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mercoledì 16 novembre 2011

Intervista a Matteo Mancini del maggio 2011


Intervista a Matteo Mancini a cura di Patrizia Birtolo (20 maggio, 2011)



Pubblico qua sul mio blog un'intervista a cui sono stato sottoposto alcuni mesi fà dal sito Braviautori e che è poi apparsa in un paio di siti. Autrice dell'intervista è la scrittrice Patrizia Birtolo.

Abbiamo l’opportunità di approfondire la conoscenza di Matteo Mancini, giovane ed eclettico autore del panorama underground. Matteo, non ancora trentenne, tirreniese (provincia di Pisa), dopo la laurea in giurisprudenza si dedica alla scrittura e consegue svariati piazzamenti di rilievo in concorsi nazionali e sul web. Esordisce con “La lunga ascesa dal mare delle tenebre”(2010) cui segue “Sulle rive del crepuscolo” (2011) entrambi per GDS Edizioni.

1) Matteo, la passione per la scrittura è cominciata presto e ti ha già portato piuttosto lontano: Come e perché è cominciato il tuo impegno nell’ambito della narrativa?

Direi che la passione per la scrittura (e di pari passo quella per la lettura), nel mio caso, è maturata molto tardi. Conosco infatti amici scrittori che hanno avuto questa passione fin dall'adolescenza, altri addirittura fin dai tempi dell'infanzia. Nel mio caso, invece, la scrittura è stata per molti anni un tallone di Achille. Ai tempi delle medie e delle superiori venivo spesso rimproverato dai professori di italiano per la mia sinteticità e per la mancanza di fantasia. Devo dire che non avevano torto, all'epoca la scrittura (e anche la narrativa) non mi interessava affatto. Poi, crescendo e maturando, le cose sono cambiate così come i miei hobbies: dallo sport e dalla musica, a cui mi dedicavo quasi a tempo pieno, mi sono progressivamente avvicinato alle materie artistiche e psicologiche.
Ai tempi dell'università, quindi a circa 22 anni e dopo aver superato l'esame di Medicina Legale, ho iniziato a interessarmi alla criminologia. Divorai decine e decine di manuali di questa affascinante materia, arrivando persino a costruirmi un database (che ho sempre) con più di seicento criminali (soprattutto seriali) e con una serie interminabile di filtri che permettevano di tracciare un profilo calibrato di un eventuale assassino in circolazione, comparando i dati riscontrati in un'ipotetica scena del crimine con quelli dei vari casi inseriti nel database. Un lavoro certosino alla cui base vi era uno studio su una lunga serie di biografie (ricordo più di mille pagine in formato word scritte in carattere 12).
Fu proprio con la criminologia che iniziai a scrivere, stendendo dei piccoli saggi e delle analisi critiche sui profili dei vari delinquenti, nonché delle biografie varie.
Nel contempo, grazie all'acquisto del primo lettore DVD, iniziai a comprare, per curiosità, “B-movie” che fino allora non avevo mai visto. Pensate che la mia conoscenza di cinema a 22 anni era minima (non avevo visto neppure un film di Dario Argento!!). Scoprii così un mondo di cui ignoravo l'esistenza, a parte Sergio Leone, Bud Spencer-Terence Hill, il Commissario Nico Giraldi (interpretato da Tomas Milian) e una serie di piccoli film (“Fuga dal Bronx” e “Tentacoli”) che avevo visto da piccolo e che avevano lasciato in me una traccia indelebile per la loro malinconia decadente. Questo mondo di cui ho accennato risponde al nome del CINEMA ITALIANO DI GENERE. Fu per merito di Dario Argento e di Sergio Leone e del loro modo (del tutto alieno a quello commerciale di Hollywood) di riprendere le scene che diventai un autentico divoratore di cinema italiano di genere (prima ancora che Quentin Tarantino lo sponsorizzasse pubblicamente).
Presi a programmare il videoregistatore e a registrare film che passavano a orari assurdi (creandomi una videoteca sterminata che oggi conta quasi 1,800 film), studiando attentamente le trame e le recensioni che li riguardavano. Mi avvicinai all'horror e al thriller, generi che fino ad allora mi ero quasi sempre rifiutato di vedere perché li snobbavo. In poco tempo, grazie alla lettura di centinaia di recensioni, imparai a comprendere il metodo con il quale deve esser visto (e letto) un film, compresi il modo di interpretare le sceneggiature e il linguaggio con cui si traducevano in immagini i contenuti sottintesi a una data trama. Bramoso di manifestare le mie opinioni e condividerle con coloro che mi avevano permesso di sviluppare e apprendere certe cose, e dunque anche per riconoscenza, iniziai a scrivere recensioni su svariati siti (soprattutto su filmtv.it, dove scrivo ancora commenti in pillole).
Fu proprio per questo mio hobby che approdai alla scrittura creativa. Determinante fu una serata (penso nel 2005) in cui a Tirrenia, il paese dove ho sempre vissuto, si teneva una rassegna di cortometraggi horror amatoriali. Ricordo che rimasi piuttosto deluso dalle sceneggiature che valutai, nella quasi totalità dei casi, dei pretesti per dilettarsi in meri esercizi di stile. Giudicai infatti quei lavori piuttosto banali e scommisi con me stesso che sarei stato capace di scrivere soggetti più interessanti.
Dopo i saggi di criminologia e le recensioni cinematografiche, ebbe così inizio la mia terza fase: la scrittura di brevi sceneggiature per ipotetici cortometraggi. Come mio solito, quando mi interesso a qualcosa di nuovo, presi a studiare i vari manuali sulla materia per poi stravolgere i suggerimenti con il fine di adattarli al mio modo non convenzionale di approcciarmi alle cose (come quando a calcio 5 mi allenavo per conto mio con esercizi bizzarri per i miei colleghi di reparto e tenevo una posizione tra i pali del tutto fuori dalla norma, lasciando spiazzati avversari e compagni di squadra ma riuscendo a ottenere ottime prestazioni con tanto di trafiletti sui quotidiani locali). Così presi a scrivere decine e decine di piccole sceneggiature senza preoccuparmi della concreta possibilità di tramutarle in corti. Iniziai anche ad avvicinarmi alla narrativa, perché compresi subito che chi vuol scrivere deve leggere molto.
Fondamentale fu l'incontro con i racconti di H.P.Lovecraft di cui mi innamorai immediatamente, perché scritti con quel gusto decadente e visionario che mi ha da sempre affascinato fin dai tempi in cui, da piccolo, giocavo nelle colonie fatiscenti del vecchio regime fascista o negli impianti abbandonati degli stabilimenti cinematografici Cosmopolitan che sorgevano proprio dietro casa mia. Da Lovecraft poi mi avvicinai a Poe e a tutti gli altri maestri del weird americano e via via sempre più estesi agli autori contemporanei, grazie anche all'amore presto sbocciato per la collana Urania della Mondadori (decisivi, in tal senso, furono Valerio Evangelisti e i post-atomici).
Presto, però, mi accorsi che la possibilità di piazzare le sceneggiature o di confrontarsi con dei colleghi era quasi ridotta allo zero per cento. I registi amatoriali, infatti, sono riluttanti nel portare in scena lavori altrui, preferendo dirigere propri soggetti anche se spesso di una mediocrità sconcertante. Così un giorno, attraverso la lettura di un quotidiano locale (IL TIRRENO), venni a sapere di un concorso che aveva in Carlo Lucarelli il suo principale organizzatore. Il concorso era molto semplice: occorreva scrivere un breve finale a un racconto iniziato da Lucarelli e da Matteo Bortolotti. Decisi di partecipare anche se non mi ritenevo minimamente capace di organizzare un racconto vero e proprio. Scrivere una sceneggiatura, infatti, è molto più semplice che scrivere un racconto, perché si tratta solo di concepire una serie di azioni e trasporle in immagini senza preoccuparsi dello stile narrativo e delle sensazioni interne dei personaggi. Con mia sorpresa, nonché con un pizzico di fortuna (visto che riuscii a scrivere senza commettere quegli errori tipici di un neofita che poi mi avrebbero perseguitato nei successivi testi), riuscii a piazzarmi in terza posizione con tanto di articolo sul giornale (che custodisco in bacheca) e intervista telefonica. Fu un “successo” inatteso che mi spinse ad abbandonare la sceneggiatura per interessarmi alla narrativa e a partecipare ai laboratori di scrittura. Questa, in sintesi, è la genesi di Matteo Mancini “scrittore”.

2) Quali sono gli Autori cui ti sei ispirato durante il tuo percorso?

A questa domanda ti ho in parte già risposto, quando parlavo di Lovecraft e Poe tuttavia nel mio caso l'ispirazione non viene solo dalla narrativa. Con l'andare degli anni, grazie ai vari hobby che mi hanno accompagnato instaurandosi piano piano nel mio tempo libero, in modo che io potessi interessarmi a ciascuno di essi in maniera pressoché unica e totale per poi passare a un altro, ho subito influenze provenienti da vari settori. Più che influenze però le definirei incoraggiamenti morali, nel senso di aver trovato nelle mentalità di taluni personaggi illustri dei piccoli punti in comune al mio modo di rapportarmi e concepire l'esterno. Così ho avuto maestri (da me eletti tali, quale allievo potrebbe esser più fortunato di quello che può scegliersi con coscienza i propri maestri?) provenienti dal mondo della regia cinematografica, della pittura, della narrativa, dello sport, della musica e della filosofia. Dunque una cultura da autentico autodidatta che nulla ha da spartire con quella poca appresa sui banchi di scuola.
Si può dire che le mie ispirazioni nascono da questo mix di studi filtrati dal mio carattere e dalla mia simpatia verso alcuni approcci.
Ti posso dire che, da quando scrivo, ho sempre avuto come punti di riferimento le sceneggiature di GEORGE A. ROMERO e del suo modo di proporre storie di intrattenimento organizzate attorno a un messaggio subliminale ben determinato e spesso di critica sociale, ma anche i testi delle canzoni di EDOARDO BENNATO (uno dei miei cantautori preferiti, tanto per citartene uno), testi spesso apparentemente scanzonati ma di una profondità tutt'altro che banale, e di FRANCO BATTIATO o ancora dello scrittore tedesco GUSTAV MEYRINK o dell'inglese BALLARD (scrittori difficili che costringono il lettore a interpretare ciò che legge e a giungere a conclusioni diverse a seconda della chiave di lettura adottata).
I maestri che mi sono scelto però, come anticipato, riguardano anche settori che, in prima battuta, potrebbero sembrare lontani dalla narrativa ma che invece sono per me molto importanti perché vicini alla mia filosofia (e dunque al mio approccio con la vita in generale). Questi personaggi hanno nella dedizione fino alla mania e nella filosofia libera dalle consuetudini di BRUCE LEE, nella necessità di sviluppare un proprio Io di SOCRATE e KRISHNAMURTI, nonché nella follia e nel coraggio di spingersi oltre il limite di piloti come AYRTON SENNA, GILLES VILLENUEVE e STEFAN BELLOF il loro apice.
Inutile poi dire che con il proseguire degli studi e delle letture nuovi maestri si sono aggiunti agli iniziali, tra essi non posso non ricordare BORGES, BUZZATI e P.K. DICK. Quello che ci tengo a sottolineare, però, è che sono rimasto impressionato da questi personaggi perché ho trovato nel loro modo di concepire l'arte o la loro professione dei punti in comune al mio approccio. Non ho dunque mai inteso scimmiottarli o comunque cercare di rifarmi passivamente alle loro idee. Credo infatti che i miei testi siano molto personali.
Infine, per concludere, talvolta i miei testi sono stati agevolati da dipinti di pittori surreali. Sono infatti dell'idea che guardando certi quadri si riesca a trovare un'ispirazione che altrimenti non si potrebbe avere, quasi come se i dipinti iniziassero ad animarsi proiettando l'osservatore in un contesto onirico e crepuscolare; visto che l'osservatore, nel mio caso, si diletta nella scrittura perché non dovrebbe approfittarne per manifestare i propri viaggi di fantasia condividendoli con i suoi lettori?

3) I tuoi racconti spaziano dall’horror, al weird, al fantastico, alla fantascienza, al western… Rispecchiando i tuoi molteplici interessi e curiosità. Se dovessi privilegiare un filone, dare delle priorità, quale senti a te più congeniale fra i diversi generi in cui ti sei cimentato? E quanto invece senti affini al tuo stile i meccanismi di contaminazione tra generi differenti?

Nonostante chi legga i miei racconti spesso sostenga che io sia portato per il giallo (forse per il mio background in materie criminologiche), io mi definisco “scrittore onirico”.
Mi piace e mi diverte infatti scrivere scene o momenti surreali, caratterizzati da un forte impatto visivo e spesso bizzarro. È chiaro che il tocco onirico assume valenza maggiore in un testo fantastico o weird dove l'autore ha maggiori libertà rispetto ai dati di fatto dettati dall'esperienza del comune vivere. Inoltre in questi tipi di racconti posso dedicarmi a descrivere scenografie distorte spesso utilizzate come veri e propri personaggi aggiuntivi finalizzati a costituire delle chiavi di lettura del testo. Come si può facilmente capire, questa libertà tende ad affievolirsi con la fantascienza, fino quasi a scomparire del tutto con il western e il giallo. Quindi se mi chiedi quali generi io senta a me più congeniali ti rispondo di sicuro l'horror, il weird e il fantastico.
Ciò detto però, come ho discusso varie volte sui forum, ritengo che un genere specifico non possa mai costituire un limite invalicabile per uno scrittore. Come hai giustamente sottolineato, ho scritto racconti di tutti i generi (non hai citato l'erotico e il giallo) perché credo che il genere sia una sfumatura atta a veicolare l'idea e il messaggio che l'autore vuole trasmettere. Quindi, a seconda del genere in cui ci si inserisce, cambierà l'intelaiatura del racconto ma non la sua anima e l'impronta dello scrittore. Ecco dunque che il genere non ha questa grande importanza, perché fondamentale è solo l'anima che sta dietro a un testo. E quest'anima, secondo me, non è tanto la trama ma il messaggio che si cela dietro all'elaborato e su cui il lettore attento può riflettere e trarne le sue idee, magari assumendo punti di vista che in precedenza non aveva mai adottato e dunque vivendo un'esperienza che passa dalla fantasia alla realtà di tutti i giorni.
Per quanto concerne l'affinità con i meccanismi di contaminazione tra i generi ti rispondo ricordando il regista Lucio Fulci (un altro dei miei tanti maestri). Come molti sapranno Fulci era soprannominato “Il terrorista dei generi” perché dirigeva film di ogni genere andando però a contaminarli secondo il suo modo di fare cinema. Fulci diceva: “tento sempre di essere un terrorista del genere, cioè nel senso sto dentro però intanto metto la bomba che tenta di deflagrare il genere” . Ecco, nel mio piccolo, cerco di mettere in pratica l'insegnamento di Fulci, perché credo, come ti ho già detto, che il genere sia un mero veicolo e non un qualcosa che deve imbrigliare lo scrittore costringendolo in schemi prefissati. Gli schemi infatti sono fatti per essere conosciuti, appresi e poi superati in una concezione personalizzata capace di adeguarsi a ogni evenienza e di distinguersi dai canoni convenzionali.

4) Per adesso la tua produzione è stata orientata verso il racconto breve, una forma che prediligi in particolare. Ti misurerai anche con un progetto di scrittura di più ampio respiro?

Se intendi chiedere se mi confronterò con il romanzo da centinaia di pagine ti dico che questa soluzione non è molto probabile, anche se non si può mai sapere.
Sono un fanatico di racconti, specie di fantascienza e horror. Ho la casa costellata da antologie di tutti i generi e amo in modo particolare il formato breve perché un racconto ben scritto è privo di quelle perdite di tempo che vengono invece inserite in un romanzo per far calare il lettore nei personaggi o per rallentare il ritmo al fine di far rifiatare chi legge. Un racconto invece è come salire su un bolide ignorando le marce basse e partire innestando direttamente la quarta marcia per schizzare via a folle velocità senza mai toccare il freno.
La mia concezione del racconto è diversa da quella canonica. Per molti il racconto è un romanzo in miniatura (come diceva, sapendo di mentire perché i suoi racconti erano tutt'altro che romanzi in miniatura, James G. Ballard), ma è un qualcosa di sospeso tra la poesia e la prosa. Nel racconto si deve centellinare tutto, qualunque cosa si scriva deve essere funzionale al risultato finale e non inserita tanto per “fare brodo” o per creare pause. Il racconto di qualità, a mio avviso, impone di scegliere le frasi, di dipingere con la parola, di impressionare il lettore sensibile con metafore dirette a fargli esclamare: “cacchio, che bella frase!”. Tutte queste cose nel romanzo finiscono per essere diluite, perché scrivere un testo lungo con il taglio del racconto renderebbe la lettura troppo pesante con il rischio di indurre i lettori a sospenderla prima di averla ultimata. Quindi, visti i due diversi approcci che ne stanno alla base, credo che uno specialista dei racconti difficilmente sia anche un maestro del romanzo e viceversa.

5) Nei tuoi racconti metafore e simbolismi rivestono un’importanza del tutto peculiare. Puoi accennare qualche considerazione a questo riguardo?

Vero, in quasi tutti i miei testi le metafore e i simbolismi assumono una valenza fondamentale. Molto spesso costruisco i racconti cercando di dar loro un'intelaiatura superficiale capace di avere una vita autonoma e dunque facilmente apprezzabile anche con una lettura poco attenta. Sotto questa superficie, però, cerco sempre di inserire il vero racconto, cioè quello che deve esser interpretato andando a sciogliere i vari simbolismi e le varie metafore (spesso contenuti nelle scenografie) che ho snocciolato per tutto il testo, anche cercando di far emergere più di una soluzione finale. Questo mio stile, talvolta, mi porta a ricevere commenti negativi in cui mi viene detto che il testo risulta essere confuso, ma questa impressione non corrisponde alla realtà.
I testi sono volutamente criptici, perché rimango dell'idea che, come diceva Borges, “un buon lettore è raro quanto un bravo scrittore” e che dunque è compito di chi legge interpretare e personalizzare quanto viene proposto, perché la lettura è un'esperienza personale e deve lasciare margini di scelta a chi legge, altrimenti saremmo nel campo della propaganda che è senz'altro poco stimolante sia per chi scrive che per chi legge. È evidente che il mio è un approccio che può risultare un tantino arrogante, perché ho la pretesa di costringere il lettore a leggere più volte un mio testo, ma penso anche che chiunque si avvicini a un lavoro o a una professione debba, con la giusta dose di umiltà, avere una spiccata dose di coraggio, incoscienza e spregiudicatezza, perché chi si limita ai compitini consuetudinari difficilmente riuscirà a emergere dalla massa.

6) Nel corso del tempo ti sei occupato anche di editing curando la stesura di alcune raccolte di racconti di autori vari. Quanto ti è tornata utile quest’esperienza per la tua attività di Autore?

Ho fatto più volte editing per piccole antologie, soprattutto per dare una mano ad amici o comunque perché ritenevo di esser in grado, in quei contesti, di dare un apporto che avrebbe potuto migliorare il risultato finale. Fare editing è molto difficile e faticoso.
Nella mia esperienza, nonostante le molteplici incazzature (passami il termine), mi è tornato molto utile partecipare ai laboratori di scrittura. Se si capita nel posto giusto si imparano molte cose, anche se spesso i laboratori di scrittura sono templi per personaggi ciechi che si fossilizzano sulla forma e non sono in grado di andare oltre a un'analisi superficiale del testo. L'editing è importante, ma non così fondamentale come si vuol lasciare intendere perché la forma si acquisisce con l'esperienza, mentre è molto più difficile imparare a creare la sostanza. La superiorità della sostanza sulla forma è dettata dal fatto che l'anima di un autore risiede sempre nella sostanza, non nello stile o nel modo di raccontare una storia, è da questa consapevolezza che nasce la mia distinzione tra un autore e un mero narratore.

7) GDS Edizioni ti ha affidato l’incarico di selezionare e supervisionare i testi per un inserto semestrale di racconti fantastici e a tema. Qualche anticipazione al proposito?

La GDS Edizioni è sempre stata molto carina con me, da quando ho vinto un concorso organizzato dalla stessa con il racconto “Il ritorno del gatto nero” (omaggio personalizzato sia a Poe che a Fulci). Mi ha manifestato più volte fiducia pressoché incondizionata, fino a pormi l'idea di questo progetto.
Sto lavorando in questi giorni per preparare il primo numero (penso uscirà in Estate). L'idea è quella di creare un piccolo angolo dedicato a racconti horror non commerciali caratterizzati da un alto tasso di bizzarria e onirismo, possibilmente con un apprezzabile contenuto di fondo. In aggiunta ai racconti si parlerà anche dei grandi maestri del genere e di recensioni sempre a tema, spero anche di coinvolgere professionisti con interviste e pareri (purtroppo però molti si tirano indietro per i loro impegni lavorativi).

8) Come lettore, quali sono i criteri cui ti affidi per giudicare la buona qualità di un pezzo, cosa distingue a tuo parere un buon racconto, degno di pubblicazione, da un racconto di altissimo livello?

Di sicuro, a differenza dalla maggioranza delle persone, non mi affido al gusto personale. Ci possono essere infatti dei racconti che personalmente amo follemente ma che non definirei mai dei buoni racconti in senso oggettivo.
Credo che i criteri di valutazione debbano essere oggettivi. Valutare seriamente un testo, a mio avviso, richiede un'analisi chirurgica del racconto. In pratica è come analizzare un'autovettura e per farlo si deve scomporre il testo in più parti (le componenti dell'autovettura) e sforzarsi di capire cosa lo scrittore abbia cercato di dire e perché abbia scelto un certo stile piuttosto che un altro. È chiaro che un testo che ha uno stimolo di fondo, a mio avviso, è quasi sempre oggettivamente superiore rispetto a uno di mero intrattenimento perché non sarà mai un semplice esercizio di stile, ma si proporrà di affrontare con piglio critico una certa problematica con l'intento di spingere il lettore a riflettere.
La differenza quindi che c'è tra un buon racconto e un racconto di altissimo livello ricade sempre su quell'anima di fondo di cui ho parlato nelle precedenti risposte. Un racconto di altissimo livello non è mai vuoto, ma contiene una profondità che va oltre la trama e i personaggi i quali non sono il fulcro della vicenda ma dei veicoli indispensabili per diffondere l'idea di base e denunciare certe situazioni o cercare di far riflettere su problemi di carattere storico-sociale. Contrariamente a quanto si voglia far credere in quest'epoca consumistica, l'arte deve essere espressione del pensiero, non una produzione da allevamento diretta a rincitrullire col divertimento chi legge con il solo fine di fare cassa. A mio avviso, da consumatore di vecchi B-Movie, si può e si devono unire le due cose con l'obiettivo di divertirsi, ma ragionando e imparando.
È chiaro che questa mia concezione presuppone l'esistenza di lettori attivi, con una certa esperienza alle spalle, e non di soggetti passivi che leggono con il tempo cronometrato in cerca di divertimento spiccio.

9) Chi ti conosce sa che la tua produzione è improntata su criteri molto lontani dal compiacimento e dall’inseguimento forzato del riscontro commerciale… Ma qual è (se c’è) l’obbiettivo più ambizioso che ti prefiggi, anche a lungo termine, nella tua attività di scrittore?

Sposo in pieno una massima di un piccolo autore americano (David Morrell) che, in un racconto relativo ai quadri di un pittore folle, arriva a scrivere: “Un grande artista usa il colore che gli dà l'effetto migliore. Quello che vuole è creare, non vendere” .
Penso che questa teoria assuma un'importanza maggiore in un contesto amatoriale. A mio avviso, volersi uniformare alle logiche di mercato per un amatore è una follia totale perché chi si rivolge all'undergorund lo fa per cercare prodotti alternativi a quelli imposti (perché di fatto sono imposti) dalle grandi catene commerciali. Dunque lo scrittore amatoriale deve distinguersi dalla massa e deve proporre storie che lo caratterizzano in modo netto. Nell'underground si deve puntare alla nicchia e non alla massa, perché altrimenti l'aspirante scrittore avrà già perso in partenza (chi cerca storie convenzionali si rivolge a scrittori già affermati e non va certo all'avventura in cerca di novità).
Personalmente non mi pongo mai obiettivi a lungo termine, perché faccio le cose cercando di divertirmi e sempre in un modo del tutto personalizzato e fuori dagli schemi. Quello che mi interessa è convincere me stesso di aver lavorato bene, del resto mi importa poco. Ciò a cui si deve ambire, in quello che si fa, è acquisire la sicurezza utile per evolversi e non fermarsi al cospetto degli ostacoli che di volta in volta si presenteranno sul proprio cammino. Non sono importanti le onorificenze o i riscontri venali, ma la consapevolezza di saper fare una certa cosa perché è solo da tale consapevolezza che nascerà quella follia che spinge a fare cose che gli altri non si sognerebbero di fare. E il sogno altro non è che la benzina che fa muovere la macchina della vita verso futuri traguardi.

Quali che siano allora i prossimi traguardi all’orizzonte ti auguriamo di raggiungerli tutti! Grazie per la disponibilità e il tempo che ci hai dedicato e a presto, Matteo!

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