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mercoledì 24 gennaio 2024

Recensione Narrativa: ESTATE GIALLA 1980 a cura di Ellery Queen.

Autore: AA.VV.
Serie: Ellery Queen Presenta.
Anno: 1980.
Genere: Giallo.
Editore: Mondadori.
Pagine: 360.
Prezzo: Fuori catalogo.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Miscellanea dedicata al mondo crime che la Mondadori, come era sua abitudine ai cambi di stagione, propose nell'estate del 1980 quale supplemento ai gialli della serie classica. Ventuno racconti più una novella selezionati dalla coppia rappresentata dallo pseudonimo Ellery Queen per l'Ellery Queen's Mystery Magazine. Si va da racconti di quarantasette pagine ad altri di cinque. Il periodo temporale relativo alle pubblicazioni delle singole opere è compreso tra il 1953 e il 1973, con una massiccia prevalenza dei racconti datati 1972-1973. Sono infatti diciannove i racconti pubblicati in questo biennio, con un ventesimo pubblicato nel 1970. Edmund Crispin, Rex Stout ed Ellery Queen sono gli autori, peraltro i più famosi del lotto insieme a Isaac Asimov, Hugh Pentecost e Edward D. Hoch, che potremmo definire i rinforzi utili a potenziare un valore generale che fatica a elevarsi oltre il buono. Le loro storie, infatti, risalgono al 1953, al 1958 e al 1965. Decisamente meno noti sono gli altri sedici autori, molti dei quali inglesi e semisconosciuti in Italia, eppure, in alcuni casi, assai incisivi (Robert Twohy, Nedra Tyre, Jacob Hay e Rod Reed). Tra questi, per notorietà, ricordiamo soprattutto Lawrence Treat, pseudonimo di Lawrence A. Goldstone, solito intitolare le sue storie dando vita a un filone di racconti che delineano una sorta di legenda rappresentata da una lettera in ordine alfabetico utilizzata quale iniziale di un qualcos'altro (della serie "A come Assassinio"); un vezzo riproposto anche dal racconto incluso nell'antologia, un giallo che tutto sommato propone spunti interessanti pur chiudendosi in modo forzato. Altro nome degno di menzione è quello della statunitense Patricia McGerr, famosa per esser stata la prima ad aver invertito la struttura del whodunit facendo cadere la suspence della scoperta non più sull'identità dell'assassino bensì della vittima. Nell'occasione la McGerr mostra il suo talento nella caratterizzazione dei personaggi e nel suo senso narrativo ma, al contempo, confeziona un colpo di scena forzato e telefonatissimo.

A differenza di altre raccolte, mancano in questa proposta dei veri e propri gioielli. Ciò detto, si nota un equilibrio che solo di rado si interrompe lasciando insoddisfatto l'appassionato del genere. I curatori, per variare le trame, alternano il giallo classico (quello legato alle indagini finalizzate a mettere le mani su un assassino), comunque prevalente, con un ventaglio di situazioni che vanno dalle satire sociali votate alla comicità (c'è persino un caso di spionaggio satellitare tra americani e sovietici) alle storie altamente drammatiche e influenzate da problemi familiari. Non sempre il protagonista è un poliziotto o un detective, ci sono infatti eccezioni in cui i manigoldi sono presentati quali antieroi. Inoltre, la lucidità talvolta perde il proprio ruolo di faro guida a "beneficio" della psicosi. Ci sono incubi incentrati su personaggi affetti da disturbi paranoici che comprendono – soprattutto in un caso - incursioni in un orrore soprannaturale allineato alle fobie delle storie di Poe.

C'è chi cade vittima dei propri tranelli, chi, per effetto di misteriosi leggi del contrappasso, subisce sulla propria pelle quanto aveva provocato ad altri, non mancano poi coloro che vedono fallire gli elaborati tentativi di depistaggio finalizzati a spingere gli indagatori a pensare alla sussistenza di alibi inattaccabili. Pensate poi che possano mancare omicidi a danno dei coniugi o tentativi di mettere le mani prima del tempo sulle eredità di parenti assassinati o, ancora, di sostituirsi a pensionati deceduti così da continuare a percepirne i vitalizi? Manco a pensarlo. Ricevono infine spazio studenti che truccano concorsi, truffatori che si improvvisano procacciatori di studenti da destinare a istituti ultra sorvegliati, madri paranoiche che assillano figlie zitelle e molestatori telefonici o stalker ante litteram che si scopriranno essere una minaccia che va ben oltre l'umano.


REX STOUT
è tra le firme più importanti dell'antologia.

NEL DETTAGLIO

Sette sono i racconti veramente validi. Tra questi spicca la prison story presentata da Robert Twohy, una sorpresa che definirei kinghiana e a cui è affidato il compito di chiudere l'antologia. L'autore non è certo tra i più famosi del lotto, pur avendo sceneggiato un episodio della serie tv L'Ora di Alfred Hitchcock (1962). Vengeance (“Vendetta”, 1973) è una revenge story che dice molto meno di quanto suggerisca, a partire da un contesto quasi distopico. Un ex guardia carceraria sconta la pena inflittagli da una giuria arbitraria, senza possibilità di subire un processo. L'uomo è accusato di essersi fatto fuggire un incarcerato e dovrà pertanto scontare la pena al posto di quest'ultimo in un istituto, delimitato da un fossato infestato di coccodrilli, che ricorda molto un campo di concentramento disperso in una giugla. Dietro alla fuga, tuttavia, vi è la macchinazione di un collega che ha escogitato la fuga e il successivo assassinio del prigioniero (dato in pasto ai coccodrilli) così da determinare il licenziamento del collega e beneficiare di una promozione. Finale tragico (senza happy-end), quanto crudele, della serie “chi la fa l'aspetti”. Davvero un buon elaborato. Tra le sorprese liete dell'antologia.


Non deludono alcuni dei nomi di qualità come Rex Stout, con un whodunit classico affidato al celebre indagatore dalla fisionomia voluminosa Nero Wolfe (“Nero Wolfe e il Segreto della Signorina Voss”), e Hugh Pentecost (“Jericho e la Commissione Mortale”), con un altro indagatore non professionista ritornante (il pittore Jericho).

Nella storia di Stout, Wolfe, supportato dal fido assistente Archie Goodwin - vero e proprio braccio dell'indagatore che lo lascia muovere al suo posto secondo precise direttive - risolve un intrigo rappresentato da due delitti apparentemente scollegati. Murder is no Joke (“Nero Wolfe e il Segreto della Signorina Voss”, 1958), ovvero “l'omicidio non è un gioco” (titolo originale che fa il verso a una battuta derisoria proferita da un'indiziata), ruota attorno a un'indagine con indagatore privato (Nero Wolfe), che si trova ad agire in concorrenza rispetto alla polizia (ovviamente superata in acume e pronta a sfruttarne il lavoro per mettere le mani sull'assassino). Wolfe viene ingaggiato da uno dei cinque indiziati prima ancora che si consumino i delitti. Centrale per la risoluzione del giallo sarà la corretta interpretazione dei rumori sentiti da Wolfe e dal suo assistente nel corso di una comunicazione telefonica interrotta bruscamente da urla e dai rumori di una colluttazione. La telefonata, infatti, si chiude dando la sensazione di esser stata disturbata da uno scontro fisico culminato con la morte di una donna. Si tratterà di una messa in scena per creare un alibi all'assassino oppure Wolfe e il suo fido sono testimoni oculari di un omicidio? Epilogo classico, con tutti gli indiziati seduti in un salotto al cospetto dell'indagatore che ricostruisce l'intera vicenda arrivando al colpo di scena finale. Whodunit in piena regola, con snodo centrale ripreso da Dario Argento per Il Cartaio.

Non è da meno Hugh Pentecost, altro autore specialista nel giallo di indagine che, sovente, impreziosisce queste tipologie di raccolte. Jericho and the Deadly Errand (“Jericho e la Commissione Mortale”, 1972) è un giallo puro, tra amanti, tradimenti, sputtanamenti giornalistici e competizioni politiche. Un detective dilettante, che in realtà è un pittore, viene chiamato da una ragazza a indagare su una serie di ricatti subiti dal suo datore di lavoro. Il giorno seguente, tuttavia, la cliente di Jericho, una vecchia fiamma ai tempi delle frequentazioni anarchiche della Repubblica di Vichy, salta in aria insieme all'auto del suo datore di lavoro, un politico in corsa alle elezioni e pressato dagli articoli infamanti di un giornalista (che se la intende con la moglie dell'uomo). Bell'intreccio (in certi passaggi ricorda molto alcuni delitti del killer di Mr Mercedes di Stephen King), con un epilogo aperto in cui si arriva a ipotizzare un tentativo dell'attentatore di riparare ai potenziali esiti del suo piano, al punto da tentare di disinnescare la carica esplosiva per amore di un uomo troppo legato alla moglie (obiettivo dell'attentatore) per pensare di lasciarla.

Un discorso a parte va fatto per i racconti di Barry Perowne e Jacob Hay, altri due nomi non certo famosi in Italia. Entrami gli autori rompono gli schemi classici. Perowne (Raffles and the Point of Morality - “Raffles e il Punto di Moralità” - 1973), nome d'arte dell'inglese William P. Atkey, modernizza, pur inserendolo in un contesto vittoriano (con tanto di omaggio a Robert L. Stevenson), il mito di Robin Hood con un truffatore galantuomo alla Lupin che frega i ricchi un po' per interesse personale e un po' in beneficenza. Un truffatore, alquanto ingegnoso ed esperto in travestimenti, escogita una trappola per spillare soldi a quattro facoltosi londinesi minacciati dalla società, per i loro loschi affari o i modi tutt'altro che garbati, al punto da non voler mandare i propri figli in una struttura scolastica. Presentandosi quale procacciatore di affari e inventore di un nuovo metodo di scolarizzazione, “l'occasionale genio maligno” Raffles propone ai quattro un giro di sostituzioni di persona e di falsificazione di documenti. Quattro ragazzini indigenti, selezionati per le loro sembianze pressoché identiche a quelle dei quattro figli dei facoltosi faccendieri, verranno introdotti in una scuola privata sotto le generalità dei quattro figli da proteggere, dando modo ai figli di papà di frequentare scuole blasonate sotto nomi di copertura e senza attirare le attenzioni dei malintenzionati. Il trucco dove sta? Semplice: in una seconda fase in cui scatterà un finto rapimento dei figli falsi prospettando l'eventualità che il mancato versamento del riscatto da parte dei faccendieri possa rovinare la reputazione etica dei medesimi. Il nostro manigoldo però si ritiene una persona dotata di una forte moralità e condizionerà la decisione finale di sottrarre i soldi alle vittime solo a un tentativo da parte delle medesime di organizzare un piano per incastrare i rapitori ovvero di adottare una condotta volta a privilegiare il denaro piuttosto che la salute dei ragazzini rapiti. Metà dei soldi, così acquisiti, saranno in parte destinati all'educazione dei quattro orfanelli e in parte donati alla scuola che li accudisce. Anche il male, dunque, ha i suoi eroi. Divertente e ben gestito, indubbiamente tra i migliori del lotto.


Gioca la carta della satira Jacob Hay, con Stoltzfuss Revenge (“La Rivincita di Stoltzfuss”, 1973), un elaborato che nulla ha da spartire col giallo avvicinandosi piuttosto allo spionistico. Protagonista è un improbabile e folle seguace della dottrina mennonita che non tollera di esser continuamente monitorato e fotografato da un satellite russo che solca i cieli americani. L'uomo pensa così di manifestare a chiare lettere il proprio pensiero, solcando i propri campi così da scrivere un messaggio (offensivo) visibile solo dall'alto. Non sa che qualcuno in Russia, in tutta risposta, ha fatto altrettanto per offendere gli spioni statunitensi rispondendo proprio all'invito del compagno mennonita. Divertente, ricorda un vecchio racconto di Gustav Meyrink intitolato G.M. (lo trovate nell'antologia La Morte Viola).

Ultra esilarante e più votato al giallo comico è Give me Lib or Give me Death (“Libertà o Morte”, 1973) del misconosciuto Rod Reed (sceneggiatore di serial tv). Un racconto che ridicolizza il principio della parità dei sessi e, al tempo stesso, il movimento di liberazione della donna, traslando il tutto nel campo del giallo. Così abbiamo un'associazione di improbabili investigatrici che si riuniscono per venire a capo del furto degli introiti incassati dalle Nozioni Unite (e non Nazioni), una società di giocattoli che ha sbancato il mercato soppiantando la barbie con una nuova bambola che proferisce frasi, in stile figlia dei fiori, offensive verso i genitori vecchio modello. Charlotte Chin (versione femminile di Charlie Chan, personaggio ideato da Earl Derr Biggers), Nora Woof (parodia femminile del Nero Wolfe di Rex Stout), Hillary Quinn (da Ellery Queen), Hercula Parrot (boriosa indagatrice, accecata e sbadata, che fa il verso a Hercule Poirot della celebre Agatha Christie) e l'improbabile Goldilock Holmes (con cappello e violino alla Sherlock Holmes) vengono a capo del mistero e scoprono, infiltrato tra loro, un noto trasformista che si è sostituito a Hercula Parrot per sfruttare i pareri delle compagne e recuperare il milione di premio offerto dalle Nozioni Unite in favore di chi scoprirà l'autore del furto. Autore del colpo è stato un membro delle Nozioni Unite, dotato di maschera e armato di un'arma giocattolo. Bloccato all'interno dei locali insieme a tutti gli altri per l'improvviso scoccare dell'allarme, ha pensato bene di celare i soldi sostituendoli con quelli di un gioco in scatola poi riposto sulle mensole. Il rinvenimento, dietro un vaso, dei soldi finti sarà l'indizio che porterà le indagatrici a venire a capo del mistero. Palese citazione, oltre che ai vezzi dei vari detective ridicolizzati (con Hillary Queen che propone di rivolgersi alle sue lettrici per risolvere il caso), a Percival Wilde e al racconto P. Moran, Diamond Hunter (1947) inserito nel 1967 in Spellbinders in Suspense (tradotto in Italia col titolo I Maghi del Brivido Alfred Hitchcock). Un'impostazione che porta a femminilizzare persino celebri scrittori che rispondono al nome di Marcella Twain (anziché Mark Twain) con una massima che è tutto un programma: "Quello che sono capaci di fare un gruppo di donne cui si cerca di truffare un milione di dollari, neanche il diavolo può farlo."


Chiude il gruppo dei migliori un'altra perfetta sconosciuta: Nedra Tyre. Col suo Locks Won't Keep You Out (“Soliloquio”, 1972), la Tyre offre il contributo più vicino alla narrativa del terrore. Storia carica di tensione, con momenti che ricordano le paranoie e le fobie tipiche dei racconti di Edgar Allan Poe. Racconto narrato in prima persona da una donna che ha la fobia di uscire di casa, perché sente gravare su di lei l'ombra di un assassino di cui non viene mai indicato il nome, se non all'epilogo. Per cercare di essere rassicurata si rivolge a una cartomante che, una volta vista, la caccia dalla propria abitazione rifiutando l'offerta di un compenso. “Morte e pericolo sono dappertutto e assai più vicini a noi dell'annunciata tragedia che ci viene portata dal giornale del mattino insieme alla pubblicità, o riferita alla Tv tra un carosello e l'altro”. Chi è lo stalker che perseguita la protagonista? Semplice: il più famoso serial killer della storia dell'umanità...


Questo il meglio di un'antologia che, per il resto, convince meno, ruotando su fattori già toccati dalle storie sopra riportate o pendendo verso drammi familiari. Tra i restanti racconti merita una menzione speciale The Pencil (“La Matita”, 1953) di Edmund Crispin, autore pluri-pubblicato nella serie convenzionale dei Gialli Mondadori, che propone una gangster story dall'epilogo beffardo. Un sicario, ingaggiato da un boss per assassinare il capo della banda rivale, finge di avere informazioni da rivelare ai membri della banda avversa così da innescare un congegno esplosivo molto particolare: una penna temporizzata. Il piano del killer, tuttavia, si ritorce su sé stesso. Bendato e condotto da alcuni ceffi nella “tana” del boss da uccidere, il sicario innesca il meccanismo esplosivo prima di essere ricondotto nella sua camera d'albergo. Si accorgerà solo pochi secondi prima dell'esplosione di esser stato prelevato dal proprio albergo per esser ricondotto, dopo una serie di giri in macchina, all'interno della sua stessa stanza dove ora, pertanto, si trova la penna temporizzata pronta a esplodere.


Deludono penne sopraffine come quelle di Ellery Queen, Isaac Asimov ed Edward D. Hoch. Non che le loro storie siano noiose o non coinvolgenti, ma di certo non possono reputarsi geniali o particolarmente memorabili. Delle tre è preferibile il giallo di ambientazione scolastica di Asimov, nome che non ha certo bisogno di presentazioni nel campo della fantascienza. The Phony Ph D. (“La Docenza Truccata”, 1972) rientra nell'ambito delle storie narrate al circolo dei vedovi neri dove, nella fattispecie, si disquisisce di concorsi e ci si chiede come, trent'anni prima, un candidato debole in chimica e nello studio in generale, al punto da essere stato dileggiato dai compagni, sia riuscito a superare la prova di ammissione alla professione di docente. Racconto debole di Asimov, che gioca tutto sui trucchi per taroccare un concorso e su come, per una volta, le domande da fare le proponga il candidato e non l'esaminante.

Hoch e Queen forzano il colpo di scena finale, rendendo inverosimile la loro storia e, di certo, fuori dai canoni moderni. Dead Ringer (“Il Sosia”, 1965) è un classico racconto fulmineo alla Ellery Queen, con l'indagatore che, a trequarti di racconto, si rivolge ai lettori per sfidarli a risolvere l'enigma prospettato. Carino, ma forzatissimo, con una vittima che indica una serie di barili siglati da cifre romane per consentire agli indagatori di risalire ai numeri riportati nel registro clienti corrispondenti ai progressivi su cui sono indicati le generalità degli assassini. Captain Leopold Plays a Hunch (“L'Assurdo Sospetto del Capitano Leopold”, 1973) di Hoch vede un poliziotto indagare sull'uccisione di una persona anziana trafitta da un colpo d'arma da fuoco in concomitanza delle esercitazioni non autorizzate di un quattordicenne figlio di un secondo poliziotto. Struttura tipica del giallo, come già avvenuto con Pentecost. Antefatto, scoperta del cadavere, indizi di colpevolezza tutti contro un indiziato, acquisizione delle testimonianze e attenta osservazione dei sospettati. Il colpo di scena finale è narrativamente ben inserito, ma la costruzione del colpo di scena appare forzosa e inverosimile. Tutto ruota attorno a un'analisi balistica che nel racconto si dice impossibile da eseguire, così da attivare la fantasia del killer che decide di sfruttare un errore di tiro del ragazzotto per uccidere la vittima e sostenere poi che sia stato il proiettile vagante a farlo. Come se non bastasse, il killer acconsente alla sostituzione della vetrata sfondata dal proiettile senza considerare che l'ordine di riparazione è stato avanzato da una telefonata fatta dalla stessa vittima evidentemente uccisa in un secondo momento.

Un altro giallo di indagine, dall'esito telefonato eppure realistico (si capisce praticamente subito il movente dell'omicidio e chi si nasconda dietro questo), è Lawyer's Holiday (“Jordan in Vacanza”, 1973) di Harold Q. Masur. Un avvocato in vacanza indaga sulla morte di un procacciatore di denaro rinvenuto nella camera della moglie dell'uomo che lo ha ingaggiato. Attraverso un giro di telefonate, l'avvocato risalirà al motivo per il quale la vittima si era trasferita in Florida. Scoprirà altresì, dopo un viaggio in Messico, che la vittima, vista parlare con la moglie del proprio cliente, era venuta a conoscenza di una frode a danno di una compagnia assicurativa. L'anziano possidente, infatti, risulterà deceduto per cause naturali, ma questo non ha impedito alla badante e al figlio di lei di continuare a intascare i vitalizi. Ecco che il ritrovamento della vittima nella camera da letto della donna del cliente dell'avvocato risulterà essere un mero tentativo di depistaggio. 

Prevedibile il giallo d'indagine Dover and the Dark Lady ("La Signora del Mistero", 1972) di Joyce Porter, esilarante nella caratterizzazione dei personaggi (con un detective imbolsito e scorbutico che ricostruisce di continuo e in  modo diverso l'evento delittuoso) ma telefonatissimo e dallo sviluppo prevedibile. La polizia indaga sulla morte di un uomo, ritrovato in casa col cranio frantumato da un colpo di pistola. Tutto lascerebbe presagire per un suicidio, ma i vicini parlano di un via vai di una misteriosa donna dalle parrucche sempre diverse. Travestitismo e tentativi di vendetta verso la mogle separata non ingannano la polizia.

Non convince neppure Nothing but the Truth (“Lo Zoppo”, 1973) di Patricia McGerr, una storia molto ben caratterizzata e ben narrata che scivola però in un tentativo di colpo di scena finale ultra-telefonato e inverosimile (tra i più prevedibili del lotto). L'alibi del killer naufraga infatti con la scoperta del testimone, che peraltro non nutre alcuna simpatia per l'indagato, di aver appuntato un orario sbagliato sul proprio taccuino; non ha infatti considerato il periodico cambio dell'ora legale. Più riuscito, ma comunque forzato, M As in Missing (“S come Scomparsa”, 1972) di Lawrence Treat, tutto giocato su una serie di tentativi di depistaggio. Una donna, ritornata con una settimana d'anticipo da un viaggio internazionale, al rientro nella sua abitazione trova l'appartamento soqquadro con all'interno un tipo grasso e obeso che le spara con una pistola. Svenuta per circa un giorno, la donna ritrova l'appartamento nelle stesse precise condizioni in cui lo aveva lasciato prima della partenza. Ha vissuto un incubo oppure qualcuno le sta tirando un tiro mancino? E che fine ha fatto la zia della donna, che sarebbe dovuta arrivare nell'abitazione prima del ritorno della nipote? Da informazioni acquisite, durante l'assenza della giovane, dei testimoni parlano di aver visto alcuni fattorini prelevare un baule dall'appartamento. Gli agenti ne sono certi: all'interno c'era un cadavere e qualcuno ha cercato di celare le tracce della donna all'interno dell'abitazione riportando tutto a come era prima della partenza della titolare. Dunque un intreccio sufficiente (penalizzato dalla scelta di condurre per mero caso il poliziotto a individuare l'autore della violazione di domicilio da cui parte l'intrigo), con alcuni flash sulla vita privata del protagonista e risvolti gialli che finiscono col coinvolgere un mentalista abile nell'impiego della memoria; un qualità quest'ultima che il poliziotto indagatore pensa bene di sfruttare per abituare il figlio a massimizzare le studio.


Qualità inferiore negli altri racconti, alcuni dei quali più riusciti sul versante delle caratterizzazioni dei personaggi che sull'intreggio. Venus's Flytrap (“La Vendetta è Dolce”, 1972) di Ruth Rendell è un giallo dalla soluzione scontata, eppure narrato con sufficiente capacità di coinvolgimento. Due amiche d'adolescenza, tornate vicine di casa dopo cinquant'anni, gestiscono la vita in modo opposto. Appariscente, zitella e appassionata delle piante una; banale, più volte sposata e interessata ai legami con i vicini la seconda. Rendell lavora soprattutto sui due personaggi, utilizzando le incrinature che ne caratterizzano il rapporto (la gelosia da una parte e l'odio per le piante carnivore dall'altra) per porre le basi per un omicidio d'impeto con movente della vendetta innescato da un vicino abile a dirottare le proprie responsabilità così da mettere contro le due amiche. The Man on the Telephone (“L'Uomo al Telefono”, 1970) di Norah Lofts gioca sul terrore, facendo il verso alla storia di Nedra Tyre, volgendo però il tutto verso un epilogo beffardo. Ancora una volta abbiamo una donna paranoica, che si chiude in casa e passa le notti con le orecchie ben sturate in quanto, saltuariamente, un maniaco la infastidisce al telefono. Nonostante le minacce e l'assenza del marito, trasferitosi in altra città in attesa di riceverla, la donna non intende lasciare la casa perché è convinta di poterla cedere solo se sarà lei stessa a presentarla ai potenziali acquirenti. Ci penserà il marito a sbrogliare la questione: dalle telefonate, si troverà a dover ricomprare una seconda volta la casa senza rivelare niente alla moglie. Paranoia al centro anche di The Plastic Jungle (“La Giungla di Plastica”, 1972) di Joyce Harrington. Il giallo lascia spazio a un dramma grottesco che ben rappresenta il senso di oppressione di una figlia pressata dalle paranoie di una madre convinta che la plastica sia un qualcosa di lesivo per la salute. Ottima gestione dei tempi e discreto senso della drammaticità per quello che, tuttavia, non è altro che un esercizio di stile. Interessante sul versante narrativo e puramente femminile Woman Trouble (“Torniamo a Casa, Paddy”, 1973) di Florence V. Mayberry in cui si analizza, in chiave estremizzata, l'attaccamento di una donna a un marito traditore e giocatore d'azzardo incallito. Un amore malato che porta la donna a calpestare la propria dignità e a fare di tutto per salvare un matrimonio che va a fondo. Alla fine, pur se scambiata giornalmente per l'amante, la donna sarà ben felice di accudire il marito rimasto ferito alla testa da una pallottola che lo ha menomato il cervello.

Waiting for the Police (“Aspettando la Polizia, 1972”) di Celia Fremlin è la versione romantica di un uxoricidio, reso dolce e nostalgico dagli anni e da una vecchiaia che cancella i brutti ricordi e riabilita ciò che di buono era stato. Un altro uxoricidio è al centro di Homage to John Keats (“Omaggio a Keats”, 1973) di Henry T. Parry, che immagina una soluzione ciclica dove il crimine si ripercuote sullo steso soggetto che lo ha concepito delineando un loop infinito. Curiosa l'ambientazione romana, ma debolissimo sul versante del giallo.

Drammi familiari determinanti anche in Policeman's Lot (“Il Destino di un Poliziotto”, 1973) di William Bankier, una crime story che scandaglia il mondo della delinquenza giovanile. Protagonista è un poliziotto che si è abbandonato a sé stesso dopo aver perso, in un'esplosione, i suoi due figli. Ormai appesantito e orientato all'autodistruzione, l'uomo viene percepito come una zavorra dai colleghi e dileggiato dai ragazzotti locali che lo hanno ribattezzato “il maiale”. Perderà la vita per salvare uno di loro, vedendo nel giovane e nella sua fidanzata la proiezione dei film perduti. Il suo gesto, coraggioso, non gli conferirà il rispetto dei ragazzi e si rivelerà inutile a garantire un recupero.

Estate Gialla 1980, pur non essendo tra le migliori antologie della serie, è una raccolta di storie, prevalentemente gialle, che intrattengono il lettore e offronto sfide intellettuali per scommettere su chi sia il vero colpevole dei misfatti proposti. Alcuni intervalli, ora satirici e ora drammatici, variano le costruzioni classiche legate alle indagini e ai colpi di scena finale. Lettura di intrattenimento con piglio popolare.

Manfred Lee e Frederic Dannay

semplicemente ELLERY QUEEN.

"Sono io a sentirmi onorata di essere qui con voi, le seconde migliori detective del mondo... La modestia mi impedisce di dire chi sia la prima!"

sabato 13 gennaio 2024

Recensione Saggi: 999 LE STORIE VERE DEI CAMPIONI MANCATI di Paolo Amir Tabloni.

Autore: Paolo Amir Tabloni.
Anno: 2016.
Genere:  Saggio Sportivo - Interviste biografiche.
Editore: Edizioni Diabasis.
Pagine: 240.
Prezzo: 17.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Uno su mille ce la fa, ma quanto è dura la salita in gioco c'è la vita” cantava Gianni Morandi. Paolo Amir Tabloni, ex calciatore che ha militato dalla serie C2 alle categorie inferiori del calcio italiano e soprattutto giovane romanziere, dedica la propria attenzione agli altri 999 del gruppo di riferimento analizzato da Morandi ovvero coloro che avevano tutto per arrivare ma che, per motivi vari, si sono smarriti durante il percorso.

999 Le Storie Vere dei Campioni Mancati è innanzitutto un'opera autobiografica che raccoglie le esperienze di trenta calciatori che, nel corso degli anni, hanno condiviso una maglia con l'autore del romanzo. Uno spaccato di vita comune, idoneo a spingere Tabloni a ricercare e intervistare i vecchi compagni di squadra. Si tratta soprattutto di giocatori emiliani, legati in particolare alla città di Parma con una concentrazione tra i nati dal 1967 al 1985. Giovani speranze dei settori giovanili di Parma, Bologna, Reggiana, Modena, ma anche Napoli, Sampdoria e Inter. Ragazzi che hanno indossato la maglia della nazionale nelle varie under, al fianco di calciatori che, a distanza di anni, avrebbero vinto persino un mondiale mentre i vecchi compagni di gioventù sudavano nei campi polverosi e periferici tra pollai e terreni che non hanno conosciuto manti erbosi.

Attraverso il suo progetto, Tabloni ripercorre la sua stessa carriera, tra rimpianti, occasioni mancate e domande che non potranno mai trovare una risposta non essendo concesso a nessuno di noi di balzare da questo piano di realtà a uno parallelo composto da tutte le possibili alternative che avrebbero potuto delineare un diverso cammino. 999 propone un collage di trenta storie, simili tra loro, che partono all'insegna del professionismo, in alcuni casi con tanto di debutto in serie A, per sgretolarsi nel giro di qualche mese portando i protagonisti dagli allori e dai sogni alle paludi del dilettantismo. “Che cosa sarebbe successo se...” si chiedono i vari personaggi, immaginando una serie di sliding doors che avrebbero potuto offrire un futuro diverso. L'infortunio inatteso, il genitore morente, l'allenatore che crede in te esonerato sul più bello, le scelte sbagliate, lo spinello fumato durante una festa, le decisioni sentimentali anteposte alle professionali, le fughe amorose, la firma sul contratto da evitare, l'azienda di famiglia da portare avanti e gli errori di gioventù che non concedono seconde chance. Il treno passa e se ne va, lasciandoti a piedi, perché se è vero che te sei un fenomeno è altrettanto vero che di fenomeni ce ne sono tanti.

Patrocinato dalla Lega Nazionale Dilettanti, introdotto da Damiano Tommasi e concluso da una nota finale di Arrigo Sacchi, 999 è un volume intriso di malinconia, imperdibile per chi ha calcato i campionati giovanili nazionali di calcio dell'Emilia Romagna o i gironi della serie D emiliana di inizio secolo, perfetto anche per un regalo a una promessa rampante del movimento calcistico così da fungere da monito. È infatti interessante valutare, e nel mio piccolo confermo anche io che scrivo queste poche righe le confidenze dei vari giocatori intervistati, come ogni giovane calciatore esprima le medesime considerazioni: la percezione di normalità nel trovarsi nelle massime categorie, l'aspettativa del debutto in prima squadra con la convinzione di essere a un passo da quel sogno cullato fin dall'infanzia, gli allenamenti con campioni dapprima visti solo nelle figurine e poi compagni di avventura, la convinzione di non essere a di meno di chi poi esploderà, i complimenti dei giornalisti, i primi applausi, le rassicurazioni degli allenatori, le promesse dei procuratori, le ragazzine (ma anche le donne mature) che attendono in massa oltre le reti di recinzione chiedendo appuntamenti, quindi le avversità dovute a questioni diverse (infortuni, limiti caratteriali, casualità), la caduta nei dilettanti e l'incapacità di ritornare in alto fino a rendersi conto che la vita non è solo calcio e che è opportuno cercarsi un lavoro come ogni comune mortale, perché non c'è più spazio per i sogni. “Spesso nella carriera di un calciatore si finisce in una specie di purgatorio, dove trovare gli stimoli giusti diventa davvero difficile. Molti si perdono durante la discesa nelle varie categorie, perché invece di pensare che se fai bene puoi risalire, ti viene da pensare dov'eri e lo sconforto ti taglia le gambe.”

999 è un libro di sogni infranti, di speranze disattese, ma anche di chance avute e di piccoli momenti di gloria che un atleta, o meglio un uomo, porterà sempre con sé. Infatti, se è vero che il bicchiere è rimasto mezzo vuoto è altrettanto vero che per metà si è riempito, regalando emozioni indelebili che in pochi altri sono riusciti a provare.

Il lettore ben difficilmente conoscerà i vari giocatori selezionati da Tabloni (personalmente ricordo Alessandro Lupo, da me visionato più volte all'Armando Picchi, dove era un rincalzo in un Livorno che vinse il campionato di C2), sebbene vi sia anche qualche figlio d'arte come il fratello dell'attuale allenatore del Milan Stefano Pioli. Tale limite, tuttavia, è irrilevante, poiché è il contenuto a interessare e non le note biografiche.

La cura del testo è eccellente. Tabloni è accattivante e offre uno sguardo su quel mondo del calcio fatto di vera passione e mai decantato ovvero quello dilettantistico con aneddoti persino dalla terza categoria. Goal impossibili, parate decisive, galoppate che riscrivono la storia di un campionato e prodezze che addolciscono un'amarezza di fondo che non potrà più andarsene: quella di sentirsi (a torto) dei falliti o, meglio, quella di sentirsi come coloro che hanno gettato alle ortiche l'opportunità della vita.

Volume quindi di nicchia, poco commerciale per il suo gettare luce su coloro che non ce l'hanno fatta. Vero e proprio atto d'amore di Tabloni alla propria avventura calcistica e a tutti coloro che avevano i numeri per diventare campioni e che, per motivi vari, non sono esplosi. Guai però chiamare tutti questi calciatori dei falliti perché, anche se alla fine non hanno potuto beneficiare di parate, coriandoli, o contratti per reclamizzare biscotti, bibite o cerali per la colazione, dovendo solo svuotare un armadietto e rimediare un passaggio a casa, nessuno potrà cancellare le loro imprese giovanili, i dribbling e le reti marcate al cospetto di chi poi è diventato un campione. In diverso modo, il calcio ha formato ognuno di questi ragazzi e, seppur brevemente, la grandezza, le qualità e il talento un uomo li porta sempre con sé. Chissà? Magari sarebbe potuto andare diversamente... a volte il successo o il fallimento sono due facce di una stessa medaglia. Ciò che conta veramente non è ciò che si trova a termine di una corsa, ma quello che si prova mentre si corre. Applauso per ognuno dei trenta fortunati riscoperti da Tabloni.

 
L'autore, nonché portiere, PAOLO AMIR TABLONI.

Il calcio come la vita è una concausa di eventi dai quali spesso dipendiamo involontariamente, devi sempre essere l'uomo giusto nel posto giusto al momento giusto.”

martedì 9 gennaio 2024

Recensione Narrativa: COMMODORE di Phillip Fracassi.

Autore: Philip Fracassi.
Titolo Originale: Commodore.
Anno: 2021.
Genere:  Horror.
Editore: Independent Legions (2022).
Pagine: 72.
Prezzo: 17.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

L'AUTORE

Autore contemporaneo, salito agli onori delle cronache letterarie nel 2017 con l'antologia Behold The Void premiata col This is Horror Award quale “migliore raccolta di racconti dell'anno" e col Charles Dexter Award. Fin da subito seguito dalla Independent Legions di Alessandro Manzetti, è sbarcato sul mercato editoriale italiano nel 2020 in occasione della pubblicazione della novella Shiloh – Divoratori di Anime. Commodore è la sua seconda pubblicazione italiana sempre a cura della Independent Legions. Si tratta di due novelle, di 85 e 70 pagine, pubblicate singolarmente in edizioni non proprio economiche (vista la loro ridotta lunghezza). Shiloh, di ambientazione storica e incentrata sulla guerra di indipendenza americana, è una limited edition addirittura disponibile solo per i lettori elite della casa editrice. Il qui presente Commodore, invece, è in edizione a copertina rigida ed è acquistabile anche su amazon a 17,90 euro.

Fracassi, autore di chiare origini italiane (i nonni sono nati e cresciuti nel bel paese), è uno scrittore di literary horror (così ama definirsi) di novelle e racconti. Esprime infatti il suo meglio nel formato breve e sfoggia uno stile narrativo molto legato all'horror anni settanta. Le sue storie, spesso, sono intrise di una componente poetica, guardano alla narrativa classica del genere (Campbell, Straub, King, Lovecraft, Bradbury) e sposano un linguaggio e un contenitore che si addicono al grande pubblico. Non a caso Alessandro Manzetti l'ha definito uno scrittore di mainstream horror. Nel 2021 con la raccolta Beneath a Pale Sky, definita dal Rue Morgue Magazine la migliore antologia dell'anno, ha ottenuto la sua prima nomination al Bram Stoker Award. È dunque uno scrittore in chiara ascesa, sebbene abbia iniziato a scrivere in età piuttosto matura essendo un classe 1970. 

 
L'edizione hardcover italiana della Independent Legions.
 

LA RECENSIONE

Uscito negli Stati Uniti nel 2021, Commodore guarda in modo spiccato alla narrativa di Stephen King delineando i contorni di una cittadina che potrebbe tornare protagonista in altre opere dello scrittore (uso il condizionale ma, come direbbe "il califfo", non escludo il ritorno). Ci troviamo nella spettrale Sabbath (un nome che è tutto un programma), un piccolo villaggio contadino piuttosto isolato e silenzioso degli Stati Uniti, fondato a inizio ottocento da boscaioli e minatori, famoso per una serie di leggende e di regole non scritte che i cittadini vengono educati a rispettare fin dalla nascita (si parla di "iniziati alla città"). Molti sono i misteri che convivono con la cittadina, a partire dal suo lago, dove i residenti hanno misteriosamente disposto il divieto di pesca. Sul conto di Sabbath circolano voci di folletti e fate della foresta (Apollyon), chiamati in causa per giustificare la sequela di scomparse che si sono succedute fin dalla nascita del paese. Un mix di aspetti che provocano nei turisti e nei viandanti una sensazione di oppressione che evolve nell'idea di esser continuamente osservati da un qualcosa di ignoto che trama e attende nell'ombra.

Nell'episodio narrato in Commodore va in scena la leggenda della “macchina nera”. Un modello di auto particolare, forse una Plymouth Deluxe o una Hudson Commodore, avente la caratteristica di avere un unico fanale centrale.  
“Il mito della macchina nera era iniziato più come una voce che come un fatto, ma nel corso degli anni la sua esistenza era stata convalidata da un numero sufficiente di testimonianze.” 
Le voci parlano di un auto sepolta nella discarica di Sabbath sotto cumuli di sporcizia e di carcasse animali, ben oltre il cartello di divieto di oltrepasso a carico di minorenni non accompagnati da adulti. Chi si è vantato di avere trovato il veicolo, andando in giro a rivelarne l'esatta ubicazione, è scomparso nel nulla. La storia è ambientata negli anni cinquanta e vede per protagonista un gruppo di quattro ragazzotti di tredici anni, in sella alle loro bici, che decide di partire all'avventura in cerca della misteriosa auto. Prende così piede una di caccia al tesoro che rivelerà, a quattro dei cinque giovani protagonisti, una dimensione ulteriore - alterata e diversa rispetto alla nostra - da cui non sarà concesso ritorno.

Più che Christine (1983), Fracassi prende a chiaro modello di riferimento il romanzo Buick 8 (2002) di Stephen King di cui Commodore costituisce quasi un plagio narrato da diversa prospettiva. Muovendosi su una struttura che ricalca la novella di King The Body (“Il Corpo”, 1982), da cui arriva l'idea del gruppo di ragazzini che violano i confini di una discarica, gestita da un custode alquanto scorbutico, per accedere al luogo in cui è stato rivelato loro esser presente qualcosa di straordinario. Se nel racconto di King si parlava del cadavere di un ragazzino scomparso nel nulla, nel caso di Fracassi si tratta di un auto nera al centro di un'interminabile coacervo di voci. Il rinvenimento dell'auto funge da snodo della vicenda che passa da un piglio realista a uno fantastico. Come per Buick 8 e la novella (sempre di King) Mile 81 (“Miglio 81”, 2011), l'auto è un oggetto "alieno" che attira le vittime per farle entrare all'interno e proiettarle in un'altra dimensione. A differenza di King, come abbiamo anticipato, Fracassi cambia la prospettiva. Se in Buick 8 e Mile 81 la storia viene narrata dal punto di vista di chi resta sulla terra e duque dei testimoni, Fracassi varca la sottile soglia che separa il nostro mondo da ciò che vi è oltre. Dai testimoni, quindi, si passa al punto di vista delle vittime.

 

 

La Hudson Commodore.

Basti questo per attivare l'immaginazione del potenziale acquirente del volume. Possiamo dire che non mancano il sense of wonder e persino un chiarissimo omaggio a Howard P. Lovecraft per quella che si segnala essere una novella di formazione in cui, oltre quanto narrato, serpeggia un'atmosfera sinistra che cela incubi ulteriori a quelli presentati (si veda lo strano animale che aggredisce il protagonista, senza che questo riesca a capire che cosa sia, oppure si noti il comportamento del titolare della discarica, un individuo assai più prossimo a un orco che a un comune mortale).

Scritto in modo snello e non particolarmente lezioso, Commodore è una novella indicata ai cultori del King votato al sense of wonder, il King che va oltre all'orrore di presa realistica o quotidiana quello, per intenderci, di Jerusalem's Lot (1978), Mrs Todd's Shortcut (“La Scorciatoia della Signora Todd”, 1984), N (2008), The Mist (1980) e via dicendo.

Unico neo dell'operazione editoriale, a mio modo di vedere (ma non certo un freno per il sottoscritto), il prezzo, forse troppo elevato (nonostante la versione hardcover) per un volume di 70 pagine. Mi è piaciuto (era inevitabile, poiché mi piacciono molto i racconti di King che sono alla base del romanzo) e posso già anticiparvi che comprerò ulteriori volumi di questo autore. La Independent Legions, peraltro, dovrebbe esser prossima a proporre qualcosa di nuovo per il 2024. Attenderemo fiduciosi...

 
L'autore PHILIP FRACASSI
 
"E' così che va l'universo. Sempre in espansione. Nuove cose arrivano attraverso dimensioni insondabili di tempo e spazio per atterrare nel cuore di una popolazione straniera. E Sabbath, singolare e potente com'era, era diventata una sorta di calamita per simili fenomeni. Era un portale per tutte le cose strane e insolite che il grande multiverso aveva da offrire. "

lunedì 1 gennaio 2024

Recensione Narrativa: LA CAREZZA DELLA PAURA di Charles L. Grant.

Autore: Charles L. Grant.
Titolo Originale: The Pet.
Anno: 1986.
Genere: Horror.
Editore: Sperling & Kupfer (1992).
Pagine: 317.
Prezzo: Fuori catalogo.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

L'AUTORE

Charles L. Grant è considerato uno dei maestri della narrativa del terrore degli anni ottanta, piuttosto distribuito anche in Italia grazie soprattutto alla Mondadori, che ha tradotto nella nostra lingua una dozzina di romanzi. Tra le altre case editrici che si sono interessate all'autore figurano altresì la Sperling & Kupfer e la Fanucci, che ha distribuito una serie di novelization dalla serie tv culto X-Files di cui i primi due romanzi scritti proprio da Grant. Da notare come la Mondadori abbia dedicato nel 1991 un'intera miniserie di romanzi gialli, chiamata Il Giallo dei Ragazzi. Serie Horror, composta solo da romanzi di Grant (serie di sei romanzi) trincerato dietro lo pseudonimo Steven Charles.

Tra i romanzi più famosi, tradotti in italiano, si citano The Hour of the Oxrun Dead (“I Morti di Oxrun Station”, 1987), episodio di un ciclo (“Oxrum Station”) di otto romanzi (e quattro antologie) incentrati sull'immaginifica cittadina del New England chiamata Oxrum Station, The Soft Whisper of the Dead (“Oltre la Morte”, 1982), romanzo che si concentra sulla figura del vampiro, For Fear of the Night (“Per Paura della Notte”, 1987) e il qui presente The Pet (“La Carezza della Paura”, 1986).

Antologizzato in molte raccolte horror da curatori elitari quali Stephen Jones (Terrore!, Il Ritorno degli Zombi), Karl E. Wagner (L'Orrore del Buio, L'Ora della Paura), Robert Bloch (Psychos), Dennis Etchison (Profondo Horror), Martin Greenberg (Le Case del Brivido), Gerald W. Page (La Stirpe della Tomba), David G. Hartwell (Il Colore del Male) e Douglas E. Winter (In Principio era il Male, Orrori e Incubi, Revelations), siamo al cospetto di uno scrittore da ricomprendere nella ristretta cerchia dei cosiddetti master of horror. David G. Hartwell l'ha persino definito “il più grande antologista degli Stati Uniti di horror fiction dopo Augusth Derleth”. Di lui infatti si ricorda, oltre agli inizi legati alla fantascienza (ha scritto anche gialli e romanzi per ragazzi), l'annuale serie antologica Shadows (il cui primo numero è stato tradotto in italiano dalla Mondadori col titolo Ombre) pubblicata tra il 1978 e il 1991; una dozzina scarsa di volumi spesso vincitori quale “migliore antologia dell'anno” al World Fantasy Award, con all'interno autori del calibro di Ramsey Campbell, Lisa Tuttle, Chelsea Yarbro, Robert Bloch, Dennis Etchison, Thomas Monteleone, Manly W. Wellman, T.E.D. Klein, Richard C. Matheson, Steve Rasnic Tem, Tanith Lee, Joe Lansdale e persino Stephen King (che ha prestato alla serie i racconti Nona e The Man Who Would not Shake Hands) e Tabitha King. Grant fu promotore di una forma di narrativa horror definita Quiet Horror, diametralmente opposta al nascente extreme, ossia una forma di terrore dal ritmo crescente, rinunciatario alle scene cruente e ambientato in un quotidiano lontano dalle atmosfere gotiche.

Nato nel New Jersey nel 1942, dove è prematuramente scomparso all'età di sessantaquattro anni, Grant viveva in compagnia della moglie in una villa che si diceva esser infestata da fantasmi. Abile sia nel campo dei romanzi che dei racconti, ottenne numerosi riconoscimenti dalla critica di settore. Duplice vincitore del Nebula World nonché del British Fantasy Award e del World Fantasy Award.

 
Copertina originale. 

LA RECENSIONE

Con The Pet Charles L. Grant guarda in modo evidente al mondo di Stephen King e, più in particolare, a romanzi come Christine (1983), Carrie (1974) e la novella The Body (1982). Siamo infatti in una cittadina della provincia del New Jeresey, ad Ashford, nell'ambito del microcosmo scolastico. Il contesto è quello familiare, di un ragazzino infantile e insicuro vittima di atti di bullismo e alle prese con i primi amori e con le liti continue dei genitori (entrambi professori) indaffarati dagli impegni di lavoro e poco propensi a dedicare tempo al figlio. Uno dei tanti giovanotti che sognano di andarsene al college in cerca di fortuna e, nella fattispecie, di diventare veterinario (aspettativa che non fa felice la famiglia). Sebbene il narratore si alterni su più personaggi, a tenere banco è questo diciassettenne. Si tratta di un tipo in parte solitario, con pochissimi amici, tra cui un paio di ragazze da cui è attratto e con cui è in buoni rapporti, che preferisce - allo sport e alle uscite di gruppo - andare a correre per conto proprio nel bosco o rivolgersi alla serie di poster di animali che tiene appesi in camera da letto. Confida a questi amici immaginari i propri pensieri e chiede loro supporto emotivo, per resistere agli scherzi brutali dei compagni, ai pestaggi, alle derisioni (ivi comprese agli attributi maschili durante le docce) e alle ingiuste punizioni a cui viene sottoposto dai professori che lo vessano per colpire indirettamente il padre (preside dell'istituto scolastico).

Siamo nel classico ambiente liceale, nell'apice della pubertà degli studenti che si misurano tra loro. Su tale intelaiatura Grant introduce due diversivi. Il primo, assai più marginale e confinato nella prima metà del romanzo, è quello di un serial killer squartatore che uccide gli studenti aggredendoli nel parco. Si tratta di un maniaco, in verità un po' avulso alla vicenda, che non viene celato agli occhi del lettore. Grant lo presenta senza alcuna intenzione di costruire una sottotraccia gialla. Non entusiasma il fatto che caratterizzi l'individuo come un clochard, dunque un reietto, cacciato dall'esercito, che cova un vero e proprio odio nei confronti delle “burbette”, sia che siano maschi o femmine. “Come gli scorreva il sangue quando incontrava ragazzini a cui poter squartare la gola e togliere le budella, per sorseggiarne il sangue e mangiucchiarne la carne, prima di lasciare la sua firma finale”. Pur mostrando un paio di omicidi, l'autore non si abbandona alla tentazione del macabro. Non si compiace della violenza e arriva addirittura a spiazzare i lettori facendo uscire di scena l'assassinio a metà opera per sostituirlo con un orrore ben superiore, sebbene introdotto con l'aura di un personaggio positivo.

Al canovaccio dello squartatore Grant sovrappone l'idea di una creatura soprannaturale animata dall'immaginazione del protagonista e da esso innescata in modo non totalmente conscio. Una sorta di materializzazione delle frustrazioni e della sete di vendetta repressa. Il ragazzino infatti, rivolgendosi alla figura di un cavallo nero che galoppa all'interno di un poster, riesce a evocare la bestia che, fuoriuscita dall'ambito di riferimento, prende a muoversi nell'oscurità cittadina, materializzandosi al cospetto di tutti coloro che, a vario titolo, minacciano il benessere del ragazzo. L'idea, tutt'altro che innovativa, arriva da celebri racconti quali Il Ritratto (1835) di Nikolaj Gogol, La Redenzione dei Capilavori (1900) di Luigi Capuana, Pickman's Model (1927) di Howard P. Lovecraft e The Leonardo Rondache (1948) di Manly W. Wellman. Un classico archetipo che sarà ripreso dallo stesso Stephen King in occasione di racconti quali The Road Virus Heads North (1999) inserito nell'antologia Tutto è Fatidico. Non è tuttavia la mancanza di originalità il punto debole del romanzo, piuttosto l'incapacità di Grant (ad avviso di questo recensore) di invogliare il lettore nella prosecuzione della lettura creando aspettativa e fascinazione. Se King riesce, oltre a lavorare sulla vividezza dei personaggi (aspetto in cui eccelle anche Grant), a conferire un piglio accattivante alla lettura, The Pet offre pochi momenti di tensione, dilungandosi in descrizioni di spaccati di vita privata che poco interessano a un pubblico appassionato di horror, con parentesi tranquillamente eliminabili (la seconda ragazza di cui è attratto Don è, a esempio, un personaggio tranquillamente tagliabile). 

 

La copertina della versione Club Editori.

Ecco che la parte fondamentale della storia finisce per ruotare sulle vicende scolastiche, tra professori che si contendono le mogli, proposte di avanzamento di carriera, minacce di sciopero, partite di football, schermaglie tra studenti e professori, litigi familiari fino agli atti di bullismo che arrivano a comprendere veri e propri danneggiamenti alla proprietà privata. Queste vicende, piuttosto che lo squartatore o il cavallo nero, sono le vere protagoniste del romanzo, che si traduce in una rappresentazione metaforica delle difficoltà legate al passaggio tra adolescenza ed età adulta con relative pulsioni di violenza da gestire e incanalare in un modello positivo.

Per questo, quando finalmente il cavallo entra in scena, con i suoi occhi verdi e una nebbia verdastra che viene alimentata dall'anidride carbonica che fuoriesce dalle narici dell'animale, siamo già a metà romanzo. Un po' come in certi beast movie, il cavallo uccide lo squartatore e ne prende il posto quale nuova fonte di orrore cittadino. Donald “Don” Boyd, il nome del ragazzino protagonista, è inizialmente portato in trionfo dai cittadini che pensano abbia ucciso lui lo squartatore, trovato maciullato da una forza bruta assai poco immaginabile per un timido ragazzino che viene sistematicamente bullizzato. La morte dello squartatore non fermerà la catena di omicidi, ma estenderà la sua onda letale anche sugli adulti, fin lì non direttamente toccati. Ben presto il cavallo attaccherà tutti coloro che, a vario titolo, minacceranno la tranquillità fisica o emotiva del ragazzino, finché quest'ultimo non chiederà alla bestia di ritornarsene da dove è venuta.

Tutto qua, con un epilogo moscio (Don brucia il poster su cui, dopo esser sparito per giorni, è ricomparso il cavallo), che non conclude la vicenda e non fornisce lumi sulle reazioni della polizia e dei cittadini a fronte dei nuovi omicidi. Il mistero non viene risolto dagli indagatori che decidono di subirlo, sebbene sia stato massacrato un ragazzo per la via (con i compagni che il giorno dopo giocheranno tranquillamente la finale di football), siano stati uccisi due professori, demolita un'abitazione e aggrediti altri due ragazzi. L'ultima frase, con cui Grant vorrebbe evocare l'insorgere di un nuovo orrore, lascia indifferente il lettore e mostra la totale immaturità del protagonista incapace, evidentemente, di diventare adulto.

The Pet si rivela essere un ottimo lavoro di caratterizzazione dei personaggi (decisamente vivi), che ben riproduce l'immaginario del mondo adolescenziale americano, con le cittadine ammirate anche in film come Halloween di Carpenter, ma che latita in quella che dovrebbe essere la sua componente fondamentale: la tensione e l'orrore. Grant prova, in altri termini, a plasmare una slasher story cercando di fondere Stephen King al cinema dei boogeymen, sostituendo la figura dell'uomo nero o della macchina assassina con quella del cavallo diabolico generato da un impulso psichico del protagonista. Tanta noia e poca verve. Manca anche la componente gore che Grant, pur proponendo omicidi sulla carta truci, tende a edulcorare. Deludente.

Da segnalare che la Sperling & Kupfer, tra il 1988 e il 1992, ha fatto uscire il romanzo in tre distinte edizioni, la prima delle quali con una locandina notevole - ripresa dalla versione originale - che ben rispecchia i contenuti.

 

L'autore Charles L. Grant.

Quale altra città riesce a sbarazzarsi di un maniaco per rimpiazzarlo subito con un altro?”