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domenica 4 dicembre 2022

Pillole di approccio psicologico e filosofico di Matteo Mancini.

ACQUISIRE LA CONOSCENZA DI SE' STESSI. PRIMO STEP VERSO IL SUCCESSO PSICOLOGICO.

                                                       Ve lo do io lo Yoga, Matteo Mancini contorsionista.

 

A Cura di Matteo Mancini.


Liberarsi dai condizionamenti esterni e dal mood manipolativo: Spunti di Riflessione.

Il primo step da affrontare per chiunque cerchi di liberarsi dai cordami che imbrigliano il libero sviluppo deve, a mio avviso, partire da una premessa: salvo problemi effettivi di salute (che hanno coloro che hanno difficoltà quali tumori, ictus e altre patologie indipendenti dalla volontà umana, si noti che io non considero le difficoltà psicologiche una malattia bensì uno status mentale reversibile individualmente e autonomamente senza il ricorso a medicine), la maggior parte delle afflizioni che minano l'esistenza individuale provengono dal “nostro” interno (e non da fattori esterni). In sintesi estrema, siamo noi a porre le condizioni del nostro insuccesso (rispetto al nostro obiettivo iniziale e non rispetto ai parametri sociali). In altre parole, siamo noi stessi (esseri umani) che ci induciamo in una condizione emotivamente negativa, vuoi perché temiamo di perdere le cose che possediamo (soldi in primis), vuoi perché temiamo di perdere le persone che amiamo (che non si dovrebbero perdere come perdiamo gli oggetti, in quanto a differenza degli oggetti le persone dovrebbero avere un attaccamento di valenza spirituale, e per "spirituale" intendo ciò che muove la “macchina umana”, vale a dire il corpo con cui ci presentiamo nella società) o vuoi perché siamo ambiziosi o perché, soprattutto, temiamo di esser riconosciuti in categorie che l'educazione che abbiamo ricevuto qualifica come i “cattivi” e i “brutti” (da evidenziare, a esempio, l'atteggiamento di coloro che non manifestano apertamente i propri orientamenti sessuali perché temono la squalifica che ne deriverebbe).
 
Premesso che affermo tutto questo a seguito di impressioni personali acquisite nel corso degli anni e non certo perché io sia un addetto ai lavori e, ben che meno, un maestro di vita o un santone che ha conquistato la pace dei sensi (sono anche io a combattere in campo, peraltro in un contesto generale che spesso e volentieri trovo banale e poco stimolante), invito il lettore sui banali (in apparenza) punti di riflessione che metto qui di seguito, posto che ogni cammino di autocoscienza (chiamiamolo così) deve essere personale e non equiparabile a quello delle altre persone. Non c'è una formula magica per la conquista della felicità, ma milioni di strade alternative tutte valide in generale ma non nello specifico. Così come non vi è una sola verità, ma molteplici. Il punto qui di seguito apre la porta a tutta una serie di altri aspetti, da affrontare in seconde sedute, procediamo per ordine.
 
Centrale, a mio modo di vedere, per ogni persona, perché da questo discendono tutte le “strategie” e le decisioni che un essere pensante guidato dalla coerenza e che ha il controllo di sé stesso (si noti che il controllo totale di sé stessi è quasi impossibile da ottenere) va a prendere, è: COSA CERCO NELLA (E DALLA) VITA E PERCHé VOGLIO QUESTO. Sembrerebbe una considerazione banale e scontata, eppure non lo è affatto.
Premesso che ogni risposta che viene data a questa domanda, ivi compreso la più superficiale e materialistica, è corretta, in quanto ogni persona ha obiettivi, preferenze e valutazioni personali che dovrebbero essere diversi rispetto a quelli degli altri (dico “dovrebbero” perché in realtà siamo schiavi dell'effetto moda, che non avviene solo con i capi firmati ma per tutte le cose, senza renderci conto che dimostriamo di non essere liberi nelle nostre scelte). Non si deve mai finire col modificare la nostra vita, perché qualcun altro non vuole che si centri quello che ci eravamo prefissati o perché realizzare i nostri fini è eticamente riprovevole (si noti come questo punto sia totalmente in contrasto con i processi e le regole che determinano la moda). Pertanto, piaccia o non piaccia alle persone che ci circondano, questa è una domanda a cui nessuno può sbagliare nel rispondere. Dovrebbe quindi essere la domanda più gradita tra le tante possibili, eppure si rivelerà la più ostica e persino evasa o negata. È la diretta estrinsecazione del “conosci te stesso” di cui parlava Socrate. “Te stesso” può essere diverso dal “Te stesso” degli altri, può persino essere diametralmente opposto a quello di una collettività avente in comune la medesima impostazione. Questo non significa che il metro di raffronto porti a giudicare qualcuno dei soggetti in esame quale persona sbagliata, si è soltanto al cospetto di una diversità apprezzabile con un semplice paragone (non a caso esistono le categorie). Il termine “non normale” è solo una valutazione suffragata da un'osservazione di un dato sistema da cui si pescano informazioni, in altri termini una valutazione fredda e oggettiva dovuta al confronto tra il singolo e la maggioranza che costituisce una data popolazione (e mai una valutazione soggettiva nel merito della questione). Se il 90% delle persone tira testate nel muro ed è convinto di abbatterlo e persiste, pur spaccandosi la testa, nel compiere l'atto mentre il 30% desiste perché dice che si farebbe male; le persone normali di questo insieme sarebbero quelle che sbattono la testa e non le altre (la cosa cambierebbe nella valutazione del merito, specie se analizzato da chi arriva da un altro sistema solare). Il parametro, infatti, è sempre costituito dal contesto. Il contesto è sempre oggettivo (è il contenuto di un insieme), ma si muove sulla base di un giudizio iniziale che è soggettivo e cioè, nel nostro caso, che tirare la testa nel muro porta al crollo dello stesso. 
 
Dalla comprensione di questa domanda iniziale e dalla relativa risposta che diamo discende tutto il resto. Se non viene sbrogliata la matassa relativa a questo punto il soggetto persisterà a vagare nel deserto in una notte buia priva di stelle e senza bussola (e quando uno  ha merda, come dice la Legge di Murphy, le cose vanno tutte male, infatti sarebbe da considerare anche il fatto dell'escursione termica del deserto, dai calori si passa presto alle gelate). Per fortuna, ognuno di noi, quantomeno a livello inconscio, sa cosa stiamo cercando, ma a volte siamo noi stessi a non volerlo ammettere. Il subconscio sa molto di più dell'Io cosciente e quello che c'è nel subconscio è puro e non influenzato da quello che invece viene governato dall'Io cosciente. Ecco che nei libri viene spesso suggerito di lasciar correre la parte irrazionale. 
 
È fondamentale, a mio modo di vedere, non porsi freni in questo primo step, perché di freni (di qualunque natura essi siano) ce ne sono dietro ogni angolo e se già noi stessi ce li poniamo ci mettiamo nella medesima condizione di chi affronta una sfida dicendo che la perderà sicuramente; un approccio, questo, che frustra l'individuo nell'atteggiamento psicologico, non porta a dare quel qualcosa in più che, a volte, fa miracoli e carica a livello emozionale. Occorre avere quella che gli imprenditori chiamano la “vision”, ossia la visione, intesa nel senso della prospettiva del “sogno”. Questo dovrebbe costituire l'essenza della c.d. legge dell'attrazione. Si è sentito milioni di volte la frase che dice “solo credendo a un sogno, il sogno si può realizzare” o “solo tentando una soluzione impossibile questa si può realizzare” o, come diceva Einstein, “una cosa è impossibile finché non arriva un pazzo che dimostra il contrario” (pazzo perché rompe lo schema che nessuno osa superare). Se credi in un sogno fai di tutto per realizzarlo, perché ti reputi idoneo a realizzarlo e perché se lo realizzano gli altri lo puoi realizzare anche te. Non esistono grandi differenze di fondo tra una persona e l'altra, quando queste sono infanti e all'inizio del loro cammino esistenziale, ciò che cambia, alla lunga, è la dedizione, la perseveranza, la volontà di centrare gli obiettivi e, da ultimo, quella che io chiamo la cattiveria agonistica. Un approccio positivo genera emozioni positive, le emozioni positive lavorano sulla convinzione delle persone e le convinzioni delle persone portano all'azione, l'azione porta ai risultati e questi alla crescita. È importante, quando non si è forti mentalmente, circondarsi di persone positive, perché ti spronano a migliorare mentre le persone frustrate ti frenano e operano, anche involontariamente, in un processo opposto, fatto di presunta comprensione e giustificazione degli insuccessi per motivi esterni alla persona che era in azione. Le persone di cui ci circondiamo difficilmente ci aiuteranno su questo punto. La maggior parte delle persone non è pienamente realizzata (anche perché ricercano valori e aspetti di valenza materialistica e questo porta alla perenne insoddisfazione, perché i desideri generano altri desideri e, un po' come quello che gioca al casinò non può sempre vincere, non è possibile esaudirli tutti) e questo porta alla frustrazione e alla disillusione che viene trasmessa, seppur di riflesso, sugli altri. “Se non ce l'ho fatta io, non ce la farai neppure te” è quello che viene comunicato. C'è un passaggio in un film con Will Smith (titolo La Ricerca della Felicità) dove spiega bene questo aspetto. Credere in un sogno non deve tuttavia portare a generare un'ossessione, ma a delineare un obiettivo cui tendere, un “miraggio” di crescita continua (scopo della vita, secondo me, non può essere altro che lo sviluppo dello spirito, visto che tutto il resto sarà destinato a sparire dopo il nostro passaggio). Non sempre la vita concede quanto noi vogliamo (e a volte questo è persino un bene), ma se l'approccio che abbiamo scelto è un approccio positivo (cioè creativo e propositivo nel senso che insistiamo a creare e a non fossilizzarci sui punti che abbiamo conquistato) e ci prefiguriamo e impariamo ad apprezzare le cose buone che riusciamo ad ottenere (il famoso bicchiere mezzo pieno, anziché mezzo vuoto), evitando di lasciarci bruciare le energie dalle negatività, il nostro sarà sempre un cammino in crescita e per esserlo non dobbiamo accontentarci ed essere remissivi (ma neppure diventare schiavi del sogno o frustrati dagli insuccessi che devono sempre esser visti quali trampolini di lancio verso il successo futuro, un insuccesso ci offre spunti di riflessione per comprendere gli errori che non impareremmo se non sbagliassimo mai). In questa fase, infatti, può essere utile quella che io chiamo la modalità “mi importa 'na sega” (quando ci vogliono ci vogliono). Che cos'è la “modalità mi importa 'na sega”? Pensate una platea di studenti cui viene propinata questa spiegazione, certamente si metterebbe a ridere, ma solo perché non ragionerebbe sul punto, lasciandosi condizionare dalla terminologia utilizzata. È quella modalità in cui il soggetto cerca di perseguire un dato risultato, perché gli interessa acquisire la convinzione (elemento fondamentale in psicologia) di poter eseguire o fare una data cosa e, al tempo stesso, si disinteressa del “premio” finale (che altro non è che la famosa soddisfazione che viene dal riconoscimento altrui, una cosa di cui il soggetto deve disinteressarsi in quanto il giudizio altrui non lo deve mai e dico mai riguardare, perché altrimenti finirà in modalità manipolazione e perderà la sua individualità). Non essere legati al risultato finale (promozione, premio in denaro, encomi e via dicendo) è una condizione mentale che porta il soggetto a elevarsi dal resto delle persone, perché svincola l'individuo agente dal collare del ricatto sociale. In Fight Club c'è un passaggio in cui si dice: Le cose che possiedi alla fine ti possiedono. Una persona (a prescindere che sia un estimatore dei C.S.I.) in modalità “mi importa 'na sega” in chiave positiva (ovvero costruttiva e non alla deriva e in balia degli eventi) è una persona odiata dal sistema sociale a cui ognuno di noi fa parte, in quanto non è (o lo è meno) controllabile e pertanto viene soggetta a essere isolata, derisa e screditata (ma questo non è importante). Il sistema sociale punta ad allevare pecore non autocoscienti, piuttosto, come dovrebbe fare un governo che attiva tutte le intelligenze di un paese, che leoni guidati da una loro filosofia di vita, poiché le prime si dirigono e si annullano nei gruppi mentre le seconde attaccano (nel senso di analisi critica) e non sposano le idee di un gruppo in quanto hanno le proprie (mentre le pecore hanno le idee che sono state loro imposte con l'arte della libera scelta tra una rosa di soluzioni possibili, pena l'esclusione dal gruppo). La società che noi conosciamo è costruita secondo uno schema premiale (e squalificante all'opposto, un po' come si fa nell'addestramento degli animali), ma il vero premio deve essere solo quello che percepisce la tua mente (da intendere come spirito). I singoli soggetti non devono avere il bisogno di ricevere l'approvazione altrui, anche se a ognuno piace essere adulato. Il soggetto deve sapere da solo quando procede secondo la sua bussola e quando invece è fuori rotta e per saperlo deve aver sciolto il punto qui oggetto di esame, solo così sarà meno soggetto al mood manipolativo.

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