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martedì 1 agosto 2023

Recensione Narrativa: INVERNO GIALLO '75/'76. A cura di Ellery Queen

Autore: AA.VV.
Serie: Ellery Queen Presenta.
Anno: 1975.
Genere: Giallo.
Editore: Mondadori.
Pagine: 352.
Prezzo: Fuori catalogo.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Arriva l'estate e con lei non può mancare la lettura di almeno una raccolta proposta dal nome collettivo Ellery Queen per la collana Inverno Giallo (anche se sarebbe stato più logico recensire un'Estate Gialla) della Mondadori. Recuperata su una bancarella estiva di libri gialli per una manciata di monete d'euro, analizziamo oggi Inverno Giallo '75/'76. Tredici racconti più tre novelle (chiamarle romanzi, come indica la copertina, ci sembra un po' troppo) per un totale di sedici soggetti. Storie ricomprese tra il 1931 e il 1966, anni della loro pubblicazione; dunque un'antologia legata particolarmente alle riviste pulp della prima metà del novecento. Nonostante il titolo della raccolta è bene fin da subito evidenziare come di gialli non ve ne siano in realtà molti. Siamo piuttosto alle prese con un'antologia di crime novel, totalmente avulsa dal fantastico che in altri numeri della serie tende a fare capolino, dove spesso è gradita compagna l'ironia e la beffa. Solo sette storie, dunque meno della metà, sono dei gialli in senso stretto. Il livello generale è più che apprezzabile, sebbene vi siano cinque buoni racconti capaci di distinguersi dalla massa, oltre ad altri quattro interessanti lasciando il resto a fare da completamento con solo un pugno di racconti poco convincenti.

Bella la scelta dei nomi coinvolti, una rosa che invoglia indubbiamente all'acquisto il lettore esperto e che mette insieme anche curiosi accostamenti come la triade composta da Herbert G. Wells, Orson Welles e Philip Wylie; ovvero il celebre autore di fantascienza inglese, il regista che organizzò negli Stati Uniti uno spettacolo radiofonico su un romanzo del primo determinando un'isteria di massa che portò a numerosi suicidi di gente convinta che fossero atterrati sul suolo americano gli UFO e lo sceneggiatore hollywoodiano chiamato ad adattare negli anni '30 i romanzi di fantascienza del primo. Figurano inoltre nomi monumentali nella storia del giallo quali il belga Georges Simenon, che presta per l'occasione un racconto della serie Maigret, l'ideatore del personaggio di Perry Mason (Erle Stanley Gardner), il maestro del racconto giallo Cornell Woorlich, il maestro dei misteri delle camere chiuse John Dickson Carr e ancora il fulminante amante degli enigmi Ellery Queen, il pluripremiato J.B Priestley e molti altri meno famosi in Italia con la curiosa partecipazione dei sopracitati Orson Welles e Herbert G. Wells.

Andiamo dunque nel dettaglio, partendo proprio dai racconti gialli.

DETTAGLIO

Struttura da whodunit, forse l'unico costruito in tal maniera, per The Blizzard Murder Case (“Delitto in una Notte di Tormenta”, 1937) dell'autore sci-fi Philip Wylie, nome pubblicato anche sulla collana Urania (“Attacco alla Terra”, 1991) ma soprattutto firma del romanzo (“Gladiator”, 1930) che avrebbe poi ispirato l'ideazione di Superman e di una serie di sceneggiature, tra fantascienza e horror, adattate per l'industria cinematografica hollywoodiana. Tra i film sceneggiati si ricordano, su soggetto di Herbert G. Wells, L'Isola delle Anime Perdute (1930) e L'Uomo Invisibile (1933) senza dimenticare l'adattamento del romanzo più famoso di Wylie, When Worlds Collide (“Quando i Mondi si Scontrano”, 1933), portato in scena da Rudolph Matè nel 1951 (vinse l'Oscar per i migliori effetti speciali).

Per l'occasione, Wylie accantona la fantascienza per strutturare, sulla distanza delle cinquanta pagine, un vero e proprio giallo dall'intreccio complesso. Tre soci discutono sull'opportunità di lanciarsi o meno in un affare in Sud America. Una divergenza di opinioni porta due, dei tre, a litigare furiosamente. Poche ore dopo, uno dei due soci viene trovato accoltellato nel proprio appartamento, mentre un secondo è improvvisamente fuggito su un treno dopo aver fatto i bagagli in fretta e furia, lasciando il terzo compagno di affari implicato nell'omicidio. La polizia, infatti, trova nella schiena del morto un coltello dalla punta scheggiata che è di proprietà proprio dell'indiziato. Bloccato dalla polizia senza troppi complimenti, l'uomo viene rilasciato quando gli agenti, dopo aver cercato di seguire le tracce del fuggitivo - ritenuto colpevole dall'indiziato - rinvengono il cadavere dello stesso davanti alla casa di villeggiatura della vittima iniziale. Attenzione, però... Niente è come sembra. Apprezzabile il tentativo di rimescolare le carte operato dall'autore che lavora sulla scena del delitto, delinea un movente più che sufficiente e scombina i piani, facendo ricadere i sospetti su più soggetti. Interessanti alcune trovate, quali il congelamento di un cadavere per non far capire quando sia intervenuta la morte, oppure la messa in scena operata dal killer e i continui colpi a sorpresa che rivoluzionano la ricostruzione del delitto. Purtroppo Wylie semplifica un po' le cose e sottovaluta sia il lavoro della polizia che dei medici legali. La sua soluzione non collima alla perfezione né con l'esame dei cadaveri (impossibile non accorgersi che un uomo sia morto, piuttosto che per una fucilata esplosa post-mortem, per una coltellata) né con lo studio della scena del delitto (impossibile non accorgersi che un uomo ucciso da una pugnalata è stato trascinato su un pavimento; così come appare superficiale la totale omissione circa la verifica delle macchie di sangue presenti sulla scena del delitto che si scopriranno appartenere a soggetti diversi). A ogni modo, al di là dei difetti (tra i quali il coinvolgimento di una complice che fa il doppio gioco), Delitto in una Notte di Tormenta è un giallo che tiene viva l'attenzione e, alla fine, si lascia apprezzare tra i migliori dell'antologia.


Si va sul sicuro anche con Erle Stanley Gardner, il papà letterario del celeberrimo Perry Mason (il più famoso avvocato nella storia della letteratura), che con A Man is Missing (“Un Uomo è Scomparso”, 1946) mette in scena un curioso giallo a metà strada tra intrigo e avventura. Giocato su una distanza più lunga rispetto alla media delle altre storie (poco meno di cinquanta pagine), è una storia che consente all'autore di mettere in mostra (in chiave ironica e dissacrante) i contrasti tra i boriosi detective della polizia cittadina e i più alla mano sceriffi di montagna. Da una parte l'arroganza dei professionisti che arrivano dalla cultura cittadina, dall'altra la praticità del mestiere di chi è abituato alla vita provinciale e che ben conosce i luoghi. Non a caso sarà proprio lo sceriffo, dopo essersi avvalso di una guida di montagna, a smontare la frettolosa ricostruzione del collega di città e a ribaltare la tesi dello stesso, facendo venire a galla la verità relativa alla scomparsa di un uomo e alla morte di una vittima incastrata dal primo al solo scopo di frodare l'assicurazione. Tutto il mistero sarà risolto dalla “semplice” analisi della scena del delitto, tra incongruenze, incompatibilità temporali e una messa in scena viziata dalla mancata conoscenza, da parte del killer (e degli agenti della città), degli usi tipici di chi è un abituale frequentatore della montagna. Siamo infatti alle prese con una messa in scena, tesa a cercare la conferma da parte delle autorità per delineare un omicidio compiuto da un assassino scomparso nel nulla al fine di intascare la polizza sulla vita.

Bel gioco a incastri, con una prima parte dal retrogusto western. Una spedizione di sei elementi, tra uomini e donne, procede lungo i tortuosi meandri montani, in sella ai cavalli, per giungere alla baracca ritratta da una foto scattata da un uomo scomparso nel nulla e che viene presentato dalla moglie alle autorità come un soggetto affetto da amnesie provocate da un incidente stradale. Attenzione però a non farsi abbindolare: niente è come sembra.


Un altro nome che non può deludere è quello del belga Georges Simenon che schiera nientemeno che il suo personaggio più famoso: il commissario Maigret, qua alle prese con un doppio caso. “Il nostro” deve dividere l'impegno non solo con due casi, uno strano suicidio avvenuto in diretta telefonica con la polizia e i raggiri di un truffatore internazionale, ma anche con uno sfortunato collega a cui vorrebbe sottrarre il caso del suicidio temendo però di offenderlo. Ecco che prende piede Maigret et L'Inspecteur Malgracieux (“Maigret e l'Ispettore Scontroso”, 1947). Eccellente la cornice, con squarci ambientati nella centrale operativa del commissariato di Parigi, tra telefoni che squillano e spie che si accendono di continuo sui quadranti per segnalare le emergenze in città. Simenon parte da una strana chiamata alla polizia, in cui si sente esplodere un colpo di pistola. Tutto farebbe pensare a un assurdo suicidio della stessa persona che ha chiamato la Centrale. Sulla scena del delitto, infatti, gli agenti rivengono a mezzo metro dal cadavere la pistola della vittima, così come il colpo è stato esploso a contatto dell'orecchio. Sull'arma però non vengono rilevate tracce particolari, la pistola sembra esser stata ripulita da un panno. Inoltre all'interno della canna vengono rilevate delle strane rigature che fanno pensare all'impiego di un silenziatore non rinvenuto sulla scena. Cosa è successo? Parte l'indagine, che coinvolge la moglie della vittima e la sua sorella. Autopsie, polizze assicurative e un fatto simile avvenuto qualche mese prima sono le vie che consentono a Maigret di risolvere il mistero, lasciando tutti i meriti al collega. Buona narrazione, ottimi sviluppi, ma movente ed epilogo inflazionati che fanno perdere qualcosa al racconto a cui anteponiamo i due sopracitati.


Si scende di livello, pur restando alle prese con un racconto interessante, con The Dwelling Place of the Proud (“Il Mistero di Kademein, ”1966) di Charles B. Child, facente parte del ciclo dell'ispettore Chafik J. Chafik. La particolarità del racconto sta nella sua ambientazione esotica. Siamo nel mondo arabo, alla periferia di Bagdad, dove una strana epidemia di decessi e di malori colpisce i fedeli che si recano per pregare al santuario di Kademein. Le indagini e l'intervento del medico legale permettono di isolare delle tracce di curaro rilevate nel corpo delle vittime. Chafik riuscirà a svelare l'arcano di una storia che, in verità, paga qualcosa sul piano dell'intreccio. Mancano infatti i sospettati utili a disorientare il lettore. Chi sia dietro la macchinazione diviene così intuitivo fin da subito. Claude Vernon Frost, nome anagrafico dietro lo pseudonimo Child, dimostra comunque di conoscere a mena dito i luoghi, facendo delle scenografie l'arma vincente della storia. Riporta espressioni arabe, descrive ambienti e usi locali grazie all'esperienza acquisita sul campo, quando durante la seconda guerra mondiale aveva collaborato con la polizia irachena quale membro del controspionaggio britannico. Alla fine viene fuori un giallo diverso dal solito, con un curioso stratagemma utilizzato da un padre disperato e in ira con Allah.


Convincono assai meno i restanti tre gialli. Cat of Dreams (“Il Gatto Immaginario”, 1958) di Frances e Richard Lockridge (marito e moglie noti per la serie di gialli dedicati alla coppia Mr and Mrs North) non massimizza gli ingredienti impiegati nell'intreccio. Il ritrovamento di un cadavere di un uomo rimasto coinvolto, senza riportare condanne, in due incidenti stradali dagli esiti nefasti per terzi induce la polizia a sospettare il coinvolgimento del marito della donna morta, mesi prima, nell'auto dell'uomo. Il cadavere, infatti, viene ritrovato nei pressi dell'abitazione del sospettato l'indomani dell'assoluzione in tribunale della vittima. C'è tuttavia un particolare che induce a far pensare il detective incaricato del caso. La figlia dell'uomo, una bambina dotata di fervida immaginazione, ha riferito di aver visto, nella notte e in orario compatibile col decesso, un uomo grasso e goffo fuggire nella strada seguito da un gatto dagli occhi rossi. L'eventuale ritrovamento nella zona di un gatto con gli occhi rossi avvalerebbe la dichiarazione della piccola... ma potrebbe mai esistere un gatto con gli occhi rossi? La risposta è sì. Gli occhi di un siamese, di notte, se illuminati dai fanali delle auto diventano rossi. Chi è allora l'assassino? Semplice, il parente della vittima dell'altro sinistro, un qualcuno che ha pensato bene di sfruttare la situazione per far ricadere la colpa sull'altro potenziale soggetto interessato alla vendetta. Un racconto dunque che non va oltre il simpatico e che da la sensazione di non essere stato cadenzato dal giusto appeal.

Frettoloso e legato ai modi di dire, quale via attraverso la quale risolvere il mistero, è il testo firmato Ellery Queen, protagonista anche della storia. Money Talks (“La Paura della Signora Alfredo”, 1950) propone un tentativo di estorsione ai danni di una madre che intende celare il fatto di avere una figlia illegittima. Gialletto tutto giocato sulla provenienza della donna (Inghilterra) e sul vocabolario tipico degli inglesi evidentemente difforme rispetto agli autoctoni americani. Sarà proprio questa diversità di lessico a incastrare l'estorsore. Simpatico e nulla più.


Confusionario e con soluzioni demenziali Murder in a Nudist Camp (“Morte in un Campo di Nudisti”, 1966), un goffo tentativo di spacciare per giallo un racconto di denuncia del bigottismo americano e, al tempo stesso, di proporre un'apologia del naturismo. Uno strano guardone scruta, abbarbicato sull'impalcatura di un cartellone autostradale, all'interno di una spiaggia di nudisti. I frequentatori della spiaggia temono di poter esser ricattati e decidono così di mettere in piedi un assurdo show per indurre l'osservatore a chiamare la polizia: mettono infatti in scena un artificioso omicidio, a base di pistole giocattolo e salsa di pomodoro. La polizia sopraggiungerà davvero sul campo, ma non per denunciare il voyeur. Tra i nudisti, infatti, vi è un rapinatore che, per crearsi un alibi, ha pensato bene di mostrarsi come suo solito con la barba lunga, sebbene si sia raso da giorni per farsi così registrare dalle telecamere e sviare i sospetti. L'autore Allen Kim Lang, tra i meno noti e titolati dell'antologia, gestisce male la vicenda.



Qui finisce il giallo e prende piede il crime, talvolta ai limiti della comicità talaltra all'insegna della tensione.

La palma del migliore va a Cornell Woolrich che, col suo Momentum (“Il Treno per l'Inferno”, 1940), confeziona il miglior racconto in assoluto dell'antologia. Certo, non siamo dalle parti del giallo, bensì di un racconto drammatico alimentato dal bisogno di denaro e dall'impulso che fa dell'occasione l'uomo ladro. Un creditore a corto di soldi pensa bene di sottrarre i soldi dalla cassetta di sicurezza del suo debitore, un imprenditore che è fallito in modo artificioso per non pagare gli stipendi dei lavoratori. Appostato fuori dall'abitazione, l'uomo scorge la combinazione di sicurezza e pensa di mettere a frutto la scoperta. Un dispositivo, tuttavia, allarma il proprietario della casa che sorprende il ladro e inizia ad apostrofarlo, avendolo riconosciuto come un suo ex lavoratore. Preso dalla frenesia e dalla paura di esser arrestato, l'intruso spara al suo debitore e fugge con i soldi e la pistola recuperata nella cassaforte. È l'inizio di una paranoia che mina la tranquillità e la calma del fuggiasco, incapace di controllarsi e di raccapezzarsi nella sua nuova veste di pericoloso spree killer. Convinto di essere braccato dalla polizia, abbatte chiunque pensa possa arrestarlo, finendo per inscenare un'improbabile fuga con una moglie all'oscuro dei misfatti. Grande tensione, eccelso ritmo, per una storia che crea angoscia al lettore. Woolrich si dimostra un maestro del racconto breve (molte le sue antologie uscite in Italia, addirittura se ne contano diciotto pubblicate dalla Mondadori) e lo è fino in fondo, proponendo un epilogo beffardo che rende inutile e ingiustificata fin dall'inizio l'intera azione del protagonista. Eccelso racconto, poco altro da aggiungere.


The Old Doll's House (“La Casa della Vecchia Signora”, 1933), dello sceneggiatore e giornalista americano Damon Runyon, è una gangster story newyorkese (l'autore era un aderente al nascente sotto-filone hardboiled dalla cui opera venne tratta la serie televisiva Damon Runyon Theater) che vede tre bulli locali tentare di fare la pelle a un potenziale nuovo concorrente sul mercato dei loschi affari. L'agguato non va a buon fine e si ritorce, di lì a poco, proprio contro i tre aggressori, crivellati dai proiettili di una mitragliatrice in un bar della città da un killer identificato solo da un paio di scavezzacollo presi a sommarie informazioni dalla polizia. Il diversivo della storia, che le permette di guadagnare quel pizzico (giusto in pizzico) in più di favore, è costituito dalla caratterizzazione di una anziana possidente che si ritrova in casa il bandito in fuga dall'agguato ma, nonostante questo, non fa una piega essendo ben felice di intavolare un colloquio con lui. La donna, infatti, riferisce di non aver più visto entrare un ragazzo nella propria casa sebbene, dai tempi in cui il padre sbatté fuori dall'abitazione il suo giovane fidanzato, abbia lasciato aperta la porta d'ingresso. Il giovane infatti morì dal freddo, a causa della scenata del padre della donna, inducendo la stessa ad assumere l'impegno di rendere la casa un luogo di ricovero per chiunque fosse in difficoltà. Sarà proprio l'anziana signora, ritirata dalla vita civile, a salvare l'accusato dalla giusta condanna del tribunale. Testimonierà infatti che alle ore 00.00 dell'orologio del suo salotto il giovane era in sua compagnia. Una dichiarazione che renderà incompatibile la presenza dell'accusato sul luogo del delitto e farà cadere l'accusa sorretta dalle dichiarazioni dei due inaffidabili proposti dalla polizia. C'è un particolare però su cui nessuno punterà il dito: l'orologio della casa della donna è fermo sulle 00.00 da quando il fidanzato di un tempo fu buttato fuori casa...! Epilogo simpatico, ma intreccio debole per un mezzo giallo seppure ottimamente narrato.


Assai più incisivo il discreto The Dove and the Hawk (“La Colomba e il Falco”, 1966) di Anthony Gilbert, pseudonimo maschile di una scrittrice inglese (Lucy Beatrice Malleson) specializzata in crime story. Tornano le divergenze di opinioni in famiglia. Una zitella in carriera rifiuta l'amore che la sorellastra, rimasta sotto la sua curatela in quanto orfana e ancora minorenne, prova per un giocatore di azzardo specializzato nelle corse dei cavalli. Ogni tentativo di far ragionare la giovane non va a buon fine, costringendo la donna ad accettare, suo malgrado, l'imminente matrimonio. Poco prima dell'evento, tuttavia, emerge un ulteriore fattore. Durante un meeting di gran premi in un ippodromo, la zitella, senza farsi notare dal futuro cognato, ascolta un dialogo tra quest'ultimo e un amante. Dal colloquio emerge il vero fine dell'uomo: recuperare l'ingente patrimonio della futura moglie, sfruttandone l'ingenuità. Scatta così la decisione della donna di manomettere l'auto del pretendente sposo, così da provocarne un sinistro mortale che, puntualmente, si verifica. C'è un particolare però... sull'auto la vittima non era sola...e neppure in compagnia dell'amante, ma di quel qualcuno che la donna avrebbe voluto proteggere. Epilogo crudele, ma calzante. Buono, seppure non un giallo, con interessanti riferimenti all'eleganza dei cavalli e alla possibilità di far soldi con le scommesse (una prospettiva che, secondo il narratore, allontana dalla possibilità di una vita regolare gli scansafatiche).


Poliziesco a discreta dose di tensione The Killer is Loose (“Una Pistola per una Vendetta”, 1953) dei fratelli canadesi John e Ward Hawkins, due firme del circuito televisivo americano. Una storia che evidenzia la matrice cinematografica che contraddistingue la produzione degli Hawkins, conosciuti soprattutto per aver sceneggiato svariati episodi di celebri serial western quali Bonanza e Ai Confini dell'Arizona, per i quali hanno rispettivamente scritto quaranta e diciannove episodi, oltre che Rawhide. Non a caso questo Una Pistola per una Vendetta è un vero e proprio western urbano, molto interessante per l'anno di uscita sebbene oggi inflazionato nei contenuti. Gli Hawkins lavorano sulle caratterizzazioni dei personaggi e propongono i continui litigi tra una giovane moglie incinta e il marito poliziotto. La prima vorrebbe che il secondo abbandonasse la carriera per scegliere un impiego a minor tasso di rischio. Ad aggravare la situazione si aggiunge l'evasione di un rapinatore a cui il protagonista, per errore durante un'irruzione in appartamento, ha ucciso la moglie. Il malvivente, secondo le dichiarazioni rese dai compagni di cella, ha un solo obiettivo: ripagare con la medesima moneta chi lo ha sbattuto in carcere.

Racconto cadenzato dai ritmi giusti, accattivante e coinvolgente con una struttura a tensione crescente, grazie a un manigoldo che elude tutti i tentativi di arrestarlo. Adrenalinico il finale, con uccisioni a sangue freddo, travestimenti e pedinamenti al caradiopalma, per un racconto che aveva tutto per essere trasposto al cinema, cosa peraltro avvenuta nel 1956 con il mitico Joseph Cotten nei panni del poliziotto protagonista e la regia di Budd Boetticher (regista famoso per una serie di western a basso costo nonché autore del soggetto de Gli Avvoltoi hanno Fame interpretato da Clint Eastwood). Per l'epoca molto interessante, oggi decisamente inflazionato.


Non mancano i racconti ai limiti del comico. Tra questi spicca la satira/grottesca in odore di guerra fredda di Orson Welles. Il celebre regista e attore (cito solo Il Quarto Potere) offre un curioso contributo col suo Diplomatic Crisis (“Crisi Diplomatica”, 1956). Il ministro del gabinetto francese ospita presso i suoi uffici una delegazione di diplomatici sovietici. Invitato dalla moglie a rendere indimenticabile la cena somministrando uno speciale tartufo proveniente dal Cile, inizia a temere che l'alimento sia, in realtà, un potenziale veleno. Ossessionato da tale convinzione, supportata dal cuoco personale che confessa di essere un comunista, decide di somministrare un pezzo di tartufo al cane di casa, ormai già malandato, così da verificare la letalità del cibo. L'esame è superato a pieni voti, tanto che il tartufo viene somministrato durante la cena con grande apprezzamento dei sovietici. C'è un particolare però... prima del dolce, arriva la notizia che il cane è morto. Ha inizio un terrore assoluto, che non può consentire ai francesi di rivelare il dramma ai russi. Prendono così piede tutti i possibili scenari internazionali connessi alla morte dell'intera delegazione. Un incubo che porta ad allarmare medici e ambulanze, senza interrogarsi però su quale sia stata la ragione della morte dell'animale... Un Welles che, come nel suo celebre scherzo radiofonico del 1938 avente a oggetto La Guerra dei Mondi, si diletta nei possibili scenari da isteria collettiva non supportata dagli effettivi dati. Carino, ma non certo un giallo.


Sulla medesima linea si assesta A Deal in Ostriches (“Un Affare di Struzzi”) del quasi omonimo Herbert G. Wells, l'autore de La Guerra dei Mondi su cui ebbe da scherzare Welles, che propone un divertissement che ruota attorno alla sceneggiata di un damerino indiano, in viaggio in crociera, che grida e protesta perché uno struzzo, poi mischiatosi ad altri quattro esemplari, gli ha strappato con una beccata il diamante che aveva incastonato nel turbante ingoiandolo nello stomaco. Ha così inizio una discussione giuridica circa la titolarità dell'oggetto, a cui segue una vera e propria corsa per acquistare tutti gli struzzi del lotto. Curiosamente la spunta, per una somma di gran lunga inferiore al valore del gioiello, un euroasiatico che viene puntualmente bersagliato dalle accuse dell'indiano. La notizia, intanto, vola di bocca in bocca. Tutti i viaggiatori della nave vengono a conoscenza del fatto, anche perché i cinque struzzi vengono caricati sull'imbarcazione. L'acquirente, che confessa di essere un giocatore d'azzardo, propone di mettere all'asta quattro dei cinque struzzi, facendo però notare che nessuno dovrà essere ucciso prima dello sbarco. Prende così piede un enorme truffa, giostrata da due furbacchioni che si sono finti nemici e concorrenti.


Ilarità e azione contraddistinguono Young Man on a Bicycle (“Un Giovanotto in Bicicletta”, 1955) di Victor Canning, scrittore portato al cinema da Alfred Hitchcock per il film che ne chiuse la carriera (Complotto di Famiglia, 1976) nonché pubblicato in Italia da Sonzogno, Editrice Nord, Mondadori e Rizzoli. Un Giovanotto in Bicicletta è una crime novel votata alla commedia, che vede in azione un ladro e truffatore gentiluomo che sembra ispirarsi sia alla filosofia di Robin Hood che a quella di Arsenio Lupin. Esperto in travestimenti, grande affabulatore e romantico intrattenitore di donne anziane, Paul Ashcroft prende possesso di una villa spacciandosi per invitato del Conte che ne è proprietario. Si gode così una vacanza a scrocco in terra francese, conosce la donna che diventerà sua moglie e, nel frattempo, recupera 100.000 franchi organizzando furti in abitazione al fine di ottenere dei riscatti spacciandosi quale intermediario tra la persona offesa dal reato e il sedicente autore dei colpi che lui afferma di aver riconosciuto. Strano benefattore, distribuisce buona parte dei proventi per aiutare i più bisognosi a cui si presenta sotto le spoglie di un vecchio aristocratico. Alla fine verrà scoperto, persino dal presunto ladro che si spacciava di conoscere, ma, grazie all'arte del travestimento, riuscirà a darsi alla fuga insieme all'amata, così da lanciarsi verso una vita onesta (così almeno dice). Crime novel simpatica all'insegna della commedia, dopo i racconti di Woolrich e Gardner è la migliore storia dell'antologia.


The Other Hangman (“L'Altro Giustiziere”, 1940) del celebre maestro dei “gialli delle camere chiuse” John Dickson Carr è una storia, tutta in flashback, di un grave errore giudiziario. D'ambientazione western, propone la messa a morte mediante impiccagione di un manigoldo rinvenuto ubriaco e con le mani sporche sangue in prossimità di un omicidio. L'uomo non è sicuro di aver commesso l'omicidio che gli viene imputato, tuttavia la giuria non ha dubbi a mandarlo sul patibolo. Una torrentizia pioggia sembra salvarlo dalla morte. Le tavole si ingrossano e la botola non riesce ad aprirsi. Intanto, arriva anche la confessione del vero assassino: una donna sfruttata e derisa sia dalla vittima che da colui che si pensava potesse essere l'assassino. La pena viene così annullata, ma l'uomo viene comunque trovato impiccato nella sua prigione. È stato il boia a ucciderlo, perché autorizzato specificatamente dai giudici e in possesso di tutte quelle qualità per rendere valida ed effettiva l'esecuzione. Le autorità non potranno fare altro che riconoscergli il dovuto di 50 dollari e nascondere l'errore giudiziario, così da rendere perfetto il delitto del boia, nientemeno che il padre del vero assassino.


Chiudiamo la recensione col racconto che apre l'antologia, probabilmente il peggiore del lotto: What a Life! (“Che Vita”, 1931) del drammaturgo inglese John B. Priestley. Racconto con vene umoristiche senza capo ne coda (sembra un estratto di un qualcosa di molto più ampio), tutto giocato sulle caratterizzazioni dei personaggi e sugli errori di valutazione in cui si potrebbe cadere nel giudicare le persone sulla base delle apparenze. Narrazione interamente incentrata all'interno di un Hotel poco frequentato, con alcuni ospiti che si annoiano e che reputano priva di emozioni la vita del vecchio cameriere che somministra gli aperitivi. Usciti dal locale per una serata frizzantina, il lettore, rimasto in compagnia del cameriere, diviene testimone di una realtà altra. L'uomo, infatti, è in ansia per l'imminente parto della figlia e chiede notizie per via telefonica. Intanto, la moglie, da cui si è separato da anni, fa irruzione nell'albergo per pretendere informazioni sulla figlia, un assalto che viene prontamente rintuzzato. Uscita la consorte, il cameriere si trova a dover fronteggiare un manigoldo che intende estorcergli dei favori facendo leva sulla precedente e misteriosa vita del vecchio. Scopriamo così che l'uomo è stato un bandito. Ecco che la calma piatta ammirata dai clienti viene accantonata. Emerge la vera anima da lupo, una cattiveria sepolta sotto la parvenza di pecora. Senza ricorrere ad armi o atti violenti, il cameriere induce alla fuga il bandito, paventando scenari poco incoraggianti nel caso di spiate o tentativi di arrecare danno alla sua vita civilizzata. Cacciati i due indesiderati ospiti, il cameriere torna a essere l'apatico vecchietto che somministra aperitivi ai clienti, ivi compresi i due soggetti di inizio racconto nel frattempo rientrati dopo la serata brava. Tutto qui; di giallo manco a parlarne, sebbene l'autore sia tutt'altro che uno sprovveduto. Negli anni '30 infatti era stato un autore all'apice del successo, vincitore del James Tait Black Memorial Prize nel 1929 succedendo, tra gli altri, a Walter de la Mare, e precedendo i successi dei Maestri Aldous Huxley, Oliver Onions, John Le Carré, William Golding e James G. Ballard.

CONCLUSIONE

Dunque un'antologia capace di intrattenere, perfetta per una lettura sotto l'ombrellone. Poche le delusioni, altrettanto pochi i vertici di tensione, molti gli spunti interessanti. Per il prezzo, vale sicuramente la lettura.

Frederick Dannay (a dx) e Manfred Bennington Lee (a sx)
meglio noti con lo pseudonimo collettivo ELLERY QUEEN.

"Il delitto, come una palla di neve che rotoli da un pendio, aumenta la propria quantità di moto di mano in mano che procede." (Cornell Wolrich)

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