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sabato 19 ottobre 2019

Recensione Narrativa: MALASACRA di Francesco Corigliano.


Autore: Francesco Corigliano.
Anno: 2019.
Genere: Antologia Horror.
Editore: Kipple Officina Libraria.
Pagine: 224.
Prezzo: 15,00 euro.

A cura di Matteo Mancini.
Siamo lieti oggi di presentare la prima antologia pubblicata da Francesco Corigliano. Professore di italiano, storia e geografia, giovanissimo, non ancora trentenne, si tratta di una vera e propria promessa della narrativa italiana del terrore (a mio avviso già di caratura internazionale) che con questo Malasacra ha già in mano, se debitamente distribuito e promosso, il materiale per conquistare riconoscimenti importanti. Laureato in filologia moderna con una tesi sui racconti del terrore, ha conseguito un dottorato di ricerca presentando un lavoro sulla letteratura weird. Studi e percorsi formativi che ne fanno un "professionista" del settore. Corigliano però non si limita al lavoro di divulgazione e di ricerca, è anche e soprattutto uno scrittore rifinito, molto colto e tecnico, abile tessitore di trame ad ampio respiro capaci di suscitare tensione e angoscia senza prendere la scorciatoia del grandguignolesco o del c.d. effetto speciale. Le sue storie sono estremamente evocative, talvolta lente nello sviluppo, e assumono i connotati di discese o avventure in contesti scenografici stranianti (sotterranei, ville abbandonate, scavi nel cuore della terra, abissi oceanici, foreste vergini etc) dove il passato, in un modo o in un altro, torna a rivivere. Archeologi, paleontologi o ladri su commissioni di perle rare, ma anche biologi e talvolta poliziotti, sono i suoi personaggi più ricorrenti che diventano protagonisti di avventure dal ritmo e dallo "svelamento" progressivo. Talvolta non si capisce dove sia il confine tra realtà e suggestione, perché l'autore tende a prediligere il fascino del mistero alla risoluzione dell'occulto, che il più delle volte persiste a essere tale anche a fine racconto e viene affrontato con valenza di matrice soggettiva. I suoi mostri sono sfumati, mai mostrati nella loro completezza, anzi, sono appena suggeriti. Alla loro vista, un po' come in Lovecraft, il protagonista tende a perdere il senno, scappa, urla senza accorgersi di farlo, non domina la situazione ma ne è incuriosito. A differenza del solitario di Providence il modo di narrare di Corigliano è liberato dalla tentazione di tracciare le sembianze del mostro. Un modo di affrontare il weird, per questo aspetto, opposto a quello di Lovecraft, ma che gli permette di non cadere mai nel ridicolo o nell'inverosimile ottemperando ai trucchi di quell'antica lezione offerta al pubblico da Steven Spielberg con Jaws. Lezione che, più o meno, insegna a mostrare il meno possibile il mostro, così da far attivare la fantasia dello spettatore che andrà, di certo, a delineare l'essere per lui soggettivamente più mostruoso così da non restarne deluso.
Tecniche e percorsi di sviluppo che hanno fatto di Corigliano una presenza costante nelle premiazioni dei concorsi di maggior calibro italiano dedicati al mondo del fantastico; vincitore del Premio Hypnos nel 2016, finalista nel Premio Rill nel 2018, vincitore del concorso di fantascienza N.A.S.F sempre nel 2018. Ha collaborato alla Guida ai Narratori Italiani del Fantastico edita dall'Odoya nel 2018 e vincitrice di importanti premi di caratura nazionale. Il suo è un nome sicuramente già appuntato sul taccuino dei talent scout che, nel giro di pochi mesi, contiamo di veder approdare nelle scuderie dei più grandi editori italiani, magari sulle collane Urania della Mondadori. Un target, quest'ultimo, ampiamente nelle corde dell'autore.
Vediamo ora di presentare questo suo primo lavoro antologico, un'opera di notevole spessore.

La Kipple Officina Libraria sforna un gran bel volume che potrebbe finire menzionato nei saggi dedicati alla narrativa fantastica italiana. Undici racconti, quasi tutti di matrice orrorifica, per 236 pagine. Corigliano sceglie attentamente nella sua produzione e schiera undici storie di livello, nella gran parte dei casi, equivalente. C'è addirittura chi abbia visto un fil rouge sullo stile de I Tre Impostori di Arthur Machen. Francamente, a parte la cifra stilistica e alcuni temi ritornanti (il passato dell'umanità, gli scheletri testimonanza di vite passate, l'orrore sfumato, la paura per ciò che non si mostra ma si lascia intravedere), non abbiamo riscontrato un legame unitario dei vari racconti.
L'opera prende il via con un'escursionista che si arrampica lungo un sentiero boschivo montano, costeggiando un ruscello. A un tratto, in un punto ben determinato dove non si era mai spinto, si accorge dell'improvviso placarsi del fragore sebbene il ruscello continui a scorrere ai suoi fianchi... Questo lo spunto fantastico de Il Silenzio, elegante e fulmineo antipasto all'antologia che si appresta ad aprirsi sotto gli occhi del lettore. Un breve racconto intriso di atmosfere alla Blackwood (Corigliano gli è fortemente debitore) che propone subito quell'infiltrazione nella realtà di rumori e squarci visivi che sono ancorati in un altrove sfuggevole e arcano, eppure in grado di penetrare nell'inconscio e nel cervello dello sprovveduto pellegrino fino a condurlo nelle maglie della follia. Un orrore dunque psicologico, non mostrato ma suggerito con forza. Corigliano prosegue in questa via nell'orgia necrofila di Sancta Sanctorum. Testo dilatato nel suo incedere, eppure mai noioso grazie a una magistrale cura della tensione. Corigliano, nonostante la giovanissima età, è uno scrittore rifinito, maestro del terrore e abile tessitore di trame che, a poco a poco, sprofondano in un maelstrom dove spumeggia una follia infettiva che si propaga da personaggio in personaggio. Così la commissione di un furto di un'opera d'arte, rimasta nel siracusano all'interno di una villa abbandonata, si trasforma, sia per il mandante che per l'esecutore, in una lenta discesa in un delirio sacrilego in forte odore di blasfemia. Una progressione tra topi, ragnatele e degrado da cui iniziano ad affiorare, nel passaggio da una stanza all'altra (altra tematica ricorrente nella narrativa dell'autore), reperti scheletrici umani dapprima isolati e poi legati e uniti ad altri di derivazione animale così da creare strutture asimmetriche, in un buio pesto debellato solo dal cilindro di luce vomitato da una pila elettrica. “In cuor suo fu lieto di non vedere chi lo afferrava alle caviglie, tirandolo e lacerandogli le gambe, per lanciarlo in un sol gesto al di là della stanza” così pensa il ladro quando si accorge che a fargli compagnia non ci sono solo i ratti ma anche qualcosa che ha preso vita dalle pazzesche trame dell'artista un tempo proprietario della villa. Testo che si chiude con un che di barkeriano (rif. a Clive Barker) per effetto di una distruzione strutturale e ossea in vista di una nuova ed evoluta struttura, pur se mostruosa e innaturale, che rimanda all'angelico e dunque al demoniaco.

Strutturato su tre piani narrativi è l'altrettanto dilatato Carolus Rex. Corigliano, che un po' strizza l'occhio ad William H. Hodgson omaggiando l'autore di Chelsea introducendo un personaggio omonimo, parte dall'idea abusata della c.d. nave fantasma per sviluppare il tutto in modo personale. La storia prende l'abbrivo dall'incontro, in Norvegia, tra un giornalista e un comandante di navi mercantili. Quest'ultimo racconta la sua esperienza avuta nei mari del Sud America dove narra di aver rinvenuto, squarciata dalla ruggine e con strani segni da speronamento, una nave scomparsa venti anni prima e ormai alla deriva, pur se non indicata dagli strumenti di bordo: la Carolus Rex. Intenzionato a vederci chiaro, l'uomo rivela di esser penetrato all'interno della nave, insieme a circa una dozzina di marinai e qui di aver rinvenuto il diario del comandante. Ecco che si innesca il terzo piano narrativo ovvero il resoconto dei fatti filtrati dagli appunti del comandante. Corigliano, a poco a poco, grazie alle sapienti capacità descrittive e una calibrato gestione della tensione (crescente), conduce il lettore in un mistero che sprofonda in un orrore evanescente, una minaccia che si rende impalpabile pur manifestandosi con rumori bizzarri (il cinguettio di uccelli che non possono trovarsi a quella latitudine o il biancore di statue maledette issate a bordo) e da questi diffondersi penetrando nelle menti degli uomini inducendoli a fuggire, a pregare e persino a sacrificarsi per la salvezza dei compagni. Un male oscuro, metafisico, che minaccia di abbandonare la Carolus Rex per ammorbare la nave che l'ha attraccata e allungare la sua mano diabolica sul mondo... Corigliano dimostra di esser molto più che uno scrittore emergente, peraltro affascinato dall'arte e  più in particolare dalle statue (le ritroveremo nel racconto che ciude l'antologia). Lo conferma nell'ancora più particolare La Terra Altrui, che ha la peculiarità di esser ambientata nell'antica Roma. Durante una cena in famiglia, si parla delle campagne belliche in Germania, nel cuore della Schwarzwald ovvero la foresta nera. Un tribuno racconta le imprese sul fronte europeo e svela di esser stato testimone di una battaglia contro più gruppi di barbari coalizzati tra loro, compreso uno strano esercito composto da uomini ricoperti di fango, con arbusti usati quali ornamenti e parti umane amputate tenute legate al corpo quali truci trofei funzionali a scioccare il nemico. Un racconto che, nel corso del narrato, abbandona la componente storica e guerrigliera per planare nei confini di un orrore blackwoodiano. Il protagonista rivela di aver seguito alcuni combattenti di questo popolo in ritirata e di aver compreso cosa si celi dietro l'ardore e la combattività animalesca dei barbari. Non c'è alcun desiderio di conquista, ma una terra inconquistabile per l'uomo, intelligente e capace di animarsi per punire le guide religiose di questi popoli, assumendo tratti antropomorfi per schiacciare al suolo i perdenti. Non è dunque una volontà di estensione ad animare i barbari piuttosto la necessità di sottrarsi all'ira della terra. Un racconto molto colto, di eccezionale qualità. Corigliano sfrutta le conoscenze storiche e le mette al servizio di un elaborato assai particolare, di valenza metaforica, senza dimenticare la passione per i classici dell'orrore. Beati i suoi allievi che hanno la fortuna di avere un professore così...

Più complesso Il Dragone del Vuoto in cui Corigliano prosegue e rende ancor più manifesta l'evanescenza del male, una sorta di maledizione dalle forme di uno sfuggevole dragone (simbolo dai diametrali significati esoterici, a seconda dei contesti culturali di riferimento) che grava su una città e, osservandola dall'alto, ne vomita il passato all'interno di una caverna visitabile solo dagli iniziati (l'idea del tempio sepolto, che ritornerà nell'ultimo racconto del volume). Il protagonista, guarda caso, è un bibliotecario, un soggetto capace di procedere nel profondo della conoscenza grazie alla vasta gamma di libri (metafora del sapere) che ha a disposizione e che gli permettono di vedere una realtà diversa dall'apparenza. Corigliano riprende la metafora degli occhiali, alla Essi Vivono di Carpenter, per verificare la differenza tra quanto si cela alla vista non corretta e quanto invece emerge con la giusta prospettiva ottica. Stile colto, elaborato, costantemente sospeso tra realtà esoterica (da leggersi quale limitata a pochi) e delirio sulla scia de Il Diario di un Pazzo di Gogol, col protagonista che si autoproclama il più geniale di tutti e scopritore di misteri innominabili. Tutto questo a forgiare un racconto non per tutti, diverso dagli altri che lo precedono e più orientato all'autoriale che al testo di genere.

Dal Vuoto Mormorare. La Controlinguistica a Partire da Lacan è un divertissement, un gioco provocatorio sul linguaggio umano. La comunicazione che dovrebbe rendere più evoluta la razza umana rispetto alle altre specie animali viene qui vista come un motivo di limitazione. Un intermezzo dalla forma del finto saggio che si pone quasi a cavallo dell'opera.

Corigliano supera se stesso col racconto In Tenebris Umbra, vera e propria riscrittura weird della narrativa di Howard Phillips Lovecraft miscelata alle atmosfere del noir. Strutturato alla stregua di un giallo incentrato sulle faide che insanguinano distinte cosche legate alla ndrangheta e affiliate a logge massoniche in competizione tra loro, si trasforma, a mano a mano che le indagini si sviluppano sulla giusta strada, in un horror che rispecchia i canoni artistici dell'autore. Sfumato nel suo inquadrare il male che incombe attorno agli uomini, eppure articolato e snodato nel suo sviluppo che passa dai riti celebrati in riva al mare, tra simboli massonici e ambigue presenze che snodano i loro tentacoli laddove dovrebbe ergersi l'immacolato sigillo dello Stato, e serie omicide che non lasciano scampo ad avvocati e assessori comunali. Non mancano le gustose citazioni che vanno dai B-Movie cinematografici, si pensi al film, tanto per restare in tema di simboli massonici, L'Occhio nel Triangolo (con gli umanoidi che fuoriescono dal mare per andare a baciare i loro adepti), ma anche al racconto che Lovecraft scrisse con sua moglie Sonia Greene ovvero L'Orrore di Martin's Beach, e soprattutto all'immenso capolavoro Il Pendolo di Foucault di Umberto Eco, da cui arrivano quelle incomprensioni e quel delirio interpretativo legato a un mistero che neppure i grandi maestri massonici (qua chiamato “Il grande vecchio”) riescono a risolvere, ma che non fa mai calare la speranza di poterlo andare a svelare, tanto da supporre che altri ci siano riusciti (un po' come successe col matematico che intercettò la chiave criptica legata alle lettere in codice firmate Zodiac). Da qui la convinzione, da parte dell'ambiente massonico, che il commissario di polizia protagonista del racconto abbia capito tutto. A differenza di Eco, però, nel racconto di Corigiliano il soprannaturale c'è davvero ed è legato a un misterioso pseduobiblia (vogliamo crederlo tale), di cui non si fa il nome e che è stato rubato, da un tale che si chiama Mancini, per ordine di una loggia massonica dedita all'esoterismo; un volume che è stato scritto da chi uomo non è tanto che le creature ammantate sotto il mantello del Mediterraneo lo consegnano di nuovo agli uomini, affinché essi ne facciano proseliti riservati agli iniziati, anche quando qualcuno pensa di distruggerlo.
Dunque un bellissimo esempio di come strutturare un giallo che piega sull'horror senza mai scadere in banalità. “Il male non si legge. Il male non assomiglia a nulla. Il male è.” Applauso all'autore per quello che è forse il miglior testo dell'antologia.

Non manca il fantastico criptozoologico che Corigliano rappresenta con due racconti di forte presa weird: Megatalga e Il Funebre Canto. Più orientato all'azione il primo (sparatorie e militari incazzosi), giocato in Siberia dove una spedizione di paleontologi avanza ipotesi su creature di enormi dimensioni e su un bosco preistorico composto da alberi ciclopici di cui alcuni scienziati avevano messo in discussione l'esistenza. Un discutere, sotto l'occhio vigile di alcuni soldati russi, che viene spazzato via da un orso, o una sorta di tale animale, che, attirato dagli odori rilasciati dai resti fossili di una creatura enorme, invade il campo e fa razzia di persone. Corigliano dimostra stile eclettico, tra azione e rimandi alla narrativa di Blackwood, con un epilogo in cui il passato e la natura sovvertono la presunta superiorità dell'uomo. Può il passato sopravvivere lasciando la propria anima a vagare nel presente? Corigliano sembra suggerire di si.
Molto interessante e coinvolgente il secondo di questi due racconti, una storia in cui Corigliano prende spunto dall'insabbiamento dei grandi cetacei e dal mistero del bloop, un suono oceanico captato da alcuni sonar sul finire degli anni novanta che inizialmente era stato associato al verso di una grossa balena degli abissi. L'autore fornisce qua la sua soluzione, o meglio interpretazione, di questo suono fondendolo all'orrore cosmico di matrice lovecraftiana. Il tutto sarebbe dovuto alla caduta in mare (storia ambientata nella penisola iberica) di una serie di meteoriti che, in realtà, altro non sono che bestie stellari piovute sulla terra per portare aiuto a una loro simile che si nasconde sotto la superficie dell'oceano e lancia un grido di aiuto che si diffonde nelle galassie. Una discesa suicida, che provoca la morte delle bestie e il loro relativo insabbiamento sulla risacca, ormai irriconoscibili e bruciate. Corigliano caratterizza il tutto con un velo melanconico e triste che passa dalle caratterizzazioni dei personaggi, dei biologi che analizzano una carcassa di cinquanta metri in riva al mare (il protagonista è reduce dalla morte della propria donna), a quelle del mostro condannato a un isolamento che non vuole accettare. Aspetti questi che rievocano alla memoria il celebre racconto La Sirena di Ray Bradbury. “Mi sono imposto di credere che non possa esistere, che non possa avere vita una solitudine tale da costringere a chiamare i propri simili a una morte folle, pur di godere almeno della compagnia dei loro resti sfasciati, mentre si dispongono cadaveri su cadaveri in un'esposizione insensata e occulta.” Questa la conclusione del protagonista, fuggito in preda all'orrore per la città una volta scoperto il mistero legato al ritrovamento dei resti della bestia rivenuta in spiaggia.

Chiude l'antologia Le Colline o le Città che riportano Corigliano nell'amata terra nativa, la Calabria, in un racconto sulla memoria che non sopravvive, o meglio che non lo vuole fare perché reputa indegna la modernità. Un professore di archeologia, che sta attraversando un brutto periodo personale, viene richiamato da Roma per valutare una bizzarra scoperta fatta sotto una collina. Attraverso un foro aperto nel terreno, l'uomo discende e scopre la presenza di una sorta di tempio antichissimo, oltre le datazioni riconducibili alla nascita della civiltà. A mano a mano che avanza, analizzando affreschi che riproducono la creazione del mondo (sembrano trapelare omaggi al romanzo Il Vangelo Secondo Satana di Graham), si rende conto di attraversare una vera e propria città. Ecco allora che le colline vengono ad assumere la valenza metaforica delle fosse ricoperte di terra che popolano un cimitero ottocentesco e che oggi si vedono ancora nel periodo di attesa della realizzazione della tomba. La scoperta però non può esser rivelata al mondo, perché qualcuno o forse qualcosa, che popola le profondità (un po' come il misterioso personaggio che vive sotto il teatro dell'opera ne Il Fantasma dell'Opera), fa crollare l'intero impianto di sostegno per difendere il passato dall'indegna intrusione dell'uomo moderno. E' un po' il tema biblico dei non iniziati che profanano il tempio. In puro stile dell'autore, il tutto si fa poi evanescente chiamando in causa la suggestione del protagonista e addebitando il crollo a uno smottamento dipeso da cause naturali. Il confine tra realtà e immaginazione si rende indecifrabile, ma soprattutto il passato, il grande passato di una civiltà estinta e sconosciuta a noi abitanti del mondo del 2000, non è degno di esser rivelato e deve riposare nel cuore del pianeta, lontano da sguardi indiscreti. E su tutto cade quel SILENTIUM di matrice esoterica che è anche il titolo che apre il debutto antologico di Corigliano.

Antologia da comprare, poco da aggiungere, e autore da seguire. Imperdibile per gli amanti del modern weird, ma quello vero, cioè quello legato alla tradizione dei grandi narratori di inizio novecento, pur se svecchiato nello stile e articolato, con uno stile che lasciar intravedere doti da romanziere.

L'autore FRANCESCO CORIGLIANO

"Il male non si legge. Il male non assomiglia a nulla. Il male è."

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