Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

giovedì 12 agosto 2021

Recensione Narrativa: I VERMI CONQUISTATORI di Brian Keene.

Autore: Brian Keene.
Titolo Originale: Earthworm Gods.
Anno: 2001.
Genere:  Horror.
Editore: Independent Legions, 2021.
Pagine: 260.
Prezzo: 15,50 euro.

Commento a cura di Matteo Mancini.  

Insieme a The Scarlet Gospels (“Vangeli di Sangue”) di Clive Barker, è il mio volume preferito tra quelli indicati nel catalogo della Independent Legions di Alessandro Manzetti. Casa editrice specializzata nell'hardcore horror, la Independent Legions, ogni tanto, propone novità editoriali che si svincolano dal delirio splatter per avvicinarsi a quelle atmosfere capaci di generare un sense of wonder che rievoca l'orrore classico del tempo che fu. Certo, la struttura narrativa e soprattutto i dialoghi non sono più quelli di un tempo, alcuni direbbero che sono svecchiati dai cliché del passato, noi invece ravvisiamo un involgarimento dei toni verso pieghe, se vogliamo, autoironiche se non addirittura parodistiche. È il caso di questo Earthworm Gods, pubblicato nel settembre del 2005 da Brian Keene, poi ristampato nel 2006 col titolo The Conqueror Worms e giunto alla terza edizione italiana.


Classe 1967, originario della Pennsylvania, Brian Keene (un cognome che evoca antenati irlandesi) fa parte di tutta quella scuderia di autori che può definirsi la new generation dell'horror contemporaneo. Dopo una lunga trafila di impieghi, tra cui buttafuori, disc jockey, istruttore di asilo nido, camionista, rappresentante, operaio di fonderia, è riuscito a tramutarsi in scrittore grazie al successo del romanzo di esordio: The Rising (2003), uno zombie story che ha rinnovato la figura del tradizionale morto vivente. Premiato fin da subito con un Bram Stoker Award (miglior romanzo di esordiente), ne ha vinto un secondo (su un totale di sei nomination), oltre uno Shocker Award e il World Horror Grandmaster Award. Scrittore (e fumettista) piuttosto prolifico, capace di sfornare un romanzo all'anno, si è specializzato nell'horror, senza scordare le cime story, il fantasy e la saggistica. Vanta, al momento, circa cinquanta libri e ha già attirato l'interesse del cinema che si è accaparrato i diritti per la trasposizione di alcuni dei suoi romanzi, tra cui Ghoul (di recente pubblicato in italiano dalla Independent Legions), The Naughty List, The Ties That Bind e Fast Zombies Suck.

Presentato sul mercato italiano nel 2011 per merito della defunta Edizioni XII e degli scrittori Daniele Bonfanti e Luigi Musolino (autori della traduzione), proprio con la traduzione di questo Earthworm Gods, si è, a poco a poco, ritagliato spazio anche nella nostra penisola fino a ottenere la vetrina della collana horror dell'Urania. Il compianto Giuseppe Lippi, nel luglio del 2014, lo ha infatti sdoganato al grande pubblico delle edicole, puntando ancora su “I Vermi Conquistatori”. È solo però grazie ad Alessandro Manzetti se l'autore è riuscito ad aprirsi un canale diretto con la nostra penisola. Messo sotto contratto dal padre padrone della Independent Legions, Keene ha visto uscire in italiano la terza edizione di Earthworm Gods (traduzione Bonfanti-Musolino), oltre il sequel del romanzo (“Vermi Conquistatori 2 – Diluvio”), l'opera di debutto The Rising, oltre Ghoul nonché alcuni racconti inseriti nelle antologie collettive Il Grande Libro Blasfemo (2021) e Shining in the Dark (2020) tutte edite da Manzetti.

La copertina originale del romanzo.

Earthworm Gods, candidato al Bram Stoker Award, è un romanzo derivativo infarcito di omaggi. Keene sembra quasi voler tributare quelli che sono i suoi amori letterari, guardando soprattutto alla narrativa fantastica della prima metà del novecento (ma anche Jerusalem's Lot di Stephen King). L'idea base viene dalla Bibbia (il diluvio universale), ma anche da un classico della fantascientifica post-apocalittica come The Drowned World (1962) di James Graham Ballard, presentato sulle pagine Urania col titolo “Deserto d'Acqua” e poi successivamente pubblicato come “Il Mondo Sommerso”. Romanzo già ispiratore di testi quali The Incredible Tide (1970) di Alexander Key, The Drowned World, secondo di una tetralogia (definita “degli elementi”) incentrata sui disastri apocalittici ambientali, è il romanzo di riferimento dell'opera. Da qui arriva l'ìdea di una civiltà totalmente sovrastata dalle acque. Ballard immagina, in tempi non sospetti, un improvviso aumento delle temperature in conseguenza delle radiazioni solari, con l'effetto di determinare lo scioglimento dei ghiacciai e l'innalzamento del livello dei mari. Lo sconvolgimento ambientale porta la acque a ingoiare interi palazzi, con i protagonisti che si muovono su barchette e tremano per il graduale insinuarsi di una nuova specie dominante: i rettili (Keene li sostituisce con i vermi e i serpenti marini).

Ballard è un grande maestro della fantascienza, non un qualcuno che cerca il mero intrattenimento. Delinea un contesto inquietante e allucinato, per muoversi nella dimensione della metafora. Il mare diviene allora il simbolo che rappresenta la memoria del pianeta, l'acqua ne è il sangue che porta ossigeno al cervello mentre il sole l'impulso che richiama gli uomini allo stato originario da cui erano partiti, liberi da preconcetti e da vincoli. Ragionamenti autoriali da cui si svincola Keene che invece è un autore d'intrattenimento.

Keene si assesta a metà strada tra Ballard e la vicenda del diluvio universale raccontata dalla Bibbia. Prende dal primo le immagini di una Baltimora (al posto di Londra) completamente avviluppata dalle acque, con i tetti dei grattacieli che svettano tra le onde offrendo riparo ai superstiti. Dalla Bibbia arriva invece l'idea di una pioggia inesorabile, che non conosce sosta e flagella l'umanità. Ne “I Vermi Conquistatori”, infatti, piove sempre, pur se con intensità diverse. Il sole e le stelle diventano pallidi ricordi, mentre l'acqua cresce a dismisura trasformando l'intero mondo in un oceano alla maniera di Waterworld, film diretto nel 1995 da Kevin Reynolds.

Su queste basi Keene innesta la tradizione weird di Howard P. Lovecraft e di William H. Hodgson miscelata al folklore di Bram Stoker, virando il tutto dalla fantascienza di matrice ecologista all'orrore soprannaturale. Il diluvio, infatti, non è né una punizione divina scagliata contro l'uomo, né un cataclisma attribuibile a un'alterazione degli equilibri naturali. Il diluvio di Keene non è inspiegabile o senza logica, come ha suggerito qualcuno, ma è la conseguenza di un rituale di magia nera, con l'autore che, attraverso i suoi personaggi, si mette a ironizzare e a parodiare, senza darlo troppo a intendere ai lettori superficiali, la narrativa esoterica tipica di scrittori quali Dennis Wheatley. “Non pretendo di capire tutto il nostro universo, ma so che ci sono cose che la scienza non può spiegare. Chiamalo paranormale, soprannaturale o come preferisci, ma esiste... Oggi tutto è spiegato e curato dalla scienza. Forse è per questo che ci troviamo nel casino in cui siamo adesso – per la nostra dipendenza dalla scienza. Forse abbiamo perso il contatto con qualcos'altro. Il Nostro lato spirituale. La parte che crede ancora – e ha nutrimento – nella magia.” Afferma il protagonista, un tempo sposato con una donna che teneva i corsi di catechismo. 

 La copertina di Stefano Cardoselli 
per l'edizione Independent Legions.

Avrete già capito che siamo nell'ambito della letteratura pulp, in un romanzo anti-scientifico, caratterizzato da un taglio e da una cifra espressiva che rendono il testo un romanzo parodistico senza sconfinare nel comico. Il testo infatti non vuole essere preso troppo sul serio, sebbene Keene cerchi la via funzionale ad aggradare sia i lettori legati all'”orrore classico” sia quelli alla ricerca delle soluzioni tamarre, evitando la farsa.

Ecco che Earthworm Gods si rivela un survival horror, raccontato in prima persona da uno dei superstiti dell'apocalisse: un vecchietto di ottant'anni in crisi di astinenza da tabacco e non intenzionato ad aderire agli inviti di evacuazione. La storia è ambientata su un cucuzzolo di una montagna degli Appalachi dove, a poco a poco, sopraggiungono altri personaggi bizzarri. Qui va in scena una resistenza strenua contro l'assedio di vermi carnivori sempre più grandi ed emersi dal cuore della terra. Non solo. Sulla scia della soluzione già adottata da Herbert G. Wells nel romanzo The War of the Wordls (“La Guerra dei Mondi”, 1897), Keene fa parlare alcuni dei personaggi, giunti sulla vetta a bordo di un elicottero, per raccontare cosa sia successo altrove. Prende così piede una sorta di racconto nel racconto. Niente a che fare, però, con riferimenti boccacceschi dal Decameron (come ha erroneamente detto qualche cultore). Qui non si raccontano storie per vincere la noia o esorcizzare il male che preme al di fuori della sicurezza casalinga, qua i racconti sono finalizzati a comprendere cosa sta succedendo altrove e sono una tecnica narrativa utile a Keene per mostrare le due facce della medaglia dell'orrore che sta prendendo forma, ossia quella “terrestre” e quella “marina”. L'ascesa dell'oceano infatti smuove dagli abissi creature come il calamaro gigante, qua denominato il Leviatano (e Kraken), ma anche veri e propri esseri mitologici come le sirene (ammaliano con il loro canto e seducono mortalmente gli uomini). Keene butta dentro di tutto, dai racconti di marinai che riecheggiano le avventure de 20.000 Leghe sotto i Mari a rituali demoniaci, e giustifica il polpettone (ben cucinato) per mano di una setta di surfitisti, impropriamente definita “satanista”, che inneggia al Leviatano con formule rituali dal retrogusto lovecraftiano. Questi compiono sacrifici umani sul grattacielo in cui sono rifugiati e lo fanno per aggraziarsi la fiducia (cosa che si verifica) degli esseri che nuotano sotto il pelo dell'acqua.

Simpatici alcuni riferimenti a Cthulhu manifestati da personaggi che cominciano a menzionare la divinità dopo aver visto emergere dalle acque una sorta di piovra che avvinghia i palazzi e li distrugge alla maniera di un Godzilla tentacolare. Keene regala anche un omaggio al film Tentacoli, mostrando la piovra nell'atto di scrutare con un occhio all'interno della camera in cui uno dei protagonisti è schiavo della follia per aver visto artigliare la fidanzata (nel film si vede una cosa del genere dall'oblò di un mini-sommergibile). Lovecraft e Hodgson rivivono così in un romanzo dove il male non viene solo dalle profondità della terra o dagli abissi marini, ma emerge anche dall'uomo. La follia e l'apocalisse, infatti, risvegliano l'indole omicida e la pazzia delle persone che non tentennano nello scatenare una guerriglia di quartiere a colpi di mitraglia ed esplosivi, né ad abbattere elicotteri, stuprare donne indifese, cadere preda di sette o sfogare scenate di gelosia abbattendo traditori e amanti a colpi di fucile. Piove sul bagnato dunque...

L'epilogo, follissimo e distruttivo, è un evidente omaggio alla narrativa di Bram Stoker (ma anche a Frank Herbert, si pensi al vermone di Dune) con i vermi che serpeggiano ovunque e Behemoth (definito “il fratello maggiore del Leviatano”) che emerge a demolire la casa in cui il protagonista è asserragliato, in ricordo del passato e della moglie. “Il suo corpo era bianco latte e così pallido che in alcuni punti appariva quasi traslucido. Il corpo della creatura stillava bava, lasciando una traccia scintillante sul suo cammino.” Non si tratta di un semplice mostro, ma di un essere infernale, capace di prendere possesso della mente degli uomini deceduti e farli rivivere, così come era in grado di fare la popolazione serpentiforme del racconto The Valley of the Lost di Robert Ervin Howard (a sua volta ispirato dal racconto Worms of the Earth).

La bocca mostruosa di Behemoth, aperta alla maniera di una fornace infernale, avrà una sorpresa tutt'altro che gradita che porterà il serpentone a vomitare i rimasugli dei pasti, in una scena che rimanda in modo abbastanza evidente all'epilogo di The Lair of the White Worms (1911) di Stoker. Romanzo quest'ultimo che è nella genetica del romanzo di Keene, anche per la forma e il pestilenziale odore che accompagna la comparsa del verme gigante.

Romanzo dunque molto divertente e spassoso, ma non certo un capolavoro nonostante quanto si sia affermato. È stato definito “uno dei capolavori del fantastico moderno, un'opera che ha ridisegnato il modo di intendere il romanzo apocalittico.” Lippi ha parlato di “una tesa vicenda horror per un grande romanzo apocalittico.

A nostro modo di vedere, Earthworm Gods è un horror, aperto a un sequel (cosa che infatti Keene non si lascia sfuggire), in cui succede molto meno di quanto si potrebbe pensare. Un diluvio di oltre un mese sintetizzato in pochi giorni di narrato, il pensare del protagonista alla vita passata e alla conclusione della civiltà (sperando in una vita ulteriore nell'aldilà benedetta dalla presenza delle persone che si è amato in vita), quindi i segni lasciati sull'ambiente dalla pioggia, ma anche quelli rappresentati da un misterioso fungo bianco di cui poco si comprende e la presenza di enormi cavità nella fanchiglia che lasciano intendere quanto poi si toccherà con mano. Questa la prima parte della narrazione, su cui si innestano i fatti di Baltimora e l'epilogo con l'attacco del verme gigante. Ritmo abbastanza sollecito, stile di narrazione a tratti volutamente prolisso, con un registro linguistico involgarito al livello di quello proprio del cinema di intrattenimento. In definitiva, piace e diverte, oltre a presentare uno spiraglio spirituale/trascendente di solito assente nel new horror da intrattenimento. Da non perdere per i lettori appassionati di kaijù eiga, orrori marini e per i revisionisti della narrativa lovecraftiana. Il modern weird passa da casa Keene. Prossimamente la recensione del sequel: Vermi Conquistatori 2 – Il Diluvio.

 
L'autore Brian Keene
 
 "Ho paura di credere perché ho paura di quello che significherebbe."
 

Nessun commento:

Posta un commento