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giovedì 3 luglio 2014

Recensione Narrativa: ROSA ALCHEMICA (William Butler Yeats)


Autore: William Butler Yeats.
Anno: 1896.
Genere: Narrativa Fantastica di impronta Esoterica.
Editore: Se.
Pagine: 112.
Prezzo: 13.00 Euro.

Commento Matteo Mancini.
Autentico capolavoro del Premio Nobel irlandese William Butler Yeats, insignito con la massima onorificienza letteraria nel lontano 1923.
Poeta, drammaturgo, rivalutatore delle tradizioni folkloristiche celtiche, Yeats era soprattutto uno studioso di occultismo, grazie anche alle sue infiltrazioni in un mondo sotterraneo in cui imperversavano esperimenti esoterici incentrati soprattutto sull'elemento del simbolo e sul tentativo di entrare in contatto con altre dimensioni.

Rosa Alchemica viene così ad assumere una valenza quasi autobiografica, ricettacolo di analisi filosofiche/religiose filtrate e rese potentissime dall'impiego di archetipi e di simboli a cui il poeta irlandese ricorre in continuazione dando vita a un testo sospeso tra l'ipnotico e il delirante, pur trattandosi sempre di un delirio colto e calibrato a un fine aristocratico.

Il volume, concepito nella sua forma originaria nel 1896 (subirà delle leggere modifiche nel corso degli anni, essendo stato scritto da uno Yeats trentunenne), è composto da tre racconti di lunghezza molta contenuta, legati tra loro, un po' come farà Arthur Machen con il coevo I Tre Impostori. A differenza dello scrittore gallese, però, Yeats costruisce quello che potrebbe definirsi un romanzo vero e proprio.
Protagonista dei fatti è uno scrittore dedito allo studio dell'Alchimia e autore di saggi vertenti su tale materia. E' bene subito sottolineare come per alchimia debba intendersi non la semplice trasformazione di materiali grezzi in oro (questo infatti si intende da un punto di vista che potremmo definire essoterico), bensì una "trasmutazione della vita in arte e un grido di immenso desiderio per un mondo fatto di essenze; la trasmutazione del cuore stanco in spirito instancabile".
Lo studio di queste materie porta il protagonista, che vive isolato in una casa di Dublino immerso in bellezze e opere d'arte (sorta di guardiani del sapere interiore), a ricevere una visita inattesa. A bussargli la porta troverà un vecchio compagno di studi parigini che cercherà di convincerlo a entrare a far parte di un Ordine estoterico: l'Ordine della Rosa Alchimistica.
Sulle prime l'uomo cercherà di resistere al richiamo, perché si tratta di un individuo combattuto tra il desiderio di conoscenza e la paura per ciò che sta oltre il velo del conosciuto. Ecco che entra subito in campo l'elemento della bipolarità, presenza costante in tutta l'opera di Yeats. Il giovane, convinto di resistere poiché crede che "la grandezza di un uomo la si misuri nella capacità di crearsi una mente che rifletta ogni cosa con l'indifferente precisione di uno specchio" cede solo sotto l'influsso di un bizzarro incenso che il suo ospite libera nell'aria e che porta l'altro a cadere in un sogno ipnotico popolato da strane creature e da individui danzanti. Yeats, di seguito, mette in scena, con grande classe e in modo simbolico, una vera e propria orgia (mascherata da danza magica) che funge da iniziazione del protagonista ma che, come classico della narrativa fantastica/esoterica, lo porta ai confini della pazzia da cui potrà sottrarsi solo rifugiandosi nella fede religiosa. Importante spazio poi agli scaramantici che entreranno in campo vedendo nell'ordine un qualcosa di diabolico.

Ciò su cui Yeats si sofferma più volte, però, è l'idea fantastica (e alquanto fatalista) che l'uomo sia un veicolo di forze ultraterrene che si manifestano attraverso i mortali per interferire con lo sviluppo della storia. Così scrive Yeats: "Le anime incorporee che scendono a dimorare in queste forme vengono chiamate umori dagli uomini; e ogni grande cambiamento che si verifichi nel mondo è opera loro; ché come il mago o l'artista possono evocarle a piacimento, così esse, a loro volta, possono evocare e far sorgere dalla mente del mago o dell'artista, o da quella del pazzo o dell'uomo turpe, se sono demoni, qualsiasi forma vogliano, ed esprimersi attraverso la sua voce e i suoi gesti, e riversarsi nel mondo. Così si compirono tutti i grandi eventi: scesi dapprima come un debole sussurro nelle menti degli uomini ne modificarono poi i pensieri e le azioni finché i capelli che eran biondi diventarono corvini o capelli che erano corvini diventarono biondi, e imperi mossero i loro confini." Dunque un approccio a dir poco inquietante come inquietanti sono le pieghe che assumono i tre racconti, i quali possono qualificarsi come veri e propri racconti del terrore.
Yeats, nella sua poetica e nella sua costruzione criptica delle opere (fondata sul saggio uso del simbolo), crea angoscia e mette paura in un crescendo claustrofobico che porta a mozzare il fiato, con epiloghi che vedono sempre il protagonista costretto a fuggire da qualcosa di indefinito e a ripiegare in una certezza fideistica vista come una boa necessaria per scongiurare il rischio di ritrovarsi immersi in un oceano senza punti di riferimento.

Bellissime alcune descrizioni dei personaggi. Uno di questi è il protagonista de Le Tavole della Legge, secondo racconto dell'opera (incentrato sugli insegnamenti segreti ed eretici di Gioacchino da Fiore basati sulla superiorità dello Spirito Santo), il quale viene descritto come un individuo caratterizzato da una "natura che aveva metà del monaco e metà del soldato di ventura e che lo spingeva a volgere l'azione in sogno e il sogno in azione."  Yeats, nel suo pessimismo decadente, non perde tempo nel sottolineare come tali personaggi non possano che "non trovare, in questo mondo, né ordine, né scopo, né soddisfazione" con consequenziale privilegio conferito alla c.d. vita interiore rispetto a quella esteriore. Si tratta di un'altra tematica cara agli scrittori ermetici, i quali vedono nello studioso solitario l'unico individuo capace di penetrare certi misteri perché libero dalle tentazioni e dalle influenze esterne viste alla stregua di freni inibitori.

Sempre in questo racconto trapela l'amore di Yeats per le emozioni pure e per la bellezza in senso lato. "Era la bellezza che si concede solo a quei temperamenti che cercano sempre un'emozione pura, assoluta, e che hanno trovato la loro espressione più continua, se non la più perfetta, nelle leggende, nelle preghiere e nella musica dei popoli celtici."

Dunque, in sintesi e per quel che ho capito io, Rosa Alchemica vuole essere un monito contro approcci superficiali o ammaliati da dottrine o da mondi sospesi tra il sogno e l'incubo. Yeats tratteggia una feroce critica al materialismo imperante nella sua società (figuriamoci in quella di oggi) a cui contrappone la ricerca di una via filosofica esoterica (cioè limitata a pochi eletti puri di cuore) finalizzata a generare delle strong minds capaci di invertire il decadentismo in cui, ad avviso dell'autore, versa la società civile. Si tratta però di un cammino periocoloso, minato dal rischio della perdizione, dall'influenza di spiriti ultraterreni talvolta positivi talaltra demoniaci che possono condurre alla pazzia. Gli eletti, in uno slancio che accomuna Yeats ad altri maestri del calibro di William Blake e di Shelley, saranno coloro che comprenderanno che il "bene è esprimere sé stessi e che le forme storiche della morale sono convenzionali... e chi altri potrebbe comprendere questo se non gli artisti decadenti che, senza far distinzione tra lecito e illecito, vogliono ridestare a nuova vita la fantasia e rivelare la sostanza divina che è colore e musica e soavità?" L'artista e il mago, infatti, vengono visti da Yeats come soggetti che vivono in un perenne equilibrio tra conscio e inconscio, con la capacità di abbandonarsi in modo guidato al secondo grazie all'uso del simbolo, vero e proprio portale per accedere alla sostanza nascosta di Dio, al fine di fare da battistrada per tutti gli altri. L'autore irlandese ha dunque una concezione nobile dell'arte, da inquadrarsi come un qualcosa volto a costruire il progresso spirituale delle masse al pari, e forse di più, della religione. Ne deriva un contenuto che miscela paganesimo a cristianesimo, in un'angosciante lotta fatta di opposti e spiazzanti contrapposizioni, con passaggi che potremmo definire eretici messi in scena con una capacità e una poetica da lasciare basiti. Il male è quasi come un ostacolo da superare celato dietro a ogni passo di questo cammino dalle forme di un mantello di inquietanti misteri e di oscuri presagi di morte. Sotto quest'ultimo punto di vista è esemplare il racconto conclusivo, L'Adorazione dei Magi, in cui si ribaltano alcuni concetti di forte presa nelle coscienze collettive e legati a tematiche radicate nella cultura dell'uomo. Qua Yeats piazza il racconto più sinistro dell'opera, portando in scena creature mitologiche come l'Unicorno e altre di origine greco-romana e toccando corde emotive che fanno vibrare e tremare l'animo del lettore sensibile.

Volume difficile, destinato a un pubblico di un certo tenore e da leggere più volte per poter cercare di interpretarlo su più livelli. A tal riguardo l'edizione curata dalla Se S.r.l. dispone di un'accurata e interessante rilettura operata dal curatore Renato Oliva, il quale offre spunti di riflessione interessanti e complementari ai racconti inseriti nell'opera.

Provocante, provocato e graffiante con squarci destabilizzanti nell'onirico (ai limiti della psicosi), i veri maestri della narrativa fantastica passano da queste parti. Monumento.


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