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domenica 21 agosto 2011

Sul filo del rasoio - 2015-2118: crimini dell'Italia futura (AA.VV a cura di Gianfranco de Turris)





Autore: AA.VV. a cura di G. de Turris

Editore: Mondadori (collana Supergiallo, n.39).

Anno di uscita: 2010.

Pagine: 400

Commento di Matteo Mancini

Sul filo del rasoio – 2015-2118: crimini dell'Italia futura” è l'unico Supergiallo Mondadori che mi è capitato di comprare direttamente in edicola (di solito li recupero su e-bay o sulle bancarelle di libri usati) ed è stata un'ottima scelta. Inizialmente scettico, perché conoscevo solo un pugno di autori dei ventidue proposti, mi sono dovuto ricredere al punto che ho deciso di recuperare altri cinque o sei antologie Mondadori interamente composte da racconti di scrittori italiani.

Ho letto in giro molte recensioni negative su questo libro, recensioni ingiuste e banali. Ho trovato frasi del tipo: “ci sono troppi libri belli per sprecar occhi memoria e cervello su pagine superflue” o “l'antologia è mediocre e la fantascienza si limita a una ambientazione nel futuro, senza nessuna idea particolare” o ancora “pochi racconti suscitano interesse”. Giudizi lapidari, scritti senza alcun stimolo costruttivo, che fanno male alla narrativa italiana di genere così come diversi sciocchi sono abituati a uccidere più di quello che già è il cinema italiano di genere contemporaneo (e all'epoca anche di quello dei vari Fulci, Martino, Bava e compagnia). È un abitudine tipica di chi blatera, facendo il fighettino snob di turno ma con competenze discutibili e un gusto artefatto che lo porta ad apprezzare solo i nomi anglofoni. Gente che sarebbe capace persino di criticare un racconto firmato da Edgar Allan Poe, se solo lo si presentasse come scritto dal commercialista Buzzigoni.

Gianfranco de Turris, antologista assai noto dagli amanti del fantastico (specie dei grandi autori primi novecento), si prende la briga di fondere in un'antologia la fantascienza e il giallo e di farlo usufruendo solo di autori italiani. Scelta coraggiosa, non tanto per il talento degli autori quanto per la superficialità di chi spesso legge. La scelta di inserire il progetto nella collana “Supergiallo” piuttosto che nella collana ”Urania” è, a mio avviso, giusta. L'intenzione, peraltro dichiarata, del curatore era quella di proporre dei gialli ambientati nel futuro e non delle storie fantascientifiche dai risvolti gialli. Chi non ha capito questo, e sembra sia più di uno viste talune assurde critiche, non può che confermare la leggerezza con cui si confronta con la lettura.

A parte un paio di racconti dei ventidue proposti, il trait d'union dell'antologia resiste bene. Inoltre, contrariamente a quanto ho letto, anche la scelta dei testi è tutt'altro che malvagia.

Il lotto, difatti, è piuttosto omogeneo e non mancano alcuni gioiellini (certo, c'è anche qualche racconto fiacco, ma di certo mai noioso), sia a livello di “anima” insita nel testo sia a livello di intrattenimento e di scenografie affascinanti.

Lo stile dei racconti tende a essere orientato al taglio tipico dei romanzi (ma questa non è critica limitata a questa opera, ma un luogo comune quasi imposto dalle regole di mercato), con tanti dialoghi e particolare attenzione al ritmo piuttosto che alle descrizioni metaforiche o ai passaggi para-poetici (c'è tuttavia chi non ci ha rinunciato).

Molte le idee embrionali che suscitano interesse anche se non sempre sfruttate appieno, specie nei primissimi racconti (l'antologia, infatti, tende a decollare dopo i primi cinque testi).

Comune a molti autori è la paura che suscita l'estremismo medio orientale. In molti parlano di società piegata dall'immigrazione clandestina oppure laicizzata al punto da perdere totalmente la propria cultura religiosa o, ancor peggio, dominata dal mondo islamico con relativa regressione sociale. Anche le ambientazioni sono influenzate da un elevato pessimismo. Si parla di un Italia inondata dal mare oppure morsa da un clima tropicale (con tanto di allgiatori e pesci carnivori nel Tevere, cfr Magnarapa) o ancora schermata da vetrate che proteggono i palazzi e gli uomini dai raggi letali del sole.

Sono almeno dieci i racconti che meritano da soli l'acquisto dell'antologia e sono racconti a dir poco notevoli che non hanno nulla da invidiare ai prodotti dei "maestri" della fantascienza contemporanea d'oltreoceano.

Dispiace, e pure molto, non veder apprezzare certe gemme quanto meriterebbero, ma forse in futuro questi racconti godranno dalla giusta rivalutazione. Del resto le collane “Supergiallo” e “Urania” beneficiano da sempre dell'aura magica tipica dei prodotti da “collezione”.

Il testo più qualitativo, forse, è “Lasciateli dormire” del romano Massimo Pietroselli, autore purtroppo sconosciuto dal grande pubblico ma che vanta un curriculum straordinario che va dal Premio Urania al Premio Tedeschi (roba da doppia ipoteca sulla qualità del testo).Pietroselli dipinge una Roma del futuro in cui la polizia cerca di risolvere gli assassinii insoluti affidandosi alla memoria delle vittime. Determinante per le indagini è un programma capace di salvare la memoria di un cervello umano in una sorta di simulatore che riporta virtualmente in vita, grazie anche a immagini e documenti di repertorio, la persona morta in modo da stimolare il ricordo filtrandolo dai ricordi dell'odeologramma. Così abbiamo cimiteri dove i parenti non solo possono portare un saluto simbolico ai defunti, ma possono addirittura interagire con le proiezione dei cari. Un contesto dunque straziante che suggerisce anche una certa dipendenza dei parenti a queste immagini (quasi fossero una sorta di droga atta a superare il rifiuto di una realtà crudele). In tale ambientazione, l'autore costruisce un trama gialla che si chiude con una girandola di colpi di scena preceduti da un contesto tristissimo e originale dove i morti non trovano pace neppure dopo la morte. Un po' forzato l'escamotage con cui viene inchiodato l'assassino, ma va bene così.

Un'altra perla la offre Fabio Lombardi con il suo “Il Metodo Bulard”. Racconto brevissimo d'impronta classica che non avrebbe sfigurato in una di quelle antologie curate dal vecchio Isaac Asimov. La storia, così come lo stile, è essenziale. Abbiamo un truffatore condannato a ventisei anni di carcere che decide di scontare la pena accettando una misura alternativa che risolve il problema del sovraffollamento dei carcere mantenendo in vita il condannato. Non so se Lombardi abbia tratto spunto da qualche grande maestro sci-fi, ma questo è un autentico gioiello che meriterebbe di esser accostato ai racconti dei grandi.

Un altro racconto che mi ha esaltato, forse anche perché ambientato nella mia Pisa (non mi era mai capitato di leggere di una Pisa del 2118), è “Delitto nella città verticale” firmato da Marco De Franchi, autore specializzato soprattutto nella stesura di racconti fantastici e qui capace di combinare perfettamente scenografie al contempo decadenti e sfarzose, con un interessante intreccio giallo.Siamo nel 2118, a Pisa la torre pendente è caduta da anni e la vecchia città è un ammasso di rovine in cui vivono i “polverosi”, persone dedite alla religione cristiana rifiutate ed evitate dai cittadini di Nova Pisa: un complesso di grattacieli alti più di 2,000 metri che scompaiono nelle nuvole e all'interno dei quali è strutturata una città aero condizionata; un agglomerato urbano protetto dai raggi solari e formato da una spirale di piani accomunati da un fulcro centrale che irradia calore in tutto il complesso. Proprio in uno di questi piani, viene assassinato il vice-sindaco della città, un uomo grasso col vizio della pedofilia. Nel bagno dell'uomo, in una vasca, c'è anche il corpo privo di vita di un giovane polveroso. Le indagini portano alla città vecchia, laddove un tempo sorgeva la mitica piazza dei miracoli. Ai media serve un capro espiatorio per calmare la piazza. Il capo della polizia però teme che il vero responsabile sia qualcun altro, qualcuno mosso da ciò che lui ritiene un ingiustificabile sentimento: la coscienza etica. Prendono così piede due indagini: una ufficiale che indaga sui polverosi, l'altra segreta che indaga all'interno della stessa polizia.Non dico da “pisano” perché mi ritengo “tirreniese d'hoc”, comunque da nativo di Pisa, ritengo questo racconto un capolavoro. L'intreccio giallo regge ed è impreziosito dalle caratterizzazioni delle due anime della città. Da una parte i “polverosi” (gente con dei valori definiti, che organizza una società che premia il merito e l'individuo, ma che nonostante questo viene denigrata dai nuovi cittadini, al punto quasi da essere dequalificata fino al livello degli animali), dall'altra gli abitanti di Nova Pisa (gente atea, super tecnologica, con un'organizzazione sociale totalitaria tesa a controllare persino i pensieri dei cittadini). De Franchi offre il meglio di sé nella descrizione della nuova Pisa (con uno scenario che rievoca un po' “La terra dell'eterna notte” di W.H.Hodgson), dipinta con un talento da grande maestro. Ne esce così fuori un gioiello che chiude degnamente l'antologia.

Eccezionale è anche “Il pifferaio magico” dell'unica donna coinvolta nel progetto, cioè la tarantina Anna Maria Bonavoglia. Ci troviamo alle soglie del XXII secolo, in un mondo che distingue tra deformi e umani. I primi sono esseri che hanno sviluppato delle mutazioni genetiche a causa delle radiazioni che appestano l'ambiente. Si tratta di individui discriminati dalla società che tende a isolarli nei ghetti. Le distinzioni sociali però non si limitano a questa categoria di soggetti, coinvolgono anche gli umani, poiché ci sono persone che subiscono la naturale fase dell'invecchiamento e altre che si sottopongono a delle cure estetiche per conservare intatta la giovinezza.In questo contesto, un vecchio e talentuoso attore di teatro conduce un programma televisivo dedicato ai bambini. L'uomo invita i piccoli, sia deformi che umani, a scrivere dei piccoli racconti e premia i più meritevoli. In città, intanto, una serie di scomparse mette in allarme la polizia. Un'agente, che rifiuta le cure di bellezze, scopre che tutti gli scomparsi sono stati premiati dal “pifferaio magico”. Così, mentre la polizia indaga su un traffico di minori in Sud america, la donna si mette sulle tracce del vecchio attore. Ebbene, come posso definire questo racconto se non descriverlo come un'altra perla, peraltro scritta con una passione e un sentimento che trasuda pagina dopo pagina. Penso sia uno dei gialli più tristi e commoventi che mi sia capitato di leggere. A tratti mi ha ricordato il film “Il siero delle vanità” di Alex Infascelli pur essendo diverso. Ottime le caratterizzazioni con la Bonavoglia che centellina i particolari pagina per pagina (compresa la deformità celata della protagonista). Non manca un'evidente critica di fondo, specie nella gestione egoistica dei bambini visti come una proiezione degli adulti per acquisire prestigio sociale, ma anche delle cure estetiche usate in maniera smodata e senza scrupoli di sorta. “Il pifferaio magico” è un perdente, incarna la figura della promessa e del genio finito nella polvere, un'arte violentata dalle regole commerciali che cerca una ribellione che sfocia in un epilogo drammatico in grado di pugnalare al cuore il lettore sensibile. Grande prova di classe dell'autrice, per un testo che sarebbe perfetto per esser trasposto sul grande schermo. Sinceri complimenti alla Bonavoglia.

E che dire del profetico “La costante di estinzione” di Nicola Verde? Testo disperato, cupo, con più di un omaggio a “Blade Runner” e vari spunti filosofici relativi al comportamento delle masse di fronte a teorie capaci di sgretolare i sogni affidati al futuro.Protagonista è uno scienziato che elabora una teoria secondo la quale qualunque specie possederebbe nel proprio DNA un gene dormiente che col decorrere dei secoli si attiverebbe portando all'estinzione la specie stessa. La scoperta suscita le ire dei Revisori, una casta di potenti che dividono il mondo in due categorie: gli umani e i mutanti (con questi ultimi che, a differenza del racconto precedente, assumono più una valenza metaforica anziché fisica). Lo scienziato viene così dequalificato da umano a mutante, in modo da giustificarne il successivo omicidio addebitandolo alle ire di una moglie convinta di aver sposato un umano e non un imbarazzante mutante. La realtà però è che lo scienziato è diventato inviso al potere, perché la sua scoperta, se resa pubblica, avrebbe ripercussioni negative sulla popolazione gettandola nella disperazione poiché, come si dice nel testo, “la gente sarà viva finché avrà certezza nel presente e speranza nel futuro”.Verde traccia così un'innegabile verità in cui gli uomini sono gli ignoranti, mentre i saggi sono i mutanti beffeggiati e derisi dagli uomini. Il tutto è orchestrato da un governo che preferisce mettere in cattiva luce i saggi pur di tenere il popolo in uno stato di ignoranza e sottomissione. Proprio questa ignoranza è fondamentale per mascherare una realtà che in pochi sarebbero capaci di accettare. Interessante il messaggio finale: la morte dell'uomo viene dalla sua stessa natura e non da fenomeni esterni.

Ad autori meno noti si alternano anche altri capaci di vendere milioni di copie come il “papà” di “Romanzo criminaleGiancarlo De Cataldo qua alle prese con una fantascienza dal gusto da b-movie (in senso positivo, come dimostrano le auto con le barriere che irradiano calore o le pistole i cui colpi nebulizzano gli avversari). Il suo “Progetto Cybus” è un racconto socio-politico molto interessante e di denuncia. Tutto verte sul controllo e sull'influenzamento delle masse rese idiote dal mercato tanto da non distinguere il gusto tra un pollo lesso e un maiale. Lo strumento per l'influenza e la gestione dei disperati, nella fattispecie, ricade nei prodotti alimentari confezionati in laboratorio. I cittadini diventano così degli uomini di allevamento. De Cataldo inserisce anche un gruppo di pseudo pacifisti che sembrano rappresentare un po' i no-global (non a caso, all'interno di essi, ci sono degli infiltrati del governo elitario che compiono atti vandalici). Finale ottimista per un racconto intelligente e scritto con suspence.Ancora una volta ci troviamo in una Roma divisa in due blocchi: quello elitario (dove si accede guadagnandosi una sorta di permesso di soggiorno) e quello popolare (dove si scontrano per le vie poveracci e delinquenti di qualunque natura). In questo ambito un obeso appartenente al blocco elitario si fa condurre dai suoi uomini nella Roma vecchia. L'uomo ha la prova che il blocco elitario ha inventato una sostanza capace di creare dipendenza e di assuefare la mente dei consumatori rendendoli felici nonostante la loro assurda condizione socio-economica. La sostanza viene inserita nei surrogati confezionati per sostituire la carenza di carne.

La fantascienza socio-politica tocca un ulteriore apice con Massimo Mongai e il suo “Extraci". Qua l'attenzione si sposta sull'immigrazione incontrollata e sugli effetti devastanti che ha causato nel tempo. Nell'Italia del futuro l'immigrazione non è più vietata, ma gli immigrati vengono però privati di tutti i diritti e viene creata una società in cui ci sono cittadini di vario livello: i cittadini italiani, gli immigrati di seconda generazione (cioè i figli degli immigrati) e gli immigrati di terza. Per ogni classe sociale corrispondono diritti diversi. Un politico progressista cerca di far riconoscere i diritti a tutti gli immigrati, ma farà una brutta fine.Mongai regala una visione del futuro socio-economico tutt'altro che infondata. Curiose alcune sfumature come il finale del racconto che richiama un po' i fatti connessi allo scoppio della prima guerra mondiale in una sorta di circolo vizioso in cui si ritorna sempre alle origini.

Non in ordine di importanza, chiude il lotto di racconti di alto livello Andrea C. Cappi con “Il grande sceneggiatore”. Autore conosciutissimo in ambito di spy story e gialli nonché dagli appassionati di Diabolik e Martin Mystere, Cappi porta in scena un'idea mio cavallo di battaglia (su cui io stesso ho realizzato il mio “I signori del grande inganno”) ovvero quella di un Dio sadico e crudele che intesse trame dove protagonisti sono gli uomini che vivono sulla terra e lo fa per appagare un pubblico che noi non conosciamo. Su questa visione pessimista e un po' fantastica, Cappi costruisce un racconto dall'alto contenuto adrenalinico; un action movie che potrebbe esser trasposto al cinema, con preti sicari, armi non convenzionali innescate dagli elicotteri (“la collera di Dio” una sorta di fulmine che polverizza il bersaglio), sensori piantati nella sottocute dei cittadini per controllarne gli spostamenti e una Tv che trasmette programmi la cui visione è imposta dalla legge. Protagonista è un prete braccato dal braccio armato del Vaticano perché testimone dell'omicidio di uno sceneggiatore di una fiction tv fatto eliminare dalla Chiesa per aver scritto una sceneggiatura che avrebbe potuto sovvertire il potere della stessa, stimolando la capacità di deduzione degli spettatori. Lo sceneggiatore infatti ha, a sua volta, caratterizzato Dio come un sadico sceneggiatore di uno spettacolo destinato a un pubblico sconosciuto.

Giunti a oltre metà recensione, non posso non applaudire i testi degli autori fin qui presentati. Spero di aver gettato luce in quell'oscurità in cui sono spesso soffocati i lettori medi, per dimostrare che la quasi totalità dei racconti raccolti da de Turris sono tutt'altro che banali e non sono di mero intrattenimento, anzi devo dire che costituiscono una sorpresa in controtendenza rispetto alla media dei racconti proposti dall'editoria commerciale. Penso che nessuno possa sospettare che il sottoscritto regali sviolinate ingiustificate(quando c'è da attaccare non mi tiro certo indietro), quindi credo che questa recensione possa esser considerata sincera e onesta dai lettori. C'è un aneddoto che mi fa capire se i racconti mi sono piaciuti: quando finisco di leggere una storia che mi stimola il pensiero, a fine lettura, sono preso da una sorta di gaia contentezza e qui è capitato spesso.

Prima di passare ai racconti, a mio avviso, meno personali e meno strutturati attorno a una vera anima, voglio spendere due parole sui racconti di Giulio Leoni e Pietrangelo Buttafuoco.Entrambi gli autori sono padri di racconti di spessore, ma forse poco in linea con la natura dell'antologia.

Leoni offre ai lettori una parodia fantascientifica che utilizza intelligentemente (bene le caratterizzazioni dei personaggi) in chiave comica-grottesca un astronave aliena per denunciare la mala-sanità. Abbiamo difatti un equipe Asl a bordo di autoambulanza interpellata dalla centrale operativa per recarsi sul luogo di un sinistro. Chi ha denunciato l'incidente ha parlato di un aereo caduto dal cielo. Giunti sul posto, i soccorritori troveranno un'astronave con all'interno una blatta antropomorfa coperta da una tuta. Decidono così di fare tutto il possibile per rianimarla...Emblematica al riguardo la frase finale “loro non lo sanno ancora, ma il viaggiatore dello spazio è già stato preso in carico dal Sistema sanitario della regione Lazio, Italia, Terra”. L'ottima idea di fondo viene però penalizzata da un testo un pochino diluito per il suo scopo finale. In ogni caso carino, anche se, a mio avviso, totalmente fuori luogo in un'antologia dedicata alla narrativa gialla (di giallo, infatti, non c'è ombra).

Più complesso e affascinante il racconto di Buttafuoco, un mix tra fantasy, fantascienza, giallo e fantastico non di prontissima soluzione. Ci troviamo in una Catania completamente inghiottita dal mediterraneo. La popolazione vive sott'acqua grazie a dei condotti ossigenati. Un giorno, un commissario, incaricato di risolvere 800 omicidi, scopre di esser divenuto invisibile e inizia così il suo viaggio verso la terraferma: un picco dove sono rintanati i delinquenti più pericolosi. Durante il viaggio l'uomo incontra bizzarre divinità, gli unici esseri, insieme ai pesci, che riescono a vederlo. Alla fine verrà chiamato da una collega anch'essa resa invisibile da un progetto segreto del governo atto a monitorare la vita in superficie.Racconto dunque abbastanza complesso, a tratti pirandelliano (il protagonista non sa più se è vivo e comunque si interroga se può ritenersi vivo chi non riesce a interagire con gli altri) e metafisico. A mano a mano che il testo progredisce la storia diviene sempre più criptica e intrisa di simbolismi. Viene ad assumere un significato sempre più crescente la religione (che i cittadini degli abissi hanno rifiutato) e il peso che le divinità hanno sulle leggi dell'uomo. Notevoli le scenografie e le capacità descrittive dell'autore che, forse, pecca solo nel mettere troppa carne al fuoco. Piuttosto che sci-fi o giallo, si tratta di un racconto fantastico che tende progressivamente al fantasy (il finale è fantasy puro).

A mio avviso, pur restando quasi sempre godibilissimi, i restanti racconti sono meno qualitativi di quelli fin qui descritti (perché finalizzati all'esclusivo intrattenimento o perché dotati di un potenziale poco sfruttato). Certo, essere inferiori di una perla non significa esser mediocri e difatti, nel gruppone, ci sono altri racconti meritevoli di menzione e soprattutto ricchi di spunti specie per chi si diletta nella scrittura.

Tra questi racconti i più convincenti sono quelli di Luigi De Pascalis e del maestro horror italiano Gianfranco Nerozzi. Il primo da vita a un testo a tratti crudo, narrato con grande stile e senso del ritmo. Il soggetto è complesso e miscela bene il giallo alla fantascienza. Si parla di una teoria per la quale un gruppo di cento persone potrebbe dar vita a dei comportamenti così ripetitivi da diventere trasmissibili geneticamente per i successivi componenti della popolazione.È un uomo imbrattato di sangue, ritrovato nudo in mezzo di strada dai carabinieri, a far scattare le indagini. Condotto in caserma l'uomo parla di strani esperimenti che si svolgerebbero all'interno di una fabbrica dismessa ed è tanto convincente da indurre il carabiniere che conduce le indagini a temere di esser stato anch'esso sottoposto al progetto, ma la verità è un'altra. Testo dunque stilisticamente interessante, ma che non porta a riflettere il lettore.

Più qualitativo, anche se non di pronta soluzione, il Cyber-punk di Nerozzi. Protagonista è un lavoratore di una società informatica incaricato di studiare dei programmi per entrare nei sogni altrui. L'uomo, suo malgrado, finisce cavia degli esperimenti della società che gli installa una serie di innesti che gli impediscono di sognare e ne aumentano la resistenza fisica. L'uomo, senza sogni, finisce così con l'impazzire. Di sicuro siamo alle prese con uno dei testi più curiosi dell'antologia, ma con una componente gialla ridotta ai minimi termini e piegata a una logica sci-fi più pura.

Sugli altri racconti mi piace spendere qualche parola in più su “La memoria rende liberi” dell'appassionato di cinema bis italiano nonché antologista Stefano Di Marino. Siamo in una Genova divenuta ricca di petrolio. Un decrepito, assistito da una bionda punk, conferisce l'incarico a un detective privato di ritrovare un oggetto dall'alto valore affettivo che gli è stato rubato da un vecchio amico. Il detective, accompagnato dalla bionda, inizia a cercare nei bassifondi della città. Si reca nelle bische (dove si svolgono incontri di lotta libera clandestini), va nei bordelli. Infine, una volta individuato il ladro, ingaggia un nano che gli mette a disposizione un bolide super accessoriato con tanto di armi e paraurti rinforzati (roba stile il film di Sergio Martino "2019 dopo la caduta di New York") e sferra l'attacco al camion e alla scorta del ladro. Il detectvie riuscirà così a raggiungere l'obiettivo e a mettere le mani sull'oggetto: l'insegna dell'ingresso della porta del più terribile inferno che la storia dell'uomo abbia conosciuto. Il racconto è infarcito d'azione e ha un taglio da sceneggiatura. Dunque un elaborato poco artistico e molto ritmato. Non a caso Di Marino dedica il testo a Castellari (anche per via dell'ambientazione a Genova, città prediletta dal regista per i suoi poliziotteschi) e poi cita in continuazione titoli di film italiani facendoli passare come modi di dire (“Tempo di massacro”, “Giorno del Cobra”, “Thunder”, “I nuovi barbari”). La struttura del testo, così come le ambientazioni, sono un chiarissimo omaggio a "1997 fuga da New York” (il finale, che peraltro mi ricorda uno di un mio racconto, è molto bello e d'effetto: “non è il lavoro che rende liberi, ma la verità... e questa chiede sempre conto dei peccati”). A mio avviso scricchiola la caratterizzazione del protagonista, una sorta di Jena Plisken “de noi altri”, che alla fine tiene una condotta inverosimile alla luce di quanto fatto in precedenza. Ne deriva un epilogo appiccicato, quasi a cercare (senza riuscirci) di dare un tocco di profondità al testo. Migliorabile, ma gradevole.

Onesti, anche se poco personali, gli altri racconti dove si distinguono le ambientazioni socio-politiche di “Francesca è scomparsa” di Prosperi (un Italia dominata dagli islamici, con un controllo di orwelliana memoria) o “Ipermondo” di Farneti (futuro parallelo al nostro dove i fascisti hanno vinto la guerra) o le descrizioni visionarie (ai limiti del delirio) di Leo Sorge.

Non convincono quando sarebbe stato lecito attendersi lo sceneggiatore (tra l'altro di Fulci e Dario Argento) Antonio Tentori (il suo “Maschere” è un esercizio stilistico, un giallo carino ma che non lascia traccia “del cuore” del suo autore) e il Premio Urania Francesco Grasso il quale rispolvera un po' l'atmosfera del film “Strange days” (seppur con uno stile piuttosto ironico). Interessante l'idea dello sperperio della scienza a vantaggio di politiche meramente commerciali, rappresentato da un chip potenzialmente capace di sopperire ai danni causati dai tumori al cervello ma utilizzato per modificare le personalità delle donne in modo da permettere al maschio di scegliere il profilo più gradito prima di potersi unire sessualmente alla donna prescelta. Il cinese del racconto (vittima di un truce omicidio), addirittura, decide di intrattenere il rapporto sessuale staccando la coscienza della donna la quale però inconsciamente memorizza il tutto all'interno del chip che ha innestato nel cervello e ciò permetterà alla polizia di individuare l'assassino.

Racconto scorrevolissimo, più d'azione che giallo con un epilogo a sorpresa e una fantascienza a fungere da background, per Donato Altomare. Fiacchi i testi di Roberto Genovesi (misto tra horror e sci-fi particolarmente confusionario. Intrigante l'inizio, si perde in un epilogo deludente in cui si parla di possessioni diaboliche di avatar e della possibilità di modificare i fatti della storia tornando indietro nel tempo) e di Magnarapa. Quest'ultimo è artefice di una struttura che privilegia il coinvolgimento del lettore piuttosto che la linearità della storia. Si ha così un testo dove l'inizio è il preludio della fine e dove la fine è immediatamente successiva all'inizio. Ottime descrizioni ambientali, non originale l'idea del chip che rileva la posizione degli uomini sul pianeta Terra. Finale fiacco e telefonato, molti punti oscuri.

Nel complesso "Sul filo del rasoio" è una bella pagina di narrativa di genere italiana che, per circa metà opera, si propone di scavare oltre la semplice superficie dell'apparenza costruendo storie intelligenti che non si preoccupano solo di divertire chi legge, ma di offrire interessanti spunti di riflessione (come dovrebbe fare la narrativa e come invece non avviene quasi mai). Consigliato un po' a tutti. Voto: 7,5

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