Autore: Mary Shelley.
Genere: Narrativa del Terrore.
Anno: 1818..
Pagine: 200 circa, a seconda delle edizioni.
Prezzo: variabile a seconda delle edizioni.
Commento a cura di Matteo Mancini.
Il
destino di un intero genere, la letteratura del terrore, si consuma
in una lontana data dell'ottocento (verrebbe da dire diabolica: 6.6.16), un giorno particolarmente funesto
con vento e pioggia a costringere quattro personaggi a restare
rintanati nella villa in cui sono ospitati, nella periferia di
Ginevra. Tra le mura di Villa Diodati, questo il nome della magione, ci sono due mostri sacri della
poesia inglese: Lord Byron e Percy Shelley. Con loro ci sono due
giovani, non di medesima caratura artistica: la compagna di
Percy, la prezzemolina Mary Wollstonecraft Godwin, poi meglio nota
come Mary Shelley, e un medico di
origini bientinesi che risponde al nome di John Polidori (era figlio
del bientinese Gaetano Polidori, segretario di Vittorio Alfieri). I
quattro, accompagnati dalla sorella di Mary, tra una baldoria e
l'altra, impossibilitati a uscire a causa del maltempo, si
intrattengono con una serie di racconti tedeschi sui fantasmi fino a quando,
d'improvviso, a uno dei quattro viene l'idea di lanciare una sfida di scrittura creativa (sembra per scommessa). Due mostri sacri contro due
pivelli, quanto meno all'apparenza, l'esito sembrerebbe scontato. Appunto, sembrerebbe perché i mostri sacri
fanno cilecca, sono i due “pivelli” a scrivere la storia e a entrarvi in modo prepotente con due capolavori, inizialamente attribuiti ai due big ma poi, col tempo, riconsegnati ai loro veri autori. Due storie capaci di modificare e rivoluzionare l'intero genere (gotico, ai suoi primi vagiti con Lewis e la Radcliffe) creando due
fortissimi stereotipi che avrebbero invaso migliaia di pagine e
pagine di romanzi altrui fino a giungere al cinema in tutte le salse (dalle parodie alle trasposizioni più o meno fedeli). Il vampiro da una parte,
Frankenstein
e
i mad doctor dall'altra. Qui ci interessiamo di questa seconda
figura, che Mary Shelley plasma facendo forza delle sue esperienze in
Italia. Non si contano i soggiorni avuti nella nostra penisola da Mary e dal marito Percy
(poi deceduto tra la costa pisana e quella viareggina). Non a caso, il tema dell'Italia è reso esplicito nel
romanzo, con la madre del dottor Frankenstein che viaggia col marito
in Italia, prende sotto la propria protezione una giovane di Milano (aspetto che ricorda l'atteggiamento del padre di Mary con la figliastra ma anche l'atteggiamento di Percy con la nipote di Mary), inoltre è decisivo, per la formazione culturale del mostro, l'apporto reso da
una famiglia decaduta (ricorda un po' la crisi finanziaria di Percy) che ospita una ragazza turca fuggita da Livorno
a cui viene insegnato il francese col mostro (un bambinone gigante
che si sveglia da un giorno all'altro e che non ha alcuna cognizione
di cosa sia, pur avendo intelligenza umana) che impara di nascosto la lingua umana standosene rintanato in una baracca. Il
contenuto però maggiormente legato all'Italia, come spesso avviene
in certe opere, non è quello che si coglie prima facie. Si tratta
invece di un omaggio molto profondo. Mary Shelley infatti, che ha
alloggiato a Pisa in compagnia del marito, è stata probabilmente
informata degli esperimenti tenuti da un certo Andrea Vacca
Berlinghieri e lo ha, sicuramente, incontrato durante
i suoi viaggi. Chi era Vacca Berlinghieri? Era un chirurgo, che ha
studiato anche in Francia e Inghilterra, con passioni variegate che
comprendevano la chimica, la matematica, la fisica, l'astronomia e
l'esoterismo (un po' come il Dr Frankestein che, a sua differenza, è
uno Svizzero ma, guarda caso, nato in Italia, in quel di Napoli...
proprio come alcuni figli della Shelley tra i quali una certo Florence, maschio a differenza dell'ominima moglie di Bram Stoker, omaggio palese alla Toscana e più in particolare a Firenze dove è nato). Soggetto alquanto bizzarro,
ma non troppo se contestualizzato in un certo tessuto sociale, che
fece erigere un tempio di natura massonica (anticlericale) in onore
del padre in quel di Montefoscoli (periferia pisana). Atteggiamenti
che portarono i prelati a considerarlo sotto un aura malefica fino a
trovare stratagemmi particolari per benedire la via d'accesso a
questo tempio laico, evidentemente considerato diabolico. Pensatore illuminato, progressista, convinto sostenitore della necessità di
allungare la vita degli uomin, eventualmente anche con il ricorso a
trapianti (pratica all'epoca vietatissima dalla Chiesa), Vacca Berlinghieri aveva anche passioni alchemiche da valutarsi però nel senso più alto della disciplina ovvero nella ricerca e conquista dell'immortalità
terrena (la famosa pietra filosofale da leggersi quale elisir di lunga vita, tanto in voga nell'epoca). Si dice che passasse molte ore a sezionare i cadaveri con
la speranza di rianimarli con il galvanismo (quindi col ricorso all'elettricità come si vede in alcuni film su Frankenstein e come invece viene omesso nel romanzo). Qualcuno è arrivato a
scrivere che abbia persino comprato pezzi di cadavere e abbia
realizzato, nel suo laboratorio sotterraneo, un essere antropomorfo
nella speranza di portarlo in vita. Beh, più ispirazione di questa... A onor del vero, però, Mary Shelley dirà di essersi ispirata a uno suo sogno/incubo, senza aggiungere altro che possa portare a Vacca Berlinghieri ma per compiere il passo basta unire i punti con una retta immaginaria... La
provincia pisana quindi che sale in cattedra nella formazione del
romanzo del terrore di caratura mondiale e che, stranamente, non viene quasi mai esaltata nel territorio locale.
Vediamo
però chi era Mary Shelley. Quando scrive Frankenstein,
che
poi esce due anni dopo rispetto alla sfida (1818) in forma anonima
(ma con prefazione di Percy Shelley), ha appena diciannove anni,
dunque giovanissima. Arriva da una famiglia altolocata, figlia unica
di un filosofo ispiratore del pensiero anarchico, e secondogenita di
una delle prime femministe della storia che morì dieci giorni dopo
averle dato la vita. Inevitabile quindi lo spirito libertino di Mary,
che sposa il radicale Percy Shelley (già sposato, ma liberato dal
suicidio della moglie, tradita a ripetizione e con incontri tra Percy
e Mary sulla tomba della madre di quest'ultima, al cimitero: quando
si dice il romanticismo gotico!?). Curiosa, intraprendente, assetata
di sapere e aperta di mente, forma con Percy (ex allievo del padre)
una coppia moderna, con i due che si concedono molte scappatelle e
rapporti promiscui fregandosene della società bacchettona dell'epoca
e soprattutto dei creditori sempre più sulle tracce di Percy (carico
di debiti). Viaggiano in Francia, Svizzera e Italia, senza badare a
spese ed eccessi, pur essendo a corto di disponibilità. La fortuna però non è benevola con la povera Mary, la flagella nei rapporti più cari. Le porta via la madre quando è ancora piccola, quindi il marito a ventiquattro anni e i figli in tenera età (sopravviverà il solo Florence). Il marito naufraga e muore affogato nella
tratta Livorno – La Spezia e cremato sulla spiaggia di
Viareggio. Aiutata dai coniugi Hunt, amici di Percy, dopo un soggiorno di un anno a
Genova torna in Inghilterra, aiutata dal padre del marito. Qui continua ad avere rapporti
molteplici (tra gli altri con Prosper Merimee, l'autore della
Carmen),
ma senza più sposarsi. Resta con
la sola compagnia di Florence Shelley, cadendo in crisi economica
nonostante le riedizioni delle opere del marito defunto e pur
continuando a scrivere. Frankestein,
inizialmente
ignorato, prende piede in virtù di un'entusiasta recensione di
Walter Scott (l'autore di Ivanhoe)
e conseguente riedizione, modificata, nel 1831 a nome Mary Shelley,
diventando un best seller ma con diritti ceduti a una potente casa editrice. Mary scrive un altro notevole romanzo, meno noto, che apre la via al romanzo catastrofico fantascientifico
(ancora una volta pionieristica) e che si intitola L'Ultimo
Uomo,
The
Last Man
(1826), concepito anni prima a Napoli (definita da Mary “il
paradiso abitato dai demoni”),
e una ventina di racconti e romanzi storici o biografici. Funestata da una
serie di emicranie che sfoceranno in un tumore al cervello, cessa di scrivere nel 1839. Muore, dopo anni di malattia, nel
1851.
Mary Shelley
Frankenstein
ovvero il Prometeo Moderno è,
a tutti gli effetti, un capolavoro da cui emerge la sensibilità
femminile. Generato dalla penna della giovane Mary Shelley,
nell'epoca della nascita del romanzo gotico avviato da Walpole e
proseguita, soprattutto, da Matthew G. Lewis e da Ann Radcliffe,
costituisce un romanzo che, oltre a creare un personaggio
immaginifico che diverrà uno stereotipo del genere, gioca su più
versanti e detta una nuova via al genere. Su quest'ultimo aspetto spicca subito il prologo, che poi è ricollegato all'epilogo,
addirittura nei ghiacci del nord con una nave attorniata dagli iceberg e con due strane figure, di cui una gigantesca, che si ricorrono su
slitte trainate da cani esausti. Questo il prologo su
cui la Shelley innesca attraverso una struttura originale l'intera
vicenda, con una storia (quella del dottor Frankenstein) che si
inserisce in un'altra inizialmente parallela (quella dell'esploratore
pioniere Walton che cerca di raggiungere il nord del mondo) e con le
due che poi si intrecciano, grazie alla figura del mostro che esce
dal racconto del dottore (che fin lì potrebbe essere anche un
resoconto di un pazzo) per irrompere e materializzarsi sotto gli
occhi dell'esploratore una volta deceduto il dottore in concomitanza
dei fallimenti dei propositi di tutti e tre i soggetti. Un modo di
narrare questo in cui la Shelley cambia spesso il punto di vista,
facendo narrare i fatti, ora con la forma del romanzo
epistolare ora con la narrazione classica ora con i flashback
continui, ai distinti personaggi così che, come in un Rashomon
ante litteram, si
finisca sempre per rimescolare le carte in gioco in modo da far
cambiare la percezione dei fatti e delle condotte agli occhi del
lettore. Una forma questa che rende il romanzo, a mio avviso, assai
superiore rispetto al successivo Dracula
di
Bram Stoker, anche perché impreziosito di una melanconia e di una
persistente aura di sconfitta che davvero intristisce il lettore e,
al contempo, lo attacca alle pagine pungolato dalla curiosità figlia
della fatidica domanda: “E
poi cosa succede?”
Frankenstein
è
il romanzo della solitudine, una condizione che accomuna i tre
soggetti principali. Il dottore che vive sognando di trasformarsi in
una sorta di Dio, quale figura del moderno mad
doctor,
e per farlo si isola dai suoi cari, inseguendo un'impresa che
riuscirà a compiere ma che ricadrà su di lui come un macigno per
l'incapacità o, forse più propriamente, per la paura di sostenerla.
È lo stesso Frankenstein (questo il nome del dottore originario di
Ginevra che costruirà, in Germania, il mostro) a dire di essere
interessato, piuttosto che alla struttura di linguaggio o alla
politica, “ai
segreti del cielo e della terra... alla ricerca del metafisico”.
È quello che David Punter, nella Storia
della Letteratura del Terrore, definisce
“un
puro indagatore della verità”
alimentato da passioni legate all'alchimia, all'esoterismo, poi
combinate con la chimica, la scienza e la matematica, e con il fine
ultimo della gloria di rendere
l'uomo vulnerabile solo a una morte violenta.
E così diviene come un Paracelso che cerca di creare il suo
homunculus, guidato però, contrariamente a quanto si è soliti
leggere in più testi, da una procedura che non è né esoterica né
alchemica. Frankenstein, questa è la caratteristica del romanzo che
lo pone anche come opera di fantascienza, realizza il suo essere
antropomorfo con un vero e proprio processo scientifico, in un
laboratorio. La Shelley ne cela i metodi, con un modo tipico della
narrativa questa volta esoterica, ovvero come monito per proteggere
l'umanità dall'orrore che si cela dietro alla sua scoperta, così da
impedire che altri ne possano seguire il percorso. In realtà
l'orrore di cui si parla è soggettivo, è più una paura per il
diverso e il difforme che un pericolo insito nella natura della
creatura ed è proprio questo preconcetto a trasformare un mostro
formale in mostro reale. Frankenstein mette insieme una serie di
pezzi di cadavere trasformandoli in parti di una nuova creatura, che nasce alla stregua di un
neonato per conoscenze ma con l'intelligenza di un adulto. Non è ben
chiaro come riesca ad animarla, ma il suo è un vero essere umano che ha un'anima (in questo è addirittura superiore al Golem
ebraico,
che è fatto con la stessa sostanza dell'uomo ma è sprovvisto di
anima, figurarsi dell'homunculus che è invece blasfemo). La sua è
una creatura brutta, sì, ma perfetta, addirittura geniale, che
riesce a imparare a scrivere semplicemente spiando gli uomini e
leggendo i classici che trova in giro, sviluppando sentimenti umani
paragonabili agli altri due principali protagonisti della storia. Ciò
che lo trasforma in assassino, peraltro alla fine pentito con un'onta
che lo porta a optare per un finale tragico (poi non mostrato e
dunque romanzo da considerarsi aperto a un sequel
che non avrà) che ne dimostra la nobiltà di fondo, è
l'atteggiamento diabolico delle persone che trova sul suo cammino. È
un rifiutato sociale, un reietto, osteggiato e minacciato di
continuo, picchiato, addirittura ferito da un colpo di pistola
sebbene abbia salvato una bimba. Un essere costretto a vivere come un
animale e alla fine a ribellarsi. Persino il suo creatore lo odia, e
lo odia fin da subito, quando non dovrebbe averne motivo, solo
perché gli sembra troppo brutto per poterlo presentare in pubblico.
Per il mostro non c'è possibilità di inserimento, è una vittima
degli eventi più che essere l'artefice delle sofferenze altrui. A
differenza degli altri due personaggi, che finiscono nella solitudine
per ricercare la gloria (anche l'esploratore si lamenta di continuo
di essere solo, e sogna di avere la compagnia di un amico con cui
allietare il proprio viaggio, lo troverà in Frankenstein caricato a
bordo nave da una banchisa) al mostro la compagnia viene negata. Non
gli viene neppure concesso, come invece Dio fa con Adamo, la
creazione di una compagna. Il Dottor Frankenstein dapprima sembra
acconsentire a questa richiesta, poi però teme la natura e la
superiorità fisica delle sue creature (che hanno una resistenza, una
stazza e una forza di gran lunga superiore a quella umana) e decide
di distruggere la propria opera scatenando l'ira del mostro che non
attenderà molto a uccidere tutti i cari del dottore. Glaciale la
parte in cui Frankenstein ragiona sulla creazione di un mostro di
sesso femminile e poi decide di non portarla a termine perché
potrebbe essere la ragione prima da cui possa sfociare una stirpe di
esseri capaci di soppiantare la razza umana. Sembra quasi un
ragionar su temi che, a distanza di un centinaio di anni, avrebbero
fatto presa sulla società europea portando all'antisemitismo e
all'ideologia della razza superiore contrapposta alle supposte
inferiori.
Molti
gli omaggi che la Shelley dissemina nel testo, dalle poesia del
marito al Paradiso
Perduto di
Milton, col mostro che si paragona spesso a Satana considerandosi
però di gran lunga più sventurato per non poter contare neppure sul
supporto di un altro essere.
Ecco
allora che è giusto definire il romanzo come un'opera decadente che
Punter, a nostro modo di vedere, a ragione definisce “un
libro sul rifiuto dello strano, sia a livello sociale che
psicologico”.
Divenuto
un classico soprattutto da metà dell'ottocento in poi, grazie a
elogi di autori quali Walter Scott, l'autore di Ivanhoe
(“L'opera
da in modo eccellente l'idea del genio originale dell'autrice e del
suo felice potere d'espressione”), e
John S. Le Fanu (“E'
un romanzo in cui si aprono le porte che sarebbe stato preferibile
lasciare chiuse e in cui il mortale e l'immortale fanno conoscenza
prima del tempo”) ha
ispirato circa cento film, di natura diversa, e con sceneggiature che
ne hanno spesso modificato le caratteristiche sia fisiche sia di
origine. E così si son visti mostri lenti e impacciati (quando
invece il mostro della Frankestein è più che atletico), altri che
parlano in modo sconnesso (mentre con la Shelley il mostro è quasi
intellettuale), altri che sono malvagi perché il cervello di cui
sono dotati era di un criminale e altri ancora animati attraverso un
processo spiegato punto su punto quando invece la Shelley ne ha
occultato l'origine (da qui deriva l'idea delle scariche elettriche).
Per tutte queste ragioni, oltre per la natura di classico e
soprattutto per il piacere nel leggerlo (pur essendo straziante per
il dramma che andranno a vivere creatura e creatore), deve esser
letto e conservato nella biblioteca di ogni amante della lettura
(figuriamoci poi se si sta parlando di fan del fantastico).
“Infelice!
Condividi dunque la mia follia? Hai bevuto anche tu la bevanda
velenosa? Ascoltami: lascia che ti riveli la mia storia, e getterai
la coppa lontano dalle tue labbra!”
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