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mercoledì 18 giugno 2014

Recensione Narrativa: LE BELLE E I MOSTRI di Paul Carter (alias Gualberto Titta)


Autore: Paul Carter (pseudonimo di Gualberto Titta).
Genere: Sci-Fi/Horror
Collana: I Racconti di Dracula.
Numero: 22.
Anno: 1961.
Editore: Edizioni Wamp.
Pagine: 130.


Commento di Matteo Mancini
Romanzo da collezionisti inserito nella prima edizione della storica collana de I Racconti di Dracula, celebre negli anni 60 e 70 per aver lanciato, unicamente alla parallela KKK - Classici dell'Orrore, molti autori italiani celati sotto pseudonimi inglesi. 

Il romanzo in questione, riproposto nel dicembre del 2011 dallo studioso Sergio Bissoli in una trilogia raccolta dalla Dagon Press intitolata I Racconti di Dracula Volume Terzo, è considerato una delle migliori opere di Paul Carter o meglio Gualberto Titta.

Scrittore pugliese classe 1906, Titta è stato un vero e proprio tutto fare. Professore di mestiere e scrittore per passione, scrive Bissoli in una presentazione a lui dedicata, con all'attivo oltre cento romanzi spalmati un po' in tutti i generi senza disdegnare la poesia, i fotoromanzi e le opere teatrali. Del resto è stato proprio dal teatro da cui Titta ha preso le mosse, dapprima come attore e poi come adattatore di opere letterarie e autore di testi tutti suoi con una certa predilezione per il cappa e spada. Figlio d'arte, il padre era titolare di una Compagnia d'arte drammatica, è altresì apparso, come comparsa, al cinema in film quali Totò Cerca Casa, I Giganti della Tessaglia (1960) di Riccardo Freda e Quando Dico che ti Amo (1967).

Seppur tradotto all'estero, il nome di Titta è tutt'oggi semisconosciuto in Italia, complice l'abitudine dell'autore di trincerarsi dietro una vera e propria selva di pseudonimi spesso legati alle ambientazioni esotiche dei suoi romanzi, che non ambientava mai in Italia. 

Le Belle e i Mostri viene definito da Bissoli "un uragano di situazioni inaspettate, di colpi di scena che si susseguono come una scarica di adrenalina sul lettore, travolto fin dalle prime pagine dagli sviluppi della vicenda." In realtà, a mio avviso, l'entusiasmo del qualificatissimo (e da me apprezzato) Bissoli  è forse un po' troppo gonfiato. Carter/Titta si rivela un eccellente narratore, capace di piazzare delle fiammate di tensione da narratore provetto e soprattutto di miscelare l'orrore con delle punte di ironia e di macabro sarcasmo difficilmente emulabili. Ciò nonostante si rivela poco abile nel mantenere un ritmo elevato, perdendosi troppo nella caratterizzazione dei personaggi e nella serie di intrecci amorosi che si susseguono nel corso d'opera, tra amori impossibili e altri caratterizzati dal proverbiale "vorrei ma non posso". A questo si aggiunge un soggetto poco originale, incentrato sulla canonica figura del mad doctor e su tematiche legate al celebre L'Isola del Dottor Moreau di Herbert G. Wells. Il fulcro della vicenda infatti ruota attorno a due scienziati che intendono creare un improbabile ibrido frutto dell'unione tra il mondo vegetale e quello umano, allo scopo di dar vita a un essere vivente in grado di trarre direttamente dalla terra l'elemento di sopravvivenza. Il movente è alquanto forzato, perché non vedo la ragione di dar vita a una creatura del genere ma Titta passa sopra all'eccezione giustificandola come un tentativo dei due (caratterizzati, chiaramente, con le canoniche personalità affette da deliri di onnipotenza) di vincere la morte a cui sarà destinata la razza umana nel lunghissimo termine. Ne derivano scomparse ed esperimenti, con indigeni e uomini del posto costretti a subire dolorose metamorfosi fisiche, anche se si scoprirà il tutto solo verso la fine. "Siamo pervenuti a creare un essere vivente che accoppierà la forza pensante dell'uomo d'oggi con l'aspetto e l'organismo proprio del mondo vegetale..." affermeranno i due scienziati nel delirante finale dove dovranno vedersela con lo sceriffo e un gruppo di europei giunti in loco per ragioni di studio.

La storia è piuttosto stanziale anche se a fare da sfondo ai fatti ci sono le bellissime scenografie australiane con Titta che ironizza giustificando così le scomparse degli indigeni: "Mi sembra un tantino assurdo cercare di trovare gli indigeni che cento cause possono aver cancellato dalla faccia della terra... Nemici personali... Incidenti di caccia... il mare... i pantani... i serpenti... i topi selvatici... i dingo. Evvia! Come se difettassero in Australia i mezzi naturali per sopprimere qualcuno!"

E' proprio la verve ironica a salvare il romanzo dalla noia, Titta regala alcuni passaggi esilaranti e divertenti come pochi altri. Bellissimo il capitolo iniziale dove mette in scena il naufragio di un cargo mercantile, filtrandolo dagli occhi e dai pensieri di un marinaio. Riporto, a tal riguardo, lo stralcio più divertente: "Roba da morire dal ridere! Invece, si sarebbe morti senza ridere affatto; ecco tutto. E il bastimento, gloriosa carcassa di ferraccio roso che aveva visto ben due guerre mondiali, avrebbe finalmente riposato sui fondali di duemila e passa metri di profondità col suo carico... E per i dieci uomini dell'equipaggio? La speranza. Ma una simile cambiale, senza l'avallo di una sfacciatissima fortuna, sarebbe stata protestata immancabilmente dalla banca della Triste Signora... 
Qualcosa lo urtò alle spalle; si girò. Una porta; la spessa e larga porta della sentina, tanto larga quanto lunga, galleggiava presso di lui. Vi si aggrappò... E rise, mentalmente ma rise. La porta della sentina, del gabinetto, della cloaca di bordo, alla quale il mare non era riuscito a togliere il puzzo trentennale dello sterco di generazioni di naviganti; ecco in quale modo la speranza di salvarsi si presentava a lui... La porta della latrina! Si, proprio da morir dal ridere!"

Non meno interessanti sono certe caratterizzazioni femminili con Titta che esprime un certo giudizio frizzantino sul gentil sesso che in questa opera ha un ruolo piuttosto forte, seppur sensuale. Ecco come ci presenta la protagonista della vicenda, instaurando un dialogo tra la stessa e lo zio: "Eh, non la conoscete! E' una testolina che quel che vuole, vuole! Guai a chi ci capita! Compiango l'uomo che si innamorerà di lei..."
Ecco che, punta nel vivo, la giovane risponde cercando di ribaltare la questione: "Perché, zio? Potrebbe darsi che anch'io mi innamorassi di lui: e allora?"
Titta a questo punto spara tutta la sua comicità dal retrogusto albionico: "Allora, cara, il mio compianto diventerebbe addirittura universale... Le presento mia nipote Barbara; una volontà da teutone in un involucro britannico."
Sempre sul punto è molto bello un altro passaggio che evidenzia il pensiero ironico dell'autore sul gentil sesso: "Cade in un grave errore il marito che voglia trasformare la propria moglie, creare in lei una volontà di sottomissione. Una donna deve poter dire «Faccio quello che voglio», perché sentendo tutto intero il peso delle responsabilità dei propri atti sia freanata a compierne dei... pericolosi."

Segnalo infine un altro passaggio che mi ha fatto troppo divertire. Uno dei protagonisti porta fuori da una casa andata a fuoco una giovane donna svenuta. Così l'uomo spiega alla poveretta quanto fatto non appena la stessa riprende conoscenza: "Se vi ho portata qui è perché vi ho trovata con indosso solo la vostra pelle, e in simili condizioni non vi potevo depositare nel soggiorno dove, oltre il dottor Murphy, quel tale Gilbert, Seymoor e i suoi uomini, avremmo dato spettacolo delle vostre grazie, e permettete che lo aggiunga, spettacolo d'eccezione, a tutta la vostra servità indigena. Cosa che, senza dubbio, non avreste gradito." Esilarante la risposta della giovane che supera i corteggiamenti impliciti del soccorritore con una simpatia travolgente: "Capisco. A un'edizione popolare ne avete preferita una privata..."

Dunque in conclusione siamo alle prese con una storia di fantascienza con venature horror e al contempo da romanzo rosa (Titta presta troppa cura alle relazioni amorose, curando soprattutto gli aspetti psicologici dei personaggi), ma che deve la propria forza alla vena ironica e sarcastica dell'autore. Le parti dominate dalla tensione sono poche, meglio la prima parte che la seconda. Troppo a corrente alternata, non mi pare eccelso ma Titta, quando vuole, sa scrivere assai bene e sa divertire con il suo umorismo british.

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