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domenica 12 giugno 2011

Recensione narrativa - IL GIOCO DI GERALD (S.King)




Autore: Stephen King
Anno di uscita: 1992
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 368
Commento
Romanzo, a metà strada tra l'erotico (malato) e l'horror, firmato da colui che - a torto (ovviamente è un mio parere) - viene definito il re dell'incubo, cioè Stephen King.
Nell'occasione lo scrittore statunitense propone una storia altamente drammatica che ruota attorno a un soggetto piuttosto striminzito. Abbiamo una coppia di coniugi che, per stimolare le prestazioni sessuali dell'elemento maschile, decide di dar vita a un gioco perverso in cui la donna viene ammanettata alla spalliera del letto. Durante il rapporto però, a causa di un ripensamento della moglie, nasce una colluttazione nel corso della quale il marito, un noto avvocato, cade preda di un attacco cardiaco che lo porterà a una morte immediata.Ha così inizio l'incubo della moglie che resta bloccata a letto, incapace di muoversi e di chiamare aiuto. La casa in cui si trova, infatti, è isolata in aperta campagna. Intanto un cane randagio penetra nell'abitazione e inizia a cibarsi del cadavere dell'uomo, mentre una bizzarra sagoma oscura farà capolino al crepuscolo assumendo un'espressione di derisione e mantenendosi sempre ai margini della vicenda.Questo, in sintesi, è il succo del contesto che King va a tracciare per analizzare la psiche della protagonista e i suoi orrori trascorsi.
Non è la storia, né la volontà di dar vita a una parabola a interessare l'autore, ma l'analisi introspettiva della protagonista; un'analisi che, probabilmente, risulterà interessante per un pubblico femminile, ma credo si rivelerà assai noiosa per un pubblico maschile. Siamo dunque alle prese con un romanzo in cui sono le paranoie e i complessi mentali della protagonista a elevarsi al ruolo di protagonisti e non una serie di accadimenti funzionali a creare una vera e propria storia.
King scende nella psiche della donna, riporta alla luce traumi infantili che ruotano attorno al cattivo rapporto con la madre, all'ammirazione per il padre che poi si tramuta in un qualcosa di malato, ma soprattutto alle prime esperienze sessuali (è stata molestata dal padre e poi dal fratello) e lo fa in modo ripetitivo e talvolta con cattivo gusto. Alcune descrizioni, seppur efficaci, sono eccessive, anche in considerazione del fatto che si sta parlando di una bambina di dieci anni (penso alla descrizione della piccola che assaggia lo sperma del padre). Altre invece vengono inserite tanto per fare brodo e si rivelano del tutto gratuite (penso al cane necrofago).
Tutto questo da vita a un'opera basata su un soggetto ottimo per un racconto, ma non certo per un romanzo di quasi 400 pagine. L'autore, difatti, appesantisce il testo con una moltitudine di azioni che occupano interi capitoli (la donna che cerca di bere; la donna che cerca di cacciare il cane; la donna che cerca di liberarsi dalle manette) e pensieri ripetitivi che assillano la prigioniera (inizia persino a parlare con una serie di voci di personaggi immaginari che le torturano la mente). Le cose non migliorano con lo scorrere delle pagine, anzi tendono a peggiorare con un pessimo epilogo. Penso che in pochi potrebbero qualificare il finale se non come un epilogo posticcio. King, come spesso avviene nei suoi romanzi, prima cade negli stereotipi del genere (la figura del baubau, la donna che scappa e vede apparire alle sue spalle, d'improvviso, nello specchietto retrovisore il mostro da cui sta scappando), poi uccide quella poca atmosfera che dava modo al lettore di fantasticare (la figura della morte che vaga con i gioielli era molto romantica) e lo fa per l'impulso di giustificare a tutti costi ciò che viene dato in pasto al lettore. La spiegazione, tra l'altro, viene data in un modo che vorrebbe risultare originale e scioccante, ma che invece non lo è affatto. King non fa altro che riproporre pari pari un personaggio conosciutissimo in ambito criminologico (i riferimenti vanno a Ed Gein), senza caratterizzarlo con trovate innovative.
Ciò detto mi sovviene una frase che Clint Eastwood soleva dire a Sergio Leone e che calza, a mio avviso, a pennello per "Il Gioco di Gerald": “In un'opera di serie B si dice ogni cosa a ogni spettatore. In una vera opera di serie A si lascia che il pubblico pensi!”. Tutto questo per dire che “Il gioco di Gerald”, pur beneficiando di alcuni buoni momenti (su tutti il primo ingresso in scena del baubau e la descrizione del rapporto sessuale durante l'eclisse) è molto lontano da essere un'opera di serie A. Voto: 5,5

PS: AGGIUNTA DEL 6 NOVEMBRE 2011

Spulciando nelle mie numerose antologie di narrativa fantastica ho scoperto un'altra opera che il sopravvalutato (non mi stancherò mai di dirlo e lo è per via della scarsa conoscenza del genere di buona parte dei suoi lettori) STEPHEN KING ha spudoratamente copiato. Sto parlando de "IL GIOCO DI GERALD", il cui soggetto è stato ripreso pari pari dal racconto "La Vasca" - "The Tub" (inserito nell'antologia "EROTIC HORROR") scritto da Richard Laymon nel 1991.

Nel testo di Laymon ci sono tutti gli elementi che caratterizzeranno il successivo romanzo di King (uscito appena un anno dopo) e questo ridimensiona il genio di King. Protagonista della storia è una donna che resta intrappolata (nella fattispecie in una vasca sotto il peso del compagno culturista) durante un amplesso che culmina con la morte per infarto del partner. Comuni al romanzo di King sono tutti i tentativi bislacchi della donna di liberarsi ma anche l'alternanza del giorno con la notte, ed evidenti parallelismi nelle location e nelle paranoie(abitazione isolata, porte di ingresso lasciate aperte con conseguente timore di voyeuristi pervertiti che spiano nel buio). Dunque il soggetto è pressoché identico, manca solo il background familiare della donna e il cane idrofobo e poi ci siamo.

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