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venerdì 1 settembre 2017

Recensioni Narrativa: LA NOTTE DI VALPURGA di Gustav Meyrink.



Autore: Gustav Meyrink.
Titolo originale: Walpurgisnacht.
Anno: 1917.
Edizione: La Bussola Editrice, 1979.
Genere: Fantastico/Esoterico.
Pagine: 230.

A cura di Matteo Mancini.
La Notte di Valpurga di Gustav Meyrink costituisce l'ideale lettura utile a fungere da collegamento col precedente volume analizzato, ovvero Magia Rossa di Manfredi, segnando un deciso passo in alto nella scala esoterico/iniziatica della narrativa fantastica. Ritroviamo infatti in quest'opera il background che stava alla base del romanzo dell'autore italiano pur spostandoci da Milano a Praga. Le similitudini sono evidenti e ricorrenti. La storia è ambientata nel 1917, durante il periodo in cui l'Europa è insanguinata dalla I Guerra Mondiale (meno di venti anni dopo rispetto ai fatti di Milano), e viene innescata da un misterioso personaggio che risponde al nome di Zrcaldo, un attore. Se con Manfredi al centro del tutto c'era un soggetto figlio degli ambienti esoterici dotato di poteri magico-paranormali (fidanzato con un'attrice e anch'esso attore) tanto da riuscire - trasformatosi in spirito - a possedere le persone per orientarle; qua abbiamo un sonnambulo posseduto da un grande maestro orientale, un Manciù che si definisce appartenente al Regno di Mezzo (da intendersi a livello metaforico, cioè il regno sospeso tra quello terrestre e quello celestiale) e riesce a traslare il proprio spirito in corpi diversi dal proprio pur non essendo ancora morto (aweysha il nome di tale fenomenologia). Si tratta di un essere in grado di profetizzare il futuro, indicare il cammino (rompendo la suprema legge del silentium iniziatico) a coloro che possiedono le caratteristiche per poterlo vedere (non tutti gli uomini, a quanto pare, sono uguali, poiché solo alcuni sono maturi per il volo) e di far assumere al corpo che comanda le fisionomie più disparate per concretizzare le ossessioni delle varie persone che incontra (non a caso viene chiamato lo specchio). 
Sia in Magia Rossa che in La Notte di Valpurga troveremo i due personaggi a capo di un moto di rivolta popolare contro i capitalisti, i poteri costituiti e la nobiltà locale che avrà esiti nefasti per i rivoltosi (trucidati dall'esercito). Vediamo quindi come in entrambe le opere l'occultismo e l'esoterismo passino dagli ambienti iniziatici più o meno segreti a quelli popolari di indirizzo politico (deriva alquanto pericolosa come insegna la genesi della Germania nazista).
Vi è poi il tema del doppio e l'idea dell'eterno ritorno sotto altrui spoglie. Se Tommaso Reiner rivive in un ragazzo degli anni '80 in quel di Milano, con Meyrink torna alla carica Jan Zizka, un rivoluzionario che nel 1419 diede il via alla rivolta boema, e lo stesso avviene anche per la protagonista femminile, una giovane baronessa che scopre di avere gli stessi lineamenti di un'antica antenata che finisce per soggiogarla a livello psicologico col fine di difendere il rango aristocratico dall'involgarimento popolare.

C'è poi la magia rossa ovvero la magia sessuale. Se Manfredi accenna al tema dell'ermafrodito crowleiano che punta ad autogenerarsi per conquistare la vita eterna, Meyrink porta in scena direttamente Lucifero che così si definisce: “Io sono il Dio nelle cui mani gli uomini depongono i loro desideri... Io solo posso intendere i desideri, perché fra gli dei sono l'unico che abbia le reni cinte; gli altri non hanno sesso... La radice profonda e nascosta di ogni desiderio risiede sempre nel sesso, anche quando il desiderio sembra non avere nulla a che fare con la sessualità... Io odo solo i desideri dell'anima, per quelli pronunciati dalle sole labbra il mio orecchio è sordo.” Si badi bene che i desideri cui si riferisce Lucifero sono quelli materiali, esaudibili nella vita terrena ma del tutto inutili nell'aldilà (nel testo vedremo così una prostituta bramare per un amore cui non può più tendere perché divenuta decrepita; un medico che rimpiange la gioventù perduta; un violinista che vorrebbe essere Re; e via dicendo).

Questi gli ingredienti base di un romanzo piuttosto lineare, per gli standard dello scrittore, ma complesso nei contenuti filosofico-trascendentali che fungono da sottostrato alla vicenda. Meyrink, seppur marginalmente, introduce la tematica del taoismo che sarà poi esaltata nel successivo Il Domenicano Bianco. Parla infatti di polarità positiva e polarità negativa come principi che reggono ed equilibrano il mondo. Accenna poi alla necessità della ricerca del proprio Io come fine ultimo dell'esistenza terrena così da poter conquistare la propria anima e passare dallo stato di sonnambulo o morto vivente (non a caso Zrcaldo è un dormiente posseduto dallo spirito di un grande maestro) a quello di uomo risvegliato da intendersi il cosciente di sé stesso che ha raggiunto la gioia per il fatto di aver compreso il proprio io e non per aver avuto dei riscontri materiali (per essi si parla di “divertimento”). “Colui nel quale è penetrata la gioia distaccata, la gioia che non conosce causa, costui possiede la vita eterna poiché si è ricongiunto con l'Io , cui la morte è ignota.”

In Meyrink non c'è spazio per l'affidamento a una divinità superiore che intercede a garantire la salvezza e a cui rivolgersi con modi reverenziali. L'uomo non deve esser passivo dovendo invece evolvere in Dio di sé stesso. Si tratta di una visione antropocentrica dove al centro di tutto c'è l'uomo, piuttosto che una struttura gerarchico-piramidale, a cui è affidato il compito di conquistare sé stesso per poter così ascendere ed evolvere al livello degli dei. Dio non è un essere superiore, ma un essere perfetto a cui l'uomo deve e può tendere divenendone pari grado (se mi permettete il termine). Si tratta di una visione che è centrale in certi ambienti esoterici, specie in quelli definiti aderenti a un satanismo intellettuale contrapposto a quello rituale che si prende beffe della religione cristiana scimmiottandone le forme e le cerimonie. “Se voi credete di essere soltanto uomini, esseri staccati da Dio e diversi da lui, non potete sperare un mutamento, e il destino continuerà a sovrastarvi. Perché non credete che la vostra stessa bocca sia quella di Dio? Perché non dite a voi stessi: io sono Dio?” Una visione, ovviamente, narcisista che porterà a effetti apocalittici a fine romanzo, per l'incapacità dell'uomo medio di guardare oltre la vita che ci circonda. Una catastrofe di portata tale da travolgere tutti i protagonisti della vicenda sotto un tambureggiare che è orchestrato da Lucifero in persona. Meyrink tratteggia le forme del principe della notte (“Era un essere nudo, dal colorito oscuro, con i fianchi ravvolti da una pelle, magro e con una mitria nera sul capo dalla quale si sprigionavano scintille dorate”), dandogli però una caratterizzazione a mio avviso più neutrale che malvagia, alla stregua di un ispiratore che da buoni consigli ma al contempo occhieggia e tenta gli uomini portandoli dai valori spirituali (che lo stesso afferma esser basilari) a quelli materiali, poiché ogni desiderio è carnale e legato alla sfera sessuale, con conseguenziale morte dell'anima e perdita dell'Io.

Dunque un contenuto che fa de La Notte di Valpurga un romanzo che è tutto meno che narrativa dell'orrore. Chi sceglie di leggerlo pensando di aver a che fare con letteratura di intrattenimento o con una costruzione incentrata su un soggetto sprovvisto di letture ulteriori ai meri fatti narrati è anni luce fuori strada. Siamo al cospetto di un'opera complessa consigliabile solo a uno zoccolo duro di appassionati e studiosi, non certo a un lettore medio, figurarsi per chi pensa all'horror con accezione cinematografica. Meyrink trova anche spazio per la politica e lo fa denotando uno spiccato pessimismo. Fornisce un passaggio in perfetta sintonia col messaggio del peone interpretato da Steiger in Giù la Testa, quando dice che l'aspirazione dei politici popolari (anarchici e socialisti) è mascherata da buoni quanto mendaci propositi, col fine ultimo di prendere il posto della classe dirigente per mutuarne gli atteggiamenti e non rispettare quanto concordato alla vigilia della lotta (“la brama dello schiavo di divenire signore”). Rivolte e sommosse non portano a niente, se non alla morte della povera gente, come dice Steiger nel famoso film diretto da Sergio Leone e come succede nel delirante epilogo del romanzo che sembra fungere da presagio all'imminente crollo dell'impero austroungarico (di cui Praga faceva parte).


Il triangolo magico, in una vecchia copertina 
del romanzo,
 ideale congiunzione
con MAGIA ROSSA
di Manfredi

Chi non è capace di sentire le cose serie nell'umoristico, non è nemmeno capace di sentire l'umoristico e il comico che si cela dietro quella falsa serietà, che i bacchettoni considerano la suprema misura di una virilità dignitosa... La suprema sapienza va in veste di pazzia!”

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