Autore: Gary K. Wolf.
Titolo Originale: Killerbowl.
Anno: 1975.
Genere: Fantascienza Distopica.
Editore: Mondadori, collana Urania (n.712).
Pagine: 154.
Commento a cura di Matteo Mancini.
Sulla scia dei successi di Rollerball Murders (1973) di William Harrison e soprattutto della trasposizione dello stesso diretta nel 1975 dal regista Norman Jewison, esce questo Killerbowl, firmato da un autore in italia non troppo noto. Si tratta di una prima opera che riscontra interesse tanto da esser subito pubblicata in Italia, appena un anno dopo l'uscita americana. Gary K.Wolf, classe 1941, prende così le mosse con un romanzo che valica subito i limiti dei confini nazionali e arriva sul mercato italiano grazie alla Mondadori, e più specificatamente alla collana Urania, che lo pubblica col titolo Boston 2010: XXI Supercoppa, numero 712 della collezione classica. Si tratta, senz'altro, di un autore minore, che sarà pubblicato in Italia solo altre due volte, sempre sulla collana Urania, col romanzo Quarto: Uccidi il Padre e la Madre (1977) e con un racconto inserito nell'antologia Quarto Reich. E' conosciuto, a livello internazionale, soprattutto per la creazione del mondo legato al personaggio di Roger Rabbit, protagonista per la prima volta nel romanzo Chi ha Incastrato Roger Rabbit (1981).
Killerbowl è un romanzo distopico con una struttura snella, che gioca sulle immagini e fornisce l'idea di esser pronto per una trasposizione cinematografica (mai realizzata). Si ha quasi la sensazione di esser al cospetto di una sceneggiatura. Wolf mette in scena una vera e propria cronaca di una finale di football americano (un super bowl) giocato su strada. Questa infatti è la nuova dimensione del football americano, uno sport popolarissimo che ha soppiantato le altre discipline in virtù di una violenza spinta ai massimi livelli. L'autore gestisce il tutto alternando la cronaca della partita a una serie di flashback fatti di aneddoti legati al protagonista, articoli di giornale, notiziari sportivi ed eventi dell'ultima stagione di gioco al fine di spiegare questo sport e ciò che si cela dietro. Così vediamo allenatori che si sbracciano e urlan negli spogliatoi, giornalisti che conducono trasmissioni sportive dove sono ospiti i protagonisti del gioco e riunioni di politici che cercano di contrastare il movimento contrapposte ad altre in cui si discute sulle vie da battere per rendere ancora più attraenti e redditizi gli eventi proposti.
Viene così tracciata l'immagine di un'America ipocrita, attenta a garantire l'adozione di misure drastiche tese ad arginare l'inquinamento (è persino vietato guidare auto e ci si deve spostare mediante il ricorso a biciclette) e ad abolire ogni forma di violenza e di attività pericolose, sostituite da uno sport che funge da catalizzatore e ricettore degli istinti atavici dell'uomo: il football da strada. "I tifosi nel loro subconscio, guardano le partite di football per sperimentare il brivido del pericolo, per ricavarne quell'essenziale esposizione al rischio cui disperatamente aspirano per il proprio benessere psichico e mentale" giustifica uno psicologo per difendere questo "sport" dagli attacchi del Movimento Basta con gli Sport Sanguinari composto da soggetti assimilabili agli attuali animalisti (solo che qua difendono i diritti degli uomini sportivi impegnati, pur se con il loro consenso informato, in sport massacranti). "State trasformando questo paese in una nazione perversa di vampiri depravati" l'accusa di coloro che dicono NO al football da strada.
In che cosa consiste questo football da stada? Bene, si tratta di partite di football americano giocate in piena città, tra palazzi e negozi, in quartieri completamente evacuati coattivamente per l'occasione per una superficie di 700 per 350 metri, con tredici giocatori in campo per squadra (non sostituibili) impegnati per ventiquattro ore. Oltre alla novità relativa alla superficie di gioco, si tratta di uno sport sanguinario. La squadra che difende può infatti utilizzare, per fermare legittimamente gli avversari: coltelli, mazze e le bolas (tre sfere d'acciaio lanciate per avvolgersi alle gambe degli avversari). In più, tra i tredici giocatori, vi è anche un cecchino, che dispone di una pallottola e di un fucile, e un infermiere che può entrare in campo per rendere inattaccabile quel giocatore su cui fa calare un lenzuolo bianco sormontato da una croce rossa, cercando così di rimetterlo in sesto per proseguire la partita.
Ogni giocatore, data la variegata superficie di gioco (si può anche entrare nelle case e nei negozi), è seguito da un arbitro e da un operatore televisivo che trasmette le immagini per conto di una rete che finanzia l'intero campionato e che, grazie a un evoluto sistema di pay per view, gestisce il materiale permettendo agli spettatori di godere di una visione personalizzabile (si pagano dei supplementi per vedere i replay o per usufruire di particolari inquadrature). Interessante la parte in cui si evidenzia come gli spettatori siano disposti a contrarre debiti pur di vedere queste partite (una realtà poi non molto lontana da quella dei giorni nostri).
Dunque un altro romanzo filo sheckeliano che propone la spettacolarizzazione dello sport fino a giustificare la morte dei protagonisti, che accettano il rischio in quanto pagati profumatamente, per finalità di show televisivo e di introiti economici. Un mondo, apparentemente perbenista, dove dilaga il doping, le scommesse (si scommette anche sulla morte o sulla sopravvivenza dei giocatori), con una rete televisiva che falsa le partite grazie a delle evolute forme di comunicazione permesse da impianti applicati chirurgicamente in testa a taluni giocatori. Un sistema quest'ultimo che permette di suggerire la tattica avversaria, ma anche le battute da proferire in campo agli avversari per aggiungere pepe a uno sport già cruento, un po' sullo stile da intrattenimento che sta alla base delle strategie del wrestling. Ed è proprio su quest'ultimo spunto che lavora Wolf, mettendo in scena un apparato politico corrotto, che si cela dietro al mondo dello show televisivo, che manipola i giocatori, ma soprattutto l'informazione, arrivando a cancellare prove, a screditare coloro che si oppongono e persino a eliminare fisicamente o render ridicoli i nemici agli occhi degli spettatori. E questi ultimi che ruolo hanno? Semplice, quello dei polli d'allevamento, che vedono le partite per evadere dai problemi quotidiani, a cui non importa nulla se le partite sono truccate, e che vogliono vedere scontri cruenti e vedere correre il sangue sui monitor (giocatori scannati con coltelli, altri uccisi a mazzate, cazzotti, calci e cose del genere) al fine di divertirsi e di puntare il dito su quei maledetti strapagati che devono sputare sangue per i privilegi loro concessi.
Spinto da un senatore e da un'associazione che si schiera contro gli sport violenti, il protagonista, T.K., ovvero il capitano di una delle due squadre della finale, cercherà di far emergere, per ragioni di vendetta, il substrato che sottende al gioco. Lo farà però non andando a denunciare alle autorità giudiziare i personaggi coinvolti, come suggeritogli da alcuni politici, ma scegliendo la via più spettacolare in un epilogo alla Rollerball. Purtroppo per lui al pubblico poco importano certe logiche sottointese all'insieme che governa lo Stato e che controlla i cittadini, di fatto comprati semplicemente propinando loro i divertimenti richiesti e giustifiati come necessari per la salute fisica e mentale dello stato (la classica valvola di sfogo di romanica memoria)... Ogni sacrificio, si intuisce dal finale pessimista, sarà così vano e non compreso dal pubblico, troppo assuefatto per riconoscere la realtà dei fatti. E come direbbe Eugenio Bennato: "Al diavolo il predicatore, che predica la sua morale, che predica perché vuol bene al pubblico pronto a pagare..."
Romanzo fantascientifico, ma solo per il contesto, violento, di facile lettura, anche se non sempre coinvolgente (la cronaca della partita tende a essere ripetitiva), che segna il debutto in narrativa del trentaquattrenne Gary K. Wolf, scrittore che si farà ricordare qualche anno dopo per la creazione di Roger Rabbit.
Indicativa la copertina Urania curata da Karel Thole che sintetizza bene una fase di gioco.
Romanzo fantascientifico, ma solo per il contesto, violento, di facile lettura, anche se non sempre coinvolgente (la cronaca della partita tende a essere ripetitiva), che segna il debutto in narrativa del trentaquattrenne Gary K. Wolf, scrittore che si farà ricordare qualche anno dopo per la creazione di Roger Rabbit.
Indicativa la copertina Urania curata da Karel Thole che sintetizza bene una fase di gioco.
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