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sabato 15 giugno 2024

Recensione Narrativa: OSSESSIONI di Vernon Lee.

Autore: Vernon Lee.
Titolo Originale: Les Epèes de l'Effroi (1970).
Anno: 1886-1896.
Genere: Ghost stories.
Editore: Agenzia Alcatraz, 2023.
Pagine: 360.
Prezzo: 17.00 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

Riproposta dell'Agenzia Alcatraz che mette sul mercato una raccolta non originale, inserita nel 1970 nel catalogo Marabout Fantastique col titolo Les Epées de l'Effroi, composta da otto racconti tutti già apparsi in versione italiana. Ossessioni non è un progetto ideato e concepito dal suo autore, la scrittrice di origine britannica Violet Paget passata alla storia con lo pseudonimo Vernon Lee (nome da lei scelto per aggirare la convinzione che altrimenti nessun lettore avrebbe apprezzato degli articoli su arte, storia ed estetica scritti da una donna), ma è una selezione figlia delle scelte di curatori indipendenti. Otto racconti, dunque, scritti tra il 1886 e il 1896, all'epoca in cui la scrittrice, dopo una serie di peregrinaggi in giro per l'Europa, era residente a Firenze, città in cui sarebbe poi morta nel 1935. L'influenza italica è massiccia, riflesso della passione della scrittrice per il belpaese. Ecco allora che tre-quarti delle storie sono ambientate tra Umbria, Firenze, Massa (ribattezzata ducato di Luna) e Venezia, con alcune rare escurisioni all'estero rappresentate dalla Spagna e dall'Inghilterra.

Nonostante l'origine di selezione "disorganica" le storie che ne fanno parte sono contraddistinte da un fortissimo fil rouge che conferisce al progetto un valore unico. Si tratta di elaborati ascrivibili alle ghost stories di matrice gotica, fatte salve alcune incursioni nel fiabesco e alcune concessioni a un grandguignol che spicca per un'inusuale presa onirica. Protagonisti sono sempre facoltosi esponenti dell'alta borghesia o della nobiltà legati a una sorta di culto del passato contrapposto a una visione decadente della modernità. In tale ottica, secondo modalità diverse, viene a insinuarsi nella vita di tutti i giorni una qualche ossessione, di volta in volta innescata dallo studio di un quadro, piuttosto che di un arazzo o dall'ascolto di una leggenda narrata in una sala da pranzo o, ancora, dalla proposta d'acquisto di un oggetto d'antiquariato. Un'idea, uno sfizio, inizialmente rigettate e poi sempre più pressanti, al punto da rendere inutile tutto il resto fino al graduale e lento germogliare nel profondo subconscio di un seme della follia che rapisce i vari personaggi dal loro cammino per indurli a imboccare la via della perdizione e dell'isolamento. L'integrità psicologica viene minata, quindi deflagrata da fenomeni di sovrapposizione di personalità non troppo lontani dalla cosiddetta possessione o dall'insorgere di una frenesia omicida inarrestabile o da un'apatia irreversibile. L'esaurimento nervoso dapprima e infine la pazzia saranno gli inevitabili sbocchi. Non tutte le storie però sono fantastiche, sebbene la cifra orrorifica sia l'ingrediente di massima e sia pressoché presente quantomeno nei tratti violenti. 

Centrale è lo stile narrativo estremamente rifinito e aulico che rende i racconti assai diversi dalle pulp stories che andranno per la maggiore un ventennio dopo. Vernon Lee trasfonde nella sua narrativa gli studi saggistici (scrisse qualcosa come quarantadue libri) sulla storia delle tradizioni italiche, sull'arte rinascimentale e sulla musica, conferendo una cifra culturale di fondo non certo secondaria rispetto ai soggetti. Ciò comporta la necessità di una lettura più concentrata, talvolta rendendo necessario un secondo esame del testo. I soggetti sono dilatati, sovente lenti e impreziositi da descrizioni ornamentali che pongono la loro attenzione sui costumi d'epoca, sulla vita di corte, sugli stili architettonici e su un'impostazione vintage che cerca sempre di evadere dalla quotidianità per riscoprire un passato sfarzoso ed epico. In tale contesto viene a essere evocato il fantastico, che si rivela perché intensamente ricercato e agognato dai vari personaggi e non perché indipendente dagli stessi e autosufficiente.

Nata in Francia nel 1856, Violet Paget fu un personaggio inviso ai poteri forti soprattutto per le sue simpatie socialiste e le sue idee rivoluzionarie. Pacifista contraria alla prima guerra mondiale, lesbica dichiarata, sostenitrice delle lotte per i diritti civili e per la giustizia sociale a favore delle donne e dei lavoratori, viaggiò molto fin dall'infanzia arrivando a parlare fluentemente quattro lingue. Amica di Henry James e di Bernard Berenson, fu definita dallo studioso di occultismo suo coevo Montague Summers “la più grande tra le moderne esponenti della narrativa del soprannaturale”. Eppure i suoi racconti hanno faticato ad affermarsi, persino in Italia dove la scrittrice ha vissuto buona parte della propria vita.

La sua produzione narrativa, a differenza della saggistica, è tutt'altro che sterminata. Si parla di una dozzina di racconti, apparsi per la prima volta in Italia a partire dal 1982. Nessuno dei racconti inseriti in Ossessioni è inedito in lingua italiana sebbene tali siano le traduzioni di Stefania Renzetti. Sei degli otto racconti fanno parte dell'antologia Ombre Italiane (1988) edita da Guanda e qua integralmente assorbita. Ne sono esclusi Oke of Okehurst e The Doll che ritroviamo in altre opere. The Doll è una delle tre proposte della prima pubblicazione italiana dedicata all'autrice: Possessioni – Tre Storie Improbabili (1982). L'altro invece è inserito nella trilogia intitolata L'Amante Fantasma (1984) edita da Passigli Editori, di cui fa parte altresì il racconto The Lady and Death non incluso nel volume della Alcatraz. 

LA RECENSIONE NEL DETTAGLIO

Siamo alle prese con una raccolta di ghost stories particolari, scritte con uno stile narrativo che farà la felicità dei cultori della letteratura piuttosto che degli appassionati della narrativa di genere e del pulp. Vernon Lee è una scrittrice che arriva dal mondo dell'arte e porta con sé le caratteristiche di questo mondo. Lavora sulla simbologia, cura i dettagli dei capi di vestiario, fornisce nozioni particolareggiate della vita di corte e svela leggende del folklore locale. Il suo è un approccio che appesantisce la componente fantastica, dominante solo alla distanza e nelle ultime pagine dei vari racconti, rendendo necessaria una seconda lettura finalizzata ad assaporare la poetica di un'epoca perduta.

Delle otto storie, una almeno è un capolavoro assoluto. Stiamo parlando di The Virgin of the Seven Daggers (La Vergine dei Sette Pugnali, 1889), un autentico viaggio nel mondo dell'oltretomba dischiuso da un rituale di negromanzia eseguito da uno stregone ebreo su ordine di un nobile avvezzo al peccato. Vernon Lee si assesta a metà strada tra la fiaba nera e le storie di Mille e una Notte, toccando un apice di sense of wonder intriso di una potenza onirica assai rara per l'epoca. Protagonista è un nobile di Granada, celebre per la sua crudeltà e il suo essere uno sciupa femmine rapido di spada, infatuatosi dell'idea di avere per sua sposa una principessa araba deceduta trecento anni prima che si dice esser stata la più bella donna mai esistita ed essere addormentata da un sortilegio nelle segrete di una torre.

Perla horror a tutti gli effetti, senza tanti preamboli e dilatazioni, tra apparizioni di demoni zoomorfi (“Una legione di demoni, sotto forma di elefanti bianchi, con serpenti al posto della proboscide e della coda, e il seno di belle donne, eseguì una danza frenetica intorno al calderone tenendosi per mano, in equilibrio sulle zampe posteriori”) e una lenta discesa in un cunicolo infestato da pipistrelli e serpenti che immette alla corte del regno dei morti. Epilogo grandguignolesco, con il nobile spagnolo salvato dalle grinfie dell'inferno dalla Madonna dei Sette Pugnali di cui è devoto fedele. Eccellente è dir poco, anche se costruito su situazioni già ammirate nell'altro grande elaborato di Vernon Lee: Amour Dure (1887). Da questa storia arriva infatti la processione delle ex amanti, sette, che cercano di frenare il protagonista durante il suo cammino verso l'abbraccio di una femme fatale che lo condurrà alla morte. A differenza de La Vergine dei Sette Pugnali, in Amour Dure acquisisce maggior rilievo l'idea del rigetto del presente in favore di un lontano passato, in cui il protagonista avrebbe voluto vivere bramando amanti che non ha potuto conoscere. Protagonista è un professore polacco, in vacanza a Urbania (verosimilmente Urbino) per scrivere un volume sugli usi locali. Vernon Lee sceglie l'artificio delle pagine di un diario, in cui il protagonista racconta la sua lenta e graduale discesa nella follia. Grande attenzione per le descrizioni ambientali e storico-culturali su cui, a poco a poco, si insinua l'ossessione per una femme fatale vissuta secoli prima. La donna è famosa per aver condotto a morte tutti gli amanti che si sono susseguiti sul suo cammino, in un intrigo di tranelli, macchinazioni politiche e sete di potere. La bramosia e il rimpianto di non aver potuto conoscere una simile donna, porta il professore a proclamarne il suo amore arrivando a giustificarne le infauste condotte. Un atteggiamento ossessivo che evoca indirettamente, a differenza del precedente racconto dove l'evocazione era stata diretta e ricercata, lo spirito della defunta dapprima incorporea e poi sempre più fisica. Bellissima la parte finale, dopo una prima parte in verità un po' soporifera, ambientata all'interno di una chiesa fantasma, con un epilogo in cui la componente orrorifica raggiunge un vero e proprio apice nella produzione della scrittrice sebbene al servizio di una conclusione meno convincente rispetto al precedente racconto.

Questi, a mio modo di vedere, sono i due capolavori dell'autrice che, per il resto, mostra grande eleganza e continuità di contenuti, senza però più riuscire a evocare un orrore degno di una grande firma.

Valido, per il suo giocare tra sovrannaturale e delirio psichico, è Oke of Okehurst (Oke di Okehurst o L'amante Fantasma, 1886) dove abbiamo una giovane nobildonna inglese che rifiuta la quotidianità preferendo una vita immaginativa in cui si immedesima con le sorti, tutt'altro che raccomandabili, di un'antenata. La storia viene raccontata tramite il punto di vista di un narratore testimone oculare degli eventi, un pittore ingaggiato per realizzare il ritratto di una coppia di nobili che vivono nel Kent. Al centro dell'intreccio vi sono le fissazioni della moglie del nobile padrone di casa, convinta di somigliare in tutto e per tutto a un'antenata celebre per aver tradito il marito e aver poi ucciso l'amante in un agguato. La giovane è così presa dalla cosa da indossare i vestiti dell'antenata e da torturare mentalmente il marito, convincendolo che nella magione si aggiri lo spettro del vecchio amante dell'antenata giunto per appartarsi con lei. Vernon Lee cura in modo maniacale la lenta discesa nella follia del povero uomo, innamorato perso della moglie e per questo geloso marcio. Finale tragico, delirante, assai ben calibrato e sospeso tra psicosi ed evento soprannaturale.


Molto più “pesanti” gli altri racconti che mischiano il tema sovrannaturale con ampie descrizioni di vita di corte o di aspetti legati alla tradizione storica delle città di volta in volta coinvolte. Interessante, ma eccessivamente dilatato, Prince Alberic and the Snake Lady (Il Principe Alberico e la Donna Serpente, 1896), a cui curiosamente viene riservato l'onere di aprire l'antologia (scelta forse criticabile). Fiaba nera, che parla del sortilegio che condanna una donna a vivere all'infinito nella forma di una biscia, salvo riconquistare per qualche ora le proprie sembianze se baciata per tre volte sulla pelle. Vernon Lee attinge dal campionario dei Grimm, in particolare da Il Principe Ranocchio, per parlare del principe del ducato di Luna (Massa) che, infatuatosi di una donna serpente vista in un arazzo, rifiuta di sposarsi per avere una vita casta promettendo amore eterno a una biscia nella convinzione che trascorsi dieci anni questa si tramuti in una splendida dama. Molta ironia di fondo e qualche decisa stoccata alla superficialità religiosa (subito propensa a sospettare l'influenza del demonio laddove non vi sia traccia), in vista di un triste finale preceduto però da tanti momenti morti.

A Wicked Voice (Una Voce Malefica, 1890) riprende l'idea del sotterraneo popolato da pipistrelli e il leitmotiv dell'ossessione che martella il protagonista, spostando l'ambientazione tra le calli di Venezia. Nella fattispecie si parla di un compositore, cultore dei grandi classici del passato e denigratore del canto, preda della voce e delle melodie di un cantante diabolico vissuto nel diciottesimo secolo. Un voce in falsetto che si dice esser stata in grado di far innamorare le donne fino a indurle alla morte. L'ossessione, alimentata dagli strani canti che risuonano nella notte e per i canali di Venezia, porta il compositore a perdere la propria ispirazione tanto da non riuscire più a completare alcun componimento. Da segnalare un incubo a occhi aperti in cui gli oggetti del passato (tra cui un clavicembalo) tornano a vivere manovrati dal fantasma del cantante impegnato nella sua arte al cospetto di altri fantasmi.


Inquieta The Legend of Madame Krasinska (La Leggenda di Madame Krasinska, 1890) che propone una graduale sovrapposizione di personalità in una nobildonna interessata alle sorti di una barbona morta suicida. Un interesse che arriva al punto da determinare una possessione psichica che inizia a manifestarsi durante un ballo in maschera (che rimanda a Edgar Allan Poe). Ancora una volta, tutto ha inizio da un dipinto di una disgraziata fiorentina impazzita dopo la morte in battaglia dei suoi due figli. Buono il finale, lento lo sviluppo.


Gli altri due racconti, pur se macabri, non sono ascrivibili alla narrativa del sovrannaturale. A Wedding Chest (Un Baule Nuziale, 1888) è la storia di una vendetta che vede un'artista pianificare l'assassinio di un suo vecchio committente. Al centro vi è una giovane innocente, bramata sia da un nobile di biechi costumi che non ha tollerato di esser stato respinto e sia da un artista suo promesso sposo. Rifiniture decisamente truci (un neonato viene smaltito in una discarica di rifiuti e di carogne animali, mentre la madre, anch'essa rivenuta morta, riceve degna sepoltura con tutti i crismi per mano di colui che avrebbe dovuta sposarla e che non è padre del bimbo verosimilmente frutto di uno stupro). La mercificazione della donna, trattata come un oggetto a prescindere da ogni sua volontà, è più evidenziata in The Doll (La Bambola, 1896) che vede entrare in gioco una bambola, a grandezza naturale, che riproduce i lineamenti di una nobildonna deceduta da giovanissima dopo aver partorito il suo primogenito. Fatta realizzare dal marito, la bambola, dopo esser stata spazzolata e spolverata per anni, è finita in uno sgabuzzino del tutto ignorata dagli eredi, ma oggetto di attenzione di una collezionista di oggetti appartenuti ai defunti. Epilogo liberatorio.


In conclusione Ossessioni non è un'antologia per tutti. Più letteraria di altri volumi proposti dalla collana Bizarre, evidenzia uno stile nobiliare, molto curato nella sua prosa. Un paio di racconti sono di grande livello e valgono l'acquisto. Il sovrannaturale è particolare, evocato – spesso involontariamente – dagli stessi personaggi secondo modalità figlie di desideri inconsci non di rado frutto di pulsioni sessuali in un certo qual modo represse o comunque legate a un desiderio di trasgressione sopito dalle regole della buona etica. Narrativa molto lontana da quella legata ai maestri affiliati alle organizzazioni iniziatiche di matrice magica o cabalistica. In un'unica parola: particolare.

 
L'autrice Violet Paget
in arte Vernon Lee.
 
"Se i fantasmi esistessero non credo ch andrebbero presi alla leggera. Dio non permetterebbe la loro esistenza, se non come monito o punizione."

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