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venerdì 2 agosto 2013

Filosofia greca presocratica in pillole

Articolo di Matteo Mancini
Pubblico qui di seguito, per mero diletto, un mio sunto sui filosofi presocratici che possa essere da stimolo per lo studio della materia a chi (come il sottoscritto) non abbia fatto studi liceali. Ho cercato di rendere più semplice possibile la materia, studiando su varie fonti. Passo ora alla trattazione.

In origine, prima dell'avvento della filosofia, c'era il solo mito. Dopo arrivarono i SETTE SAVI, i quali, un po' come il gruppo degli 88 Folli di Kill Bill Vol.1 non era composto da tante unità, non erano affatto sette ma molti di più sebbene poi venissero chiamati così evidentemente perché, come per il film di Tarantino, era più fico. Fu con loro che iniziò a nascere il germe della materia.
Ci troviamo tra il VII e il VI secolo A.C., agli albori della filosofia. Questi sette savi, o meglio i sette sapienti, erano conosciuti per le loro perle di saggezza. Potremmo quasi dire che sono coloro che hanno inventato gli aforismi come noi oggi li conosciamo. Le loro massime finivano per essere utilizzate in politica e nell'educazione dei figli.
Erano tipi di poche parole, che anteponevano il pensiero e l'ascolto alla parola e invitavano gli altri a fare altrettanto.
Tra queste massime la più famosa è quella di Biante, il quale ebbe a dire, ben prima di Thomas Hobbes, che la maggioranza degli uomini è cattiva, specie quando diviene massa.
Dunque una netta critica alla democrazia, peraltro esaltata dalla massima di un anonimo ateniese che ebbe a dire che nei migliori c'è il minimo di sfrenatezza e di ingiustizia, e il massimo d'inclinazione al bene; mentre nel popolo c'è il massimo d'ignoranza, di disordine e di cattiveria, in quanto la povertà spinge all'ignominia e così la mancanza di educazione.

Tra questi savi figura colui che viene spesso identificato come il primo filosofo ovvero TALETE, il quale dette avvio alla prima scuola filosofica che si ricordi in Grecia ovvero quella di MILETO (c.d. scuola Milesia).

Gli appartenenti a questa scuola sono i primi che vengono ossessionati dalla necessità di trovare il fondamento del tutto, cioè il principio che sta alla base della creazione, il c.d. principio primordiale, e che viene da essi definito con il termine arché.
Come è facile intuire, data l'antichità dei tempi in cui vivevano questi personaggi, emergono le teorie più fantasiose, strampalate, ma hanno la grossa importanza di testimoniare come i saggi dell'epoca ponessero maggiore attenzione ai misteri esistenziali e cercassero le risposte alle tante domande piuttosto che a recipere passivamente i fatti e la realtà così come viene registrata dai sensi.

La visione degli appartenenti alla scuola di Mileto si può definire naturalistica, perché ognuno di questi filosofi, da attenti osservatori della natura, va a ricercare l'arché in un elemento naturale. il minimo comun denominatore è costituito dalla supposta esistenza di quattro elementi base: Acqua, Aria, Terra e Fuoco.
Le diversità sorgono nella diversa interpretazione del ruolo di questi elementi e di come questi interagiscono con gli altri.
Così per Talete l'acqua era l'essenza del creato, il principio primordiale da cui tutto ha avuto inizio. E' l'acqua che, solidificandosi o bollendo, assume diversa consistenza e tutto, mediante apposite trasformazioni, torna a essere di nuovo acqua.
La stessa Terra, ad avviso del filosofo, non era altro che una sorta di zattera galleggiante su un'enorme distesa d'acqua.

La pensa diversamente ANASSIMANDRO, allievo di Talete. Noto per esser stato il primo ad aver disegnato una carta geografica (peraltro con annotazioni sui popoli indigeni e consigli pratici di navigazione), Anassimandro è anche il primo che tenta di rompere gli schemi. Egli ritiene esistente un quinto elemento capace di comandare i quattro convenzionali, poiché in assenza di esso i quattro elementi finirebbero per sopraffarsi vicendevolmente. Anassimandro infatti concepisce questi elementi come pronti ad assalire i loro opposti. Ecco quindi la necessità di un equilibrio dettato da un super-elemento super partes che viene definito l'àpeiron, cioè una sostanza indefinita e infinita da cui tutto avrebbe avuto origine (dal movimento di esso si sarebbero sottratti i contrari e i quattro elementi base) e nella quale tutto sarebbe andato a finire. All'inizio c'era solo l'àpeiron.
L'aver concepito la presenza di un qualcosa di supremo che disciplina l'evolversi dei fenomeni naturali fa di Anassimandro il primo filosofo mistico e cosmologico.

ANASSIMENE invece torna a una visione più tradizionale, spostando l'attenzione sull'aria. In realtà, sostiene il filosofo, alle origini non c'erano quattro elementi ma solo l'aria. E' quest'ultima che, a causa di due fenomeni meccanici come la rarefazione e la condensazione, si è trasformata negli altri tre elementi, inducendo così in errore i precedenti filosofi milesi. Il fuoco è aria in condizioni particolarmente rarefatte; l'acqua e la terra sono aria condensata.
In altre parole i diversi elementi naturali differiscono tra loro per ragioni quantitative, essendo tutti formati di aria che pertanto è il vero arché.

Si arriva ora ai due primi grandi filosofi greci, peraltro i miei preferiti tra i presocratici. Due soggetti apparentemente diversi, ma assai simili nel loro atteggiamento (superbo) verso il popolo e anche verso i colleghi, guardati un po' dall'alto verso il basso con fare altezzoso.
Due filosofi ermetici, a cui piaceva rendere enigmatici i propri pensieri per renderli fruibili solo ai più meritevoli. Pensieri intrisi di una fede dogmatica, cui obbedire senza remore o seghe mentali. Sto parlando di Pitagora e di Eraclito. Il primo fondò una scuola tutta sua, una sorta di setta iniziatica sulla cui scia sono poi nate le odierne società segrete, l'altro concepì un interessante pensiero da vero e propio solitario disancorato da qualunque scuola precostituita.
Vediamoli nel dettaglio.

ERACLITO , detto l'oscuro per i suoi modi enigmatici (Socrate disse che solo un sub, abituato alle tenebre degli abissi, avrebbe potuto comprenderlo appieno), nasce attorno al 500 A.C. Era un tipo che andava in giro a dire che la maggior parte delle persone sono scadenti e che pensano, invece che alla gloria, a saziarsi come bestie, perché privi di intendimento e incapaci di rendersi conto di ciò che fanno. Era un tipo un po' narcisista che quando riteneva di aver bisogno di un aiuto, diceva in pubblico: "Aspettate un momento, devo andare a consultare me stesso". Disinteressato completamente ai soldi e al potere, aveva critiche per tutti e adottava uno stile da oracolo, poichè non voleva comunicare con le masse che dispregiava di continuo. "Un oracolo non dice, né nasconde, ma accenna". Un modo di fare arrogante, ma con una filosofia assai sviluppata per l'epoca.

Eraclito prende le mosse dalla concezione naturalistica della scuola di Mileto, ma si distingue subito vedendo nel Fuoco l'elemento principe da cui tutto ha avuto inizio senza però affermarne la superiorità sugli altri elementi. Il fuoco diviene così il simbolo di un continuo mutare e trasformarsi (il c.d. panta rei, tutto scorre) in una lotta tra gli opposti dove non ci sarà mai un vincente (perché ciò comporterebbe anche il suicidio del vincitore) e da cui si genera fuoco.
Non esistono oggetti che non subiscano delle modifiche, è tutto mutevole e la lotta è una norma di vita che sta alla base della vita stessa. Senza lotta non ci sarebbe vita.
La guerra è il padre di tutte le cose, perché le cose sorgono grazie alla contesa.
Non è la malattia che rende buona la salute? Non è il travaglio che rende dolce il riposo? continua Eraclito.
Dunque esiste una legge naturale (il c.d. logos) che regola la lotta fra i diversi elementi e rende razionale il conflitto cosmico apparentemente così caotico.

PITAGORA nasce attorno al 570 A.C. nei pressi di Mileto, tuttavia non è ascrivibile alla scuola dei milesi anche perché si trasferì presto nella magna Grecia. E' grazie a lui che esiste il termine filosofo (cioè amante della sapienza), perché fu lui stesso a definirsi tale per la prima volta.
Oltre per i teoremi matematici, Pitagora è ricordato per essere il primo ad aver fondato una scuola iniziatica i cui membri dovevano rispettare una serie di regole dal significato metaforico. Realizzò un vero e proprio linguaggio criptico fatto di simbolismi vari e codici numerici aventi specifici significati.
Si faceva chiamare il Maestro, anche perché il suo nome non veniva mai fatto esplicitamente e non si mostrava mai ai suoi allievi, limitandosi a nascondersi controluce dietro a una tenda.
I suoi insegnamenti, a cui si poteva essere iniziati solo dopo attenta selezione, avevano carattere dogmatico, non era possibile contraddire quanto veniva esposto dal maestro, da qui la massima ipse dixit (così ha detto).
Il fulcro fondamentale del pensiero di Pitagora ruota su due aspetti cardine, il primo dei quali non poteva che essere l'arché.
Qua Pitagora spiazza tutti, perché la sua non è una visione naturalistica. Per Pitagora l'arché è il numero, poiché avendo tutte le cose di questo mondo una forma esse possono sempre scomporsi in un insieme di punti o di linee e quindi di numeri.
All'inizio regnava il caos poi il numero uno ha creato i numeri e da questi i punti e le linee, infine è giunta l'Armonia a consolidare le giuste distanze fra le cose e a stabilire il Cosmos (cioè l'ordine).
I pitagorici erano soliti distinguere tra i numeri, poiché ogni numero ha un suo significato: c'erano i numeri aristocratici (1, 2, 3 e 4, perché la loro somma dava 10) e quelli plebei oltre il numero 10 (il tetraktys)che rappresentava un'entità divina. Il numero 10 con i numeri artistocratici formava poi il triangolo divino (triangolo equilatero formato da quattro numeri per ogni lato, i tre numeri agli apici ovviamente ripetuti, e uno interno).
L'altro elemento essenziale oggetto di studio della scuola pitagorica era la Metempsicosi ovvero la convinzione della reincarnazione.
I pitagorici sostenevano che l'anima trasmigra da un corpo all'altro e viene promossa a un livello superiore o retrocede a un livello inferiore (animali e vegetali compresi) a seconda di come si è comportata. La morte quindi altro non è che il ponte tra una fine e un nuovo inizio, mentre il corpo è la prigione al cui interno l'anima è costretta a espirare le proprie colpe. Il sapere razionale e la conoscenza, mediante lo studio della matematica e dalla musica, sono la via per la purificazione per le colpe dell'anima tesa a liberarla dal corpo per permetterle di riunirsi all'anima universale e interrompere così il continuo ciclo che la vuole prigioniera di un corpo.
Concetti importati da Pitagora dall'estremo oriente e che rendono la sua scuola la più affascinante dell'epoca.

Intanto, proprio in Italia nel V secolo A.C., nell'attuale Campania per la precisione, si afferma la SCUOLA ELEATICA. Tale scuola concentra la propria attenzione sulla teoria dell'essere e della verità, con la conseguenziale distinzione tra due sfere di realtà (ciò che è non sempre è ciò che appare), di discorso (quello vero non sempre è uguale dall'opinione comune) e di conoscenza (quella razionale e quella sensibile).
Con tale scuola si assiste anche alla teologizzazione della filosofia.
I principali filosofi appartenenti a questa scuola sono Senofane, Parmenide, Zenone e Melisso.

SENOFANE
. Vero e proprio antesignano dei moderni cantautori, conosciuto per le sue satire (c.d. Silloi) con cui attaccava colleghi e scrittori (Omero compreso), si fece la nomea di contestatore. In particolare non concepiva come fosse possibile che chi insegnasse saggezza avesse meno onori degli atleti. Da qui la sua massima secondo la quale la sapienza sarebbe la virtù suprema, in quanto portatrice di bene più della forza fisica e idonea a formare la coscienza morale e a spingere ad agir giustamente.

La sua critica principale la muove contro la concezione omerica e antropomorfica di un Dio con attitudini e vizi umani. Senofane riforma le figure olimpiche tradizionali dicendo: Dio è un'entità superiore, è tutto ed è unico. In altre parole Dio è in ogni cosa e l'insieme di queste cose forma un tutto e unico avente carattere divino e intuibile solo attraverso la ragione. Ciò delinea la visione monista del filosofo (poiché riconduce tutta quanta la realtà a un unico principio costitutivo), piuttosto che monoteista.

Senofane specifica poi la sua visione di arché, identificandolo con un Dio ingenerato, eterno (poiché il perfetto non può nascere dall'imperfetto) e unico (altrimenti vi sarebbero degli Dei superiori e altri inferiori e ciò contrasterebbe con l'idea del Dio supremo) che realizza tutto con la forza della mente, ma che né per figura né per pensieri è simile agli uomini. Specifica poi Senofane che il mondo viene dalla terra e ritornerà nella terra, ed è dalla terra che si generano acqua e fuoco. Questa, sotto i nostri piedi, sarebbe infinita (non galleggiante sull'acqua come diceva Talete, né sospesa nel vuoto come voleva Anassimandro).

Chiude il proprio pensiero sottolineando l'importanza dello studio poiché solo ricercando, gli uomini troveranno, a poco a poco, il meglio.

PARMENIDE. Nasce tra il 520 e il 510 A.C., allievo di Senofane. Alcuni lo individuano, al posto di quest'ultimo, come il fondatore della scuola Eleatica, di certo ne è il rappresentante più importante.

Ribadisce che Dio (il Logos), così come la verità, è unico (poiché unica realtà esistente), intero (Parmenide non concepisce l'esistenza del vuoto), immobile (perché il movimento necessità la presenza del vuoto) e ingenerato (poiché l'essere supremo non può nascere dal non essere che, in quanto tale, non esiste). Essendo perfetto l'essere è finito, indivisibile e indistruttibile.

La verità è unica, conoscibile attraverso il concetto ed è l'unica realtà che esiste. La ricerca della verità con Parmenide diventa uno sforzo intellettuale, interiore, che prescinde dall'osservazione della natura. Il molteplice è generato dall'opinione che è apparenza e dunque illusione.
Dunque se l'essere è l'essenza delle cose percepite dai nostri sensi ovvero quello che si trova sotto la mutabilità delle apparenze (ed è dunque un qualcosa di astratto e di percepibile solo attraverso la ragione e mai dai sensi), il non essere può essere ricondotto all'insieme delle cose che si manifestano ai nostri sensi e che non coincidono con la loro essenza.

Parmenide afferma poi che il pensare dimostra l'esistenza della cosa pensata, poiché il non essere, non esistendo, non può neppure essere pensato.

Parmenide sconfessa così i modelli di realtà descritti dai precedenti sistemi naturalistici basati sui molti e il divenire. Il mondo fisico viene concepito come un complesso di cerchi concentrici formati dalla mescolanza di luce e notte, generatori delle cose e del divenire.

ZENONE. Nato nel 490 A.C. è il braccio destro di Parmenide, indicato come l'inventore della dialettica, anticipando i Sofisti e Socrate. Era solito dire che la gente si conquista meglio con un efficace istrionismo che non con la forza delle argomentazioni. Non a caso faceva il politico!

Zenone è per lo più un sostenitore delle teorie di Parmenide e cerca di motivarle e giustificarle con il ricorso di procedimenti dimostrativi per assurdo.
Famosi sono i suoi quattro argomenti per provare l'impossibilità del movimento.

MELISSO. Ammiraglio e abile stratega militare nato tra il 480 e il 490 A.C.

Melisso trasforma l'essere fuori del tempo e di livello intellettuale di Parmenide in qualcosa riconducibile a un livello sensibile: ciò che è sempre stato, sempre sarà. E lo rende infinito.

L'essere viene identificato con l'intero universo, in quanto indeterminato, infinito e che comprende ogni cosa.

L'essere è eterno (nulla può nascere dal nulla), infinito (perché non ha principio né fine), unico (perché se fosse due finirebbe col porsi dei limiti), omogeneo (altrimenti se fosse diverso da una parte all'altra non sarebbe più unico, ma molteplice) e immobile (poiché non esiste un posto al di fuori di esso in cui andare.)

Ci spostiamo adesso un po' più a sud, nell'odierna Agrigento (all'epoca Akragas), e facciamo la conoscenza di un altro personaggio decisamente eccentrico:
EMPEDOCLE. Nasce nel 492 A.C. e prende le mosse nella scuola pitagorica dove si interessa soprattutto di Magia e Metempsicosi al punto da recarsi in oriente per approfondire le proprie conoscenze.
Così apprende i segreti dell'ipnosi, della telecinesi e della lettura del pensiero. Ritorna in Grecia con la fama di vero e proprio mago/profeta e ne approfitta subito per attacare tutti. Costringe subito i concittadini a digiunare per liberarsi dal male e punta il dito contro i politici accusandoli di malgoverno. Propone un governo fondato sull'eguaglianza civile, pur andando in giro con un vistosissimo vestito porpora con una cintura d'oro, sandali di bronzo e corona delfica in testa (in onore di Apollo), accompagnato da una serie di servi.

Il pensiero filosofico di Empedocle ruota soprattutto attorno a una filosofia evoluzionistica, che anticipa Darwin. A suo avviso, all'inizio, regnava il caos a causa dell'unione del tutto casuale degli elementi primordiali. Non ci sarebbe stata nessuna mente programmatrice, ma solo la casualità. Da ciò sarebbero nate delle creature deformi e mostruose che, col passare del tempo, si sarebbero evolute in quelle che oggi conosciamo, mentre altre si sarebbero estinte.

Empedocle precisa che i quattro elementi primordiali della natura (fuoco, aria, terra e acqua) sarebbero come gli ingredienti base che Amore e Discordia utilizzerebbero per plasmare le cose. Questi quattro elementi sono immutabili e ingenerati (anche per Empodocle il vuoto non esiste perché nulla può nascere da ciò che non è), sono come l'uno di Parmenide, ma il loro mescolarsi e separarsi determina una sorta di panta rei di Eraclitiana memoria.
All'inizio, cioè quando c'era lo Sfero ovvero una situazione di mescolanza completa, c'era solo l'Amore (da intendersi come una forza fisica, e non come un qualcosa di trascendentale che controlla l'evolversi dei fatti con coscienza) con la consequenziale unione di tutte le particelle elementari per l'effetto di un'irresistibile attrazione. Poi si sarebbe inserita la Discordia (c.d. Età dell'Odio), dando vita a un periodo di progressivo smembramento, fino al prevalere della discordia stessa (c.d. Età del Caos) con relativa disintregrazione del mondo, salvo poi ritornare l'amore e ricominciare un nuovo ciclo. Dunque la vita ruoterebbe costantemente attorno a quattro precise epoche, a seconda della predominanza tra Amore e Discordia.

In parole povere Empedocle sintentizza in un'unica filosofia le idee di Parmenide (traformando il suo essere immutevole nei quattro elementi primordiali che dunque ne mutuano tutte le caratteristiche) e quelle di Eraclito (universo in continua trasformazione, con il limite immutabile però dei suoi quattro elementi primordiali).

Empedocle mutua da Pitagora invece la convinzione che l'uomo sia costretto a vivere sulla Terra, dunque in una condizione mortale, per espiare delle pene necessarie a purificare l'anima. La vita terrestre dunque verrebbe ad assumere la funzione di un percorso di espiazione, da compiere mediante appositi riti, per tornare all'originario stato di perfezione idoneo al ritorno nel mondo beato del cielo. Finché l'individuo non raggiungerà tale stadio ritornerà sempre a rincarnarsi in qualche creatura vivente.
Da qui deriva anche il suo essere assolutamente vegetariano, un po' come Pitagora che aveva una dieta prestabilita che tutti gli adepti dovevano rispettare.

Arriviamo adesso ai filosofi ateniesi presofisti ovvero i naturalisti.

ANASSAGORA. Conosciuto anche come Noùs (la Mente). Nasce nel 496 A.C., studioso di astronomia, per nulla interessato al denaro, viene condannato a morte per empietà (perché riteneva il sole una massa incandescente e la luna un globo roccioso, invece che delle divinità), ma riesce a evadere grazie alla corruzione di alcune guardie.
Gli viene detto di esser stato privato degli ateniesi, ma lui risponde: "Non io di loro, ma loro di me!"
Carattere austero, c'è chi afferma di non averlo mai visto ridere.

Afferma l'inesistenza di sostanze primarie predefinite, esisterebbeo invece delle particelle piccolissime e infinite (le c.d. omeomerie) in continuo movimento che si mescolerebbero tra loro dando così vita alle cose e alle creature. Non esiste pertanto un arché, ma un'infinità di particelle infinitesime e divisibili all'infinito, all'inizio dei tempi ammucchiate alla rinfusa e di seguito raggruppate secondo un criterio logico stabilito dall'Intelletto. L'intelletto non è da intendere come un Dio, bensì come una sostanza immateriale. A esso è riconducibile l'ordinamento dell'universo, ma non la creazione delle sostanze primordiali.

Ogni cosa che vediamo in natura contiene tutte le omeomerie possibili, anche se appaiono solo quelle più numerose o più superficiali.

Come Epedocle afferma il concetto che nulla nasce e muore, ma tutto si trasforma mediante unione e disgregazione.

Filosofia dunque del c.d. tutto nel tutto.

LEUCIPPO. Nasce nel 480 A.C.

Ha il merito di parlare per primo di atomi, distinguendoli dalle omeomerie di Anassagora in quanto indivisibili essendo gli ultimi corpuscoli in cui è possibile dividere la materia.

DEMOCRITO. Allievo di Leucippo, grande viaggiatore e studioso di variegate materie. Celebre per le sue risate fragorose e per l'amore per la solitudine (trascorreva lunghi periodi nel deserto o nelle tombe dei cimiteri).
Alcuni giurano che avesse capacità divinatorie.

Riprende la filosofia atomistica di Leucippo e spiega che la realtà è costituita di atomi (immutabili, eterni, indivisibili e non generati) e di vuoto. I primi ruoterebbero di continuo all'interno di uno spazio fisico fatto di niente, incollandosi e staccandosi tra loro formando così gli oggetti che conosciamo in un continuo divenire. Dunque un po' della filosofia di Parmenide (anche se limitata all'atomo, estesa all'infinito e contrapposta al non essere costituito dal vuoto) e un po' del divenire di Eraclito (col limite dell'immutabilità degli atomi).

Per Democrito anche l'anima, il pensiero e le sensazioni sono fatte di materia

Arriviamo così ai SOFISTI che spostano per primi l'attenzione dall'osservazione della natura all'uomo e al comportamento umano.
Dotati di grandi capacità dialettiche, si specializzarono nel parlare in pubblico creando una vera e propria professione a pagamento.
Mal visti dai filosofi tradizionalisti per le loro abitudini di non far parte di nessuna scuola e di non sposare nessuna precisa linea di pensiero, si distinguevano l'un l'altro per il modo eccentrico di vestire e per le loro ricercate tecniche di esprimersi.
Divennero dei miti popolari con i loro discorsi epidittici (cioè meri esercizi di stile che avevano il solo scopo di esaltarne le doti espressive) o le loro antilogie (ovvero i c.d. discorsi delle doppie ragioni, in cui venivano sostenute due tesi contrapposte con la medesima capacità di convincimento).
Il più importante dei sofisti è senza dubbio Protagora.

PROTAGORA
. Dopo Eraclito è il mio filosofo presocratico preferito. Nasce nel 480 A.C., fu il primo a farsi pagare per un corso d'oratoria in quanto sosteneva che "gli uomini prendono più sul serio ciò che devono pagare piuttosto che quello che è gratuito". Come altri colleghi, anche a causa della sua ricchezza, finirà esiliato da Atene con l'accusa di empietà (aveva messo in dubbio l'esistenza degli Dei in quanto non oggetto dell'esperienza umana e dunque non conoscibile).

Il cuore della sua filosofia risiede nella massima secondo la quale "l'uomo è misura di tutte le cose" e nel principio del relativismo. In altre parole, per Protagora, non esiste alcuna verità oggettiva, ma tante verità soggettive quanti sono gli individui interpellati e queste, a loro volta, mutevoli a seconda delle opinioni che il soggetto aveva al momento in cui ha espresso la sua verità.

Protagora aggiunge inoltre che anche la verità soggettiva non è mai libera da condizionamenti, perchè viene a essere influenzata dalla morale comune.

GORGIA DA LEONTINI. Altro sofista di primo livello, che era solito andarsene in giro vestito di porpora.

Sostiene che non esiste alcuna verità e che l'essere è un'apparenza (per questo viene considerato il fondatore del Nichilismo), ciò che conta è esercitare il potere attraverso la parola e il pensiero. Con la parola si può convincere un uomo di qualunque cosa, poichè essa interagisce con i sentimenti e le debolezze umane.

Il mondo al quale l'uomo può riferirsi è solo quello dell'esperienza poiché solo esso è esprimibile (dunque tutto ciò che riguarda le ragioni che stanno alla base della vita o la natura di Dio non sono esprimibili per l'uomo e pertanto non devono essere analizzate perché non conoscibili con la comune esperienza).