racconto, cioè "The first fuck" ) Annamaria Fassio che ha il merito di ambientare la storia tra le popolazioni primitive anche se, dalla lettura, sorge una certa sensazione di lavoro incompiuto.

Tra i non racconti (perchè di fatto sono mere riflessioni) si segnalano per l'eleganza stilistica il testo di Margherita Lamatrice , in cui una moglie sfoga nella fantasia i desideri erotici più incoffessabili che hanno una matrice omosessuale, e quello di Alex Favaro che rappresenta invece la paura e le emozioni di un uomo che ha appena scoperto di essere gay.

Alcune parole in chiusura per analizzare i testi degli altri professionisti. Elegante sotto il profilo stilistico il racconto di Daniela Basilico che però, alla fine, non lascia niente, peggiori (perché non sono neppure eleganti) sono i racconti di Andrea Villani , il quale porta in scena uno spogliarellista che finisce preda di alcune ragazze clienti del locale in cui lavora, e il testo di Marina Crescenti che ha almeno la trovata simpatica (che poi non evolve in niente di nuovo) di avere come protagonisti Diabolik e la sua inseparabile Eva Kant.




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