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mercoledì 25 settembre 2024

Recensione Narrativa: I CAMPIONI DELL'INFERNO di Andrea Gualchierotti.


 

Autore: Andrea Gualchierotti.
Anno: 2024.
Genere:  Fantastico sottogenere Sword and Sorcery.
Editore: Edizioni Il Ciliegio.
Pagine: 224.
Prezzo: 14.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.

Freschissima uscita per le Edizioni Il Ciliegio, sul mercato dall'1 ottobre 2024, di cui vi forniamo in anteprima la recensione (penso di essere il primo). Andrea Gualchierotti, penna di punta del weird italico (più volte intervistato dalla Rai) e ospite fisso di Dimensione Cosmica, torna con un nuovo contributo al sword and sorcery legato alla tradizione classica. Spada e magia dunque, nel solco delle storie di Robert Ervin Howard sebbene traslato nel mondo greco-romano. Dopo gli ottimi La Stirpe di Herakles (2020) e soprattutto I Principi del Mare (2022) - qua la nostra recensione http://giurista81.blogspot.com/2023/10/recensione-narrativa-i-principi-del.html - Gualchierotti sposta l'ambientazione delle sue storie dalla Grecia del mito omerico alla Roma del 110 d.c., in pieno periodo di spettacoli in arena dove si inneggiano atleti che provocano la morte di altri. Immaginate dunque Il Gladiatore di Ridley Scott imparentato all'epopea della tradizione omerica posticipata al primo secolo del dopo Cristo. Gli dei che interferiscono con le vicende e i "giochi" degli umani. Sacro e profano dunque, dove il primo è legato al paganesimo e allo scontro tra gli dei e dove dei cristiani non vi è ancora traccia. Lo spunto parte dal fantastico ovvero dall'idea che ogni 15.000 anni, nel giorno in cui gli astri tornano nella posizione che avevano al principio del tempo (idea lovecraftiana), gli dei gareggiano per il governo del mondo. Anziché scontrarsi tra loro, i tre figli generati da Kronos (Zeus, Ade e Poseidone) pensano bene di darsi battaglia per interposta persona. Individuano infatti tre dannati caduti sul campo di battaglia delle arene e li riportano sulla Terra con la promessa, a chi dei tre rimarrà in vita, di essere liberato dal legame con la morte e di tornare così definitivamente in vita. Ognuno dei tre rappresenterà uno dei tre dei. I "nostri", tutti guidati da desideri personali di vendetta, dovranno vedersela contro creature infernali (echi de L'Armata delle Tenebre di Sam Raimi) e altri più convenzionali, spesso in condizione di svantaggio avendo come unici conforti lo scudo, l'elmo e il gladio.

Trama dunque meno epica delle precedenti di Gualchierotti e più votata al grandguignol e all'intrattenimento. Domina infatti l'azione e vengono meno i rimandi classicisti. L'autore denota comunque una grande cultura in materia, ha studiato il mondo dei gladiatori e riesce a riproporlo in ogni sua particolarità. Viene curato ogni aspetto, dall'alimentazione agli indumenti e alle armi, passando per gli allenamenti, le punizioni per i rivoltosi (reclusione in celle scavate nel tufo) fino alla considerazione che simili soggetti avevano in una Roma truce e crudele sempre assetata di sangue. In altre parole, i gladiatori erano molto simili a quello che oggi sono i cavalli da corsa. Proprietà di appassionati che investivano soldi per farsi belli negli appuntamenti importanti, oltre che boia chiamati a eseguire pene capitali a danno di criminali a cui veniva offerta l'illusione di potersi difendere al cospetto di una folla di spettatori drogata dallo spettacolo.

I Campioni dell'Inferno è una sorta di Rollerball del passato, in cui si inseriscono molti momenti fantastici funzionali a creare grande evocazione scenografica all'insegna del sovrannaturale. Abbiamo parti ambientate nell'Ade, altre tra le rovine di Ercolano fino alla ricostruzione di una battaglia navale avvenuta tre secoli prima e riproposta quale spettacolo all'interno del Colosseo (spettacolare descrizione delle varie fasi). Lo stile è elegante, ricercato al punto giusto, con latinismi e grande padronanza della materia trattata. La storia è weird con contaminazioni horror e, se mi permettete, intrisa di marcato gusto da spaghetti western (personaggi smargiassi, irriverenti persino verso gli dei, in continua ricerca del duello al punto da sfidare la morte e chi li attenderà oltre essa), tuttavia il vero centro del romanzo è il mondo dei gladiatori. Gualchierotti da la sensazione di voler soprattutto parlare di questi eroi del tempo che fu, del loro mondo e dei loro usi. Schiavi al servizio di perversi proprietari, talvolta persino oggetto di inconfessabili desideri sessuali di natura omosessuale. Da questo, probabilmente, nasce lo spunto del testo. Ecco che il contenitore fantastico funge da mero pretesto per rendere più accattivante una storia che lo sarebbe stata anche a prescindere. Protagonista assoluto, più che della storia, è il retaggio storico e la verosimiglianza dei fatti calibrati al periodo in cui è inscenata la vicenda.

Tra le parti più riuscite, oltre al pirotecnico finale degno di un kolossal alla Ben-Hur, vi è tutta la prima parte. Il prologo in cui assistiamo al naufragio di un'imbarcazione che si trova a passare laddove si danno appuntamento i tre figli di Kronos è forse il momento più bello del testo, superato dalla parte ambientata nell'Ade dove i prescelti si trovano a dover respingere un'orda di zombie. Bella è inoltre la scena nella villa alle porte di Ercolano, per non parlare del viaggio su un'imbarcazione che ricorda, per come sono tenuti gli schiavi, i treni colmi di ebrei in viaggio verso Auschwitz.

La parte centrale, cuore del romanzo, è invece dedicata al mondo dei gladiatori, analizzato in ogni sua particolarità (ivi compresa la pratica delle scommesse e dei baccanali che precedevano l'inizio dei giochi). Qui, forse, Gualchierotti tende a essere un po' ripetitivo in alcuni scontri (ma è anche inevitabile) e inizia a introdurre snodi narrativi che ricordano lo spaghetti western leoniano. I personaggi entrano in contrasto tra loro, poi si alleano salvo tradirsi e ricorrere ai doppi giochi. Non sono da meno gli dei, che tradiscono la parola data e non accettano che le loro pedine facciano altrettanto. Gustosi alcuni momenti di raccordo, come il viaggio da Napoli verso Roma, in cui vengono mostrate le "lucciole" che attirano i clienti presso i cimiteri affacciati sulle arterie di collegamento tra una città e l'altra. Durante questa tappa di avvicinamento si assiste altresì allo scempio di uomini impiccati e crocefissi lungo la via come monito esemplare per dissuadere i rivoltosi o chi volesse tentare di ribaltare lo status quo.

Epilogo in grande stile, con un numero di morti da fare invidia agli spaghetti western. Non aggiungo altro per non rovinare la lettura.

Dunque un romanzo che conferma le doti di Gualchierotti, ormai certezza del genere, ma che, a differenza dei precedenti romanzi, si orienta maggiormente al grandguignol piuttosto che al classico della tradizione ellenico/romanica. Diverso altresì dalle storie weird d'oltreoceano per la volontà di non tradire le origini storiche, che fungono da sfondo non certo marginale alla vicenda. Potremmo dunque definirlo con un'etichetta che pensiamo gradita all'autore del testo ovvero un “sword & sorcery mediterraneo” in piena regola. Manifesto di un sottogenere tutto italico.

 

 L'autore.

C'è un solo posto capace di ingoiare tante vite, chiedendone di nuove senza posa. Un luogo che brama sangue come noi la libertà, e dove si dice abbiano dimora anche gli dei. Ancora non l'hai capito, ragazzo? Siamo diretti a Roma!


 

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