Elenco

  • Cinema
  • Ippica
  • Narrativa
  • Pubblicazioni Personali

domenica 19 giugno 2011

Recensione cinematografica: BUNDY a Legacy of Evil (Regia Michael Feifer, 2009)



In alto: a sinistra una foto del vero Ted Bundy, sotto la copertina del film.

Produzione: Usa, 2008.

Regia e Sceneggiatura: Michael Feifer

Interpreti Principali: Corin Nemec, Kane Hodder, Jen Nikolaisen

Durata: 110.


Commento di Matteo Mancini:

Terzo film, uscito in rapida successione dopo "Ted Bundy" di Matthew Bright (2002) e "Ted Bundy il Serial Killer" di Paul Shapiro (2003), incentrato sull'affascinante e terribile figura di Robert Theodore Bundy.

Serial killer lust murderer (cioè per libidine) piuttosto atipico (operante negli Stati Uniti negli anni '70) sia per le diversità del modus operandi con cui commetteva gli omicidi (entrava indifferentemente nelle case delle vittime sorprendendole nel sonno o le abbordava offrendo passaggi in auto o si faceva aiutare a trasportare dei libri fingendo di avere un braccio ingessato oppure, ancora, simulava di essere un poliziotto), sia per l'elevato background di studi (laurea in psicologia e aspirante avvocato) nonché per un fascino che gli permetteva di incantare bellissime ragazze (tutte con i capelli lunghi divisi al centro, come la sua prima fidanzata Stephanie), ma anche per il suo frequente spostarsi di Stato in Stato che rendeva difficoltoso il collegamento tra i vari omicidi e le numerose scomparse che rendono impossibile attribuire un numero certo alle sue vittime (molti dei corpi delle vittime non furono mai trovati).

Il caso di Ted Bundy è forse il più tragico e triste della criminologia moderna (per come un soggetto talentuoso si sia buttato al macero). Brillante, ironico e dotato di una sagacia fuori dal comune (riuscì a evadere per ben due volte e senza complicità alcuna della polizia), Bundy ricusò ogni avvocato nominato dal Tribunale, sfidò i poliziotti, strizzò occhiolini ai giornalisti regalando interviste e si difese con energia per conto proprio nel corso del processo. Fu condannato a morte a causa di una prova schiacciante: sul corpo di una delle ultime vittime fu rinvenuta l'impronta dell'arcata dentaria dell'assassino e fu dimostrato che si trattava di quella di Ted Bundy.

Eloquente per capire il personaggio il commento che espresse il giudice del processo dopo aver letto in aula la condanna inflitta all'imputato: "E' tragico per questa corte assistere a un tale spreco. Penso alla capacità che lei ha mostrato in questa aula. Lei è un giovane brillante, avrebbe potuto essere un avvocato e sarei stato felice di vederla esercitare davanti a me, ma ha sbagliato strada." Così la figura di questo serial killer, per certi versi la più vicina a quella fantastica di "Hannibal Lecter", in seguito chiamato persino a collaborare con l'FBI per tracciare il profilo psicologico dell'imprendibile serial killer del Green River (che sarà arrestato svariati anni dopo), si è ritagliata un grande spazio sia nei libri di criminologia, sia nei true crime (un evergreen è il libro "Un estraneo al mio fianco" di Ann Rule, interamente dedicato al rapporto di amicizia che, in tempi non sospetti, legava l'assassino alla scrittrice, all'epoca in cui lavoravano insieme al telefono amico) che nel cinema.

Purtroppo i tre film che lo riguardano (ce ne sarebbe anche un quarto del 1986 intitolato "Il mostro", ma è introvabile) sono film destinati all'homevideo e tutti hanno il difetto di essere incompleti anche se complementari tra loro. In altre parole, ciascuno di questi film sviluppa alcuni aspetti di questo diabolico personaggio. Il film di Bright, a esempio, è il migliore sotto il profilo tecnico (fotografia, colonna sonora e regia sono le migliori della terna) e nella rappresentazione degli omicidi, ma non analizza bene la psicologia dell'assassino. Il film di Shapiro, invece, è molto più lento, visivamente piuttosto grezzo con una mediocre fotografia, ma si rivela superiore nel tracciare la personalità narcisistica di Bundy e il suo alto senso di spettacolarizzazione di ogni gesto nonché della sua capacità di dire con disinvoltura una serie di bugie. Il film oggetto di questa recensione, invece, è dal punto di vista tecnico una via di mezzo tra i due film, mentre contenutisticamente è il più completo e curato (in particolare nel make up).

Feifer scrive e dirige senza preoccuparsi di imprimere un taglio political correct, infatti mostra - seppur limitate all'essenziale - scene di una durezza impressionante (Bundy che prende a cazzotti una ragazza, ma anche scene di necrofilia con teste in avanzato stato di decomposizione riprese in primo piano tra le mani di Bundy) senza dimenticarsi di tracciare le basi che servono a comprendere l'evoluzione del personaggio. Rispetto ai due precedenti film, viene rappresentata in modo ottimale l'infanzia dell'assassino e soprattutto il rapporto tra Bundy e la ragazza che gli rapì il cuore ai tempi universitari (Stephanie). Un rapporto prima di amore e di felicità che poi va in frantumi per l'immaturità e la timidezza di un Bundy impacciato e per il desiderio della ragazza di avere al suo fianco un uomo vincente. Ferito dall'ennesimo abbandono della sua vita (era figlio illegittimo, ma lo scoprirà solo in seguito perché la madre gli aveva detto di essere in realtà sua sorella), Bundy evolverà da timido a estroverso distinguendosi in più campi (politica compresa) fino a riconquistare Stephanie e convincerla a sposarlo, ma con il solo intento di ferirla e abbandonarla proprio come lei stessa aveva fatto con lui (lo farà in un modo crudele come pochi e Feifer è bravissimo a trasmettere la tristezza della donna, abbandonata quando credeva ormai di aver bussato al cancello del Paradiso). Si tratta di uno snodo fondamentale, ignorato da Bright e trattato con sufficienza da Shapiro, per capire la genesi di questo serial killer e Feifer ha colto in pieno l'importanza, spendendo minuti su minuti per sviluppare questo aspetto. E' chiaro poi che il minutaggio limitato ha determinato un taglio netto di molti omicidi (vengono proposti come una sorta di flash, ma sono flash potenti che costano alla pellicola il bollino del V.M ai 14 anni), così come accennata è la farsa di Bundy durante il processo (questa è ottimamente riprodotta dal film di Shapiro). Sono infine quasi del tutto omesse le evasioni, mentre non c'è alcuna traccia della seconda (la donna che frequentava durante gli omicidi) e della terza donna (quella che sposò in carcere) di Bundy.

Nonostante questo e qualche scena scollegata dal resto, "Bundy a legacy of evil" è il miglior film su Bundy. Non viene penalizzato neppure dalla presenza di un cast artistico tutt'altro che noto, anzi, l'interpretazione di Corin Nemec (molto somigliante a Bundy) è notevole (specie quando compie gli omicidi). Curatissimo il make up di Yvonne Wang (si sta attenti a tutto, dal colore del maggiolino dell'assassino, al taglio di capelli di Bundy, per finire col gore e i bacherozzi che si contorcono sui volti putrefatti).

La regia di Feifer non è perfetta, ogni tanto gli scappa di mano il film (ci sono sequenze che non sono montate benissimo) ma alla fine è più che sufficiente. Belle le scene con Bundy che invoca Dio o simula di essere un lupo in mezzo alla foresta.

In definitiva, per essere un film destinato all'homevideo e peraltro quasi introvabile (l'ho recuperato per caso alla Media World in una scarnissima edizione DVD), non è affatto male ed è il più completo dei tre film citati. Anche se non è un capolavoro, è una piacevole sorpresa per gli appassionati di criminologia. Merita una visione. Voto: 7

Il trailer originale del filmhttp://www.youtube.com/watch?v=-mO4MwNmDXI



Nessun commento:

Posta un commento