Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

martedì 9 aprile 2024

Recensione Narrativa: HORROR ACADEMY VOLUME 2 a cura di Alessandro Manzetti.

Curatore: Alessandro Manzetti.
Edizione: Collection a serie limitata.
Anno: 2022.
Genere:  Antologia AA.VV. Horror.
Editore: Independent Legions.
Pagine: 194.
Prezzo: 16.90 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 
Secondo volume della serie antologica concepita da Alessandro Manzetti per fungere da vetrina agli scrittori facenti parte della sua accademia di scrittura creativa. Si segue il modello rappresentato dal primo volume della collana (qua trovate la recensone http://giurista81.blogspot.com/2023/07/recensione-narrativa-horror-academy.html ). Abbiamo infatti una carrellata di otto giovani scrittori italiani, più o meno noti, alternati a racconti di sei firme autorevoli di caratura internazionale che comprendono i grandi maestri (Campbell, R.C. Matheson e Masterton) e nuove proposte sul mercato editoriale nostrano (Taylor, Taborska e Kiste).

A differenza del primo volume, Manzetti opta per un fil rouge costituito dalla narrativa di Howard P. Lovecraft. Quattro dei sei racconti internazionali possono definirsi, a giusto titolo, lovecraftiani e altrettanto, seppur implicitamente, si potrebbe dire del racconto di Enrico Graglia (di gran lunga il migliore tra gli italiani).

Punto forte dell'antologia, tanto da attirare i collezionisti delle opere derivative dell'arte lovecraftiana, è The Inhabitant of the Lake (“L'Abitatore del Lago”) di Ramsey Campbell. Racconto famosissimo, colpevolmente mai tradotto in italiano prima dell'intervento di Manzetti, scritto nel lontano 1964. Campbell omaggia Lovecraft, citando Alhazred, Yuggoth, Shaggai, e al contempo crea un proprio mito personalizzato. The Inhabitant of the Lake non è un racconto meramente derivativo, ma aggiunge qualcosa alla cosmogonia lovecraftiana. Siamo in Inghilterra, a dieci miglia da Brichester (località di invenzione letteraria), ai margini di un lago, a quanto pare, creatosi più di cento anni prima a seguito della caduta di un meteora. Un pittore, dedito a raffigurare soggetti macabri, decide di acquistare una delle case abbandonate che sorgono attorno alle acque. Intende infatti sfruttare il luogo per trovare nuove fonti di ispirazione. Gli stabili, visibilmente fatiscenti, sono la testimonianza della presenza passata di un gruppo di individui votati a uno strano culto ultraterreno.

Campbell, che scrisse il racconto all'età di sedici anni, mostra fin da subito il suo smisurato talento. Atmosfere lugubri, scenari palustri, clima malsano e umido, graduale e progressivo insinuarsi del mistero, ambiguità (alla fine risolta in favore del soprannaturale) e aderenza agli insegnamenti lasciati da Lovecfraft si manifestano all'ennesima potenza. Un nuovo “grande antico”, capace di contornarsi di cadaveri umani posseduti e manovrati in modo da trasformarli in veri e propri morti viventi (Brian Keene ne sa qualcosa), entra nell'immaginario orrorifico degli appassionati. Appare infatti per la prima volta in assoluto Glaaki (si ricorda il volume, edito da Hypnos, L'Ultima Rivelazione di Gla'aki). Creatura extraterrestre acquatica, dotata di spine metalliche costituite da cellule viventi, piovuta sulla terra insieme a un'enorme meteora e sopravvissuta all'impatto. Sarebbe capace di comunicare con gli uomini attraverso sogni ipnotici, condizionandone le condotte per renderli suoi schiavi. Campbell caratterizza la creatura nel dettaglio e lo fa utilizzando l'artificio del racconto epistolare. Il protagonista (un pittore) comunica a un amico le sue scoperte, attraverso lo studio di un'opera (“Le Rivelazioni di Glaaki”) costituita da undici volumi che ha rinvenuto in una delle case abbandonate. L'epilogo sorprende per la capacità di anticipare cult assoluti quali Night of the Living Dead (1968) di George A. Romero, che riprenderà tutta la parte dell'assedio, e The Rising di Brian Keene. Davvero una perla; non a caso, trovò l'apprezzamento di August Derleth che la pubblicò annettendo Campbell nella sua Arkham House.

Non è ai livelli di The Inhabitant of the Lake l'assai più derivativo Will (1996) di Graham Masterton. Lo scrittore scozzese, conosciuto soprattutto per i suoi racconti grandguignoleschi, nulla propone di nuovo rispetto alla narrativa del solitario di Providence, andando peraltro a smarrire la propria cifra stilistica (dimenticate racconti come Pastone per Maiali e Sei quello che Mangi). Ci spostiamo a Londra, addirittura in un cantiere archeologico che porta alla luce il Globe Theatre in cui era solito esibirsi William Shakespeare. Masteron guarda a Yog-Shothot (che diventa Y'g Southothe), ma soprattutto ai patti diabolici di faustiana memoria, dietro ai quali si celano contropartite nefaste che, tuttavia, consentano a chi li sottoscrive (Shakespeare compreso) di avere successo nel campo dell'arte. A tale tematica si aggiunge quella del mostro che vive sottoterra, pronto a compiere mattanza se liberato dalla prigionia. Per essere al cospetto di un racconto di un “Maestro”, si resta delusi. Nulla più di un clone, molto simile a vecchi racconti quali Harold's Blues di Glen Singer, inserito nell'antologia The Year's Best Horror Stories. Fa allora meglio Lucy Snyder con Sunset on Mott Island (2017) dove, dalla disperazione della protagonista colpita da un probabile tumore e alle prese con una madre morente, si allarga il campo mostrando un mondo gravato da una vera e propria apocalisse. Tutto è sfumato e lasciato all'immagininazone del lettore, ma ci viene detto del crollo delle comunicazioni, delle citta' in balia delle fiamme, dell'insorgenza di strane mutazioni genetiche, e dell'imminenza di uno tsunami che, sotto la spinta provocata dal risveglio dei vari Dagon e Cthulhu, si appresta a travolgere l'umanità inondando la terra ferma con le acque dell'oceano. Molto evocativo e tragico. Ricorda un po' il mio Oltre la Torre di P Town, inserito nell'antologia Il Ritorno dei Grandi Antichi (2021) a cura di Gianfranco De Turris.

Piacciono meno gli altri tre racconti “internazionali”.

Cyril's Mission (2022) di Anna Taborska suggerisce il periodico risveglio ultracentenario di un grasso e grosso verme (tematica utilizzata anche da Predatori dall'Abisso di Ivo Torello) che, dalla sagrestia di una chiesa, reclama la vita di un determinato numero di ragazzini. Storia allusiva, forse tributo a The Lair of White Worm di Bram Stoker, dai tratti metaforici velatamente blasfemi (l'epilogo in cui viene addossata la responsabilità al prete). Cade un po' nel ridicolo e nel dejà vù nel proporre lo scontro tra un bizzarro prete e il mostro.

Estranei rispetto ai contenuti dei quattro precedenti racconti e per buoni versi sperimentali gli altri due elaborati dei “big”. Stile minimalista, quasi connaturato da un'impostazione poetica, per il fulmineo Birds (2022) di Richard Christian Matheson. Una storia allusiva e, in parte, criptica. Una pagina e mezzo in cui si suggeriscono maltrattamenti in famiglia e una ribellione finale per mano di un ragazzo stanco dei soprusi compiuti dai violenti genitori. Tutto però è lasciato all'interpretazione del lettore.

Tenta la via della contaminazione Gwendolyn Kiste, anche lei su un substrato allusivo che suggerisce maltrattamenti in famiglia. La scrittrice americana propone ai lettori, a cui si rivolge direttamente con Sister Glitter Blood (2021), di prendere parte a un gioco da tavola di cui fornisce le regole e gli obiettivi. Epilogo vagamente Edgar Allan Poeniano con rimando a The Fall of the House of Usher. Molto femminile, con un perturbante che non regala divertimento o stupore nella lettura, cercando più che altro di inquietare (non proprio riuscendoci).

Enrico Graglia,

è il caso di dire, 
on fire.

Tra il lotto degli scrittori dell'accademia di Manzetti brilla, e la cosa mi fa piacere avendo già prenotato da mesi il romanzo Il Deserto degli Striati, Enrico Graglia col folk horror I Passeggiatori. Classica storia che avrebbe fatto bella figura sulle pagine della rivista weird tales e che, per certi versi, mi ha ricordato alcuni racconti di Thorp McClusky, quali White Zombies Walked (1939). Graglia inserisce nel plot fantastico l'elemento della malattia (alzheimer), di cui è affetto il protagonista, e il profondo senso di solitudine che influenza la condotta della vittima degli eventi. Il senso dell'ambiguità, tuttavia, viene spazzato via dall'epilogo che, curiosamente, sembra ricollegarsi a quello del racconto della Taborska senza tuttavia andare sopra le righe. La malattia del protagonista infatti poco incide su quanto effettivamente accaduto. A differenza di molti suoi colleghi di corso, il sense of wonder di Graglia si antepone alla ricercatezza stilistica. La storia non è originalissima, tuttavia è gestita centellinando la tensione fino all'esplosione finale. In un paese montano, una strana processione di dodici uomini accompagnati da un giovane prete sconquassa l'animo del protagonista e crea malessere negli animali che sembrano fiutare qualcosa di alieno (o forse sarebbe il caso di dire diabolico). Cosa si nasconde dietro le strane preghiere del gruppo e che rapporto c'è tra esse e le strane sculture in legno rinvenute nel cuore del bosco? Il collegamento tra oggetti e persone, che fungerà da trampolino di lancio per il pirotecnico finale, ricorda molto la magia voodoo. Piccolo omaggio anche a Jack London (il nome del cane rimanda a Il Richiamo della Foresta).

Oltre al racconto di Graglia, davvero un piccolo gioiellino, colpisce nel segno Fino all'Altra Parte del Mondo di Andrea Mungiello. Strutturato in due parti ben distinte tra loro, riesce a miscelare la disperazione nella vita quotidiana di un'immigrata clandestina con la beffa di un'aldilà "alieno" dove la libertà persisterà a mantenere i tratti della chimera. L'inizio è drammatico, dagli spiccati risvolti sociali, con una prostituta che sogna di fuggire insieme a un'amica, così da ricrearsi una vita. La ricerca dell'amica tuttavia si fa disperata. Forse le è successo qualcosa di irrimediabile, al punto da portare la protagonista a visionare i corridoi di un ospedale salvo desistere e fare mesto ritorno a casa, bersagliata dalla voce del magnaccia. La droga è forse l'unica via per evadere dalla realtà nonché portale d'accesso per entrare in un onirico e allucinato fantastico di presa metaforica. Il sogno della felicità rappresentato dalla fuga in un isola caraibica si trasforma così in una prigionia che è divertimento di qualcun altro: un collezionista di anime non troppo dissimile al magnaccia (che sia Dio?).

Gli altri sei racconti, tutti ben serviti sotto l'occhio dei lettori, tendono, salvo qualche raro caso, a privilegiare la forma e lo stile ai contenuti e al sense of wonder. Anna Silvia Armenise evoca scenari da fiaba nera con Nella Bruma, una Fata, una ghost story cupa alla Gwendolyn Kiste ma anche alla Oliver Onions (penso a The Beckoning Fair One - “La Bella Adescatrice”), in cui tornano i contenuti sociali, rappresentati dalla ristrettezza culturale degli abitanti di un paese campagnolo che non accetta la relazione amorosa tra due ragazze adolescenti, provocando il suicidio di una di loro. Finale tragico, a cui si giunge stillando aspetti di un mistero passato. Buona prova per la delicatezza con cui viene trattato il tema.

Inquieta parecchio, soprattutto nella prima parte, Massimo Costante col suo Ave Maria. Siamo in epoca vittoriana con una storia che, cercando di far luce sul passato di una potenziale vittima di Jack lo Squartatore, ci mostra la fine del celebre killer di Whitechapel. Notevole, per capacità di creare disturbo nel lettore, la primissima parte, dove Costante guarda a racconti quali L'Incubatrice di Paolo Di Orazio. Piace meno l'epilogo soprannaturale che suggerisce la natura, in parte non umana, della protagonista.

Niccolò Ratto si ispira, più degli altri, alla mano di Alessando Manzetti o, meglio ancora, al suo alter ego Caleb Battiago. Iene è un racconto, per atmosfere e contenuti, che potremmo definire narakiano. Scritto con uno stile che ricorda delle brevi pennellate assestate qua e in là, senza articolare troppo i periodi e con flash frammentati funzionali a tratteggiare un'ambientazione degradata e contaminata da un male non precisato (forse radiazioni). Gli scenari prevalgono sulla sostanza, per quello che sembra essere un estratto di un materiale più ampio. Una giovane transgender scopre che nei sotterranei di una struttura su più piani vivono veramente le creature di cui si mormora in città: delle iene dagli occhi azzurri. Storia molto evocativa, che non trova un epilogo in grado di permetterle il salto di qualità (si prende la via della metafora).

Un altro racconto che sembra esser stato estrapolato da un'opera più ampia è Lupi di Roberto Risso, probabilmente il meno interessante tra i racconti italiani proposti. Survival sulla scia delle apoalisse zombi, anche se si ha a che fare con un'epidemia di idrofobi voraci di viscere e fegato (c'e qualcosa del genere, se non ricordo male, in un episodio di X-Files). Il buon ritmo garantisce il coinvolgimento continuo del lettore, ma l'originalità latita. Pur se chiuso con un finale sarcastico, è una storia che si dimentica presto.

Migliore rispetto a Lupi è Il Muro di Sergio Mastrillo, un racconto di formazione che riscrive il mito delle sirene, spostando il tutto dalle acque alla terraferma. Ottima la costruzione iniziale, che ben rappresenta il senso del mistero e ben alimenta le aspettative dei lettori, peraltro con rimandi a incubi subliminali (presenza di centrali nucleari, rimandi alla guerra, quartieri isolati dal resto del villaggio da mura che ricordano i ghetti ebraici) che rendono estraniante l'atmosfera. Purtroppo, secondo questo recensore, manca un epilogo “sconquassante” in grado di rendere il racconto un qualcosa di veramente memorabile.

Abbonda il sense of wonder in Pallida di Andrea Guido Silvi che ha, tuttavia, il demerito (secondo il modesto parere di questo recensore) di diluire la tensione con dialoghi più da prodotto cinematografico che narrativo. Ci spostiamo sui sentieri innevati, con due alpinisti che celano nel loro passato uno stupro terminato in omicidio ai danni di una minorenne. Colpiti da quella che sembrerebbe una maledizione, i due si perdono nell'ascesa, ritrovandosi al cospetto di una bizzarra tribù capace di leggere il passato delle persone e di ergersi al ruolo di giudice soprannaturale. Lento nella prima parte, viene portato avanti, piuttosto che dai contenuti, per effetto delle descrizioni scenografiche.

In conclusione Horror Academy conferma l'attenzione di Alessandro Manzetti per la cura e la componente stilistica dei suoi giovani scrittori. Gli otto racconti italiani sono tutti presentati con estrema cura, avendo sempre un occhio aperto sulle problematiche della vita comune. Probabilmente il testo è superiore rispetto al primo volume e ha il grosso merito di avere al suo interno il racconto The Inhabitant of the Lake, non trovabile in italiano altrove. Quattordici racconti, con poche delusioni e almeno due grosse perle: il citato racconto di Campbell e I Passeggiatori di Enrico Graglia. Bene anche Lucy Snyder, Andrea Mungiello e Anna Silvia Armenise. L'horror italiano è vivo e presente.


 

Nessun commento:

Posta un commento