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mercoledì 31 ottobre 2012

Intervista a MATTEO MANCINI, a cura di Alessandro Napolitano



In occasione dell'uscita dell'antologia I BASTARDI SENZA STORIA, da me curata, l'amico ALESSANDRO NAPOLITANO ha deciso di farmi una decina di domande, un po' su tutto, a cui ho risposto sul suo blog.

L'antologia, di cui vedete la copertina nella foto di cui sopra, è recuperabile su tutte le principali librerie virtuali e nelle migliori librerie!

Gordiano Lupi l'ha così presentata: "Storie dissacranti e cariche di sangue, vampiri vomitati dalle tivù, atmosfere gotiche, citazioni del cinema horror italiano anni Settanta, spruzzate di horror erotico degne de I Racconti di Dracula e dei KKK - Classici dell'Orrore. Un'antologia destinata a lasciare il segno".

Qua trovate l'articolo e le mie risposte.
http://blog-alessandronapolitano.blogspot.it/2012/10/matteo-mancini-lintervista_30.html?showComment=1351637772338#c8320052124289983683

Per stuzzicarvi riporto la prima domanda di Ale con la mia risposta:

Ciao Matteo, benvenuto sul mio blog! Ricorderai il Club dei Vedovi Neri di Asimov e l'originale domanda con cui aprivano le riunioni. Oggi tocca a te dare una risposta: come giustifichi la tua esistenza?

Beh, ti rispondo con una filosofia che ho elaborato negli anni, per così dire spirituale, e che sta un po' a metà strada tra la Kabbalah ebraica e il Buddismo. Pur essendo cristiano, nel senso di sostenitore degli insegnamenti di Cristo (anche se su alcuni precetti sono un po' meno morbido, per così dire), credo che l'esistenza sia strutturata su più scale di evoluzione spazio-temporali e che si possa accedere o regredire da una scala all'altra in base agli insegnamenti acquisiti nella vita. Un po' come in un videogioco a scorrimento.
Dunque giustifico l'esistenza di ogni persona con la necessità di ricercare e di sviluppare gli aspetti spirituali in luogo di quelli materiali che devono restare in secondo piano in quanto effimeri: non ho mai visto nessuno portarsi nell'aldilà una casa o una valigia di soldi o, ancora, i titoli ovvero i gradi acquisiti sulla terra. Se ci sono delle cose che possono resistere oltre la morte, queste sono la conoscenza, lo spirito e la capacità di adattamento ai diversi sistemi e condizioni in cui potremmo esser proiettati. Perciò si deve lavorare su questi aspetti, chiaramente senza rigettare il resto o isolarsi in una vita da eremiti. I fanatismi sono sempre sbagliati, perché non ponderati.
Oltre alle esigenze personali di cui sopra, la vita di ogni persona dovrebbe essere orientata al miglioramento del contesto in cui la stessa agisce, poiché è nel benessere collettivo che si esalta il benessere della persona dai sani principi.
Al riguardo, chiudo con un mio aforisma: “Dio probabilmente non è un'entità individuale ma l'universo, cioè l'essenza più esplicita dell'infinito che a sua volta è in continua espansione e simboleggia l'assenza di un qualsiasi limite."

Il resto lo trovate sul blog di Ale al Link che vi ho indicato, buona lettura!

venerdì 26 ottobre 2012

Trasmissione radiofonica Ciak Point Charlie, puntata dedicata allo spaghetti western: "1, 100, 1.000 DJANGO" ospite in studio MATTEO MANCINI



Puntata del 24 ottobre 2012 di CIAK POINT CHARLIE, dedicata al cinema western italiano e più in particolare al Django di Sergio Corbucci ed emuli fino ai recenti film di TAKASHI MIIKE (Sukiyaki Western Django) e di QUENTIN TARANTINO (Django Unchained).

Sono presente in studio (ringrazio ancora una volta per l'invito e lo spazio che mi è stato riservato con tanto calore), su invito degli autori del programma letteralmente entusiasti e conquistati dalla lettura del mio SPAGHETTI WESTERN VOL.1

"Spaghetti Western vol.1 di Matteo Mancini sta letteralmente spopolando, è una bibbia meravigliosa e assoluta." dice lo speaker.

Invito tutti gli appassionati di western italiano ad ascoltare la puntata, di cui riporto il link in calce al presente articolo. Purtroppo improvvisavo rispondendo alle domande che mi venivano poste e ho fatto un paio di gaffe - uscite di bocca senza mio permesso :D - per l'assoluta assenza di abitudine a parlare davanti a un microfono (moglie di Corbucci anziché moglie di Django; Edmondo Amati regista, anziché produttore): ero al debutto in tale veste. :D

Tra l'altro segnalo un bel testo accattivante scritto dall'autore del programma che parla del personaggio Django, nonché vari pezzi musicali scelti e mandati in onda dagli autori.

Per i più pigri, segnalo qui sotto gli stacchi che mi vedono coinvolto direttamente, ma ripeto, vi invito a sentire tutta la puntata.

Ecco gli stacchi della trasmissione in cui sono intervenuto:

1) MINUTO 08.05 (lettura stralcio dal mio libro)
2) MINUTO 09.10
3) MINUTO 11.45
4) MINUTO 20.30
5) MINUTO 25.30
6) MINUTO 28.30
7) MINUTO 31.10
8) MINUTO 46.10
9) MINUTO 48.50
10) MINUTO 52.25 (segnalazione per la presentazione del libro)

ECCO IL LINK DOVE POTRETE ASCOLTARE LA PUNTATA, BUON ASCOLTO

http://www.mixcloud.com/CiakPointCharlie/02-24102012-1-100-1000-django/

sabato 20 ottobre 2012

Recensione Narrativa: IL NERO MONACO DI SATANA (Frank Graegorius alias Libero Samale)



Autore: Libero Samale (alias Frank Graegorius).
Anno: 1972.
Editore: Edizioni Antonio Farolfi.
Collana: I Racconti di Dracula.
Pagine: 126

Commento Matteo Mancini.
Numero 052 della collana mensile I Racconti di Dracula edita dalle Edizioni Antonio Farolfi. I Racconti di Dracula è una collana interamente dedicata alla narrativa dell'orrore, soprattutto gotico, con romanzi brevi scritti, nel corso degli anni '70, da autori italiani celati sotto lo pseudonimo inglese.
Di discreta fattura, è stata di recente riscoperta grazie al lavoro dello scrittore Sergio Bissoli e all'impegno delle Edizioni Dagon Press che hanno iniziato a riproporre i lavori, a gruppi di tre per volta, all'interno di volumi dedicati ai singoli autori.

Il romanzo qui oggetto di recensione porta la firma di uno degli scrittori più prolifici della collana, cioè Libero Samale. Con lo pseudonimo Frank Graegorius, lo scrittore nato a Firenze vanta trenta pubblicazioni circa, quasi tutte di pregevole fattura.
Studioso di paranormale e affiliato alla Massoneria con gradi di vertice, le storie di Samale sono incentrate sulla magia nera, sui riti diabolici e comportano spesso la presenza del diavolo in prima persona quale personaggio aggiunto. Non fa eccezione questo Il Nero Monaco di Satana che tuttavia non è da annoverarsi tra le opere più riuscite dell'autore.

Il plot è trito e ritrito e attinge molto dalla nostra produzione cinematografica gotica di quegli anni (il riferimento va ai film di Antonio Margheriti). Abbiamo un gruppo di nove adepti di una setta satanica che per sfida sottraggono da un ossario spagnolo il teschio di un monaco medievale votato a Satana.
Il teschio, marcato sulla fronte da un bizzarro simbolo impresso nell'osso, pare essere in grado di trasferire al possessore poteri sconfinati. Così viene portato in Scozia, all'interno del castello in cui i nove, insieme alla servitù, si rinchiudono periodicamente in occasione di date particolari.
La beffa sta nel fatto che tutti coloro che prendono possesso del teschio finiscono per morire per eventi dall'apparenza casuali e che la polizia si affretta subito a catalogare come "incidenti".

Samale struttura il soggetto prendendo come principale riferimento Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie e inserendo, in qua e in là, qualche buon momento di tensione reso bene per merito della sua indiscussa abilità nel ricreare pathos. Purtroppo però non riesce a proporre un qualcosa di innovativo e veramente spiazzante. Abbiamo infatti una sequela di morti violente, fino al finale orgiastico (abbastanza spinto per l'epoca) negli scantinati del castello in cui i satanisti cercano di vendicare, in nome di Satana (nel romanzo si chiama Shatan, n.d.c.), il monaco maledetto di cui sfoggiano il teschio uccidendo l'ultimo erede sopravvissuto di colui che condusse a morte il religioso.

Non mancano ingenuità di fondo e soprattutto un epilogo (super prevedibile) didascalico che fa storcere la bocca. Più di un personaggio, compreso lo spirito del monaco, fornisce una serie di spiegazioni per giustificare le proprie condotte e far dunque quadrare la storia (un po' come negli spaghetti thriller meno riusciti degli anni '70).

Nulla di che, ma con alcuni passaggi descrittivi da cui filtra l'abilità dello scrittore nel campo dell'horror gotico. Tutto sommato, evitabile.

giovedì 18 ottobre 2012

Recensioni a SPAGHETTI WESTERN VOL.1 di MATTEO MANCINI



In alto rispettivamente gli articoli di FILMTV e di CIAK.

Non ancora a sei mesi di distanza dall'uscita del volume, il mio SPAGHETTI WESTERN VOL. 1 mi ha già regalato varie soddisfazioni.

Intanto Mercoledì prossimo venturo parteciperò a una trasmissione radiofonica (trasmette su internet) per parlare di cinema western, mentre lunedì 29 ottobre si terrà la presentazione del mio volume presso il cinema Lanteri di Pisa, l'orario dovrebbe essere le 18.30. Entro fine anno potrebbe esserci anche una presentazione a Roma, a breve news al riguardo.

Qui di seguito ho raccolto alcuni stralci delle varie recensioni ricevute su siti specializzati e su importanti riviste cartacee uscite nelle edicole come CIAK e FILMTV.

A tutti coloro che mi chiedono informazioni sul secondo volume, riferisco che la stesura è già iniziata e che parteciperà, in veste di guest writer, l'americano TOM BETTS che è rimasto entuasiasta del primo volume e si è offerto di collaborare per il secondo libro.

LARGO AI COMMENTI SU SPAGHETTI WESTERN VOL.1

"Un’inesausta cavalcata storico-filmografica che nulla ha da invidiare ai precedenti lavori sul tema (tutt’altro): il numero delle pellicole pistole & cowboy presso che sterminato è restituito da Mancini con una nonchalance-fiume da scrittore russo votato alla saggistica (e meno male che si dichiara mero “appassionato di cinema e non un critico”). Dal libro di Mancini si desume un lavoro di ricerca certosino, che rende finalmente giustizia a un filone che, nelle sue espressioni migliori, risulta più stratificato di quanto non appaia a prima vista." (MARIO BONANNO di Sololibri.net)


"In pochi si sono spinti così lontano per le lande polverose di un genere che ha reso il cinema italiano noto a livello internazionale; in pochi hanno cavalcato attraverso questo cinema con un’analisi così minuziosa, alla riscoperta delle sue retrovie, tentando una definitiva pacificazione tra l’osannato cinema d’autore ed i prodotti confinati nella serie B; in pochi hanno scavato fino alle profondità delle viscere di un genere, a volte odiato ed a volte amato, ma spesso poco conosciuto come il Western, in particolare nella sua declinazione nostrana. si tratta di un’opera che ripudia la linearità classica dei percorsi monografici, presentandosi come un prisma caleidoscopico che si ispira alle strutture comunicative della Rete, e come un blog o un diario virtuale affianca commenti di bloggers cinefili e di critici di settore all’interno di perimetri ideali e sfumati, offrendo punti di vista diversi e contrapposti sulla fenomenologia di un genere multisfaccettato, poliedrico e mutevole.
L’autore si avvale di un linguaggio moderno, fluido ed accattivante che trae ispirazione dai rivoli cinefili della rete; dalla sua opera trapela una forte ed autentica passione, un magma sovversivo ed affascinante che travolge il lettore appassionato del genere ma anche chi si avvicina per la prima volta al Western, anche grazie alla sua accattivante veste grafica. (MARIANGELA SANSONE di Sentieri Selvaggi)

"L’autore fa un lavoro di archeologia, lavora di cesello, e esamina le radici reali, dagli show di Buffalo Bill ai fumetti, fino ai primi film pre-leoniani. Un viaggio appassionato e appassionate." (GIANLUIGI PERRONE di Taxi Drivers)


"Matteo Mancini, laurea in legge e, altra laurea, anzi un vero e proprio dottorato in cinefilia (si dice così?) sul campo. Autore di Spaghetti Western. L’alba e il primo splendore del genere (anni 1963-1968), un ponderoso volume, il primo di una trilogia in argomento il cui obiettivo è « di avvicinare il pubblico giovane a un genere che al giorno d’oggi è il più sconosciuto e sottovalutato dalla cinematografia italiana». (CARLO GAMBESCIA)


"Davvero una ghiottoneria per gli amanti del genere e non solo... Lo stile è lineare e scorrevole, quasi fosse secondario. Ad attirare l'attenzione, infatti, bastano già i numerosissimi richiami ad autori e titoli, commentati oltre che da Matteo Mancini, anche da diversi blogger italiani e stranieri e da alcuni critici del settore." (ERICA RE per la rivista FILMTV, 2012 anno 20 n.39 - n.1027, pag. 22).


"Generosità di intenti e messe di informazioni per quella che potrebbe diventare la trilogia più esaustiva sul western all'italiana" (MASSIMO LASTRUCCI per la rivsta CIAK, N.10, Ottobre 2012, pag. 122).

martedì 16 ottobre 2012

Recensioni Narrativa: STELLARIA, AMORE MIO (Theodore Latique)


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Autore: Giuseppe Morabito (alias Theodore Latique).
Anno: 1980
Editore: Edizioni Il Momento.
Pagine: 130

Commento Matteo Mancini.
Romanzo breve che ho recuperato, insieme ad altri due, nelle mie scorribande nei mercatini dell'usato e dei libri fuori catalogo. L'opera fa parte di una collana periodica che usciva in edicola tra il 1977 e il 1980, edita dalle Edizioni Il Momento. Stiamo parlando della collana FANTASEX caratterizzata da romanzi erotici con ambientazioni e tematiche fantascientifiche scritte da autori italiani celati sotto lo pseudonimo inglese.
La collana, qualitativamente parlando, non è a livello degli Urania e nemmeno de I Racconti di Dracula, ma gode di un certo fascino potendo annoversarsi in quell'universo narrativo facente parte di una narrativa italiana tendente al pulp oggi relegata all'underground se non sparita del tutto.
Sono appena ventidue i numeri di Fantasex di cui dieci usciti nel 1979, prima della riproposizione degli stessi, a gruppi di due o tre per volta, nelle collane I Racconti Fantastici e ne I Classici della Fantascienza Erotica sempre editi dalle Edizioni Il Momento.

Il romanzo che andiamo qui ad analizzare è l'ultimo edito dalla collana, scritto dall'autore di punta della stesa cioè Theodore Latique, al secolo Giuseppe Morabito. Autore giovanissimo, appena ventenne all'epoca dell'uscita del romanzo, Morabito conta ben otto presenze sui ventidue testi pubblicati dalla Fantasex, seguito a distanza da John Ditt che ne vanta quattro (i due, da soli, sono autori di oltre metà della collana, n.d.c.), mentre tutti gli altri hanno beneficiato di una o due pubblicazioni.

Dotato di uno stile essenziale, funzionale a una tipologia di lettori alla ricerca di storie immediate, semplici e un po' spinte, Morabito proseguirà la sua carriera piegando definitivamente sul versante porno-erotico pubblicando un numero copioso di romanzi in collane quali Confessioni, Vicende Morbose e Superviola.
L'interesse dell'autore per le storie perverse e pruriginose (con dovizia di particolari per quel che concerne le fantasie erotiche dei protagonisti) traspare in modo netto anche in questo Stellaria, Amore Mio. Il romanzo, di fatto, si compone di tre ingredienti: da una parte un'ambientazione fantascientifica e futuristica con umani che vivono in pianeti dispersi nel cosmo e intraprendono guerre di conquista spostandosi con astronavi da un pianeta all'altro, subendo degli sbalzi temporali incidenti sul loro corpo (in sostanza chi intraprende i viaggi nello spazio invecchia molto meno rispetto a coloro che restano sui vari pianeti); dall'altra parte abbiamo un background filosofico con un personaggio che assiste il protagonista e che pare uscito dalla scuola dei filosofi dell'antica Grecia. Il tutto viene poi miscelato e travolto da un contesto torbido, corrotto, intriso di perversioni di ogni genere (ci sono pedofili, pederasti, colonnelli che si travestono da donna per soddisfare i loro piaceri sessuali, mezzi incesti, bordelli, sesso di gruppo, molti personaggi che provano indistintamente piacere in rapporti etero o omosessuali stupri, acquisto di donne e bambini nelle aste pubbliche frequentate da individui libidinosi e chi più ne ha più ne metta) con Morabito che si fa prendere la mano e si sofferma più del dovuto in passaggi, a mio avviso, volgarotti, spesso gratuiti e talvolta persino di cattivo gusto.
Ne deriva un romanzo dove la componente erotica (in alcuni passaggi addirittura pornografica) risulta essere la prevalente, mentre il resto è funzionale a rendere il racconto idoneo alla collana in cui è inserito.

Protagonista è Martin, un giovane diciannovenne rapito da bambino, mentre vagava col padre e la madre nello spazio, da dei pirati stellari e condotto in un pianeta dove l'unica cosa imporntate sembra essere la ricerca dei piaceri sessuali. Sbarcato nel nuovo mondo, il piccolo viene salvato da un nobile locale che lo acquista all'asta strappandolo ai pedofili, perché riconosce il tatuaggio che il pargolo ha su un gluteo. Si tratta di un simbolo che testimonia la dinastia nobiliare del piccolo.
Accolto nel palazzo regale, Martin viene educato da un precettore filosofo che teorizza l'inesistenza sia della materia che del tempo: il tempo è pura illusione e nulla esiste, se non un immenso e frastagliato campo di forze che si intersecano. Questo va dicendo l'uomo.
Divenuto maggiorenne, Martin viene sedotto da Stellaria, cioè la figlia del suo stesso padrone che li sorprende mentre stanno amoreggiando. Deluso dall'atteggiamento del figlioccio, il nobile caccia Martin dal palazzo per aver osato accoppiarsi con un'appartenente a una casta superiore alla sua.
Il giovane, spaesato in un mondo a lui alieno, decide di arruolarsi nell'esercito locale per acquisire rispetto in città e poter così tentare di riabbracciare la sua Stellaria. Intraprende così una missione di pochi mesi, partecipando a una campagna militare su un altro pianeta. Quando rientra a casa però, sebbene per il suo corpo siano passati solo pochi mesi, scoprirà di esser mancato all'appello per circa venti anni. La cosa inizialmente lo soprende, perchè lui non è invecchiato ed è convinto di esser mancato per poco. Il fenomeno, all'apparenza assurdo, viene giustificato dalla velocità tenuta dalle astronavi nello spazio, una velocità tanto veloce da interferire con il decorrere del tempo. In sostanza chi prende un'astronave invecchia più lentamente rispetto agli altri.
La città intanto è caduta in mano straniera. La famiglia del vecchio padrone di Martin sterminata, Stellaria stuprata da interi reggimenti di militari e rinchiusa in svariati bordelli a soddisfare piaceri di uomini e donne facoltose, mentre il filosofo precettore è caduto in una disgrazia tale da vivere da barbone dopo essersi salvato dall'aggressione di un branco di cani.
Intenzionato a ritrovare Stellaria, Martin troverà la collaborazione proprio del vecchio filosofo e persino di sua madre che ritrova come gestrice di un bordello. Riuscirà così nel suo intento e scoprirà che anche Stellaria non è invecchiata (per il suo stesso motivo, in quanto inviata su un altro pianeta e in seguito scappata spacciandosi per militare) ma la troverà molto diversa nello spirito. La giovane, infatti, è una prostituta rifinita sia nelle gestualità che nel lessico.

Questa la sostanza di un romanzo elementare nella costruzione dell'intreccio (sono tutti allupatissimi e alla ricerca del mero piacere sessuale eccetto il sentimentale protagonista che, per questo, non viene compreso dagli altri), velocissimo da leggere e tutto incentrato sulla componente porno-erotica (quella fantascientifica è meramente strumentale), privato da ogni velleità artistica o intellettuale anche se Morabito tenta di inserire vari passaggi filosofici che si chiudono con un epilogo piuttosto sempliciotto che rispecchia il target perseguito dal romanzo. Spetta difatti al filosofo il compito di chiudere il romanzo con la seguente massima: al mondo nulla esiste se non un immenso e frastagliato campo di forze che si intersecano, e in questo nulla, tra queste forze ce n'è almeno una che ti da piacere. Per quel che ho capito, è l'unica cosa che vale la pena di perseguire. Il vecchio si riferisce così al piacere sessuale.

In conclusione si tratta di una lettura solo per spiriti pruriginosi e per chi curiosa nel mare delle collane perdute. Astenersi tutti gli altri, compresi gli affezionati della narrativa fantastica.

PS: la copertina del libro non ha nulla a che fare con la storia, dunque non attendetevi arpie, donne volanti o creature tipiche di contesti fantastici o mitologici.

martedì 9 ottobre 2012

Recensione Narrativa: SAGGEZZA STELLARE (AA.VV.a cura di D.M. Mitchell)



Autore: AA. VV.
Curatore: D.M Mitchell.
Anno: 1994.
Editore: Einaudi.
Pagine: 190.
Prezzo: 13.000 lire.


Commento Matteo Mancini.
Originale omaggio anglo-americano al mito di H.P. Lovecraft che mischia le tematiche dello scrittore di Providence con massicci ammiccamenti all'erotismo e a uno stile narrativo vicino alla recente corrente fantascientifica del connettivismo.
Sono tredici i racconti che appaiono nella versione (tagliata) italiana, firmati da un mix di autori conosciuti nel panorama fantascientifico/orrorifico che hanno in James G. Ballard e Ramsey Campbell le loro punte, e un folto gruppo di scrittori alla loro unica apparizione in Italia.

Rispetto alle canoniche antologie legate alla narrativa lovecraftiana, Saggezza stellare si segnala per il suo voler essere sperimentale e dunque fresca e svincolata dai classicismi. Ne deriva un lotto di racconti capaci di evocare immagini visionarie fortissime, in cui l'orrore si unisce all'incubo assumendo contorni distorti che proiettano il lettore in dimensioni dominate dalla follia più malata, lasciandogli un senso di inadeguatezza e smarrimento mentale.
Molti i testi in grado di disturbare a fondo, magari anche se solo in alcuni frangenti. Il voler esser sperimentali a qualunque costo, però, determina anche delle controindicazioni con almeno tre/quattro racconti illeggibili o quasi, a causa di stili narrativi troppo leziosi e infarciti di tecnicismi che potranno esaltare gli amanti del cyberpunk ma finiranno con il far storcere il naso a tutti gli altri (fan di Lovecraft compresi).

La palma del migliore va al racconto del curatore D.M. Mitchell, Reparto 23. La prima particolarità, vista la qualità del racconto, sta nel fatto di essere l'unico testo di questo autore a esser stato tradotto in Italia. La storia è ambientata in un reparto di psichiatria in cui i pazienti assumono strani comportamenti: ballano in cerchio e intonano canti in lingue sconosciute. Preoccupato, il primario scopre che il fenomeno non è limitato all’ospedale ma riguarda anche il mondo esterno. Tutto è legato al passaggio di una stella nomade che preannuncia l’avvento del secondo messia: l’anticristo.
Siamo alle prese con un horror a tutti gli effetti, che ricorda un po' alcuni soggetti di Valerio Evangelisti della saga Eymerich (penso a Picatrix) e che si chiude con un epilogo apocalittico. Davvero un'ottima prova!

Assai qualitativo è anche Prigioniero dell'Abisso di Corallo, firmato da un maestro indiscusso della fantascienza britannica e non solo: James Graham Ballard.
Il racconto è solo velatamente orrorifico e ha poco da spartire con le tematiche lovecraftiane, se non un'atmosfera marcescente proiettata al passato più siderale. Protagonista è un insegnante in escursione in una grotta marina. Qua trova una conchiglia del periodo cambriano, e soprattutto una donna avvolta da una vestraglia che lo invita ad ascoltare dentro il reperto. L’insegnante accetta l'invio e, accompagnato da suoni lontani, viene rapito da una serie di immagini del periodo preistorico dove dinosauri e leviatani scorrazzano nello stesso luogo in cui egli si trova.
Anche questo è un grande testo, molto evocativo, sebbene sia più legato al genere fantastico. Ballard, come sua abitudine, fa largo ricorso alle metafore, usando il mare in una connotazione simbolica: esso è l'emblema del ricordo della madre Terra.

Si torna all'horror con quello che forse, tra i racconti proposti, è l'omaggio più legato alle tematiche del solitario di Providence. Lo firma Don Webb, esponente statunitense della narrativa cyberpunk. Webb tuttavia, a differenza di altri colleghi raccolti da Mitchell, adotta nella fattispecie uno stile più consono all'operazione. Esce così fuori Il Rumore di una Porta che prende le mosse quale resoconto di uno scherzo ordito da un trio di burloni che pagheranno a caro prezzo la loro superficialità. Tutto ruota attorno a uno scherzo per beffare i fan di Lovecraft. I tre infatti inseriscono su un forum monotematico il titolo di un film fasullo dicendo che lo stesso ha ispirato la narrativa del solitario di Providence e che ne è in circolo una sola copia. Convinti di avere il controllo del gioco e ben felici di vedere le risposte degli utenti della rete, con alcuni che sostengono di aver visto il film sebbene esso non esista, finiranno per cadere a loro volta vittime di quello che sembrerebbe essere un gioco ma che invece non lo è. Ciascuno dei tre viene contattato da individui misteriosi che segnalano la presenza di una località, alle Hawaii, che avrebbe ispirato i testi di Lovecraft e da cui, attraverso dei ciclopici edifici di basalto, sarebbe possibile acquisire la saggezza mentale evocando le divinità astrali autrici delle sculture. Attratti dagli inviti, i tre finiranno coinvolti in qualcosa di più grande di loro e scopriranno, a loro spese, misteri su cui non avrebbero dovuto indagare.

Regala sprazzi di grande narrativa dell'orrore anche l'inglese David Conway, altro sconosciuto alla sua unica apparizione in Italia, che sfiora il capolavoro con Statica Nera. Il suo è un misto tra cyberpunk, orrore a metà strada tra La Cosa di Carpenter e Alien di Ridley Scott, pennellate alla Clive Barker (soprattutto sul finale con un uomo ermafrodita abbandonato in mare, dilaniato e completamente scarnificato, con squali affamati che gli divorano la carne) ed esoterismo fantastico espresso alla massima potenza (con vari simboli pagani che fanno la loro comparsa). Purtroppo un prologo e un epilogo eccessivamente leziosi nonché appesantiti dalla ricercatezza di terminologie tecniche penalizzano, a mio avviso, il risultato rendendo difficile la comprensione del tutto.
Qua abbiamo una spedizione di scienziati e militari incaricati di gettare luce sull'improvvisa scomparsa di un gruppo di astronomi confinati in una stazione eretta nel bel mezzo dell'oceano, su di un'isoletta non abitata. Gli astronomi infatti non danno più segnali di vita, al punto che si mormora della diffusione di un virus che li ha uccisi tutti.
Giunti in loco, la squadra di salvataggio si imbatte in quella che sembra essere la scena di un suicidio di massa. I cadaveri degli astronomi, tuttavia, manifestano delle strane metamorfosi anfibie e vengono ritrovati avvolti in cabine che sembrano quelle utilizzate dagli astronauti per ibernarsi nello spazio. Inoltre, hanno posizionato sul capo un caschetto finalizzato a trasmettere immagini di una realtà virtuale sconosciuta. Si scoprirà così che il responsabile del progetto, un folle interessato all'occulto e alla ricerca di vita extraterrestre nell'universo, ha intercettato dei rumori provenienti dallo spazio siderale capaci di determinare delle mutazioni genetiche nel corpo delle persone per farle evolvere nelle grandi dinastie che dominavano la Terra al tempo dei dinosauri e a cui va il merito dei più grandi progressi dell'umanità. La follia e la morte saranno così il destino della squadra di salvataggio, mentre un orrore apocalittico investirà la Terra. Dunque un grande testo, però non sempre facilemnte seguibile per il vezzo di Conway di scendere troppo spesso in tecnicismi scientifici.

Meno qualitativi, ma comunque sufficienti e decisamente conditi da una forte componente erotica, sono i testi di tre veterani come Ramsey Campbell, Alan Moore e William S. Burroughs nonché del giovane Robert M. Price (altro all'unica traduzione in Italia). Dei quattro i più brillanti si rivelano proprio quest'ultimo e Ramsey Campbell. Entrambi, non disdegnando velati passaggi filosofici, portano in scena delle sette che contemplano le orgie come strumento esoterico.
Price con Percorso Perverso chiama in causa uno studente universitario, appassionato della narrativa di De Sade e di Gilles De Rais, interessato a sperimentare qualunque forma di esperienza sessuale. Il giovane è convinto di trovare nel sesso la pace dei sensi e il vero senso della vita. Un giorno, per caso, scopre l'esistenza di una setta dedita a praticare riti orgiastici all'interno di una Chiesa semi abbandonata. Motivato a farvi parte, decide di superare le varie prove iniziatiche proposte dal santone di turno. Le azioni prevedono rapporti sessuali omosessuali, zoofilia, necrofilia e infine stupro. Annesso all'orgia, il giovane scoprirà che dietro a tutto c'è una creatura tentacolare che si nutre della vitalità dei partecipanti attraverso alieni organi sessuali. La visione lo porterà a scegliere la via della castità.

Non dissimile, anche se meno qualitativo e sicuramente meno caratterizzato, è Potenziale del più famoso Campbell. Qua abbiamo un uomo di mezza età, annoiato dalla vita di tutti i giorni e alla ricerca di sé stesso, che decide di partecipare a una festa da ballo dei figli dei fiori. Isolato dal gruppo di giovani, viene avvicinato da un uomo depresso che da l'impressione di essere un giornalista. Questo lo convince ad abbandonare la festa per recarsi in un posto abbandonato in possesso di una setta che studia la via per sviluppare il potenziale della mente umana. Giunto in loco, il protagonista sarà messo davanti a un bivio: uccidere una donna seminuda legata a un palo e apparentemente ferita oppure uccidere colui che l'ha portato là dentro. La scelta farà nascere un mostro che uscirà direttamente dal corpo dell'uomo e che gli adepti della setta stavano attendendo da anni. Dunque un testo sinistro, dal finale ambiguo che si presta a varie interpretazioni comprese quelle metaforiche.

Ancora più perversi, ma discontinui, i testi di due grandi maestri come Burroughs e il fumettista Alan Moore. Il primo con Muore il vento, Muori Tu, Muoriamo Tutti, tratteggia un autentico delirio incastrato in quella che si rivelerà essere una vera e propria scatola cinese. Difatti troviamo un uomo intento a leggere un racconto di un altro uomo che, a sua volta, legge un racconto di un altro che legge un racconto. Nell’ultima storia però i fatti narrati in una cittadina desolata, non più protetta dai venti di Dio, diventano realtà a causa di un virus sconosciuto che finisce per lo stazionare nell'atmosfera. Le donne si trasformano così in bizzarre creature, con chele al posto delle mani, coda di scorpione e mammelle pendule di cuoio, costringendo gli uomini in trincee. Dunque un racconto con passaggi non sempre all'altezza della situazione, ma con un epilogo d'effetto a dir poco bizzarro.

Sceglie invece la via del sequel del lovecraftiano L'Orrore di Red Hook, Alan Moore (papà di sceneggiature come V per Vendetta e Watchmen) proponendo Il Cortile. Rispetto al testo di riferimento, scompaiono i riferimenti esoterici a favore di un taglio più sci-fi. Qua, a giustificare le indagini di un agente federale chiamato a risolvere una serie di truculenti delitti perpetrati da individui diversi e privi di un collegamento apparente (se non l'asportazione di parti anatomiche), è l'utilizzo di una droga nuova capace di stimolare un nuovo e sconosciuto linguaggio. Le indagini si orientano così in un ambiguo locale notturno: lo Zotique (citazione a C.A.Smith).

Qualche buon passaggio per gli altri quattro testi, ma racconti difficili da assimilare, al punto da rendere difficoltosa persino la stesura di una semplice sinossi, e che paiono dei veri e propri trip inflazionati da termini tecnici che ne fanno delle vere e proprie “seghe mentali”. Tra essi meritano una lettura, solo per la forte capacità di evocare deliranti immagini oniriche, Lovecraft in Cielo di Grant Morrison (altro fumettista, piuttosto noto agli amanti della saga X-Men), il quale, dopo aver parlato delle difficoltà relazionali nonché sessuali di Lovecraft, porta in scena l'autore in punto di morte assillato dai deliri (vede persino il padre e la madre amoreggiare sotto terra) ma ancora capace di prendere appunti per le sue storie, ed Estratto dalla bocca del consumatore di Michael Gira (bellissimo uno stralcio in cui si assiste alla descrizione di un corpo smembrato in più parti capaci comunque di vivere di vita autonoma, con tanto di testa decapitata parlante).
Completamente illeggibili i testi di D.F. Lewis (parodia fuori di testa la sua) e di Adèle O. Gladwell.

In definitiva Saggezza Stellare, nonostante si proponga come una raccolta nel segno di Lovecraft, non è un testo destinato a un pubblico affamato di storie di pronta soluzione o comunque caratterizzate da uno stile impersonale o commerciale. La quasi totalità dei racconti si distingue per un taglio sperimentale distante dallo stile del solitario di Providence e con molti riferimenti erotici pressoché presenti in quasi tutti i testi. Ne deriva un lotto di racconti che si alternano tra storie oniriche basate su una struttura ben definita e altre (penso ai testi degli sconosciuti Gira, Gladwell, Morrison) che invece, pur mantenendo la componente visionaria, sono prive di una scheletratura di fondo e diventano dei veri e propri trip (alcuni sono una sorte di flash sulla salute mentale di Lovecraft) difficili da seguire per chi legge (direi persino impossibili per chi è avvezzo solo di letture commerciali). Voto: 6,5=

sabato 6 ottobre 2012

Recensione narrativa: OLTRE LA SOGLIA (Arthur Machen)




Autore: Arthur Machen.
Editore: Tranchida Editori Inchiostro.
Anno: 1993
Pagine: 110.
Prezzo: 10.000 lire.

Commento Matteo Mancini.
Interessante tentativo, per lo meno per l'impegno, della Tranchida Editori Inchiostro. La casa editrice di Milano, dopo alcune pubblicazioni della Fanucci, decide di presentare nel 1993 ai lettori italiani un lotto di racconti, per lo più inediti (in Italia), dell'autore Arthur Machen, celebre per storie fantastico/esoteriche del calibro de Il Gran Dio Pan, Gli Arcieri e Il Popolo Bianco.
Le pagine a disposizione sono poche (110 pag.), complice il formato tascabile del libro, tuttavia sono sufficienti a raccogliere ben nove testi dello scrittore gallese dei quali solo due già apparsi in Italia.

Siamo dunque alle prese con un volume che non può mancare nella biblioteca degli studiosi dell'opera di Machen, anche se, a mio avviso, può essere tralasciato dagli altri. Difatti, dei nove racconti proposti solo tre possono considerarsi ai livelli di un racconto medio di Machen, il resto oscilla tra un mero esercizio stilistico e un tentativo di dar vita a una produzione drammatica piuttosto che orrorifica.

Rispetto ai capolavori dell'autore, si nota altresì la quasi totale assenza di riflessioni filosofiche-metafisiche a causa di testi per lo più troppo brevi per sviluppare certi concetti. Viene perciò dato spazio a elaborati della lunghezza di cinque-sei pagine, con il solo L'Albero della Vita a derogare al trend in virtù delle sue ventotto pagine.
Ecco che esce fuori un'antologia un po' deludente, non solo per una qualità lontana dagli standard dell'autore, bensì per la presenza di troppi testi aventi il ruolo di mero esercizio di stile ovvero di scimmiottamenti ad autori interessati ai disturbi mentali dell'uomo anziché di tematiche fantastiche.

Dei nove, ritengo di segnalare tre racconti che, a mio avviso, spiccano nettamente sugli altri. Si tratta di un trio di storie nate sulla scia dell'enorme successo ottenuto da un racconto come Gli Arcieri. Machen, per cercare di bissare il successo (non ci riuscirà quanto meno in termini di riscontro economico), insiste nel raccontare storie di soldati inglesi, impegnati contro quelli tedeschi, protetti dal provvidenziale intervento trascendentale.
Il migliore - peraltro inserito anche nell'antologia della Fanucci, datata 1987, Le Creature della Terra - è I Bambini Felici (The Happy Children). Si tratta di una ghost story caratterizzata da un'atmosfera sinistra che, simile a nebbia, scende a pervaderla in un crescendo di orrore di lovecraftiana memoria.
Protagonista è un giornalista, di passaggio in una cittadina balenare, incaricato di stendere un articolo sui tedeschi. L'uomo, di ritorno dal luogo indicato dall'editore e alloggiato in un albergo di un paese prospiciente sull'Atlantico, durante una passeggiata notturna si imbatte in una processione di bambini vestiti di bianco. Nonostante l'oscurità, si accorge che i piccoli hanno delle strane ferite sul corpo e alcuni di loro hanno delle alghe tra i capelli. Scoprirà, alcuni giorni dopo, di aver scorto i fantasmi dei bimbi deceduti a causa della guerra ed emersi direttamente dall'oceano per recarsi a ricevere la messa annuale in omaggio dei Santissimi innocenti sterminati a suo tempo da Erode.
Dunque un testo intriso da una forte componente religiosa e patriottica, tipica delle storie scritte da Machen nel periodo della prima guerra mondiale, esaltata da suggestive descrizioni del paesaggio che creano un aura magica dal sapore antico.

Di buon livello e molto vicini alle tematiche de Gli Arcieri sono Il Tamburo di Drake (Drake's Drum) e soprattutto Il Rifugio dei Soldati (The Soldier's Rest). Entrambe le storie sono ambientate nella prima guerra mondiale e vedono in scena soldati inglesi. Nel primo racconto i soldati britannici, come nel più famoso racconto di Machen, piegano le resistenze della flotta teutonica grazie a un intervento per un certo senso divino. Questa volta non sono gli angeli a scendere nella nostra dimensione, ma un tambureggiare che lascia basiti sia i tedeschi che gli inglesi, con i primi che pensano si tratti di un suono di guerra che si diffonde dalle navi nemiche, mentre i secondi restano perplessi e sempre più convinti di essere stati assistiti dal famoso capitano Francis Drake sceso da chissà quale dimensione ultraterrena per proteggerli. Di grosso livello l'introduzione che Machen fa al racconto, come nei suoi elaborati più ispirati. In essa parla dei sogni come via per intuire sprazzi di realtà celati sotto la caducità del quotidiano, ma anche del suo scetticismo in ordine alla possibilità di un contatto tra i vivi e i morti. I due aspetti possono essere sintetizzati da questi due passaggi: “nei sogni, nella veglia e nei sogni a occhi aperti, la maggior parte di noi, suppongo, penetra in un altro mondo, il mondo oltre la cortina nera, ma non ne conserviamo il ricordo; il segreto sembra debba rimanere inviolato”. “Se noi, ancora nella carne, non possiamo dare un senso compiuto alle nostre visioni, difficilmente sembra probabile che quelli che hanno oltrepassato i bastioni fiammeggianti del mondo siano in grado di chiacchierare con noi così facilmente e cordialmente del loro regno.”

Il Rifugio dei Soldati invece assume un ruolo propagandistico che fa leva sul patriottismo e più in particolare sui valori che devono orientare la condotta di un vero soldato ovvero l'altruismo, la fedeltà e il sacrificio verso la propria bandiera. Machen trasmette il messaggio mettendo in scena un soldato ferito alla testa durante uno scontro a fuoco con i tedeschi e raccolto da uno sconosciuto pastore vestito di nero. Il soldato racconta al suo salvatore i fatti che lo hanno portato a essere colpito dal fuoco nemico. Svela così di essersi immolato, gettandosi allo scoperto, per congiurare che i compagni cadessero vittime di un'imboscata orchestrata dai tedeschi. A termine della storia, l'uomo scoprirà di non trovarsi al cospetto di un pastore, bensì di San Michele in persona e di esser stato annesso al suo schieramento per il coraggio e l'alto valore dimostrato sul campo di battaglia.

Se questi sono i tre racconti che rendono quanto meno interessante l'antologia per gli studiosi di Machen, il resto delle storie enstusiasmano poche anime sensibili. Esse possono essere divise in due gruppi: da una parte gli esercizi di stile utili come bozze embrionali da cui attingere storie più complesse; dall'altra racconti di stampo drammatico piuttosto alieni rispetto alla produzione macheniana.
Sotto quest'ultimo profilo abbiamo un omaggio a Edgar Allan Poe (il riferimento va a Il Cuore Rivelatore) con La Stanza Accogliente (racconto già apparso in alcune antologie gialle) in cui un assassino finisce per farsi arrestare in quanto afflitto dall'ansia di essere arrestato, e L'Albero della Vita (The Tree of Life), storia lentissima sullo stile degli autori britannici scuola '800 che narra i fatti di un nobile, figlio illegittimo, che crede di essere un genio dell'agricoltura e di avere al servizio una serie di agricoltori e contabili, ma che in realtà è un malato di mente (oltre che affetto da gravi problemi deambulatori) assistito da medici e infermieri (che egli crede sua manovalanza) e chiuso, a sua insaputa, in un castello trasformato in manicomio. Questo secondo racconto, il migliore dopo la terna sopramenzionata, ha il merito di crescere di interesse alla distanza con un'ultima parte ricca di colpi di scena in grado di trasmettere un senso di amarezza al lettore.

Chiude il gruppo un terzo racconto sulla pazzia, Oltre la Soglia (Opening the Door), questa volta il tema verte sull'Alzheimer. Abbiamo un reverendo studioso di testi sacri preda di un esaurimento nervoso che lo porta a perdere la cognizione del tempo e dello spazio. L'improvvisa scomparsa da casa del poveretto e il suo successivo ritorno, quando ormai tutti lo davano per disperso, porta un giornalista a indagare sul fatto. Machen tesse una trama dall'inizio accattivante in cui si pensa che vi sia un qualcosa di paranormale ad aleggiare sui fatti misteriosi che colpiscono il reverendo, la sensazione però finisce col restare tale e la storia prosegue stancamente verso la fine che propone un caso che oggi sembra esser ritornato di moda (quello dell'improvvisa scomparsa nel nulla degli anziani).

Da annoverarsi tra i meri esercizi stile, invece, i brevissimi I Turaniani (The Turanians), La Cerimonia (The Ceremony) e il poetico Il Roseto (The Rose Garden) che ripropongono quell'interesse di Machen per le storie ambientate nel bosco (tipico di alcuni suoi cult horror), tra sculture (nella fattispecie un pilastro di pietra dalla forma piramidale) sepolte dalla vegetazione e popoli (nella fattispecie zingari) che vivono nella foresta e che, nonostante le raccomandazioni degli adulti, attirano la curiosità degli adolescenti.

Nel complesso un'antologia in cui serpeggia un po' di delusione. Credo possa definirsi un progetto destinato agli studiosi di una certa narrativa, che personalmente indico come evitabile per tutti gli altri stante la secondarietà, rispetto alla produzione di prima fascia dell'autore, delle opere ivi inserite. Voto: 5.5