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sabato 30 luglio 2016

Recensione Saggi: VITE SEGRETE DEI GRANDI SPORTIVI di Lorenzo Di Giovanni e Tommaso Guaita



Autore: Lorenzo Di Giovanni & Tommaso Guaita.
Illustrazioni: Tommaso Guaita.
Edizioni: Electa.
Genere: Antologia di Biografie Sportive.
Pagine: 400.
Prezzo: 19,90 euro.

Commento di Matteo Mancini.
Questi sono i volumi che piacciono a noi, in ambito sportivo. Un testo da regalare soprattutto ai giovani, per il suo fungere da lampada orientativa atta a illuminare sport magari poco reclamizzati nella nostra penisola (penso al baseball piuttosto che alla ginnastica artistica, per non parlare dell'ippica ancora all'oscuro più tetro) e portare a conoscere i loro protagonisti, magari con l'intento poi di approfondirne la conoscenza con l'acquisto di altri volumi. Lo stile è schematico, freschissimo, pieno zeppo di simpatiche illustrazioni a cura di Tommaso Guaita, con circa quaranta sportivi internazionali tutto genio & sregolatezza, quelli per i quali, spesso e volentieri c'erano ben pochi calcoli nelle loro gesta ma che avevano in comune una cosa: erano tutti campioni di emozioni. Lorenzo Di Giovanni e Tommaso Guaita raccontano le varie storie, dispensando soprattutto aneddoti dentro e fuori dai vari contesti sportivi, in modo schematico, con schede, passaggi riepilogativi e un continuo giocare con i colori e le illustrazioni accattivanti, dalle tonalità sgargianti, che, a prima vista, potrebbero sembrare quasi fanciullesche e invece contribuiscono di gran lunga a dare al testo una scorrevolezza non di poco conto. Un valore aggiunto è poi costituito dall'ironia pungente, direi british, con cui Di Giovanni e Guaita condiscono le varie storie con commenti finali spesso esilaranti (Bravi!). Certo, l'operazione paga qualcosa sul versante della sinteticità, in alcuni casi ci sono degli errorini (tipo laddove si legge che Villeneuve, nel gp di casa, avrebbe perso l'alettone posteriore, quando invece era l'anteriore), su cui però si può e si deve passare sopra (poiché non inficiano il contenuto di fondo). Cinque pagine effettive per ogni atleta, eccetto gli ultimi dieci dati come "Riserve", quasi come se si trattasse di una lode ai trenta precedentemente presentati, di un'ideale formazione di pazzi scatenati capace di fare la differenza ma di avere parabole di vita non sempre dall'esito felice.
Il volume è edito dall'ELECTA ma, se grattate bene sul nome che compare in copertina, vedrete comparire la scritta Mondadori.

Esempio dello stile e della struttura del testo.

L'operazione nasce, probabilmente, da testi di scrittori internazionali, come Vite Segrete dei Grandi Artisti Vite Segrete dei Grandi Scrittori (malloppo di oltre 600 pagine) editi dalla casa editrice nel 2013 e 2014 a cura, rispettivamente, di Elizabeth Lunday e Robert Schnakernberg, entrambi con un stile veloce, accattivamente, ricco di illustrazioni e teso a far emergere i vezzi e le bizzarrie dei vari soggetti raccontati. Da qui deriva l'idea di lanciare scrittori nostrani (giovani) in un'operazione che ne ricalcasse modello e taglio. Ed ecco uscire, a firma Di Giovanni e Guaita il volume Vite Segrete dei Grandi Scrittori Italiani (2015) subito seguito da quello qui esaminato. Un progetto quindi ad ampio raggio spassoso e divertente che arriva ad abbracciare il mondo dello sport.
C'è un po' di tutto dentro con personaggi culto come MacEnroe, Senna, Tyson, Borg, Maradona, Pelè, Muhammad Alì, Best, Carnera, Rodman, Jesse Owens e altri più ricercati come i giocatori di baseball di inizio secolo Tyrus Cobb, George Ruth (non temete... c'è anche Di Maggio e non perché a giugno c'è il rischio che vada in esaurimento eh...), o la tennista di inizio secolo Langlen e ancora la ginnasta Comaneci, i ciclisti (mi verrebbe da dire motociclisti) Pantani, Coppi e Armstrong, i miti del basket Johnson e Jordan... insomma di tutto quel che c'è non manca nulla. E' chiaro, non può esser completa. Come ogni selezione mancano dei personaggi che qua non avrebbero certo sfigurato, penso Monzon, il tennista Connors, il rallysta Alen, la leggenda Vito Taccone, il portiere Bruce Grobbelaar e altri matti scatenati che hanno però reso leggendarie le competizioni in cui hanno partecipando scrivendo pagine indelebili di storia sportiva. Di Giovanni però, mai sazio (come dargli torto), aggiunge anche altri aneddoti generali, sia dedicati a singoli che ai collettivi, in cinque capitoli, che si aprono tra un gruppo di atleti e un altro, intitolati: "Sport e potere", "Stelle cadenti", "Strane storie", "Vincere sporco" e "Ma dici davvero?" come a suggerire che alla fine non c'è mai un epilogo ma si apre sempre una nuova storia...
Comprerò anche gli altri. Divertente, ideale per un regalo specie ai più giovani.

Se sopra c'è Primo, mentre la prima è all'apice
qui abbiam la quarta che però appare come terza, per
la quinta c'è da andare dietro all'apparenza.

"Non fuggo da una sfida perché ho paura. Piuttosto, ci corro incontro!" (Nadia Comaneci, Romania).

mercoledì 13 luglio 2016

Recensione Narrativa: LA RAZZA CHE VERRA' di Edward Bulwer Lytton





Autore: Edward Bulwer Lytton.
Genere: Fanta-sociologia / Romanzo Utopico.
Titolo Originale: Vril, The Power of Coming Race.
Anno di pubblicazione: 1871.
Edizione Italiana: 2009.
Editore: Miraviglia Editore.
Pagine: 268.
Prezzo: 16,50 euro.

A cura di Matteo Mancini. 

Con The Coming Race facciamo la conoscenza di un autore poliedrico e assai prolifico che dovrebbe essere menzionato in ogni saggio dedicato alla storia della narrativa fantastica, come uno dei precursori base, ma che assai di rado si trova nei volumi a tema pubblicati in Italia. Ciò è dovuto alla priminente narrativa storica a cui lo stesso ha prestato massimo interesse, tanto da definirsi "il primo autore di romanzi storici veramente erudito", ma soprattutto a un atteggiamento di sfavore da parte dei critici americani che tendono a considerarlo tra i peggiori autori del periodo vittoriano. Conosciuto in particolare per il satirico Godolphin (1833), e i romanzi storici Gli Ultimi Giorni di Pompei (1834) e Rienzi (storia del 1835 ambientata nella Roma del XIV con protagonista il politico Cola Rienzi, acclamato dal popolo come un salvatore ma poi criticato per le tasse e il suo modo di procedere per compromessi e protagonista di un epilogo con un Campidoglio dato alle fiamme dal popolo insorto) sembra particolarmente caro ad Adolf Hitler, vanta infatti una discreta, ma non troppo numerosa, produzione in ambito fantastico-esosterico con romanzi quali Zanoni (1849), pubblicato fingendo di essere il mero editore e di aver avuto il testo da un rosacroce di cui non poteva rivelare il nome, Una Strana Storia (1862) e Maghi e Magia (1865), oltre naturalmente al qui presente La Razza che Verrà
Nato in Inghilterra nel 1803, da un generale (morto quando lui aveva quattro anni) e un'aristocratica inglese, ebbe un'infanzia turbolenta seguita da tribolate esperienze sentimentali adolescenziali, che lo portarono ad accompagnarsi con diverse donne (addirittura una zingara) prima di sposare, contro il volere della famiglia che gli tolse ogni finanziamento, una scrittrice irlandese con cui poi si lasciò, dieci anni dopo, in modo traumatico, tentando addirittura di farla rinchiudere in manicomio per l'eccesso di offese e calunnie che la stessa gli riversò contro allo scopo di intralciarne la carriera politica. Più volte eletto deputato nel parlamento inglese,  prima con i liberali poi con i conservatori, acquisì nel corso degli anni il titolo di Barone. Pubblicò moltissimo, circa sessanta opere, dieci romanzi nei primi dieci anni di attività per mantenere sé e la moglie, svariate piece teatrali, testi politici, saggi vari (celebre il saggio del 1828 Pelham sul fenomeno dandy che determinò una vera e propria moda) e volumi di carattere storico/divulgativo. Grande amico di Charles Dickens, conosciuto quando quest'ultimo era uno scrittore emergente, funse da ispirazione per l'ideazione del personaggio Steerforth di David Copperfield.
Questa è l'esistenza solare di Bulwer Lytton, il quale ebbe anche una vita, per così dire, segreta o underground. Interessato di occultismo e più in particolare di magia sessuale, studioso dell'Apocalisse di San Giovanni, si dice addirittura adepto di un ordine Rosicruciano, fu grande amico dell'occultista francese Eliphas Lèvi e di svariati membri poi fondatori dell'Hermetic Order of the Golden Dawn. Tale appartenza spinse, e spinge tuttora, svariati soggetti a ricercare nei suoi romanzi delle presunte verità insabbiate sotto il velo del fantastico riconducibili a segreti legati all'iniziazione a una dottrina esoterica. La cosa fu presa in modo talmente serio da ispirare, a inizio novecento, la nascita di alcune logge tedesche (la Società del Vril o Loggia Luminosa, fondata a Berlino nel 1920) poi confluite nella Thule e da questa al folle gruppo nazista pienamente convinto dell'esistenza di Agarthi, con relativa accettazione acritica della teoria della terra cava e di un mondo sommerso popolato da creature capaci di sovvertire l'ordine della superficie terrestre e di condurre la razza ariana al trionfo su tutte le altre.
Morì nel 1873 a Torquay per i postumi di un'operazione all'orecchio, che gli determinò un'infezione letale.

Edward Bulwer-Lytton.


The Coming Race è il suo terzultimo romanzo, uscito nel 1871, due anni prima della morte, edito in forma anonima (per due anni) sul Blackwood's Magazine, e pubblicato in Italia solo nel 1898. Viene, giustamente, definito romanzo utopico ispirato da Utopia (1516) di Thomas More e La Città del Sole (1623) di Tommaso Campanella, ma anche dal coevo Viaggio al Centro della Terra (1865) di Jules Verne. Ebbe immediato riscontro sia di pubblico che di critica.

La storia ha uno svilupppo centrale che riprende il tema già affrontato da Verne (peraltro si sconfessa ancora la teoria, o meglio certezza, che più si scende sotto la crosta terrestre più aumenta la temperatura), almeno apparentemente, ma Bulwer-Lytton opera poi uno sviluppo, se vogliamo, statico della vicenda. Mentre in Viaggio al Centro della Terra i protagonisti si spostano in un mondo sotterraneo per trovarne l'uscita, qua il protagonista, unico superstite di una discesa nel cuore di una miniera più verosimile ma fin troppo veloce, rispetto alla soluzione scelta dal collega francese, resta sempre nello stesso punto. Se Verne giocava tutto nel c.d. sense of wonder del lettore proponendo soluzioni e sviluppi avventurosi, Bulwer-Lytton opera un'analisi sociologica di un popolo antidiluviano costretto a penetrare nel cuore della terra per sfuggire alla catastrofe che si era scatenata sulla superificie. Un popolo umanoide, compatibile alla razza umana e dunque a essa legata da uno sviluppo comune (non è un popolo alieno, dato che si rende possibile l'accoppiamento riproduttivo), modificatosi però nelle caratteristiche per meglio adattarsi all'ambiente, che Bulwer-Lytton gioca a definire prendendosi gioco della teoria dell'evoluzione del coevo Charles Darwin. Evidente al riguardo il passaggio dove afferma che questa specie, e con essa l'uomo, sarebbe nata dall'evoluzione della rana (si veda, in copertina, lo spigolo angolare destro dove si evidenzia proprio questo passaggio). L'autore però non si ferma all'evoluzione fisica e anatomica di questi soggetti (peraltro in grado di volare grazie all'ideazione di appendici mobili in cui inserire le braccia), ma si estende anche all'evoluzione sociologica del complesso apparato civile e organizzativo. Su tal versante Bulwer-Lytton ne approfitta per criticare la democrazia in favore di una sorta di sistema anarchico (si parla di autocrazia benevola) e utopico, dove gli abitanti si danno delle regole consuetudinarie e provvedono loro stessi a farle rispettare come una sorta di famiglia allargata senza che vi sia una vera autorità se non un magistrato supremo, TUR, che interviene per prendere le decisioni più combattute. Il motto che sta alla base di questo sistema è: "Non c'è felicità senza ordine, non c'è ordine senza autorità, non c'è autorità senza unità." E' proprio sull'analisi di questa razza, i Vril-ya, che Bulwer-Lytton concentra i propri maggiori sforzi, parlando di come si è formata la loro lingua (un intero capitolo), dei rapporti tra maschi (ana) e femmine (gy), evidenziando anche qua un superamento dei limiti sociali storici dell'epoca dell'autore dato che la femmina ha un rapporto paritetico se non superiore rispetto ai maschi, della gestione educativa dei piccoli ana (vengono subito messi a lavorare per formarsi fin dalla tenera età) nonché di quella degli animali antidiluviani presenti (compresi i mostri sulla falsa riga dei dinosauri), si parla addirittura delle credenze religiose (con una visione, direi iniziatica, che parte dalla credenza base dell'esistenza di un essere divino e di una vita futura dopo la morte, sposando però una religione universale, che non scende in particolari ulteriori, superando in questo modo ogni forma di conflitto religioso perché, un po' come direbbero i sofisti, l'uomo non può interrogarsi su cose di cui non è a conoscenza) e di come questo popolo si relazioni con la morte. Viene infine dato ampio spazio alle scoperte scientifiche effettuate (utilizzano persino automi e aerei) che hanno determinato la fine di ogni forma di lotta e di guerra.

La fortuna dei Vril-ya è dovuta, vero e proprio centro su cui ruota il romanzo e che ne decretò la fortuna, a un fluido, racchiuso in uno scettro, in grado di essere attivato e disciplinato in modo da agire come potenza su ogni forma di materia animata o inamita. Un fluido (il vril) utilizzato sia per distruggere, come laser, sia per dare l'energia necessaria a illuminare l'ambiente, sia per curare in quanto capace di influire sui centri nervosi (dunque in grado anche di influenzare i comportamenti) ma anche di fungere da energia assimilabile all'elettrica e alla nostra futura energia nucleare. Non a caso, data la potenza distruttiva di questo fluido a disposizione di ogni cittadino, nella società del vril-ya si è venuto a creare un raffreddamento di ogni potenziale ostilità tra clan e cittadini con la realizzazione di una società paritetica dove non esiste nessun povero e le risorse e le ricchezze sono equamente ripartite. "Non ammettiamo differenze di rango, gli amministratori non godono di particolari onori e quindi le ambizioni individuali non vengono in alcun modo stimolate" spiegano al terrestre.

E' bene subito sottolineare che Bulwer-Lytton riprese l'idea di questo fluido dalle leggende legate al mito degli atlantidei. Esiste infatti ampio materiale in cui si sostiene che gli atlantidei fossero a conoscenza di certe forze utilizzate quali agenti propulsivi per alimentare macchine volanti e in grado di invertire la forza di gravità. Palese poi il collegamento con il mito di Agarthi e di tutta quella narrativa incentrata sull'idea dell'abitabilità del mondo che si apre al di sotto della superficie terrestre.
Per quanto riguarda il termine "vril", secondo alcuni autori, esso sarebbe riconducibile all'opera di un anticipatore di Verne ovvero il fracense Jacolliot il quale avrebbe fatto cenno a un'Energia Vril quale forza posseduta, gaurda caso, dal popolo di Agarthi.

Una più appropriata copertina
di un'edizione inglese.

Il romanzo procede con uno stile lineare, semplice da leggere tanto da non dare segno dell'età che lo caratterizza. Tuttavia, se la prima parte è amiccante per la sua forte connotazione avventurosa, la seconda si arena in dissertazioni proprie di un saggio sociologico. In altre parole non si procede per fatti, ma per descrizioni relative alle caratteristiche della popolazione appena conosciuta. Di fatti la storia viene portata avanti con un io narrante che parla della propria esperienza allo scopo da fungere da monito per la popolazione terrestre. Il protagonista, infatti, si interroga sul cosa succederebbe se i vril-ya venissero allo scoperto, tornando a calcare il loro mondo originario. Immagina infatti le conseguenze che potrebbero innescarsi e che porterebbero all'estinzione della razza umana che verrebbe percepita come potenzialmente minacciosa per i vril-ya e dunque assimilabile a quegli animali non addomesticabili e pericolosi per la sicurezza urbana e dunque da abbattere come legittima difesa. Il protagonista vuol così ammonire gli umani circa l'effettiva esistenza di un popolo ultraterreno dotato di un potere sconfinato, grazie allo scoperta di un fluido fonte primaria di ogni energia, che è stato capace di creare un sistema sociale tale da racchiudere tutte le caratteristiche di un sistema ideale basato sull'idea di una prospettiva di una vita futura, oltre la morte, cui ascendere. "Le menti abituate a riporre la felicità in cose tutt'altro che divine, troverebbero troppo noiosa la gioia degli dei e desidererebbero ritornare in un mondo in cui poter riprendere a lottare gli uni contro gli altri".

La parte terminale del romanzo vira al rosa, con svariate gy (tra cui la guida che spiega e addestra, grazie a poteri telepatici, per tutto il corso del romanzo il protagonista) che si innamorano del protagonista suscitando le ire del TUR poiché matrimoni tra razze diverse sarebbero potenzialmente nocivi per il bene della comunità in quanto i figli che ne deriverebbero inquinerebbero la razza (qua è percepibile l'unico rimando alle idee malate che si svilupperanno in Germania e in Italia nel novecento). La soluzione del magistrato supremo diviene così estrema e dunque finalizzata a fare abbattere il protagonista, poiché un suo eventuale ritorno sulla superficie potrebbe essere anch'esso pericoloso perché notizierebbe i suoi simili stimolandone la curiosità ed eventuali spedizioni future. Si innesca così la veloce parte terminale col nostro che, aiutato dalla sua innamorata, riuscirà a fuggire grazie a una serie di crepacci aperti, e poi richiusi, nella roccia a colpi di vril.

Bella, seppur assai pessimista, la morale che Bulwer-Lytton trae dalla storia ovvero di quanto sia contaminata e votata al male la natura umana (da leggersi, a mio avviso, quale maledetta dall'onta del peccato originale). Si potrebbe quasi dire che i vril-ya costituiscono una razza più vicina alla perfezione divina, mentre la razza umana sia su una scala involutiva che vira più sul versante del maligno per disposizione ereditaria. A determinare questo passaggio verso la perfezione divina dei vril-ya, anch'essi in origine sul medesimo piano umano, è stato proprio il vril. Dunque una popolazione che si è evoluta e non benedetta fin dall'origine dal volere divino. Ecco che ne derivano le svariate interpretazioni del testo che orientano il romanzo su un versante esoterico e che attribuiscono al fluido il valore metaforico di un'energia posseduta all'interno di ogni individuo ma utilizzata in minima parte, perché l'uomo tende a non prenderne coscienza, e che costituirebbe il legame di una nostra possibile divinità come hanno avuto modo di dire gli studiosi Louis Pauwels e Jacques Bergier ne Il Mattino dei Maghi.
In altri termini il protagonista si rende presto conto di come la perfezione raggiunta dai vril-ya, apparentemente lodevole e invidiabile, racchiuda in sé un qualcosa di incompatibile con la natura umana. "Noi umani  non siamo né abituati né adatti a godere a lungo la felicità che sogniamo. Se prendeste un migliaio dei migliori esseri umani con inclinazione filosofica e li collocaste come cittadini in quella beata comunità, in meno di un anno, morirebbero di noia o tenterebbero una rivoluzione, contraria al bene dello Stato, finendo ridotti in cenere su richiesta del Tur." Indispensabile per superare questo nostro stato mentale e perverso sarebbe proprio il vril, visto da alcuni interpreti quale energia interiore che simboleggia l'uomo superiore (in senso spirituale) chiamato al compito di distruggere l'uomo "materialista" nel senso di ricodificarlo in vista di una vita finalizzata alla conquista di quella ultraterrena che costituisce il vero obiettivo cui tendere. Al riguardo è di un romanticismo sconfinato la proposta di matrimonio avanzata dalla Gy del romanzo al protagonista: "Il nostro sarà un matrimonio di anime. Oh, pensi forse che il vero amore abbia bisogno di un'unione ignobile? Io non desidero solo essere al tuo fianco in questa vita, e partecipare alle tue gioie e ai tuoi dolori, chiedo un legame che ci unisca per sempre nel mondo degli immortali." Credo che si tratti di un epilogo tanto romantico e sognante, piacerà in modo smodato al pubblico femminile (parte terminale da strappa lacrime), da riflettere le delusioni vissute in vita dall'autore che dovette rinunciare, in gioventù, all'amore della vita, in quanto la sua prescelta, morta in giovane età, fu costretta a contrarre un matrimonio per interesse, mentre la sua futura moglie finì col tradirlo e tenere dei comportamenti oltraggiosi dopo il divorzio.

Chiudiamo qua con un commento conciso che racchiude anche la mia interpretazione simbolica del testo. A differenza de Viaggio al Centro della Terra, non siamo alle prese con un romanzo per ragazzi, bensì con un testo di valoro socio-politico nonché filosofico-religioso mascherato da romanzo d'avventura. Ne deriva un contenuto che nella parte centrale risulta sicuramente lento per un lettore medio, figurarsi per un giovane, con interi capitoli che si potrebbero saltare ai fini della narrazione strettamente legata con l'evolversi della vicenda. Bulwer-Lytton utilizza infatti questi spazi per fare le sue critiche e le sue analisi intrinseche alla storia, che ne costituisce quindi mero pretesto. Ne deriva un narrato assai ridotto all'osso, strumentale a mettere in scena la struttura organizzativa della c.d. razza ventura ovvero quella che, prima o poi, emergerà dal centro della terra per spazzare via la perversa società che vive sulla superficie. Siamo quindi alle prese col sempre annoso tema del Kali Yuga (l'età oscura, vissuta, nel caso del testo, da chi sta sotto la luce del sole, caratterizzata da conflitti e crisi spirituale e dalla primaria ricerca della ricchezza patrimoniale, in luogo della spirituale, con conseguenziale resa in schiavitù del prossimo) e dell'imminente sopraggiungere del Satya Yuga ovvero dell'età dell'oro (rappresentata, nel testo, da chi sta nell'oscurità, ben lontano dalla vista e dalla comprensione delle masse) che si innescherà con la fine del mondo (tema caro a Bulwer-Lytton) da intendersi però su un concetto di scala di valori, e non sul versante prettamente distruttivo della materia, con ritorno allo stato proprio del paradiso perduto. Essoterismo da una parte, esoterismo dall'altra, se vogliamo... In questo forse consiste quella chiave interpretativa paventata dallo studioso Fabrizio Ferretti, che si limita però ad accennare senza indicare il sentiero interpretativo da imboccare, quando dice: "La forte connotazione esoterica ci porta a considerare una lettura che forse rappresenta una chiave, se non la chiave, per accedere al significato più profondo del romanzo. Sono presenti diversi livelli di lettura come spesso accade."
Di certo La Razza che Verrà costituisce uno dei primi esempi di narrativa fantastica/fantascientifica. Da non perdere, per chi ha apprezzato, la lettura de L'Altra Parte del tedesco Kubin.

L'edizione ARKTOS.

"Tutte le facoltà della mente possono essere accelerate, fino a livelli irraggiungibili in stato di veglia, mediante la trance e la visione, in cui i pensieri di un cervello possono esser trasmessi a un altro consentendo un rapido interscambio delle conoscenze".

domenica 12 giugno 2016

Recensione Narrativa: IL GOLEM di Gustav Meyrink.




Autore: Gustav Meyrink.
Anno: 1915.
Genere: Narrativa ermetico/esoterica

Pagine: 270



Commento di Matteo Mancini.

Testo complesso che potremmo definire iniziatico o comunque ad alto contenuto esoterico, che fa perno sulla Kabbalah ebraica per dare la risposta alla domanda su cui ruotano un po' tutte le religioni: Qual'è il significato della vita dell'uomo?
Proposito dunque nobile, complesso, oserei dire di natura religiosa. Sbagliato allora elencare Il Golem nell'ambito della narrativa del terrore, anche se è innegabile una certa atmosfera terrorifica, riduttivo persino comprimerlo nell'alveo della narrativa fantastica. Che genere è allora Il Golem? Semplice, è letteratura con la L maiuscola. 

Gustav Meyrink, appassionato di esoterismo a 360° gradi da quando decise di dirottare la propria vita verso la conoscenza dell'altrove, porta il lettore nelle atmosfere cupe e claustrofobiche del ghetto di Praga dei primi del novecento. E lo fa con un romanzo dalla struttura irregolare, caratterizzato da dilatazioni temporali, ma soprattutto da continui passaggi dal sogno alla realtà che sembrano quasi suggerire quel brain-storming visto, in certi ambienti, come condizione imprescindibile per abbattere il legame al mondo materiale e spingere l'iniziato o aspirante tale alla brama ardente di infinito. Meyrink racconta tutto questo con una serie di personaggi sospesi tra la pazzia e la genialità visionaria, soggetti che rientrano nella quadri-partizione sciorinata da Arthur Machen ne Il Grande Dio Pan ovvero peccatori (spinti da una grande forza d'animo e dedizione nello studio, che ricorrono a qualunque mezzo per trascendere ed entrare nelle più alte sfere ricorrendo a mezzi proibiti col fine di conquistare la sapienza degli angeli), santi (che cercano di recuperare la felicità degli uomini prima del peccato originale senza andare oltre), persone comuni (atteggiamento passivo verso la vita oltre la morte) e i geni (via di mezzo tra il santo e il peccatore per il fine che perseguitano e dunque combattuti circa la via da intraprendere per la salvezza). È proprio su questa ripartizione che gioca Meyrink che propone quattro soggetti cardinali attorno ai quali ruota la storia. Abbiamo un protagonista che rivive per interposta persona (elemento di contatto un cappello) il cammino iniziatico di un uomo che, molto probabilmente, innescherà a sua volta il cammino iniziatico dell'altro; un rigattiere materialista a cui va tutto male perché ha basato la propria esistenza in vista di un materialismo terreno (con ricchezze che perderà finendo in eredità di altri, proprio come le anime non adeguatamente sviluppate), un rabbino che lavora in municipio e che dona il patrimonio ai bisognosi in quanto superfluo (il santo) e due assassini studiosi (i peccatori) che sperano di redimersi cancellando l'onta che li han portati a uccidere consapevoli comunque della vera natura dell'esistenza e dunque peccatori doppiamente dolosi (potrebbero incarnare quelle creature impure ma, a loro modo, superiori alla persona comune, cui Meyrink fa cenno quando parla dell'Armilos ovvero una sorta di corrispondente anticristo della tradizione cristiana che potrebbe nascere dall'unione di questi esseri con l'anima corrotta).

Ma prima di scendere nel dettaglio vediamo di capire chi era Meyrink poiché, contrariamente a quello che mi capitava di leggere spesso in certi ambienti, la vita e il background di uno scrittore/autore sono fondamentali per tentare di capirne l'opera. Meyrink, al secolo Gustav Meyer, nasce quale figlio giuridicamente non riconosciuto di un politico dello stato del Wurttemberg e di un'attrice di teatro. Vede la luce nel lontano 1868, a Vienna, ma si forma in Germania e in Repubblica Ceca (all'epoca impero austroungarico) dove decide di trasferirsi completati gli studi. Di origini ebraiche, riceve una formazione che potremmo definire, oggi, commerciale. Ha un'interessante inizio di carriera, dapprima quale impiegato in un'azienda di esportazione poi come banchiere. Fonda una banca tutta sua in quel di Praga, contrae matrimonio con la figlia del banchiere della concorrenza e pone le basi per un futuro florido. Ha una prima parte di vita come molti suoi coetanei benestanti. Ama le donne, gli scacchi e il canottaggio, poi d'improvviso muta orientamento filosofico. Il motivo principale è il proprio status: lui non è un nobile, pur avendo ricevuto tutto quelle che serve, e ciò non lo aiuta a fare il salto decisivo. Non viene accettato dall'alta società. Il matrimonio si sgretola presto, si trova costretto a sfidare a duello un rivale che però non decide di battersi con lui poiché Meyrink non è un nobile e dunque non è degno di scontrarsi con lui. È l'inizio di un male oscuro che inizia a consumare il futuro scrittore. Meyrink non da modo di farlo vederlo all'esterno, dato che la sua posizione nella società civile si accresce, ma è sull'orlo di una crisi di nervi, sta per cedere al richiamo dell'aldilà. Delusioni amorose, una felicità che non riesce a trovare e un atteggiamento di sfida verso la società borghese che non vuole accettare, un po' per via del suo antimilitarismo, del suo odio per il mondo militare (composto da persone ree di eseguire ordini senza interrogarsi sulla natura degli stessi, simili ad automi) ma anche del suo genio ribelle e non convenzionale inviso ai potenti. Appassionato di satira, pubblica nel 1901, sul giornale Simplicissimus (di cui diventerà fervente collaboratore), il racconto Il Soldato in Fiamme. Atteggiamenti che lo portano presto a essere bollato quale scrittore grottesco, umoristico, dotato di un'ironia caustica che non risparmia nessuno. Insomma qualcuno da non prendere sul serio, ma comunque scomodo e irriverente. Finisce sotto l'occhio del ciclone di politici e bulletti locali, che fanno di tutto per togliergli credibilità e rispetto. Meyrink è trasparente nel lavoro, serio, eppure viene accusato di strozzinaggio, persino di furto. Lui non si tira indietro, non ci sta a vedere infangato il proprio onore e reagisce sfidando a duello tutti gli ufficiali del reggimento di stanza a Praga. Viene comunque incarcerato, ma al processo vende cara la pelle dimostrando l'infondatezza delle accuse. Una vergogna per Praga, ma tutti fanno finta di nulla. Viene rimesso in libertà. Meyrink ormai ha ventitré anni, è ancora giovane tuttavia comincia ad accarezzare la possibilità di fuggire da un mondo che non riconosce come proprio. Una sera, che per lui diventerà fondamentale, si trova in un albergo con in mano una pistola che ha recuperato in giro per la città. Nella mente mille pensieri contrastanti, una meditazione però che sembra aver preso una piega decisa (avverrà qualcosa di simile anche per il protagonista de Il Golem). A un certo punto, proprio mentre sta immaginando di far pressione sul grilletto, nota passare sotto la porta della camera in cui alloggia un opuscolo. "Che strano" pensa. Senza quasi accorgersene posa la rivoltella, l'appoggia sul comò per liberarsi le mani. Col palmo in cui prima teneva la pistola si accarezza i capelli, un veloce passare sul cranio come l'HILLEL che guarirà la coscienza del protagonista del suo futuro Golem. "Cosa diavolo sarà?" È curioso, vuol vedere cosa gli ha riservato il fato, cosa è passato sotto la base del portale che aveva pensato di non dover più aprire... Si alza, titubante, fa qualche passo, poi si ferma... Ha la bocca impastata, la lingua che spinge sui denti serrati. Un tentativo inconscio di sputare fuori parola, ma niente... Quel "Chi sei?" non esce fuori. L'ombra di chi ha lasciato il foglio si sta allungando sotto il pertugio, il silenzio viene scacciato dal rumore di passi che si allontanano, veloci, scattanti, come lo schioccare di zoccoli che battono su un selciato di sampietrini. E' caldo, maledettamente caldo, eppure non dovrebbe esserlo, data l'altitudine e il freddo che discenderà nel romanzo Il Golem quando il protagonista sarà in preda al Bagatto, la prima carta dei tarocchi, il suo perfetto doppio. Gustav si ferma, resta in ascolto. Scende di nuovo il silenzio, l'ondata di calore si placa, si raffredda. Allora il giovane ventitreenne si piega sulle ginocchia, guarda, e cosa ti vede? Un depliant, un semplice e banale depliant di una casa editrice che tratta temi legati al mondo dell'occultismo. Le dita, avide, scorrono le poche pagine e gli occhi cadono su titoli che vertono sullo Yoga, ma anche sulla magia, lo spiritismo e la stregoneria. Argomenti che non lo avevano mai interessato, ma che gli fanno scoccare una scintilla che fa di nuovo ardere la fiamma della vita e ruotare la chiave in una serratura che mai il pragmatico Meyrink si sarebbe immaginato di far scattare. 

Il giovane GUSTAV MEYRINK.

Da quel famoso giorno Meyrink inizia a frequentare ambienti più o meno legati all'esoterismo, restandone però poco impressionato. Predilige allora la lettura, la conoscenza immortalata nella carta stampata, ma anche qua finisce con diventare preda della confusione. Comprende allora, come suggerirà il filosofo Krishnamurti, che bisogna trovare l'illuminazione dentro sé stessi, non all'esterno o in terze persone. Una visione antropocentrica. Il suo approccio all'esoterismo diventa così introspettivo, da intendersi quale metodo di sviluppo della “vista interiore” (il famoso terzo occhio, ndr) contrapposta alla menzognera vista legata al principe dei cinque sensi che ha nell'occhio il suo strumento (si badi di cosa è specialista il figlio dell'antagonista e che tipo di operazioni vada a fare ai suoi clienti, ndr). Accumulati dati e saperi esoterici, ma soprattutto elaborata una propria filosofia di stampo esoterico trascendente che lo porterà a fondare una sua loggia, loggia della stella blu, dieci anni dopo l'evento che lo aveva salvato dal gesto estremo, prende una decisione drastica: sposa la causa artistica della scrittura e si ritira dalla carriera lavorativa. Gli inizi non sono facili. Vive grazie ai proventi che gli arrivano dall'attività di traduttore. Lavora soprattutto sui testi di Dickens, dando poi alle stampe una raccolta di racconti, La Raccolta delle Figure di Cera (1913), che spara a zero sulla borghesia dell'epoca e che è il risultato della serie di pubblicazioni su Semplicissimus. Nel 1915 però spiazza tutti, facendo uscire a rate quello che oggi è ricordato come il suo principale romanzo, primo di cinque, e che è Il Golem. Il successo, piuttosto sorprendentemente data la complessità del testo, è immediato. Da allora su Meyrink s'è scritto di tutto. Chi lo considera uno scrittore illuminato (Julius Evola), chi un alto esponente di gruppi filo massonici, chi addirittura un vero mago e chi, infine, lo reputa un burlone che si è divertito a giocare con l'esoterismo. Si comprende dunque fin da qui quanto sia controversa l'opera di Meyrink, uno scrittore che non ricercava tanto il riscontro del suo pubblico ma dichiarava di voler fare un uso veicolare della narrativa, quale mezzo per rivelare, in forma allegorica e romanzata, le vie e gli strumenti per raggiungere uno stato e una conoscenza di ordine superiore. La base della narrativa di Meyrink passa tutta da questo suo passaggio: “La vita normale è sonno; ciò che noi chiamiamo agire e imparare altro non è che il frutto automatico di azioni meccaniche, che si dipanano sul piano strettamente materiale; chi limita sé stesso a condursi su questo piano, si logora e consuma come fa un meccanismo, che alla fine si rompe, e rimane materia inerte. Invece, l'uomo risvegliato grazie alla sapienza esoterica, rompe il guscio dell'animalità e fa ascendere la sua coscienza fino ai piani superiori dell'essere; sveglio durante la vita, resterà tale anche dopo la morte fisica: sua, e soltanto sua, sarà l'eternità.” Ne Il Golem Meyrink dice che è difficile parlare di queste tematiche alla gente comune, a un pubblico non preparato, non veramente motivato, perché la risposta sarebbe una sola: “Sei malato, non capisco cosa stai dicendo, cosa hai fumato?”. Queste persone, a detta dell'autore, “trascorrono come una corrente, simili a erba che a breve appassirà” sprecando la loro vita in modo passivo e improduttivo, simili a bestie che si occupano solo dei bisogni fisiologici senza sapere guardare oltre, senza interrogarsi sul loro ruolo nel complesso disegno divino (bellissimo il passaggio dove Meyrink mette in scena la figlia del rabbino, tale Miriam, che parla di sognare di sposarsi specificando però con chi o cosa).

GUSTAV MEYRINK maturo.

Dunque un'analisi e una filosofia diretta a superare il materialismo che domina la vita sociale per acquisire quelle conoscenze (esoteriche in quanto elitarie) funzionali alla conquista di quella salvezza che prende il nome di vita ultraterrena. Una via come un'altra finalizzata a rispondere alla domanda che attanaglia tutte le coscienze illuminate che cercano di trovare il segreto della vita attraverso la risoluzione di un quesito all'apparenza semplice, "qual'è il significato della mia vita?", a cui diventa alquanto difficile dare una risposta oggettiva e incontrovertibile. Ancora una volta si può dire tutto e il contrario di tutto, ma almeno in apparenza. Ed è su questi temi che ruota il romanzo Il Golem, un'opera che cela sotto la parvenza di romanzo un testo onirico che è quasi un saggio incentrato sulla Kabbalah ebraica, sul tema del doppio e sull'inconscio, a simboleggiare un cammino di risveglio che porta alla conquista dello status di Ermafrodito ovvero l'evoluzione spirituale in grado di superare il limite della morte. “Chi non va verso lo spirito con ogni atomo del suo corpo non potrà contemplare i segreti di Dio” spiega uno dei personaggi cardinali del romanzo; e lo spiega al cospetto di un individuo, un burattinaio, che personifica l'uomo comune che vorrebbe ogni cosa spiegata e di pronta soluzione, così da non dover ragionare e non metterci del proprio. Fa poi seguito una critica implicita agli approcci religiosi essoterici (quelli tipici delle religioni standard, diciamo così, in quanto rivolte alle masse): “Guarire tutti gli uomini con un unico metodo è privilegio della medicina soltanto. Colui che domanda riceve la risposta di cui ha bisogno... Ciascuno ha il dovere di trovarsi da solo le vocali segrete che gli dischiudano il senso a lui e a solo lui destinato.” Ne deriva la necessità di un lavoro attivo, come uno studente che deve proporre un suo metodo a un professore, un suo approccio personale, ragionato e calibrato, che non può copiare dalle esperienze altrui, ma che deve trovare da solo la via, nei labirinti oscuri dell'esistenza, che lo porti a imboccare quell'unico corridoio che sfocia nel sentiero della luce, vincendo paure, apatie, stasi e soprattutto facendo scelte decisive e pericolose. Illuminante, al riguardo, il percorso nei sotterranei praghesi che farà il protagonista, a rischio di morire, fino a notare una botola a forma di stella (simbolo determinante in certa narrativa), da cui filtra luce, che lo immette nella stanza del golem. Il golem di Meyrink, che tornerebbe a funestare le vie di Praga del quartiere ebraico ogni 33 anni (altra cifra simbolica molto forte), non è quello della tradizione folkloristica. Per intenderci meglio, non ha nulla a che fare con l'apatica creatura d'argilla generata da un rabbino esperto di Kabbalah come invece avviene nel successivo Il Golem di Frank Graegorius (Libero Samale, altro grosso studioso di esoterismo) recentemente proposto col titolo Sinfonia del terrore (recensito su questo portale). Assume infatti, a mio avviso, una natura metaforica. Esso non è tanto un fantasma, come suggeriscono alcune interpretazione di altri lettori, ma incarna la natura base dell'uomo “dormiente”. Non a caso dorme risvegliandosi solo al completamento dei 33 anni (quasi a simboleggiare il culmine del cammino che porta al risveglio, non credo sia casuale), tornando così in vita facendolo però in modo funesto poiché privo di anima ed essendo così costretto a ritornare sempre in vita, ciclicamente, senza possibilità alcuna di trascendere. Fino ad allora però è spento, confinato in un palazzo sacro inaccessibile, sprovvisto di porte, che può esser raggiunto solo da chi intraprendi un labirinto sotterraneo nascosto, pieno di insidie. Il golem, così caratterizzato, simboleggia lo spauracchio della condizione umana, il rischio di non trovare se stessi, di non sviluppare il proprio io celato in una dimensione apparentemente inaccessibile, con il rischio di emulare la triste sorte del golem, ovvero di tornare di nuovo in vita, perdendo così il proprio tempo in un sonno inconscio che prende la piega di un circolo vizioso da cui non c'è via di uscita se non quella della pazzia o dell'incoscienza. Bisogna comprendere come riuscire a fecondare la propria anima (da qui il libro che viene portato in casa dell'artista, proprio come quell'opuscolo trovato da Meyrink e che lo smuove creandogli una supernova di visioni, e che si dischiude sul capitolo intitolato Ibbur) e farlo nel modo adeguato, non è possibile altrimenti recuperare dagli errori. La memoria, da leggersi quale precedente esperienza di vita vissuta culminata con la morte, finisce preda della nebbia, alla stregua delle anime raccontate nella mitologia greca e costrette a bere dalle acque del fiume Lete prima di riessere messe in circolo. Niente più rimane della precedente vita (non a caso Meyrink, prima della morte, aderirà alla filosofia buddista, ndr) se non un quaclosa di atavico, sbiadito e confuso. Non a caso il protagonista della storia, un artista (soggetto maggiormente portato a staccarsi dal materialismo un po' come il religioso o il matto), non ricorda il proprio passato, vive svariati sdoppiamenti di personalità che passano dalla realtà al sogno e si sovrappongono tra loro: “Mi avevano sottoposto all'ipnosi, avevano murato la stanza che metteva in comunicazione quei compartimenti del mio cervello e fatto di me un individuo senza patria in mezzo alla vita che mi circonda.” Non è forse lo specchio della condizione del golem raccontato da Meyrink? Per vincere la morte è necessario evocare e purificare il proprio doppio, il c.d.Habal Garmin (il soffio delle ossa). Meyrink mette in scena questa figura in modo materiale, con taglio da ghost story, ma ancora una volta si tratta di un simbolo. Penso di poter dire che lo scrittore austriaco parli dell'anima, come una creatura cui dar vita, sviluppare e a cui unirsi per creare un vero corpo completo, rappresentato dalla figura dell'ermafrodito che incarna tutte le caratteristiche dell'uomo e della donna a indicare l'essere perfetto, la completa realizzazione cui è diretta la vita terrena, il vero “miracolo” dell'esistenza. Così si legge: “La meta ultima è la fusione di due esseri in quello che può essere simboleggiato dall'Ermafrodito, l'unione magica dei generi maschile e femminile in un semidio, principio di una vita nuova, eterna.” Forse non a caso quando si parla di angeli si parla di esseri asessuati, ma si potrebbe forse dire anche l'esatto contrario a indicare la completezza degli elementi. 

Il non superare l'ostacolo della vita, ovvero non comprenderne il vero senso, porta alla moltiplicazione degli Io e al sempre più continuo contrasto interno con conseguenziale stato di confusione. È esemplificativo il passaggio che il protagonista del romanzo fa, in sogno, quando si trova attorniato da una serie di persone che simboleggiano i suoi “io ereditari”, al cospetto di un essere privo di testa che lo invita a compiere una scelta con un momento che fa sorgere, al lettore moderno, la sequenza con MORPHEUS (il dio del sogno) che invita Neo a scegliere tra la pillola blu o la pillola rossa nel famoso Matrix.. Ogni persona porterebbe in sé i resti psichici dei propri progenitori. “L'anima non ha nulla di singolo, ha da diventarlo, e ciò si chiama allora immortalità, ma prima di allora è composta da molti Io in conflitto.

Testo dunque difficile, non per tutti, dove la trama, la storia, è secondaria rispetto ai contenuti intrinseci. È persino poco interessante parlare della sinossi, dal momento che si tratta di un romanzo onirico, claustrofobico, che non vuole raccontare una storia, piuttosto smuovere le coscienze dei lettori e portarli a farsi delle domande. Posso solo dire che, a livello superficiale e immediato, trapela una grande descrizione e un'ottima atmosfera della Praga del primo novecento. Il ghetto ebraico viene tratteggiato in modo claustrofobico, quale un microcosmo da cui diventa difficile liberarsi. Interessante anche la puntata di critica sull'amministrazione ceca, con un protagonista ingiustamente incarcerato per anni prima di scoprire che era innocente. Si tratta però di tematiche strumentali a portare in scena una visione trascendente che segna l'inizio di un cammino che l'autore Meyrink è riuscito a sviluppare nel corso della sua narrativa e su cui ha improntato tutta la propria esistenza. 

Il successo del romanzo ha ispirato vari film dell'espressionismo tedesco che hanno comunque utilizzato la figura del golem della tradizione ebraica, piuttosto che scegliere la via battuta da Meyrink o proporre una (difficile) trasposizione cinematografica del testo dell'autore viennese. A ogni buon conto, si tratta di un testo che deve esser presente nelle biblioteche di ogni vero appassionato di narrativa fantastica, ma che non piacerà ai lettori medi. Volume di nicchia, vero e proprio capolavoro e fonte di riflessioni e discussioni grazie alle diverse chiavi di letture con cui si può cercare di scardinarne il senso. Da quel che ho letto è da non perdere l'edizione a cura della TRE EDITORI, corredata di un'ottima prefazione e di note di margine che purtroppo non ho avuto la fortuna di leggere.

Scene de IL GOLEM COME VENNE AL MONDO
diretto nel 1920 dal duo tedesco
Carlo Boese e Paul Wegener.  

Anche questa partita a scacchi io l'ho calcolata sino all'ultima mossa... Non c'è mossa cui io non sappia rispondere, sino alla fine, e lasciando il segno. Io le dico che chi con me si lascia attirare in un gambetto d'alfiere, quello è già penzoloni in aria come una marionetta attaccata a fili invisibili, fili che sono io a tirare, e a quello non gli resta più altro da volere... A questo mondo tutto è un gioco di scacchi.

venerdì 3 giugno 2016

Recensione Narrativa: L'ORRORE CHE VIENE DALL'EST (The Inevitable Conflict) di P.H. LOVERING aka H.P.Lovecraft



Autore: Paul H. Lovering (secondo Fusco e Amazing, pseudonimo H.P. Lovecraft).
Genere: Fantascienza distopica.
Anno di pubblicazione: 1931.
Prima Edizione Italiana: 2000.
Editore: Profondo Rosso
Pagine: 176 + prefazione Fusco. 
Prezzo: 21 euro.

Commento di Matteo Mancini.
Romanzo controverso che la Profondo Rosso ha pensato bene di pubblicare nel 2000 come storia scritta da H.P. Lovecraft assicurandosi così un bottino di vendite maggiore rispetto a quello che avrebbe riscontrato se avesse pubblicato il tutto col nome con cui uscì nel 1931 sulla celebre rivista Amazing ovvero a firma Paul H. Lovering. Se la scelta è risultata commercialmente vantaggiosa, ha altresì scatenato, data la popolarità del supposto autore, un vero e proprio moto di ricerche internazionali da parte degli appassionati di Europa e Stati Uniti. Dunque una pubblicazione che ha avuto, a suo modo, impatto mondiale, ottenendo, quanto meno, un bel risultato a livello di immediato ritorno pubblicitario. Ma è stata davvero una scelta truffaldina quella della casa editrice romana facente capo al duo Cozzi-Dario Argento? Ni, perché se è vero che non ci sono fonti certe che il testo sia stato scritto da Lovecraft e pur vero che non si può dire di avere prove sicure che accertino il contrario. Lo studioso Sebastiano Fusco, nell'introduzione alla lettura, dedica ben quindici pagine per spiegare le ricerche e le varie chiavi interpretative per sciogliere l'arcano legato al fantomatico P.H. Lovering. Chi è costui? E' davvero uno pseudonimo del solitario di Providence o è un autore realmente esistito, piuttosto che il risultato dell'unione dei cognomi di due autori? 

Tutto prende le mosse da una scritta sulla rivista Amazing dell'epoca dove si precisava che Lovering altro non era che l'autore di The Colour out of Space ovvero Il colore venuto dalla Spazio, celebre romanzo di Lovecraft e unico del solitario a esser stato pubblicato proprio su Amazing. Ma perché fu scritta questa notizia? I detrattori della paternità Lovecraft paventano la possibilità che gli editor della rivista abbiano confuso per errore i due autori, non essendo praticamente uscito quasi niente a firma Lovering se non un precedente romanzo nel cui epilogo figurava una stella chiamata Providence. Fu un critico francese, tale Jacques Sadoul, a evidenziare la cosa negli anni '70, senza però dare risposte definitive e senza avere seguito nei circoli letterari, almeno fino alla scelta di Fusco di azzardare una pubblicazione a nome Lovecraft basata su meri aspetti indiziari come l'uscita di un articolo del 1914 sull'Evening News in cui Lovecraft, celato sotto uno pseudonimo corrispondente al nome del protagonista dei Viaggi di Gulliver, si prendeva gioco di un astrologo (tale Hartmann). In questo articolo il nostro sosteneva di essere un collega di Hartmann molto più bravo dello stesso, al punto da poter ipotizzare “un'invasione generale dell'Europa e dell'America da parte dei Mongoli nel 2142 da cui scatuirà uno spaventoso conflitto che terminerà con la completa sconfitta degli orientali, costretti a cedere tutte le terre conquistate“. Fusco fa notare come in questa giocosa profezia risieda, per sommi capi, il soggetto de “The Inevitable Conflict“. Fusco precisa altresì come la caratterizzazione del contesto socio-politico rispecchi i timori di Lovecraft legati all'involuzione sociale di cui lo stesso sospettava esser portatore il capitalismo, interessato solo agli interessi materiali da perseguire a qualunque costo ivi compreso il disprezzo dell'arte, del coraggio, dei valori dello spirito. Dunque un mondo dove il denaro viene anteposto all'onore, dove va benissimo anche passare per vigliacchi purché vi sia un ritorno economico. Tutti temi che in “The Inevitable Conflict“ finiscono per risultare preminenti tanto che Fusco afferma che “la tematica del romanzo è indiscutibilmente lovecraftiana“. Piuttosto convincente fin qui, se non fosse per lo stile narrativo e i personaggi del testo. Fusco stesso ammette delle diversità rispetto alla produzione lovecraftiana. “Lo stile appare abbastanza diverso da quello di Lovecraft, ricco com'è di dialoghi diretti e povero di descrizioni ambientali“ commenta lo studioso, quasi a malincuore. Diciamo così perché, in verità, lo stile è totalmente diverso da quello del “nostro“. Scorrevolissimo, privo di alcun interesse per la natura architettonica delle costruzioni, infarcito di pagine e pagine di dialoghi, povero di aggettivi e avverbi, estraneo del tutto al mito dei grandi antichi (salvo che qualcuno reputi tali i vari Washington e Lincoln) e alle sfumature orrorifiche nonché incentrato, soprattutto, sulla figura femminile sia da un versante dispotico e soffocante, sia da uno romantico (viene persino raccontata una storia d'amore osteggiata dal regime!?). Inoltre appare un profondo rispetto, quasi un'ammirazione, per il popolo Mongolo, quando invece Lovecraft, cultore della tradizione anglo-romanica, aveva un approccio quasi razzistico e vedeva nel diverso una pericolosa minaccia di contaminazione di culture che, a suo dire, avrebbero condotto alla morte dell'occidente alla maniera in cui i barbari portarano al tracollo dell'impero romano. Fusco è ben consapevole di tutto questo però non si arrende e da comunque per scontato che Lovecraft sia stato dietro al progetto: “la mia personale opinione è che qualcun altro oltre a Lovecraft abbia posto mano al testo, che potrebbe basarsi su un canovaccio da lui steso all'epoca della polemica con Hartmann“. In sostanza Fusco arriva a suggerire l'esistenza di un ghost writer che abbia sviluppato un soggetto di Lovecraft, un po' come si favoleggia di alcuni romanzi di Stephen King. Soluzione affasciantante, ma che ci pare assai improbabile dal momento che, di solito, era proprio Lovecraft a sviluppare i soggetti altrui, e non l'inverso, avendo un ruolo talmente forte, oserei dire assorbente, da far emergere il proprio stile anche nei lavori altrui. La personale opinione di Mancini è che il testo non sia stato scritto da Lovecraft e che lo stesso, da un punto di vista diretto, ne sia del tutto estraneo. Perché dico diretto? Perché il romanzo potrebbe esser stato scritto da un estimatore di Lovecraft, magari qualche lettore di Evening News informato sulla vere identità del fantomatico astrologo che osò sfidare Hartmann, al punto da trasformare in realtà romanzata quella profezia pubblicata su evening news, il tutto condito da un pizzico di filosofia politica che lo stesso Lovecraft esternava di continuo nella sua copiosa corripondenza. Penso che potrebbe essere una soluzione interessante anche questa. Eppure se cercate su wikipedia, alla voce L'Ororre che Viene dall'est, troverete un dato secondo il quale Lovering sarebbe stato uno scrittore effettivamente nato nel 1880, a Philadelphia, e deceduto nel 1943, del tutto alieno al mondo di Lovecraft ma anche a quello della letteratura. In realtà, quello che su wikipedia viene dato per certo non è altro che un'ennesima supposizione che si cerca di far passare per acquisita. Tutto si baserebbe su una ricerca messa in piedi da uno studioso americano che avrebbe provveduto a compiere una ricerca nel censimento federale degli Stati Uniti del 1930, trovando un solo Paul Henry Lovering (oltre a un bambino) che di lavoro, per giunta, faceva l'editore associato del Seattle Times e che, udite udite, era specializzato proprio in cronache di guerra. Bingo, verrebbe da dire, visto che The Inevitable Conflict è un romanzo di guerra... Un vero e proprio indizio grave, concordante e preciso contro la tesi di Fusco. Si, certo, ma c'è un però... Come si spiega il fatto che un giornalista della caratura di Lovering non abbia mai, difatto, riconoscito come proprio un testo uscito in una rivista celebre come Amazing? I fautori della paternità Lovering ci sorvolano sopra, ma per il sottoscritto si spiega male, anzi, malissimo. Lovering infatti, oltre che i giornali con cui collaborava, avrebbe beneficiato non poco a divulgare questa notizia, acquisendone prestigio e blasone offerto dall'accostamento alle penne che passavano su Amazing. Non si capisce quindi la ragione di celare una paternità del genere e, oltre tutto, di fare in modo che il direttore di Amazing imputasse il testo a Lovecraft senza fare smentite o precisazioni. Poco si comprende poi, se non come bizzarra conseguenza orchestrata da un destino in vena di scherzi da primo aprile, il fatto che l'opera precedente di Lovering, inedita in Italia e intitolata When the Earth Grew Cold, abbia un epilogo in cui i protagonisti fuggono dalla Terra per recarsi su una stella che si chiama Providence. Un caso davvero assurdo, per essere nel semplice gioco delle coincidenze involontarie, dato che Providence è la città di origine di Lovecraft e che, ironia della sorte, si trova agli antipodi rispetto alla città da dove invece scriveva Lovering. Ma chi ha scritto, allora, queste opere? C'è poco da girarci intorno, resta una domanda insoluta, un rompicapo che fa delle coincidenze la sua arma di forza e che porta editori e studiosi a sposare le più disparate tesi. Se in Italia Fusco ha sposato furbescamente l'idea che a scrivere sia stato Lovecraft, in Spagna i testi sono stati pubblicati a firma Lovering facendo riferimento proprio al giornalista trapiantato a Seattle. Le bizzarrie però non sono finite. Lovecraft e Lovering erano autori americani, benissimo questo lo sanno tutti. Come si spiega allora che in America e in Inghilterra nessuno si interessi ai romanzi firmati Lovering, proprio nessuno dall'Arkham House al resto della compagnia? Una risposta potrebbe allora sorgere, marketing...

La copertina dell'edizione italiana.

Abbiamo visto che di certo non vi è niente, se non il tentativo di cavalcare un'ipotetica paternità lovecraftiana per vendere un libro che, con altra firma, avrebbe venduto quanto un'opera di un autore dell'underground italiano. Eloquente la scelta della coperta dell'edizione italiana (a cura di Astore Aniazzi), con testo ribattezzato in modo opportuno e accattivante da Fusco come L'orrore che viene da Est in luogo del bruttino Il Conflitto Inevitabile, con una donna vestita in modo provocante e incatenata in un sotterraneo, che sta per essere aggredita dai tentacoli di un essere verosimilmente appartenente ai míti di Cthulhu. Un'immagine che evoca erotismo, sottolineato da una gonna svolazzante che mette in mostra la parte terminale delle calze, miscelato a un'orrore ancestrale di stampo lovecraftiano. Aspetti questi ultimi del tutto alieni all'opera che il lettore si appresterà a leggere una volta girata la copertina. The Inevitable Conflict è infatti un romanzo di guerra con ambientazione in un imprecisato futuro dominato da due super potenze che si contendono il dominio del mondo. Un tema che, involontariamente, anticipa gli orrori della futura Guerra Fredda, per parlare dell'involuzione degli Stati Uniti col passaggio dalla Repubblica del novecento a un matriarcato elitario che altro non è che la dittatura degli imprenditori e delle banche (in questo l'autore ci aveva visto lungo), dove a comandare sono le donne e i reparti di amazzoni che tengono sotto scacco una popolazione maschile svirilizzata e costretta a pensare unicamente a lavorare, riprodursi e mangiare. E perché si è giunti a questo estremo? “Perché nella lista delle priorità degli uomini ci sono la gloria, il desiderio di scrivere il proprio nome sulle terre conquistate, il gusto di dominare e la sete di potere; gli uomini sentono l'obbligo di combattere, rischiare la vita, persino morire perché la razza continui la sua corsa verso il progresso“ tutti aspetti immaturi, se vogliamo fanciulleschi, che cozzano con la pace, la sensazione di sicurezza e la prospettiva di una vita comoda che vanno cercando invece le donne e che costituiscono base imprescindibile per una famiglia, figurarsi per uno stato che basa tutto sul commercio e sul profitto. Si badi bene, la ricerca della pace non viene vista come condizione necessaria per poter vivere meglio e salvare vite umane, ma quale condizione necessaria per agevolare gli affari, aumentare profitti e la rete di scambi da cui poi estrapolare denaro. Dunque una pace ipocrita, da leggersi egoistica con l'illusione di essere un valore cui tendere di natura altruistica e da qui, appunto, ipocrita. Il matriarcato viene così visto come il perfetto rappresentante dei poteri forti, delle compagnie industriali e commerciali, che hanno sempre più avuto influenza sulle classi politiche della vecchia Repubblica fino a destituirla, con la promessa di una vita regolare, tasse tollerabili e assistenza sicura, ma a quale prezzo? Semplice, la schiavitù e la perdita delle libertà, prerogative a cui deve tendere ogni regime totalitario in modo da rafforzare il controllo sulle masse e dominarle.
Dall'altra parte invece, a est, vi è il pericolo giallo costituito dai Mongoli, caratterizzati in modo ammiccante da Lovering, quale mondo degno d'onore e di rispetto (“Noi Mongoli, poveri ma usi a combattere, non sacrificheremo la nostra virilità sull'altare del commercio e del profitto; Che miserabile branco di codardi nutre il vostro governo; La Mongolia non combatte con chi è senza difesa“) perché, nella loro crudeltà (della serie “Io sono duro, ma sono giusto“ come direbbe l'Hartmann di Full Metal Jacket), i mongoli sono portatori dei valori di lealtà, del coraggio, dell'audacia, della temerarietà e del desiderio di conquista, chiaramente amplificati fino alle tragiche conseguenze. L'azione e lo spirito d'avventura contrapposti alla staticità e all'apatia del Matriarcato. In mezzo a questi due blocchi si scatenerà la rivoluzione interna al matriarcato stesso, con un gruppo di reietti, comandati da un discendente delle caste bene, intenzionati a respingere con le armi l'invasione mongola, anziché tentare di comprare gli aggressori come cercherà di fare il matriarcato (“Compreremo chiunque, ma manterremo il comandoo questa nazione andrà in rovina“), e a ricostituire i vecchi valori dell'antica Repubblica, realizzando un vero e proprio colpo di stato in vista della democrazia (“Prendo il potere togliendolo dalle mani inette e ipocrite che hanno messo in pericolo la sicurezza della nazione. Governerò fino a quando il popolo non avrà eletto i propri rappresentanti“). A nulla serviranno i tentativi del Matriarcato di arrestare l'avanzata del passato, neppure il tentativo di bloccare il comandante dei reietti mettendogli dietro una donna di polso a cui viene ordinato di conquistarlo emozionalmente per poi sposarlo. Bellissimo il passaggio, direi piuttosto lovecraftiano (ne sottolinea il timore inconscio verso le donne), in cui Lovering scrive: “Un uomo del tuo livello che manifesta idee sconvenienti viene rimosso completamente dalla vita pubblica col matrimonio. Gli fanno sposare una donna della sua stessa estrazione sociale, con un carattere particolarmente forte“. Dunque una società dove le donne sono castranti, oppressive e soffocano ogni libera espressione dei maschi, costringendoli a vivere nell'ombra. Ma i tempi sono prossimi a cambiare, ritornerà a sventolare quella bandiera riposta nei cassetti, destitituita dal regime, la vecchia e gloriosa stars & stripes e con lei tornerà lo spirito militare, il patriottismo, la libertà di scelta. Decisive saranno proprio le armi del passato, a sottolineare la superiorità della tradizione sul processo tecnologico del capitalismo esasperato. I reietti escogiteranno un'arma capace di annulare l'energia atomica che regge il nuovo mondo, spegnendo così le armi evolute del nemico e ogni propulsione dei suoi aereoveicoli che, privati di spinta, precipiteranno al suolo con gran fragore. Di impatto simbolico la morte del coraggioso imperatore mongolo, fin lì trionfatore in ogni continente, che muore perché colpito da un sasso scagliatogli in fronte da una fionda. Impossibile non leggervi la parabola biblica di Davide contro Golia.

Sebastiano Fusco.

Dunque un romanzo che rientra nel campo della fantascienza distopica, incentrato sull'involuzione dell'America addebitabile al degenero proprio del capitalismo. Una società dove la sete del profitto ha annullato ogni altro aspetto della vita, sia animale (la virilità), sia romantica (il vero amore) ma soprattutto spiriturale (la cura dell'anima). L'unico modo per cercare di ristabilire i valori tradizionali è la rivoluzione, il ritorno alle armi, la riscopertà della virilità quasi a voler rispolverare la genesi degli Stati Uniti, una società plasmata sul sangue e sulla violenza. Tematiche estremizzate da Lovering, quasi a voler sottolineare che non esistono cambiamenti radicali se non figli della violenza, poiché per vincere le resistenze spesso non è sufficiente il mero consenso popolare. Eloquente questo passaggio in cui il Matriarcato così si esprime, sia in riferimento agli invasori sia in riferimento alle resistenze interne arrivando persino a contemplare l'ipotesi dell'omicidio del rivale politico: "Compreremo chiunque, ma manterremo il comando, altirmenti questa nazione andrà in rovina". Una visione all'apparenza pessimistica, ma che si è riscontrata nella realtà ovunque si sia passati da un regime a una vera democrazia popolare. “Non è con la rivolta delle caste inferiori che salveremo l'America, anzi, il cambiamento dovrà avvenire nel pieno rispetto dell'ordine e delle gerarchie, altrimenti ci ritroveremo immersi nell'anarchia!“ ammonisce il matriarcato, per cercare di dissuadere i reietti dai loro propositi rivoluzionari, ma, a suo modo, prendendo le distanze dal popolo stesso ritenuto incapace di prendere decisioni di valenza politica. Lovering sembra suggerire che la rivolta è invece l'unico mezzo per liberarsi da quei regimi che poi prenderanno piede alcuni anni dopo l'uscita del romanzo, pur lasciando trapelare una certa sfiducia nell'uomo (i Mongoli si suicideranno, di fatto, per cercare di realizzare un proposito che si rivelerà irrealizzabile) tanto da aver portato a dominare la donna, in quanto incapaci di gestire, per eccesso di foga, i risultati acquisiti nel corso della storia. Un giudizio dunque di complementarietà tra la figura maschile e femminile, dove il giusto probabilmente starebbe nel mezzo. Da una parte una virilità che altro non sembrerebbe che il prodotto di un'immaturità fanciullesca dove guerra e potere hanno sostituito, con conseguenze assai peggiori, i giochi di gioventù; non sarei infatti il primo a definire la guerra come un gioco inteso in chiave sportiva del termine; dall'altro una severità castrante, fatta di calcolo e programmazione rigida che uccide i sogni di gloria e con essi gli stimoli di prospettiva dell'uomo e che è prerogativa specifica della figura femminile. Come dice un vecchio detto, dunque, la virtù è da ricercarsi nel mezzo, ma non ci sentiremmo certo di dirlo con valenza politica. Questo è il contenuto priminente del testo, che lascia poi in secondo piano le descrizioni, assai semplicistiche e in parte datate, delle strategie e delle scene di guerra, addirittura chiamando in causa trincee e assalti alla baionetta stile guerra dell'indipendenza degli Stati Uniti (soluzione dettata dalla caduta dell'intero reparto aereo dei Mongoli). Il maggior motivo d'interesse, dunque, risiede nella struttura politico organizzativa della nuova America con la necessità assoluta di tornare ai vecchi sistemi, all'antica REPUBBLICA contrapposta a un Matriarcato che compra e baratta tutto e che incarna il governo dell'imprenditoria. Un mondo diviso in due blocchi, prima ancora che si potesse parlare di Guerra Fredda, e che giunge all'inevitabile conflitto, con una rivolta interna che porta a cadere l'ipocrita governo delle donne che soffocano libertà, dividono in rigide classi sociali, programmano unioni, uccidono sogni e ideali a beneficio di un presunto interesse economico collettivo che si rilfette negativamente sull'interesse individuale. Risolutive le armi del passato con una fionda che mette K.O. il grande imperatore della Mongolia. 

Una visione conservatrice, a suo modo sognante, che farà però leva sulla sete di distruzione e di conquista dell'uomo, non tanto per una malvagità di fondo ma per un bieco senso dell'onore da misurare nell'uso della forza e dell'astuzia ("Le vittorie sono frutto dell'intelligenza e non delle sole armi"). Dunque una parabola anche della genesi degli STATI UNITI con un popolo invasore, in quel caso europeo, emigrato nel nuovo continente per fondare una società inevitabilmente nata sul sangue dei vinti ovvero degli indiani d'america.

Piacevole, ma la struttura è da romanzo pulp pur se con qualche bel passaggio filosofico-politico. Si astengano dall'acquisto coloro che si attendono un romanzo lovecraftiano, perché ne resteranno delusi. 

William Wilson
Lovecraft Lovering
King Bachman
Le nostre vecchie metà oscure...


I governi non sono che incidenti nella vita di un popolo. La vecchia reupubblica ha fallito perché non è riuscita a imprimere nella mentalità delle masse la lezione che un'amministrazione efficace richiede la partecipazione attiva negli affari pubblici di tutti gli uomini e le donne dotati di buoni sentimenti. La miserabile autocrazia che ci ha guidati finora crollerà perché fondata soltanto sul profitto, sulla falsa premessa che l'uomo sia stato creato per produrre ricchezze, e non le ricchezze per il progresso spirituale dell'uomo

venerdì 27 maggio 2016

Anteprima del cortometraggio LION per la regia di DAVIDE MELINI





Regia e Sceneggiatura: Davide Melini.
Anno di uscita: UK, 2016.
Produzione: Luca Vannella, Alexis Continente, Vincenzo Mastrantonio, Bobby Holland, Ferdinando Merolla e Roberto Paglialunga.
Fotografia: Juanma Postigo.
Musiche: Francesco Tresca.
Interpreti principali: Pedro Sanchez, Micheal Segal e Tania Mercader.
Genere: Horror.

Frase di Lancio: La paura più grande dell'uomo è pronta a tornare.

Commento Matteo Mancini
Il ruggito dell'amico Davide Melini torna a squarciare il silenzio con un'intesità mai sentita. Il cieneasta romano, dopo qualche difficoltà incontrata nonostante i buoni risultati riscossi su scala intercontinentale da La Dolce Mano della Rosa Bianca (2010), irrompe in questa stagione con una serie di novità e un doppio appuntamento da leccarsi i baffi. Dopo i grossi problemi legati alla realizzazione di Deep Shock - arrivato quasi al punto di esser accantonato per disguidi con parte del cast artistico e parte di quello tecnico e poi ripreso grazie a un cambio di produzione dell'ultima ora - Davide ha trovato le giuste motivazioni prendendo parte, in veste di assistente alla regia, alla serie americana Penny Dreadful, girata negli storici set dell'Almeria. Qui ha conosciuto nuovi artisti, coinvolti nuovi personaggi che hanno fatto scoccare quella scintilla necessaria a far vivere la giusta fiamma indispensabile per far prender fuoco alla passione. Dunque un cassetto che si apre, un copione che ne esce per il conseguenziale allestimento di una nuova troupe, peraltro enorme per quel che riguarda il cast tecnico, col trasferimento a Malaga per trasformare in realtà cinematografica un doppio progetto steso su carta. Otto giorni di lavorazione, muniti di macchina Red Epic Dragon con l'ultima evoluzione a 6 K, per girare il tribolato Deep Shock (con attori irlandesi) e altri due per il secondo prodotto, che veniamo qua a presentare, intitolato Lion. 
Così Davide ci spiega la trama di questo suo ultimo corto: "C'è uno chalet isolato in una foresta innevata, c'è un uomo accecato dall'alcool e c'è una donna incapace di ribellarsi, ma c'è anche un bambino di otto anni, con un viso cupo e due occhi oscuri. Un mix che porterà la quiete della notte a esser frustata da una serie di grida che daranno l'inizio all'incubo." Non so voi, ma a noi viene subito in mente Shining di King.

Quello che possiamo dirvi per certo è che Melini, già in evidente crescita, pare aver compiuto quel deciso miglioramento su cui confidava dai tempi di The Puzzle, ormai otto anni fa, quando su queste pagine parlammo di questo suo primo corto dopo le esperienze da assistente ne La Terza Madre (2007) di Dario Argento. Una lunga gavetta passata dalla sofferenza di lasciare l'Italia, patria che non aiuta mai i propri rampolli, spesso fa ironia e quasi sempre intralcia i lavori, e la decisione di emigrare in Spagna. Un'atmosfera più accomodante, professionisti pronti a girare cortometraggi e un deciso progresso, pur se non privo di ostacoli e di delusioni. Alla fine però eccoci qua a parlare di un progetto che vede coinvolta una produzione da urlo che ha sede in Inghilterra ma che annovera molti personaggi italiani. Vediamoli uno a uno con le loro relative esperienze. Luca Vannella, hair stylist di Hemsworth (che io ricordo nella veste di Hunt in Rush di Howard) in Thor 2 (2013), medesimo ruolo nella saga Harry Potter, presente addirittura sul set di War Horse di Spielberg; poi abbiamo il collega di Vannella, Alexis Continente che arriva dai serial televisivi di Gomorra (2014); il veterano Vincenzo Mastrantonio, makeup artist in film monumentali, è il caso di dire, del calibro di Titanic (1997), Moulin Rouge (2001), La Passione di Cristo (2004); e ancora con lo stuntman Bobby Holland Hanton che ha preso parte a pellicole quali Inception (2010), Harry Potter, I Pirati dei Caraibi, addirittura controfigura di Batman ne Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno (2012); l'esperto e blasonato hair stylist Ferdinando Merolla da oltre trentacinque anni nel mondo del cinema con partecipazioni in kolossal quali Troy (2004), Gangs of New York (2002) e Hannibal Lecter - Le Origini del Male (2007); e infine il debuttante Roberto Paglialunga. Nel ruolo della produttrice esecutiva figura invece la spagnola Fabel Aguilera da sempre fedele sostenitrice di Melini.

Il protagonista MICHEAL SEGAL

Dunque nomi da cui traspira la massima esperienza nel cinema con la "C" maiuscola e accanto ai quali Melini, già di per se bravo, non può che aver trovato la convinzione e quella giusta cattiveria per cercare di fare il salto qualitativo. Lui stesso non ci nasconde la propria soddisfazione quando ci scrive: "Abbiamo fatto le cose per bene e girato il tutto senza problemi!"

Cast artistico ridotto all'essenziale con un nome di rilievo quale Michael Segal, apparso nel lungo e bellissimo film tv Ferrari (2003) interpretato da Castellitto dove ricopre il ruolo di giornalista, ma che abbiamo visto più volte nei corti di Ivan Zuccon, tra i quali L'Altrove (2000) e Colour from the Dark (2008) quest'ultimo scritto dall'amico Ivo Gazzarrini (che cogliamo l'occasione di salutare), oltre quelli di moltissimi altri registi che vivono sotto la sottile linea dell'underground, compreso il bientinese (patria origniaria del padre del celebre John Polidori) Francesco Picone in Age of the Dead (2015). E' al secondo corto la giovane Tania Mercader, mentre debutta il bimbo Pedro Sànchez. Dunque un cast artistico agevole e poco incline alla c.d. puzza sotto il naso, che non  dovrebbe aver creato problemi a Melini, evitando le noie avute col primo Deep Shock.

Lancio poi di Francesco Tresca alla colonna sonora, pescato dalla serie tv Italian Horror Story (2016) e subito avviato verso una serie di progetti; fotografia dello spagnolo Juanma Postigo (nomination al Premio Goya per la miglior fotografia col film El Violin de Piedra diretto da Emilio Ruiz), montaggio del debuttante Daniel Salinas.

Dunque un mix di professionisti che hanno lavorato con nomi quali Steven Spielberg, Scorsese, Dario Argento, James Cameron, Christopher Nolan e altri, alla produzione, combinato a un gruppo di nuove proposte con l'esperienza di Segal messa al servizio di un Melini combattivo fin dal titolo e dalla copertina del prodotto, che immortala un Leone, il Re della Foresta. Non ci resta che attendere l'uscita di questo prodotto, annunciato per Halloween 2016, girato in lingua inglese, cui farà seguito, nel 2017, l'uscita di Deep Shock. Intanto su youtube potete già vedere un piccolo trailer. Ai prossimi aggiornamenti con un Melini sempre più lanciato su scala internazionale.


Queste le pagine utili per approfondimenti:

1. Pagina IMDB: http://www.imdb.com/title/tt5480036/?ref_=nm_ov_bio_lk5

2. Pagina web ufficiale: http://davidemelini.com/LION

3. Facebook: https://www.facebook.com/Lion-Film-982262008522129/

4. Twitter: https://twitter.com/Lion_Film2017


Il regista DAVIDE MELINI

sabato 21 maggio 2016

Recensione Narrativa: VAMPIRI! a cura si Stephen Jones.




Autore: AA.VV.
Curatore: Stephen Jones.
Anno: 1992
Editore: Grandi Tascabili Economici Newton.
Pagine: 474.
Prezzo: 7.900 lire

Commento Matteo Mancini.
Ventotto racconti più una poesia formano questa corposa raccolta messa in piedi nel 1992 dall'eccelso antologista Stephen Jones, allora quarantunenne. Stiamo parlando di un grande maestro nel campo della narrativa fantastica, conosciuto anche quale consulente e sceneggiatore, e che non ha bisogno di presentazioni. Ricordiamo qua solo i suoi numerosi successi al Fantasy World Award e al Bram Stoker Award, per non parlare delle numerose finali conquistate al British Fantasy Award e all'Hugo Award.
Nell'occasione Jones presenta il suo omaggio alla figura del vampiro, come si capisce dall'eloquente titolo Vampiri!, nell'ambito di un progetto a più ampio raggio che ha portato all'uscita anche di analoghi omaggi ai più marcati stereotipi del genere horror, quali i licantropi piuttosto che gli automi sulla scia di Frankenstein.
Il volume vede la presenza di molti autori inglesi che coprono un vasto periodo temporale, con qualche autore americano a completamento. Si va dagli immancabili classici, quali Ligeia (1838) di Edgar Allan Poe e L'ospite di Dracula (1914) di Bram Stoker ovvero La Stanza nella Torre (1912) di Benson piuttosto che Il sangue della Vita (1911) di Francis Crawford (scrittore nato in Toscana ma di nazionalità statunitense), a racconti contemporanei compresi tra gli anni '70 e il 1992. 
Il livello qualitativo dei racconti è medio, la lunghezza breve, salvo tre racconti lunghi di lunghezza compresa tra le 40 e le 60 pagine. Potremmo dividere i vari racconti in quattro grandi categorie. Da una parte i classici, cinque racconti, che si trovano un po' dovunque con scrittori come Stoker, Montague James, Poe, Crawford e Benson; quindi i racconti che introducono la figura del vampiro in un contesto storico ben definito caratterizzando una società dove i vampiri convivono con gli umani e sono inseriti nel tessuto sociale; segue poi una più corposa parte in cui la figura del vampiro viene utilizzata per trame intrise di venature erotiche incentrate sull'adescamento e la successiva aggressione della vittima (parte peggiore dell'antologia), infine una parte più libera di racconti dove gli autori tentano di dar vita a un qualcosa di più originale.

Vediamo di analizzare ciascuna di queste categorie. Per la prima siamo molto veloci, poiché si tratta di testi conosciutissimi, peraltro Jones ne sceglie qualcuno, come Un Episodio della Storia di una Cattedrale (1919) di Montague James, piuttosto debole. Nella fattispecie si assiste al racconto di un restauro di una vecchia cattedrale nelle cui fondamenta, rinchiuso in un sepolcro su cui compare la scritta Ibi Cubavit Lamia, si scoprirà esser intrappolato un essere umanoide imprecisato che fuggirà durante i lavori. Meglio la storia di Benson, forse la migliore di questo gruppo unitamente all'immortale racconto di Stoker, in cui un uomo ossessionato da un incubo vede lo stesso materializzarsi durante una notte passata all'interno di una torre.

Più interessante e qualitativo il secondo gruppo di storie del quale fa parte, probabilmente, il miglior testo dell'antologia: L'Uomo che amava la vampira (1988). Lo firma un autore minore, tale Brian Stableford, e proietta il lettore nella Londra del 1623. La scenografia e i costumi sono quelli, cambia chiaramente il rilievo storico caratterizzato quasi fosse un qualcosa di parallelo rispetto alla Londra del tempo. Dico questo perché nel racconto di Stableford vampiri e uomini convivono, con i primi che governano Londra tenendo in rapporto di subordinazione gli umani. Nell'oscurità, tuttavia, trama una fratellanza segreta che cerca di sovvertire l'ordine al fine di debellare i vampiri dalla faccia della terra. In palio c'è la libertà di pensiero e di studio. I vampiri infatti hanno dato vita a un governo ombra che ostacola il progresso, in modo da evitare ogni potenziale rischio alla loro salute. La conoscenza potrebbe di fatti esser utilizzata contro i vampiri e quindi favorire la ribellione. Protagonista della storia è un meccanico che ha ideato e perfezionato lo strumento del microscopio al fine di studiare le acque del Tamigi e più in generale i batteri che potrebbero portare le malattie. Questo almeno in apparenza, la realtà è che lo strumento viene utilizzato per studiare il sangue per individuare i punti deboli dei vampiri e attaccarli in un qualche modo. L'uomo è stato fidanzato proprio con una vampira nobile e cerca di donare il prodotto alla dinastia della stessa. L'omaggio è però solo una scusa per riavvicinare la propria fiamma e trasmetterle, con un rapporto sessuale che ruota attorno alla suzione di sangue, una malattia letale che si è diffusa in Africa e di cui i topi ne sono portatori sani. Per perseguire lo scopo, l'uomo ha bevuto il sangue di topi infetti e si è così sacrificato alla causa da perfetto kamikaze (sorta di rilettura dell'AIDS spostata indietro nel tempo). 
Dunque un racconto molto interessante, si dice prologo di un romanzo intitolato L'Impero della Paura, che mischia l'erotismo a una qualche reminiscenza di filosofia politica (i vampiri cercano di governare con la logica del terrore e dell'ignoranza e si battono per ostacolare il progresso e la conoscenza). Breve, ma molto carino, sicuramente una delle sorprese dell'antologia.

La cover della seconda edizione.

Sceglie una via molto simile il più famoso Kim Newman, il quale ricalca l'idea della società retta dai vampiri in cui vivono gli umani, spostando però il periodo storico al 1888 ovvero all'anno degli omicidi di Jack lo Squartatore. E' proprio il celebre assassino, che qua viene individuato nell'identità, a ricoprire la veste del protagonista di questo Il Regno Rosso (1992). Si tratta di un racconto piuttosto lungo, circa una cinquantina di pagine, strumentale a rendere omaggi a personaggi della vita reale (Jack lo Squartatore, vittime dell'assassino, nomi dei sospettati) e ad altri di creazione letteraria (Sherlock Holmes, Van Helsing, Carnacki, Dracula, Dottor Jekyll & Mister Hide). La Whitechapel raccontata da Newman, così come la Londra di Stableford, è un sobborgo di un mondo parallelo dove Dracula ha sconfitto Van Helsing (la testa del medico olandese è infilzata sulla sbarra di un cancello di un palazzo governativo) e si è unito alla Regina d'Inghilterra (anch'essa vampirizzata). Il Dottor Seward, disturbato dalla morte di Lucy da cui era attratto (si rinvia al Dracula di Bram Stoker), è rimasto così disturbato che se ne va in giro armato di bisturi d'argento (unico materiale capace di infliggere delle ferite inguaribili ai vampiri) a squartare le prostitute vampire che vendon il proprio corpo per denaro o schizzi di sangue. Conduce le indagini un detective di un'organizzazione segreta (Il Club Diogene), accompagnato da una vampira di cui finirà per innamorarsi. 
Racconto tipico della penna di Newman che rilegge in chiave fantastica la vicenda dello Squartatore di Whitechapel, ricostruendone il periodo storico, i veri nomi dei sospettati e il modus operandi. Cambia, chiaramente, la dimensione della storia, che potremmo definire parallela quale risultato di una compenetrazione tra la realtà e la finzione letteraria figlia delle penne di Stoker e di Stevenson. Così capiamo che Newman ha dato un finale diverso a Dracula, il principe della notte non è fuggito da Londra (finale alquanto mediocre, continuo a ribadirlo) ma ha sfidato e sconfitto Van Helsing, infilzandone la testa sul cancello di un palazzo reale (vera e propria inversione rispetto alla chiusura di Stoker). Non solo, ha anche assunto il controllo di Londra, popolandola di vampiri con ghetti riservati a cavie e a soggetti destinati ad alimentare i vampiri il tutto in perfetta legalità. E per le vie della città girano, oltre i vampiri, anche i vari Dottor Jekyll, Carnacki e Sherlock Holmes. Vampiri e umani convivono così in una società infettata dove il marciume comincia a dilagare, mentre Dracula, messo in scena con caratterizzazione luciferina, se ne sta tutto nudo a banchettare nel palazzo reale in compagnia di una regina costretta a sottostare ai suoi capricci e a quelli dei suoi discepoli. Bellissimo il finale, un vero e proprio delirio da girone dantesco, all'interno dei palazzi governativi dove sesso, assassinii e blasfemie non si contano. Un racconto senz'altro discreto, così come non è da disprezzare la via di mezzo tra questo e Io Sono Leggenda di Matheson. Sto parlando de La Messa di Mezzanotte (1990) dell'autore sci-fi Paul Wilson. Ancora una volta viene tratteggiata una società, questa volta del futuro, dove vampiri e umani convivono, anche se in questo caso i primi non sono poi così inseriti nel tessuto sociale come invece negli altri due racconti. Spicca in modo particolare lo stile pulp della storia, quanto a caratterizzazioni e dialoghi. Protagonisti sono un prete derelitto irlandese, dedito all'alcool, e un rabbino che si interroga se la relagione ebraica sia poi quella veramente eletta da Dio. I due riprendono possesso di una piccola Chiesa finita nella mani di un reverendo (originario di Napoli!?) ormai vampirizzato e dedito ad atti sacrileghi (praticamente evira le vittime all'interno della Chiesa e ha fatto scempio degli oggetti sacri della casa del Signore). Wilson si diverte a sfaccettare il protagonista quale antieroe redento, così abbiamo questo prete che dice le parolacce, beve alcolici e ritorna ad avere fede riprendendosi da una parabola discendente imboccata a causa di un'ingiusta accusa per pedofilia. A spingerlo a riprendere possesso delle proprie qualità è un rabbino che ha dovuto riconoscere la superiorità dei simboli cattolici, in primis il crocefisso (interessante sottotrama religiosa nel rapporto tra cristianesimo e ebraismo). I due, in un'Irlanda invasa dai vampiri dove di giorno non circola anima viva, lottano con fucili, acqua santa e croci per riprendere possesso della vecchia chiesetta divenuta sede degli atti sacrileghi del reverendo votato al male. Wilson, tra umani e vampiri, introduce una terza figura di soggetti che sono gli umani che hanno deciso di servire le creature della notte in cambio di protezione. A sbrogliare la matassa saranno il crocefisso, un sangue di cristo di fortuna rappresentato dalla coca-cola benedetta (!?) e il sacrificio da martire del rabbino. Testo curioso per le implicazioni religiose.

Un altro racconto di stampo metastorico è quello di Howard Waldrop intitolato Der Untergang des Abendlandesmenschen (1976), tradotto dal tedesco “Il declino della popolazione occidentale”. Si tratta di un testo sperimentale che vede due cowboy giungere in Germania per dar manforte a un gruppo di intellettuali, che poi si scopriranno essere i vertici del nazismo nascente, al fine di uccidere dei vampiri, rappresentati come il Nosferatu di Murnau, che vengono bollati come ebrei. L'epilogo vede soccombere il vampiro, crivellato con proiettili di legno e gettato in pasto ai disoccupati e ai reduci dalla prima guerra mondiale. L'ultima immagine del testo sono le sinagoghe e la città in fiamme, forse a rispolverare l'avvento del nazismo con la presa del Reichtstag. A dare l'inizio al tutto, quasi come se Dracula fosse sbarcato in Germania anziché in Inghilterra, è l'arrivo di un uomo, su una nave privata dell'intero equipaggio e col solo capitano superstite, ma legato al timone e privato di tutto il sangue. Racconto strano, da leggere forse quale metafora dell'avvento del nazismo in Germania con i vampiri, riconosciuti quali ebrei dai tedeschi, a rappresentare il capro espiatorio della crisi tedesca e più in generale ad assumere il ruolo delle banche relazionate alla figura del vampiro per aver dissanguato le casse statali. I cowboy americani invece, rappresentati come degli idioti faciloni nonché amanti delle armi, vengono usati quali complici involontari dell'avvento del nazismo per aver sottovalutato la questione. Il vampiro che arriva dal mare può esser interpretato, oltre che come omaggio a Bram Stoker, quale male decretato dai patti conclusi con gli americani a termine della prima guerra mondiale
Questo il gruppo di racconti che mischiano la figura del vampiro con la storia dell'umanità in una piacevole compenetrazione tra realtà e fantasia letteraria. A mio avviso si tratta del lotto migliore dell'opera, dato che deludono non poco i racconti che giocano sul tema dell'adescamento e della successiva vampirizzazione, vuoi romantica e dovuta a sentimenti amorevoli (Nebbia Gialla di Les Daniels, grande atmosfera ma storia debole), vuoi alimentare o puramente sessuale. Tra gli autori di questi racconti figura l'inglese Clive Barker col suo Resti Umani (1984),elaborato che propone una figura atipica e aliena di vampiro. Niente a che vedere con la figura tipicamente orientale, piuttosto una creatura capace di copiare le sembianze degli uomini e di rubarne persino l'anima trasformando la vittima in un automa ed evolvendo di qualità e perfezione grazie ai bagni di sangue. Deludono non poco, in questo gruppo, Brian Lumley (con una storia, Necros, ambientata sulla spiaggia ligure), Robert Bloch (Rapsodia Ungherese), Frances Garfield, Ramsey Campbell (La Nidiata), Etchison e Schow, tutti alle prese con storie decisamente mediocri. 

Meritano invece un accenno, per la qualità, altri quattro racconti. Per le atmosfere, tipicamente hodgsoniane, è da citare Stragella (1932) di Hugh B. Cave. Questa la sinossi: due naufraghi di un piroscafo affondato nell'oceano indiano vagano alla deriva sulle acque. Un giorno si imbattono in un'enorme nave avvolta dalla nebbia e decidono di saltare sopra per verificare la presenza di cibo. Sull'imbarcazione troveranno ossa di ogni specie animale (tigri, bertucce, leopardi) e strane piante cresciute proprio all'interno della nave che si presenta in pessime condizioni di conservazione. Sul pavimento sono presenti inoltre molti scheletri umani. Solo allo scendere dell'oscurità il duo capirà cosa è successo all'interno della nave. Tutto è collegato a tre bare al cui interno sono custoditi i cadaveri di tre serbi che altro non sono che dei vampiri. 
Racconto dalla grande atmosfera, scritto con lo stile pomposo proprio degli inizi dell'ottocento. Perde qualche punto quando entra nel vivo della vicenda, con questo trio di vampiri responsabili della moria di bordo, ma al di là di tale sviluppo telefonato resta un ottimo esempio di orrore marino, con tanto di serpenti di mare che seguono i due disperati durante il loro peregrinare sull'oceano.

Mischia la tradizione fantastica alle patologie psichiche, anche per deformazione professionale (dato che era psichiatra), il grande Karl Edward Wagner col suo Oltre Misura (1982). Siamo alle prese con un'interessante storia di trentasette pagine che cade nel dejà vù solo nella parte terminale. A ergersi protagonista è una studentessa californiana residente a Londra in compagnia di una connazionale con cui intrattiene una relazione amorosa. Funestata da strani e ricorrenti incubi, decide di sottoporsi alle sedute di ipnosi di uno psicologo, fervente sostenitore della metempsicosi, orientato a dimostrare l'esistenza dell'anima e della sua reincarnazione in altri corpi nel corso della vita degli uomini. Intanto la compagna le realizza un ritratto che viene poi acquistato da una sconosciuta dama solita organizzare feste sfarzose a base di sesso e coca. Sempre più impaurita dagli esiti delle sedute, la ragazza cerca di interrompere i suoi appuntamenti con lo psicologo che le sta facendo ricordare una vita passata, risalente agli inizi del novecento, incentrata su una storia di sepoltura prematura e di successiva morte apparente. Un omicidio arriva però a sconvolgere i piani. La compagna della protagonista viene infatti ritrovata dissanguata nel bagno con due fori al collo, e alcuni tagli sulla giugulare e sui polsi. Scotland Yard inizia a indagare, mentre la giovane si trova al cospetto di una donna che ha il suo stesso corpo... Si tratta della nobil donna che ha comprato il quadro e che altro non è che il vampiro che ha rubato l'anima all'antenata della protagonista della storia. “Un vampiro perde la propria anima quando diviene un non morto, ma l'anima è immortale; continua a vivere, anche quando la sua incarnazione precedente è diventata un demone senza spirito.” Questa la base centrale su cui ruota la storia, un racconto horror pluripremiato impreziosito dalle venature erotiche di tendenza saffica, ma anche dalle decise sottotrame poliziesche, con cui Wagner da sfogo alle sue passioni lavorative e a quelle ludiche. Omaggi alla psicanalisi, all'occultismo (si cita spesso Crowley), ma soprattutto alla narrativa di Poe (William Wilson su tutti, ma anche La Sepoltura Prematura) e al cinema con strizzatine d'occhio da Hitchcock (Psyco) al Rocky Horror Picture Show

Un altro racconto che omaggia la grande narrativa, nella fattispecie Il ritratto di Dorian Gray, è Il Laird di Dunain (1992) dell'autore splatter Masterton. Si passa allo splatterpunk miscelato al racconto gotico di stampo classico. Una pittrice è chiamata a realizzare un ritratto a un laird scozzese, ovvero un proprietario terriero, da cui si sente attratta. La donna ce la mette tutta, ma non riesce a trovare il colore giusto per pitturare il carnato dell'uomo. Un giorno, per caso, si ferisce a una mano e col sangue che schizza sui colori nota di aver trovato il giusto impasto per dare colore all'opera. Per motivi però assurdi il quadro, trascorse alcune ore, assorbe i colori e torna a essere cinereo, mutando inoltre la propria espressione. La donna, all'insaputa del nobile che pare divertito dalla cosa, inizia a ferirsi per miscelare il sangue alla tela, finché non scopre di non aver più sangue in corpo sventrandosi e tirandosi fuori le interiora. Il nobile, divertito, apprende la notizia della morte alcune ore dopo, ma andrà anche lui incontro a una morte orribile. Una collega della pittrice infatti, presa dalla gelosia, stralcerà il quadro provocando il simultaneo smembramento dell'uomo. Dunque una sorta de Il Ritratto di Dorian Gray in chiave splatter, miscelato a qualche tocco di erotismo. 

L'ideale palma del racconto più originale la conquista, per noi, Ronald Chetwynd-Hayes e il suo onirico Il Labirinto (1974). La storia prende piede in modo convenzionale, si potrebbe quasi dire fiabesco, con una coppia di sposini che si perde nella brughiera inglese e chiede rifugio a una vecchietta intenta a bere del the all'interno di una magione gigantesca. I due scopriranno che la donna abita in tale costruzione assieme a un sordomuto dalla mole statuaria che le fa da maggiordomo. La vecchia sulle prime è gentile e premurosa, ma ciò che le interessa è convincere i due a pernottare nella magione. I due, costretti ad accettare per l'incombere della notte, scopriranno a loro spese di esser finiti in un'abitazione che è un vero e proprio organismo vivente, nato quale prodotto del sotterramento del marito della donna, un vampiro ucciso nel corpo (per un paletto infilato nel cuore), ma non nella mente. Costretti a vagare per i labirintici corridoi della costruzione dovranno vedersela con zombie sdentati, cani rabbiosi e infine col volto gigante del vecchio vampiro che controlla la casa dalle fondamenta in cui è imprigionato. Testo surreale piuttosto originale, con una specie di castello vivente formato da pareti assimilabili a tessuti muscolari in cui si troveranno ingoiati i due protagonisti alla disperata ricerca di una via d'uscita.

Poco altro da aggiungere sugli altri testi, deludono Basil Copper (che si affida a un testo con doppio colpo di scena finale), Richard Cristian Matheson (figlio di Richard Matheson) che opta per un testo sperimentale (semi-illeggibile), Peter Tremayne (testo claustrofobico ma nulla più) e altri minori. Chiusura con una poesia malinconica di Neil Gaiman.

In definitiva un'antologia che diverte, offrendo almeno una dozzina di buoni racconti pur senza disporre di masterpiece, e che offre una carrellata di ventinove autori funzionale a fungere da vetrina per la scoperta di scrittori magari non conosciuti a chi legge sebbene molti di essi siano dei maestri del settore. Volume indicato per un regalo a un amante di racconti horror, magari qualche giovane Stephen King dipendente e che poi ignora tutto il resto. Lettura semplice e veloce, con qualche racconto da bollino rosso.

Il curatore Stephen Jones.