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lunedì 1 gennaio 2024

Recensione Narrativa: LA CAREZZA DELLA PAURA di Charles L. Grant.

Autore: Charles L. Grant.
Titolo Originale: The Pet.
Anno: 1986.
Genere: Horror.
Editore: Sperling & Kupfer (1992).
Pagine: 317.
Prezzo: Fuori catalogo.

Commento a cura di Matteo Mancini. 

L'AUTORE

Charles L. Grant è considerato uno dei maestri della narrativa del terrore degli anni ottanta, piuttosto distribuito anche in Italia grazie soprattutto alla Mondadori, che ha tradotto nella nostra lingua una dozzina di romanzi. Tra le altre case editrici che si sono interessate all'autore figurano altresì la Sperling & Kupfer e la Fanucci, che ha distribuito una serie di novelization dalla serie tv culto X-Files di cui i primi due romanzi scritti proprio da Grant. Da notare come la Mondadori abbia dedicato nel 1991 un'intera miniserie di romanzi gialli, chiamata Il Giallo dei Ragazzi. Serie Horror, composta solo da romanzi di Grant (serie di sei romanzi) trincerato dietro lo pseudonimo Steven Charles.

Tra i romanzi più famosi, tradotti in italiano, si citano The Hour of the Oxrun Dead (“I Morti di Oxrun Station”, 1987), episodio di un ciclo (“Oxrum Station”) di otto romanzi (e quattro antologie) incentrati sull'immaginifica cittadina del New England chiamata Oxrum Station, The Soft Whisper of the Dead (“Oltre la Morte”, 1982), romanzo che si concentra sulla figura del vampiro, For Fear of the Night (“Per Paura della Notte”, 1987) e il qui presente The Pet (“La Carezza della Paura”, 1986).

Antologizzato in molte raccolte horror da curatori elitari quali Stephen Jones (Terrore!, Il Ritorno degli Zombi), Karl E. Wagner (L'Orrore del Buio, L'Ora della Paura), Robert Bloch (Psychos), Dennis Etchison (Profondo Horror), Martin Greenberg (Le Case del Brivido), Gerald W. Page (La Stirpe della Tomba), David G. Hartwell (Il Colore del Male) e Douglas E. Winter (In Principio era il Male, Orrori e Incubi, Revelations), siamo al cospetto di uno scrittore da ricomprendere nella ristretta cerchia dei cosiddetti master of horror. David G. Hartwell l'ha persino definito “il più grande antologista degli Stati Uniti di horror fiction dopo Augusth Derleth”. Di lui infatti si ricorda, oltre agli inizi legati alla fantascienza (ha scritto anche gialli e romanzi per ragazzi), l'annuale serie antologica Shadows (il cui primo numero è stato tradotto in italiano dalla Mondadori col titolo Ombre) pubblicata tra il 1978 e il 1991; una dozzina scarsa di volumi spesso vincitori quale “migliore antologia dell'anno” al World Fantasy Award, con all'interno autori del calibro di Ramsey Campbell, Lisa Tuttle, Chelsea Yarbro, Robert Bloch, Dennis Etchison, Thomas Monteleone, Manly W. Wellman, T.E.D. Klein, Richard C. Matheson, Steve Rasnic Tem, Tanith Lee, Joe Lansdale e persino Stephen King (che ha prestato alla serie i racconti Nona e The Man Who Would not Shake Hands) e Tabitha King. Grant fu promotore di una forma di narrativa horror definita Quiet Horror, diametralmente opposta al nascente extreme, ossia una forma di terrore dal ritmo crescente, rinunciatario alle scene cruente e ambientato in un quotidiano lontano dalle atmosfere gotiche.

Nato nel New Jersey nel 1942, dove è prematuramente scomparso all'età di sessantaquattro anni, Grant viveva in compagnia della moglie in una villa che si diceva esser infestata da fantasmi. Abile sia nel campo dei romanzi che dei racconti, ottenne numerosi riconoscimenti dalla critica di settore. Duplice vincitore del Nebula World nonché del British Fantasy Award e del World Fantasy Award.

 
Copertina originale. 

LA RECENSIONE

Con The Pet Charles L. Grant guarda in modo evidente al mondo di Stephen King e, più in particolare, a romanzi come Christine (1983), Carrie (1974) e la novella The Body (1982). Siamo infatti in una cittadina della provincia del New Jeresey, ad Ashford, nell'ambito del microcosmo scolastico. Il contesto è quello familiare, di un ragazzino infantile e insicuro vittima di atti di bullismo e alle prese con i primi amori e con le liti continue dei genitori (entrambi professori) indaffarati dagli impegni di lavoro e poco propensi a dedicare tempo al figlio. Uno dei tanti giovanotti che sognano di andarsene al college in cerca di fortuna e, nella fattispecie, di diventare veterinario (aspettativa che non fa felice la famiglia). Sebbene il narratore si alterni su più personaggi, a tenere banco è questo diciassettenne. Si tratta di un tipo in parte solitario, con pochissimi amici, tra cui un paio di ragazze da cui è attratto e con cui è in buoni rapporti, che preferisce - allo sport e alle uscite di gruppo - andare a correre per conto proprio nel bosco o rivolgersi alla serie di poster di animali che tiene appesi in camera da letto. Confida a questi amici immaginari i propri pensieri e chiede loro supporto emotivo, per resistere agli scherzi brutali dei compagni, ai pestaggi, alle derisioni (ivi comprese agli attributi maschili durante le docce) e alle ingiuste punizioni a cui viene sottoposto dai professori che lo vessano per colpire indirettamente il padre (preside dell'istituto scolastico).

Siamo nel classico ambiente liceale, nell'apice della pubertà degli studenti che si misurano tra loro. Su tale intelaiatura Grant introduce due diversivi. Il primo, assai più marginale e confinato nella prima metà del romanzo, è quello di un serial killer squartatore che uccide gli studenti aggredendoli nel parco. Si tratta di un maniaco, in verità un po' avulso alla vicenda, che non viene celato agli occhi del lettore. Grant lo presenta senza alcuna intenzione di costruire una sottotraccia gialla. Non entusiasma il fatto che caratterizzi l'individuo come un clochard, dunque un reietto, cacciato dall'esercito, che cova un vero e proprio odio nei confronti delle “burbette”, sia che siano maschi o femmine. “Come gli scorreva il sangue quando incontrava ragazzini a cui poter squartare la gola e togliere le budella, per sorseggiarne il sangue e mangiucchiarne la carne, prima di lasciare la sua firma finale”. Pur mostrando un paio di omicidi, l'autore non si abbandona alla tentazione del macabro. Non si compiace della violenza e arriva addirittura a spiazzare i lettori facendo uscire di scena l'assassinio a metà opera per sostituirlo con un orrore ben superiore, sebbene introdotto con l'aura di un personaggio positivo.

Al canovaccio dello squartatore Grant sovrappone l'idea di una creatura soprannaturale animata dall'immaginazione del protagonista e da esso innescata in modo non totalmente conscio. Una sorta di materializzazione delle frustrazioni e della sete di vendetta repressa. Il ragazzino infatti, rivolgendosi alla figura di un cavallo nero che galoppa all'interno di un poster, riesce a evocare la bestia che, fuoriuscita dall'ambito di riferimento, prende a muoversi nell'oscurità cittadina, materializzandosi al cospetto di tutti coloro che, a vario titolo, minacciano il benessere del ragazzo. L'idea, tutt'altro che innovativa, arriva da celebri racconti quali Il Ritratto (1835) di Nikolaj Gogol, La Redenzione dei Capilavori (1900) di Luigi Capuana, Pickman's Model (1927) di Howard P. Lovecraft e The Leonardo Rondache (1948) di Manly W. Wellman. Un classico archetipo che sarà ripreso dallo stesso Stephen King in occasione di racconti quali The Road Virus Heads North (1999) inserito nell'antologia Tutto è Fatidico. Non è tuttavia la mancanza di originalità il punto debole del romanzo, piuttosto l'incapacità di Grant (ad avviso di questo recensore) di invogliare il lettore nella prosecuzione della lettura creando aspettativa e fascinazione. Se King riesce, oltre a lavorare sulla vividezza dei personaggi (aspetto in cui eccelle anche Grant), a conferire un piglio accattivante alla lettura, The Pet offre pochi momenti di tensione, dilungandosi in descrizioni di spaccati di vita privata che poco interessano a un pubblico appassionato di horror, con parentesi tranquillamente eliminabili (la seconda ragazza di cui è attratto Don è, a esempio, un personaggio tranquillamente tagliabile). 

 

La copertina della versione Club Editori.

Ecco che la parte fondamentale della storia finisce per ruotare sulle vicende scolastiche, tra professori che si contendono le mogli, proposte di avanzamento di carriera, minacce di sciopero, partite di football, schermaglie tra studenti e professori, litigi familiari fino agli atti di bullismo che arrivano a comprendere veri e propri danneggiamenti alla proprietà privata. Queste vicende, piuttosto che lo squartatore o il cavallo nero, sono le vere protagoniste del romanzo, che si traduce in una rappresentazione metaforica delle difficoltà legate al passaggio tra adolescenza ed età adulta con relative pulsioni di violenza da gestire e incanalare in un modello positivo.

Per questo, quando finalmente il cavallo entra in scena, con i suoi occhi verdi e una nebbia verdastra che viene alimentata dall'anidride carbonica che fuoriesce dalle narici dell'animale, siamo già a metà romanzo. Un po' come in certi beast movie, il cavallo uccide lo squartatore e ne prende il posto quale nuova fonte di orrore cittadino. Donald “Don” Boyd, il nome del ragazzino protagonista, è inizialmente portato in trionfo dai cittadini che pensano abbia ucciso lui lo squartatore, trovato maciullato da una forza bruta assai poco immaginabile per un timido ragazzino che viene sistematicamente bullizzato. La morte dello squartatore non fermerà la catena di omicidi, ma estenderà la sua onda letale anche sugli adulti, fin lì non direttamente toccati. Ben presto il cavallo attaccherà tutti coloro che, a vario titolo, minacceranno la tranquillità fisica o emotiva del ragazzino, finché quest'ultimo non chiederà alla bestia di ritornarsene da dove è venuta.

Tutto qua, con un epilogo moscio (Don brucia il poster su cui, dopo esser sparito per giorni, è ricomparso il cavallo), che non conclude la vicenda e non fornisce lumi sulle reazioni della polizia e dei cittadini a fronte dei nuovi omicidi. Il mistero non viene risolto dagli indagatori che decidono di subirlo, sebbene sia stato massacrato un ragazzo per la via (con i compagni che il giorno dopo giocheranno tranquillamente la finale di football), siano stati uccisi due professori, demolita un'abitazione e aggrediti altri due ragazzi. L'ultima frase, con cui Grant vorrebbe evocare l'insorgere di un nuovo orrore, lascia indifferente il lettore e mostra la totale immaturità del protagonista incapace, evidentemente, di diventare adulto.

The Pet si rivela essere un ottimo lavoro di caratterizzazione dei personaggi (decisamente vivi), che ben riproduce l'immaginario del mondo adolescenziale americano, con le cittadine ammirate anche in film come Halloween di Carpenter, ma che latita in quella che dovrebbe essere la sua componente fondamentale: la tensione e l'orrore. Grant prova, in altri termini, a plasmare una slasher story cercando di fondere Stephen King al cinema dei boogeymen, sostituendo la figura dell'uomo nero o della macchina assassina con quella del cavallo diabolico generato da un impulso psichico del protagonista. Tanta noia e poca verve. Manca anche la componente gore che Grant, pur proponendo omicidi sulla carta truci, tende a edulcorare. Deludente.

Da segnalare che la Sperling & Kupfer, tra il 1988 e il 1992, ha fatto uscire il romanzo in tre distinte edizioni, la prima delle quali con una locandina notevole - ripresa dalla versione originale - che ben rispecchia i contenuti.

 

L'autore Charles L. Grant.

Quale altra città riesce a sbarazzarsi di un maniaco per rimpiazzarlo subito con un altro?”

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