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martedì 15 agosto 2023

Recensione cinema: BARBIE (2023) di Greta Gerwig.

Regia: Greta Gerwig.
Anno: 2023.
Genere: Grottesco / Commedia.
Attori Principali: Margot Robbie, Ryan Gosling, America Ferrera, Michael Cera, Ariana Greenblatt, Will Ferrell.
Fotografia: Rodrigo Prieto.
Musiche: Mark Ronson e Andrew Wyatt. 
Durata: 114 minuti.

Commento a cura di Matteo Mancini.
Bisogna ammettere che ideare, scrivere e realizzare un film su Barbie era qualcosa di pressoché impensabile, salvo scivolare in quei prodotti trash che “insozzano” le sale cinematografiche prima e le mensole delle rivendite dvd/blue ray poi. Ne sa qualcosa la Mattel, che qua partecipa in veste di finanziatrice, quando negli anni ottanta tentò di realizzare il film sul corrispettivo maschile di Barbie ovvero He-Man. Masters of the Universe, con l'allora emergente biondone Dolph Lundgren (Ivan Drago di Rocky IV). Fu un fiasco clamoroso, sia sul versante economico che su quello cinematografico in senso stretto, sebbene il soggetto fosse senza dubbio dotato di possibilità di realizzazione cinematografica, vuoi per essere un prodotto derivativo di un cartoon (e quindi con un plot già delineato), vuoi per le similitudini – sebbene votate al fantasy più sfrenato – con un film di successo come Conan Il Barbaro. Un precedente disastroso che non ha spaventato le due fautrici del “miracolo” Barbie: la regista Greta Gerwig e la produttrice nonché protagonista Margot Robbie. Le due, entrambe titolate e già lanciate nell'olimpo hollywoodiano (cinque candidature agli oscar in due; la prima per migliore regia e migliori sceneggiature, la seconda come migliore attrice protagonista e non protagonista), riescono nell'impresa e sfornano probabilmente il film evento dell'anno. Barbie è una commedia costruita su una massiccia quantità di ironia che riesce nel pazzesco compito di distruggere il messaggio di perfezione e di bellezza delle forme (anteposte alla sostanza nell'immaginario Mattel) proprie del giocattolo di Barbie per rimodulare il tutto in nome di un qualcosa di diverso che resta comunque Barbie ma la evolve sul piano intellettuale. Un'operazione concettualmente assurda che eleva il marchio e la bambola per eccellenza, muovendo dalla distruzione della stessa verso una costruzione di altro che mantiene la medesima immagine esteriore. Un concetto questo sottolineato più volte nel film, quando ogni variazione - sulla carta catastrofica - che avviene a Barbieland si tramuta in un successo economico nella vita reale in fatto di vendite. La Gerwig fa propria la sceneggiatura e sembra quasi offrire un saggio di bravura sul come trasformare un materiale trash in un film con velleità da oscar (avrà contro avversari agguerriti, a partire da Christopher Nolan, ma strapperà diverse candidature). La pellicola prende l'abbrivio con un pomposo prologo che rimanda a 2001 Odissea nello Spazio (la sequenza con l'evoluzione degli oranghi che acquisiscono le basi evolutive per tramutarsi in uomini) e con un'esaltazione di quella che io chiamo “carrozzeria femminile” anteposta alla sostanza. Da qui, a poco a poco, si delinea il film in una stretta correlazione tra il mondo reale e il mondo fantastico, che rimanda al concetto divino di creazione nel rapporto tra Uomo (qua donna) e Dio (qua ancora una volta donna, ovvero la tipa anziana). Le modifiche apportate alla bambola dagli ideatori della stessa nella sede di Los Angeles portano a modifiche effettive sul corpo e sulla mente di Barbie (la splendida Margot Robbie), così come le evoluzioni di Barbieland (dovute all'esperienza maturata nella vita reale dall'imbranato Ken, interpretato da un divertito Ryan Gosling, sempre pronto a mettere in evidenza i muscoli intesi quale sinonimo di idiozia) si riflettono sui giocattoli del mondo reale. Barbie scoprirà, nella sua relazione col mondo reale, in cui si trasferisce per eliminare i difetti che si è ritrovata a riscontrare (e che poi imparerà ad apprezzare), l'importanza di altri valori (superiori, come dimostra la scelta finale di calzare i sandali anziché le scarpe con tacco a spillo) che vanno oltre i meri canoni estetici fino a desiderare, da novello Pinocchio in versione femminile, di tramutarsi in umana sebbene abbia scorto la sofferenza e il male che fanno parte della vita di tutti i giorni (che però è reale e non un qualcosa di fittizio). Le pervengono idee di morte, il terrore della vecchiaia e il deterioramento del corpo e della psiche, tutti sintomi di una maturità che non è propria dei soggetti che, da perfetti Lucignoli, vivono nel paese dei balocchi (qua a tutti gli effetti) senza porsi domande sul domani (e sull'aldilà) che viene solo visto come una festa continua in cui ballare e fare gli idioti (modello Grande Fratello). La Gerwig sembra scatenata dietro alla macchina da presa, offrendo la sensazione che si sia divertita non poco nell'ideazione e nella trasformazione filmica del progetto. Plasma un fantasy che oscilla tra musical e commedia, con un'ironia di fondo decisamente graffiante e ultra marcata. Lode alla Mattel che non si prende sul serio e si auto-dileggia, con una serie di amministratori che sono dei veri e propri idioti tutti sopra le righe. I personaggi del film, infatti, sono grotteschi nei modi di fare e hanno reazioni fanciullesche che simulano i giochi dei bimbi (non a caso fluttuano in aria e simulano di fare la doccia o di mangiare). Attraverso l'ironia, la Gerwig evidenzia i difetti tipici delle donne e dei maschi, con l'inevitabile cliché di “lui ama lei, ma lei non se lo fila, però gli scodinzola mandandolo in brodo di giuggiole e facendogli mostrare i muscoli e rendersi disponibile”. Geniale la sequenza in cui le donne riprendono il possesso del mondo mettendo gli uomini uno contro l'altro semplicemente facendoli ingelosire, così da portarli a scagliarsi contro quello che vedono come il potenziale contendente, senza accorgersi di essere tutti pedine manovrate dalla bellezza femminile che persegue suoi fini. 
 
I due protagonisti: Ryan Gosling (Ken) e
Margot Robbie (Barbie).
 

Si noti come tra gli elementi centrali per il risveglio delle barbie vi sia la barbie punk, chiaro rimando alla Harley Quinn di Suicide Squad interpretata da Margot Robbie che, avendo interpretato anche Tonya, si conferma un'attrice con una certa simpatia per la ribellione e i personaggi che rompono gli schemi. Da notare anche la citazione a Fight Club, quando viene detto alle Barbie che non sono quello che gli altri intenderebbero che esse fossero (un'idea), ma dei soggetti capaci di autodeterminarsi così da superare l'impostazione del loro creatore e ascendere al rango di umano a tutti gli effetti (altro messaggio ascetico). Centrale il discorso, fatto da un'ispirata America Ferrera, finalizzato a cancellare la manipolazione di fondo che programma la mente delle donne (pensate agli attuali influencer o alla moda in generale e quanto essa, come farà Ken nel film, riesca a plasmare il volere delle persone) al fine di stimolare l'autocoscienza, il ruolo a cui potrebbero ambire e la vera evoluzione che potrebbe derivarne con il realtivo superamento di generi, classi sociali e sessismo.

Costumi e scenografie volutamente patinate e sgargianti, con dominanza del fucsia. La Gerwig, con i suoi scenografi, rende bene l'idea delle scenografie fittizie. Barbieland è un grande gioco in cui si muovono giocattoli e dove tutto è finto, mera riproduzione di una realtà che non ha gli elementi per poterla mutuare in modo perfetto (si vedano le onde del mare di plastica). Una finzione di vita che intenderebbe emulare la realtà, ma che tale non è, restando solo un'illusione di vita e dunque un qualcosa di inferiore seppure all'insegna del divertimento e della falsa gioia. Le bambole (verrebbe da dire l'uomo) esistono solo perché il suo creatore e i destinatari dell'invenzione (i bambini dell'ideatore) continuano a giocare con loro, altrimenti verrebbero cancellate. Si tratta dunque di un esistere per concessione altrui, vale a dire una condizione di dipendenza che rispecchia una mancanza di maturità. Un concetto quest'ultimo che ribalta l'impostazione propria di certi romanzi fantastici (penso al Malpertuis di Jean Ray) dove si dice che gli dei e lo stesso Dio esistono solo perché gli uomini continuano a rivolgersi a loro attraverso la preghiera, altrimenti anche gli dei finirebbero per essere cancellati. Qua avviene l'opposto. A mio modo di vedere, un film ottimo, probabilmente sottovalutato da molti che (un po' come avviene a Barbie) si soffermano sulla forma e sui tanti omaggi legati ai vari modelli dei giocattoli effettivamente realizzati negli anni ottanta (che io, per ovvie ragioni, non sono in grado di cogliere), molti dei quali mostrati nei titoli di cosa. Barbie è dunque un film sopra le aspettative. Appuntamento alla notte degli oscar... e sempre e solo W I CAVALLI, meglio se rappresentati dal colore fucsia in Italia sinonimo di ostacoli.

La Barbie stramba vi aspetta con il Joker.

"Il fucsia non è solo un colore, è un atteggiamento."

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